Ho letto da qualche parte una sentenza quanto mai sapiente che per me rappresenta un motivo di conforto e di liberazione da un certo incubo che mi viene dal fatto di scoprire che racconto delle cose che ho già detto. Spesso mi ripeto questa sentenza: “Gli anziani hanno diritto a dimenticare”. Lo facevo ancor prima, ma ora non ho più scrupoli né ripensamenti, dico certe cose con candore, come fosse la prima volta che le dico.
Vengo anche oggi al motivo di questo ennesimo uso della “sapienza antica”: io leggo con attenzione e curiosità i cosiddetti “bollettini parrocchiali”. Leggo, talvolta con ammirazione e purtroppo, più spesso, con delusione, non solamente quello che è scritto in chiaro, ma anche e soprattutto quello che posso intuire sotto le righe, anche se non scritto. Vi si scopre un po’ di tutto. Ogni “bollettino” finisce per pubblicare sempre la stessa foto della parrocchia e soprattutto quella del suo parroco. Non si tratta invero di quei ritratti di un tempo, dipinti ad olio in cornici ridondanti dove il parroco veniva ritratto con il breviario in mano, seduto su una poltrona con tanto di braccioli e di seduta e schienale di velluto rosso o damascato. Non sono, quelle dei bollettini parrocchiali che si trovano in ogni chiesa, fotografie classiche, ma immagini un po’ crude, quasi fatte col telefonino, che ritraggono il volto della parrocchia e del parroco non in posa, ma nella realtà della vita quotidiana, spesso vestita in mal arnese.
Non molto tempo fa, in un numero pregresso – perché spesso nel banco stampa si trovano anche numeri vecchi di questi bollettini – ebbi modo di imbattermi nella pubblicazione del bilancio parrocchiale di una comunità abbastanza numerosa e non di periferia ed ho letto, con la solita curiosità che mi viene da una deformazione professionale di “spiare la concorrenza” seppure ora, da vecchio pensionato, parrebbe non avessi più motivo di curiosare nelle vicende degli altri.
Ebbene il bilancio era prova che quel parroco sceglieva la linea della trasparenza, come si dice oggi, però una trasparenza che gli nuoceva piuttosto che dargli vanto. Il bilancio, piuttosto pignolo, informava sui conti del personale, delle utenze, degli interessi, delle uscite più varie. Tutto sommato, di primo acchito, mi è sembrato un bilancio rispettabile e coraggioso. Però mi è cascato l’asino quando sono giunto alla voce “carità” nella quale attivo e passivo si bilanciavano, ma dove appariva subito che la voce “carità” era rappresentata da una cifra irrisoria di fronte alle altre cifre quanto mai consistenti.
Una volta ancora mi vien da denunciare che la voce “carità” risulta troppo spesso la cenerentola tra le altre cifre. Mi auguro che la testimonianza di Papa Francesco, del quale tutti si dichiarano entusiasti ammiratori, incida molto di più sulla coscienza dei parroci e delle relative comunità.
19.08.2014