Gli angeli dalle trombe d’argento

Proprio un paio di giorni fa ho dichiarato la mia fede senza tentennamenti nella presenza degli angeli e nel grande supporto che essi possono offrire a noi poveri e fragili mortali. Si, è vero che ho manifestato più di qualche perplessità e riserva sull’angelo anatroccolo del giardino pensile del nostro ospedale, spero però che, a differenza di quanto avviene nelle migliori famiglie dove spesso capita di incontrare qualche pecora nera, l’angelo dell’ospedale sia almeno tanto brutto quanto buono perché il suo servizio tra le corsie è quanto mai indispensabile.

Veniamo però al mio rapporto personale con questi spiriti celesti e in particolare con l’Angelo a cui il Signore ha affidato l’impegnativo incarico di farmi da custode. Tutti i miei amici conoscono già da tempo l’ultima impresa in cui mi sono impegnato nonostante i miei quasi novant’anni: ossia l’apertura al Don Vecchi del “Ristorante Serenissima” a favore delle famiglie e delle persone in difficoltà che non si presentano alle porte del Comune o delle parrocchie in atteggiamento lagnoso e senza pudore ma preferiscono portare la loro croce amara in silenzio e con molta dignità.

Credo che tutti ormai sappiano che il “Catering Serenissima Ristorazione”, del signor Mario Putin, ha offerto gratuitamente 110 pasti serali, ogni giorno dal lunedì al venerdì di ogni settimana, e che la Fondazione dei Centri Don Vecchi ha messo a disposizione la sala e tutto quanto necessario. La ricerca del personale a cui affidare il servizio di sala è stato l’ultimo ostacolo da superare. Ho quindi pensato di rivolgermi agli scout dei quali, senza vanagloria penso di essere stato a Mestre uno dei “padri fondatori” e il cui obiettivo è il servizio ma, con mia grande delusione, hanno nicchiato e non hanno aderito con prontezza alla mia richiesta.

Io non sono uno che ha l’abitudine di elemosinare le cose che ritengo essere un dovere e mi sono ricordato della preghiera di don Zeno Saltini, il prete romagnolo che fondò Nomadelfia “la città dei fratelli e dei figli di Dio”, e mi sono rivolto direttamente a queste creature celesti con queste parole: “Angeli suonate le vostre trombe d’argento per chiamare a raccolta gli uomini di buona volontà, voi conoscete i loro nomi, dove abitano e i loro numeri di telefono: Angeli ho veramente bisogno di voi”. Ebbene amici, volete sapere come è andata a finire? In una settimana si sono offerti una sessantina di volontari, vecchi e giovani, professionisti e operai, uomini e donne! Volete dunque che non creda agli angeli?

Non accetto d’essere etichettato

Don Gianni, parroco di Carpenedo e presidente della Fondazione dei Centri Don Vecchi, ha annunciato la decisione del Consiglio di Amministrazione di aderire all’invito, esplicito ed accorato, di Papa Francesco, rivolto ad ogni comunità cristiana d’Europa, di mettere a disposizione dei profughi almeno un alloggio. La Fondazione ha quindi destinato loro due alloggi. Nel frattempo don Gianni ha annunciato anche che la felice opportunità di poter offrire ogni sera la cena a 110 persone, al prezzo simbolico di un euro per gli adulti e gratuitamente per i bambini, si è concretizzata. La stampa ma soprattutto molti faziosi hanno interpretato questa opera benefica come una compensazione all’impegno nei confronti della gente che fugge dalla guerra, tanto che a migliaia, leghisti ed assimilati, hanno applaudito convinti che don Gianni avesse fatto propria la loro pretesa egoistica di preoccuparsi “prima degli italiani e semmai poi degli altri!”.

In questi giorni, per lanciare la proposta delle cene nel nuovo “Ristorante Serenessima”, ho avuto modo di incontrare più volte giornalisti di tutte le testate e di varie emittenti locali, cogliendo così l’occasione per ribadire con forza che gli uomini onesti sono cittadini del mondo e fratelli di ogni persona che abita questo mondo. Spero di aver colto nel segno.

Tante volte nel passato mi hanno etichettato di destra, di sinistra o di centro e altrettante volte ho ribadito con forza che io sto con tutti e con nessuno perché mi preoccupo per ogni uomo, qualsiasi sia il colore della sua pelle, il suo credo e la sua provenienza. Non accetto etichette di sorta. Ho fatto mie da decenni le parole di don Lorenzo Milani a Pajetta, il comunista impegnato contro i “padroni”. “Pajetta oggi sono con te per creare nel nostro Paese più giustizia però sappi, caro Pajetta, che il giorno in cui tu dovessi abbattere le cancellate dei ricchi e diventassi un despota proletario io allora sarei dall’altra parte, dalla parte dei più deboli e degli sconfitti e ti combatterei con tutte le mie forze”.

Io mi sono sempre trovato bene attenendomi a questi principi, ho sempre tirato dritto e ho sempre affermato che riconosco un’unica padrona di casa: la mia coscienza.

Sono purtroppo in pena!

Credo che tutti i lettori ormai sappiano che io scrivo quando ho tempo e soprattutto quando penso d’avere qualcosa da comunicare per il bene della fede, dei poveri e della mia città. Tanti lettori infatti mi dicono di aver scoperto che certi temi sviluppati nelle mie “Riflessioni” si riferiscono ad eventi vecchi di almeno un paio di mesi ma quando l’articolo viene stampato, anche se fa riferimento ad episodi datati, il messaggio che volevo trasmettere generalmente non perde la sua efficacia. Cosa pretendete, amici miei, da un prete di quasi novant’anni? Che cosa vi aspettate da me?

Vorrei rendervi partecipi della confidenza di un mio insegnante di settant’anni fa: “Caro Armando, sappi che io usualmente quando acquisto il giornale, per poterne valutare efficacemente la consistenza e la correttezza dei contenuti, lo lascio sul tavolo per almeno un mese”. Io non commento notizie e fatti datati per scelta come faceva lui ma per necessità, spero comunque che le ansie, le preoccupazioni, i sogni e i progetti di un vecchio prete possano essere di una qualche utilità anche per gli altri.

Vengo al sodo: oggi è il primo di ottobre e lunedì 19 ottobre sogniamo di aprire il “Ristorante” per i poveri occulti: i cittadini monoreddito, quelli che hanno stipendi da fame o peggio ancora sono disoccupati, cassaintegrati, ecc. So per certo che l’accettare quest’offerta richiederà loro molto coraggio anche se la proposta offre un ambiente signorile, un servizio inappuntabile ed un centro di cottura eccellente. Lo staff che si è fatto carico di questa impresa, e che ha come responsabili i coniugi Graziella e Rolando Candiani, ha fatto l’impossibile per far conoscere questa iniziativa benefica. Tutte le emittenti televisive e le testate dei giornali cittadini ne hanno parlato più volte ed inoltre abbiamo scritto a tutti i parroci, alle assistenti sociali e alle agenzie della solidarietà cittadina.

L’organizzazione del Ristorante è più che adeguata a ricevere un numero consistente di commensali grazie anche al contributo dell’Associazione Vestire gli Ignudi e al reclutamento di più di una trentina di volontari. Per me rimane un’incognita e una preoccupazione: le parrocchie conoscono veramente i loro parrocchiani in difficoltà e hanno strumenti per contattarli e convincerli ad approfittare di questa opportunità? Confesso che mi spiacerebbe “perdere” ma se ciò avvenisse saprei di aver fatto l’impossibile per “vincere”.

Gli amici telematici

Mi sorprendono e mi stupiscono alquanto i miei colleghi preti, sia anziani e purtroppo anche giovani, che non hanno compreso l’assoluta necessità di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione.

A me piace il suono delle campane e quando ero parroco più di qualche parrocchiano si lamentava che le suonavo troppo. Un giorno ho avvertito la necessità di utilizzare il campanile della mia parrocchia, di quelle di Caorle, di Jesolo, di Mira, di Burano e perfino il campanile di San Marco per collocare i trasmettitori di Radio Carpini con cui riuscivamo a trasmettere il messaggio in cui credo ad almeno un milione di potenziali ascoltatori.

Lo stesso successo lo abbiamo ottenuto con la carta stampata e in queste ultime settimane stiamo raggiungendo una tiratura di quasi seimila copie per il settimanale “L’incontro”.

Spessissimo incontro persone che si rivolgono a me come fossi un loro amico d’infanzia e quando chiedo loro se mi conoscono tutti mi ripetono: “Come si fa a non conoscerla sappiamo tutto di lei e delle sue imprese solidali.” Questo mi rende molto felice perché mi conferma che “ho fatto centro”. Una volta un primario dell’Angelo mi disse: “Ce l’ho con lei”, al che obiettai: “Perché?” e lui continuò: “Perché mi turba la coscienza con i suoi scritti!”. Non poteva dirmi cosa più bella.

I miei amici sanno che in questo periodo sono tutto preso dall’apertura del nuovo ristorante per i poveri che vivono in silenzio e con dignità la loro difficile situazione ma come avrei potuto comunicare questa notizia ai miei quattrocentomila concittadini di Mestre e Venezia? Mi sono detto: “So io cosa fare!”. Qualche telefonata e le testate cittadine: Il Gazzettino, La Nuova Venezia e Il Corriere del Veneto mi hanno subito offerto il loro “megafono”. Qualche altra telefonata e “Rai Tre”, “Televenezia”, “Telechiara” e “Rete Veneta” mi hanno subito messo a disposizione i loro teleschermi”. Non so se riuscirò a bucare ma se non avessi questi amici telematici sono certo che fallirei.

Il male oscuro

Credo che sia abbastanza ovvio affermare che le malattie più pericolose sono quelle di cui non si sa di essere affetti. Mi è capitato più volte che qualcuno mi abbia confidato che mentre pensava di stare bene un male subdolo e senza sintomi evidenti stava minando la sua salute tanto che quando se n’è reso conto era tardi e talvolta troppo tardi.

Ho letto tempo fa un interessante articolo di Carlo Carretto, il famoso presidente dei giovani di Azione Cattolica, che quando venne rimosso dal suo ruolo perché ritenuto scomodo dalle gerarchie ecclesiastiche, ha scelto di farsi religioso nell’Ordine dei “Piccoli Fratelli di Gesù” di Charles De Foucauld. Carretto scriveva che la febbre o un qualsiasi dolore sono una grazia del cielo perché rappresentano un campanello d’allarme che ci avverte del pericolo perché sono i sintomi del male subdolo ed oscuro che ci sta minacciando.

Qualche giorno fa una troupe di Raitre è venuta da Roma al Don Vecchi per fare un “servizio” sul nuovo ristorante, destinato alle famiglie in difficoltà, e sull’impegno della Fondazione dei Centri Don Vecchi a favore dei poveri. L’intervistatrice non mi è parsa un granché perché mi è sembrato cercasse di pescare nel torbido facendo emergere la diffidenza nei riguardi degli extracomunitari e dei profughi piuttosto che sottolineare quanto la Fondazione ha fatto e sta facendo per i vecchi, per chi ha bisogno e anche per i fratelli che fuggono dalla guerra e dalla miseria.

Pensavo che le immagini tragiche che la televisione ci mostra ogni giorno di quegli uomini, donne, bambini, affamati, stanchi, disorientati avessero turbato, impietosito e fatto emergere sentimenti di pietà, di condivisione e di generosità e che l’esplicito monito di Papa Francesco “a non voltarsi dall’altra parte, invitando ogni comunità a farsi carico di una famiglia” avessero convinto tutti. Invece con infinita sorpresa e tristezza ho sentito riserve, preoccupazioni, stupide paure, egoismo, timore per il proprio benessere e per la propria tranquillità. Cari vecchi lasciate che vi dica che, anche senza saperlo, portate dentro di voi i peggiori virus e i più malefici bacilli quali l’egoismo, il razzismo, la mancanza di generosità e di consapevolezza che siamo tutti fratelli, che dobbiamo darci una mano e pensare ai più poveri e ai più provati. Vecchi miei curatevi e presto perché questi bacilli portano alla morte del cuore e dell’anima. Se poi il bacillo dell’egoismo si diffondesse sareste i primi a subirne le conseguenze perché nessuno penserebbe più a voi come è stato fatto finora.

Televenezia

In Via Piraghetto, nella sede di Televenezia, c’ero già stato in precedenza per un’intervista però, quando un ex generale dei carabinieri che collabora con quell’emittente mi ha chiesto di partecipare ad una rubrica che lui conduce, ho accettato subito e con entusiasmo.

Avevo un rospo nell’animo che non sapevo come buttare fuori e finalmente l’intervista televisiva mi permetteva di chiarire ai miei concittadini la vicenda dei profughi, dell’aiuto ai poveri di casa nostra e del pasticcio che è nato quando don Gianni, presidente della Fondazione Carpinetum, ha comunicato alla stampa che al Don Vecchi non abbiamo pensato solamente ai profughi, mettendo a loro disposizione due alloggi, ma anche ai poveri di casa nostra con l’apertura del ristorante che offrirà la cena ai concittadini che soffrono in silenzio e con dignità. La stampa ha dato un’interpretazione faziosa e reazionaria di questo annuncio quasi che la Fondazione volesse scusarsi con Salvini per aver pensato ai profughi e non alla nostra gente.

Spero che i miei successivi interventi al Gazzettino, al Corriere del Veneto, a Raitre, a Telechiara, a Rete Veneta e a Televenezia e la lettera che ho inviato a tutti i parroci e agli operatori sociali della città abbiano rimesso le cose a posto. La Fondazione non fa solo chiacchiere, come sta facendo Salvini, ma fatti: attualmente ha messo a disposizione degli anziani poveri quattrocento appartamenti e offre aiuto a più di tremila famiglie distribuendo vestiti, mobili, frutta, verdura, generi alimentari dimostrando abbondantemente, se mai ce ne fosse bisogno, la sua attenzione e il suo impegno concreto nei confronti della povera gente mestrina, italiana, dei paesi dell’Est e della sponda africana e ora, con il ristorante, sarà offerta la cena a centodieci famiglie in difficoltà indipendentemente dal colore della pelle e dalla religione professata.

L’opportunità di parlare per mezz’ora a ruota libera dagli studi di Televenezia comunque mi ha permesso di affermare, in modo chiaro e senza ambiguità, che la solidarietà deve essere per tutti altrimenti non è assolutamente solidarietà e che atteggiamenti razzisti, discriminatori, ed egoisti sono una autentica infamia per chi li promuove ma anche per chi li custodisce nel proprio animo.

Primo e secondo raccolto

Pur conscio di ripetermi, sento il dovere di affermare che impegnarsi per il prossimo non solo non rappresenta una passività ma anzi produce risorse. Ripeto questa mia riflessione per i comuni cittadini ma soprattutto per i miei colleghi che reggono le parrocchie della nostra città. Noi cristiani non dovremmo assolutamente sorprenderci di queste parole, anzi per noi dovrebbero essere ampiamente scontate perché Gesù, nostro maestro, ha affermato a chiare lettere: “Riceverete il centuplo in questa vita e il gaudio eterno nell’altra”. Non credo che Gesù abbia detto queste cose tanto per dire, quindi essere suoi discepoli comporta credere e agire di conseguenza.

Ho fatto questa premessa perché sono in grado di fornire una dimostrazione che tutti possono verificare. Vengo alla prova. Una delle associazioni di volontariato del “Polo solidale”, che vive in simbiosi con il Centro Don Vecchi di Carpenedo, è certamente l’associazione “Vestire gli ignudi” che gestisce una sorta di ipermercato sempre quanto mai affollato che veste i concittadini che versano in disagio sociale. Gli indumenti non sono assolutamente venduti come nei comuni negozi, agli acquirenti viene chiesta un’offerta per la dignità di chi ha bisogno, per coprire le spese di gestione ma soprattutto per creare in città una mentalità solidale grazie alla quale tutti coloro che ricevono un aiuto abbiano l’opportunità di aiutare loro stessi chi è più povero. L’ipermercato “Vestire gli Ignudi” è visitato ogni anno da venti-trentamila persone e quest’associazione è riuscita in alcuni anni a racimolare trecentomila euro. In questi giorni ha vuotato la cassa offrendo il pranzo gratuitamente per tutto quest’anno e per il prossimo a sessanta anziani con reddito minimo spendendo centocinquantamila euro ed inoltre ha destinato una somma di pari importo per arredare la nuova struttura con la quale si tenterà di rispondere alle criticità abitative. Come vedete Gesù è di parola e quello che ha promesso lo mantiene.

Il nuovo ristorante

Non sto a ripetere ai miei amici come è nato il progetto di aprire un ristorante per le persone in difficoltà che soffrono in silenzio, che si vergognano di chiedere aiuto e che non bussano alle porte del comune o della parrocchia.

Per almeno cinquant’anni sono stato l’assistente della San Vincenzo cittadina motivo per cui, infinite volte, mi sono sentito ripetere, soprattutto da quelli che normalmente non scuciono un solo euro per i poveri e che sanno solo criticare, che noi aiutiamo i fannulloni, quelli che sono poveri per mestiere, quelli che dovrebbero essere costretti a guadagnarsi il pane con il sudore della loro fronte mentre trascuriamo i veri poveri, quelli che meriterebbero di essere aiutati. Accusare e criticare è la cosa più facile di questo mondo mentre risolvere i problemi concreti è ben più difficile. Comunque sono sempre stato convinto che nella critica ci sia un po’ di verità.

Quando mi si è presentata inaspettatamente un’opportunità che sa di miracolo, nonostante i miei quasi novant’anni ho sentito il dovere di raccogliere le poche forze residue e di tuffarmi, anima e corpo, in questa nuova esaltante avventura solidale. Come Napoleone, mi si perdoni il paragone, mi sono rivolto ancora una volta alla mia gloriosa vecchia guardia: Graziella e Rolando Candiani che per vent’anni mi hanno affiancato nelle battaglie fortunatamente vinte per i Don Vecchi. Ho poi dato fuoco alle polveri attraverso: Gazzettino, Corriere del Veneto, Gente Veneta e tutte le testate televisive che sono riuscito a contattare per coinvolgere l’opinione pubblica, quindi ho cominciato a parlare ovunque e con tutti di questo progetto ambizioso ma nobile, progetto volto a convincere tutti coloro che sono in difficoltà affinché trovino l’umiltà per accogliere positivamente l’aiuto che viene loro fraternamente offerto. Ora per tornare a Napoleone sto vivendo la vigilia tormentata di questa impresa solidale. Spero, con tutte le mie forze, che dopo aver vinto tante battaglie questa non sia la mia Waterloo.

Il prossimo

Io ho sempre creduto alla necessità di usare al meglio i mezzi di comunicazione per offrire, alla gente del nostro tempo, il messaggio di Gesù. Quando penso che tutti i preti di Mestre riescono a parlare di Dio solamente al dieci per cento dei mestrini vengo colto da vertigini e da angoscia.

Nella mia vita sacerdotale, in tutte le attività pastorali affidatemi, ho sempre cercato di instaurare un dialogo con il maggior numero possibile di concittadini. Quando più di una quarantina d’anni fa mi fu affidata la San Vincenzo, che allora poteva contare solo su un numero assai modesto di persone e che praticamente viveva ai margini del pubblico interesse, diedi vita ad un mensile che chiamai “Il Prossimo”, in linea con l’impegno dei vincenziani nel creare un mondo di fratelli e di “farsi prossimo” soprattutto nei confronti dei più deboli e dei più bisognosi ma purtroppo, con mio grande dispiacere e disappunto, questa testata è stata chiusa. A mio umile parere “Il Prossimo” aveva fatto rifiorire la S. Vincenzo e questa aggregazione di cristiani ha dato voce ai più poveri di Mestre e fatto nascere belle e promettenti realtà.

Un mese fa il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Carpinetum ha deciso di unificare i gruppi di volontariato di quello che io ho sempre chiamato, con una certa enfasi: “Il Polo Solidale del Don Vecchi”, realtà diventata ormai la struttura caritativa di gran lunga più importante di Mestre e al suo posto è stato creato un nuovo ente no-profit in cui sono confluiti tutti i gruppi di volontariato. In quell’occasione ho suggerito immediatamente di chiamarlo “Il Prossimo”, un po’ per onorare la memoria della vecchia e gloriosa testata a cui ero molto affezionato ed un po’ perché i volontari fossero più consapevoli di lavorare per il prossimo e non per altri scopi.

Io ho condiviso la scelta della Fondazione, volta a creare una maggiore sinergia tra i vari comparti per abbassare le spese e per razionalizzare questa significativa entità di ordine solidale, ma nel mio animo c’è anche la segreta speranza che la nuova struttura organizzativa aiuti a rinvigorire i vincoli di fraternità cristiana fra i duecento volontari e soprattutto li renda maggiormente coscienti che l’obiettivo fondamentale è quello di amare concretamente il nostro prossimo.

Solidarietà a tutto tondo

Ricordo certe domande imbarazzanti e cretine che da bambino ho sentito porre ad alcuni miei coetanei: “Vuoi più bene a me o al papà?” e viceversa. Le persone serie devono insegnare a voler bene a tutti senza discriminazione.

Questi discorsi balordi e di scarso respiro umano e civile mi sono ritornati alla mente recentemente in rapporto ai profughi e all’invito del nostro Santo Padre a “non voltarsi dall’altra parte” e ad aprire il cuore al dramma di chi soffre. Per i cristiani tutti gli uomini sono figli di Dio; tutti, bianchi o neri, intelligenti o illetterati, europei, africani o americani possono rivolgere gli occhi in alto per dire: “Padre nostro” e guardandosi attorno scoprire che siamo tutti fratelli. Dio ci ha donato questo mondo così ricco e bello affinché ciascuno ne goda in pari misura e non perché qualche privilegiato ne goda più di altri.

In questo momento ai cittadini della nostra vecchia Europa si prospetta la splendida opportunità di aiutare chi soffre e di riparare alle ruberie, alle prepotenze e allo schiavismo civile, politico ed economico che per secoli i loro paesi hanno perpetrato nei confronti di tutti quei popoli che ora ci chiedono disperatamente aiuto. Oggi, Inghilterra in primis, seguita da Spagna, Portogallo, Francia, Germania e, come fanalino di coda, Italia, socia anche se tardiva della “compagnia di merende”. potrebbero ritrovare verginità umana e civile e ripulirsi la coscienza spalancando le porte ai profughi che in definitiva vengono solamente a riprendersi un po’ di quanto abbiamo loro rubato lungo i secoli.

Vengo poi a quella stupida affermazione che mi sovviene dal passato e che ora è riproposta da leghisti, nazionalisti, venetisti e dagli egoisti in genere: “Bisogna prima pensare agli italiani” a cui replico che bisogna pensare a tutti perché solo se pensiamo agli altri riusciamo a pensare anche a quelli di casa nostra. Noi della Fondazione dei Centri Don Vecchi, mentre Bossi ieri e Salvini oggi hanno seminato e continuano a seminare egoismo, da sempre pensiamo con i fatti ai nostri poveri: vedi i Centri Don Vecchi, il Polo Solidale, le mense ed altro ancora e nel contempo sentiamo il dovere di pensare anche agli altri. Sono felice che la Fondazione, senza lasciar passare un solo giorno dall’invito del Papa, abbia messo a disposizione di questi disperati un appartamento alla Cipressina e un altro al Centro Don Vecchi. Contemporaneamente stiamo aprendo un ristorante solidale per tutti mentre Salvini e compagnia cantante non hanno fatto e non fanno nulla né per gli altri né per i nostri ma pensano solamente alle loro tasche.

Incubo notturno

Il Don Vecchi è una struttura destinata agli anziani autosufficienti, questa è stata la scelta lucida che abbiamo fatto ancor prima di definire la struttura dei Centri Don Vecchi oggi esistenti. Avevamo anche previsto un comma inserito nella domanda d’accoglimento ai Centri secondo cui, nel caso di sopraggiunta mancanza di autosufficienza, i familiari avrebbero dovuto portare l’anziano nella propria casa o inserirlo in una casa di riposo. Le cose però sono andate molto diversamente. A ottant’anni il passaggio tra autosufficienza e non autosufficienza è più rapido che mai e le motivazioni per cui un essere umano dovrebbe abbandonare un ambiente signorile, che offre autonomia e nel contempo amicizia e sollievo, non sono facili né da far capire né tantomeno da far accettare a chi si è affezionato alla vita presso uno dei nostri Centri. La scelta iniziale della dismissione è diventata ogni anno più difficile da far accettare e il colpo di grazia a questa regola lo ha inferto la dottoressa Francesca Corsi, funzionaria illuminata e amica vera dei poveri e dei vecchi, quando un giorno mi disse: “Don Armando perché un anziano non può decidere di vivere ed anche desiderare di morire nella propria casa?”. Questa domanda ci ha indotto ad offrire ai nostri residenti la possibilità di vivere e morire al Don Vecchi, nella loro dimora come tutti i comuni mortali. Decidere di offrire a tutti l’opportunità di continuare a vivere al Don Vecchi ci ha imposto di ricorrere ad un’assistente disponibile sia di giorno che di notte, è sufficiente che l’anziano componga al telefono il numero 333 e dopo poco arriva l’assistente per prestare un primo aiuto.

Ieri notte l’assistente è stata chiamata e si è presentata alla porta della residente chiedendo cosa fosse successo. Sbalordita si è sentita rispondere: “Sono tanto turbata perché ho sentito dire che al Don Vecchi sarà accolta una famiglia di profughi, io però non sono assolutamente d’accordo”. Quando mi sono state riferite le pretese che questa anziana signora aveva espresso nonostante l’accoglienza ricevuta, dapprima sono rimasto interdetto e poi ho pensato a quel Salvini che per un pugno di voti va spargendo una zizzania tanto meschina. Il segretario della Lega, dopo aver governato una dozzina d’anni assieme a Berlusconi facendo fallire l’Italia, ora offre frottole e cattiverie. Di fronte a questo fatto mi è venuto da pensare che dovremmo inserire nel contratto di accoglienza ai Centri Don Vecchi una clausola: chi non crede alla solidarietà non può essere accolto perché è solo grazie alla solidarietà che è stato possibile realizzare le nostre strutture.

Maretta!

I miei amici della carta stampata certamente sanno che io, da settimane, andavo “suggerendo” a Papa Francesco di “comandare” a tutti i parroci d’Italia e d’Europa di ospitare una o più famiglie di profughi in rapporto all’entità della loro parrocchia. Una parrocchietta di cinquecento anime potrebbe offrire un appartamento mentre una di cinquemila potrebbe offrirne due, tre o anche cinque.

Non mi si dica che le parrocchie non hanno soldi perché non è vero. Io sono stato parroco per trentacinque anni della parrocchia di Carpenedo, parrocchia composta da modesti operai e tutti possono vedere quello che essa è riuscita a fare con il loro generoso contributo: i Centri Don Vecchi, l’asilo, il patronato, la casa in montagna per i ragazzi, quella in collina per i vecchi ed altro ancora. Si tratta sempre di coerenza, di trasparenza, di spirito di sacrificio, di fiducia nella Provvidenza ma soprattutto di amore verso il prossimo.
So che ancora una volta qualcuno, che non vuole impegnarsi, mi accuserà di autoreferenzialità. Non m’importa un fico secco! Ricambio affermando che questa gente non è coerente con l’insegnamento di Cristo “ama il prossimo tuo come te stesso” e non vuole impegnarsi per non avere grane.

Neanche a farlo apposta il Papa ha fatto la scelta che io gli “avevo suggerito”. Mi aspettavo che la stampa e le televisioni avrebbero provato un certo imbarazzo nel riferire la gara di generosità dei vescovi e dei parroci impegnati, gli uni a superare gli altri, nel mettere a disposizione alloggi di proprietà o presi in affitto: purtroppo però non è successo niente di tutto questo. Il Papa ha anche dato l’esempio offrendo due appartamenti attraverso le due parrocchie che sono in Vaticano, ma né la parola né l’esempio del Pontefice pare abbiano prodotto un granché.

Ho letto con rammarico la presa di posizione del Cardinal Cafarra di Bologna, le sue parole mi hanno sorpreso, deluso e indignato ma ancora di più mi hanno sorpreso, deluso e indignato le parole di un parroco leghista o peggio ancora razzista. La parola e la testimonianza di Papa Francesco stanno assumendo la funzione di vaglio sulla serietà, sulla coerenza e sulla fede dei cardinali, dei vescovi, dei parroci, dei frati e delle suore. Le parole di Gesù: “Non chi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei Cieli ma chi fa la volontà del Padre” sono di estrema attualità. L’amore verso Cristo e verso il suo Vicario non si dimostra con parole altisonanti o con le ammucchiate in piazza San Pietro di cardinali, vescovi e preti ma con l’accettazione della guida di un Papa che crede veramente al Vangelo di Gesù.

Il foyer dopo vent’anni

La Fondazione sta studiando come utilizzare il Don Vecchi 6, la nuova struttura degli Arzeroni che ormai è giunta al tetto, struttura destinata a dare una risposta alle criticità abitative. Dei nuovi sessantacinque alloggi, quindici si era ipotizzato di destinarli ai congiunti degli ammalati, provenienti da altre città, ricoverati negli ospedali mestrini. Questo progetto è nato più di vent’anni fa sotto il nome “Il Samaritano”. A quel tempo vi erano molti ammalati che dall’Italia meridionale venivano a Mestre per farsi operare dal prof. Rama e quindi il problema era quanto mai sentito.

Sapevo dell’esistenza di questa esigenza anche in altre città ma la goccia che mi ha spinto a questa scelta impegnativa fu un episodio di carattere familiare. Un mio nipote, nato con una malformazione cardiaca, dovette subire un intervento chirurgico a Milano e mia sorella che lo accompagnò in ospedale, dovendo trattenersi per qualche giorno, cercò un luogo dal costo contenuto. Seguendo il consiglio di una persona che la prese troppo alla lettera si ritrovò in un asilo notturno dove trascorse una notte da incubo fra i barboni. Mi detti tanto da fare che Cacciari mi affidò diecimila metri quadrati di un’area a ridosso dell’Ospedale dell’Angelo, sennonché il progetto di cura protonica, destinato a fornire terapie agli ammalati provenienti anche da altre regioni dell’Italia Settentrionale, finì nel nulla e l’Angelo, che doveva diventare un ospedale di eccellenza, non decollò.

Nell’attesa di realizzare il progetto, l’appartamento di Via Girolamo Miani con dieci posti letto più soggiorno e cucinotto, grazie ad alcune donne semplicemente meravigliose che lo condussero con stile più che familiare, per vent’anni funzionò egregiamente ad un costo di dieci euro a notte come casa di ospitalità che denominai “Foyer San Benedetto”. Ora esso pare più che sufficiente a rispondere alle esigenze attuali perciò la Fondazione mi ha affidato l’incarico di verificare se le quindici stanze della nuova struttura, destinate a questo scopo, sono ancora necessarie. Qualche giorno fa, per scrupolo di coscienza, mi sono recato a visitare il “Foyer” e, a parte le scale che mi sono sembrate come quelle del Campanile di San Marco, cosa di cui vent’anni fa non mi ero accorto, ho trovato l’ambiente pulito, ordinato, profumato di casa e soprattutto ho incontrato Teresa, la giovane donna che ora lo gestisce e che illumina la casa di freschezza e di umanità. Non solo non sono rimasto deluso ma sono ancora entusiasta di questa mia creatura.

Il ristorante dei poveri dignitosi

Anche se da dietro le quinte sto dandomi da fare perché si realizzi anche a Mestre un’esperienza di solidarietà tanto diversa dalle altre e che spero possa raggiungere dei concittadini che non sono soliti frequentare le assistenti sociali, la San Vincenzo, la Caritas o le canoniche per battere cassa. So quanto sia difficile fare accettare un aiuto a chi conserva, nonostante i disagi, la propria dignità e vorrebbe a tutti i costi vivere del proprio lavoro.

A casa mia eravamo sette fratelli, vivevamo in una casupola con annesso un pezzo di terra, dove scorrazzavano galline e oche, però in casa entrava solamente lo stipendio di mio padre che, quando eravamo molto piccoli, faceva il carpentiere del legno. Non dimenticherò mai quando, al tempo del frumento, andavamo a raccogliere le spighe sulle terre bonificate dal duce. Mia madre con una brigata di ragazzini svogliati e rissosi andava a raccogliere i semi del ricino, le patate, i fagioli e le pannocchie. Ricordo ancora quando ci affidavano una coppia di buoi per sarchiare la terra ed essi, che non ci riconoscevano come guide valide, facevano i fatti loro. Ricordo anche quando mio padre dovette andare in Germania per mandare avanti la baracca, ma mai i miei genitori si sarebbero presentati alle porte del Comune o all’E.C.A. per chiedere aiuto. Mio padre poi arrivava perfino ad affermare che noi, in confronto a tanti altri, eravamo dei “scioretti”.

Ebbene farò di tutto perché famiglie di disoccupati, di lavoratori in cassa integrazione o in mobilità possano cenare in un ristorante signorile, serviti a tavola e accolti fraternamente. Prego il buon Dio che mi aiuti a condurre a termine questa mia ultima avventura solidale ma soprattutto prego e chiedo a tutti i miei amici di mettersi a disposizione del buon Dio per aiutare chi è meno fortunato a sentirsi accolto come un fratello amato e atteso.

Una magnifica opportunità

Nota della redazione: questo articolo, come gli altri, risale a diverso tempo fa. Come è noto il ristorante è stato poi realizzato.

Don Gianni è il nuovo direttore de “L’incontro” ma il compito di impaginarlo è stato affidato ancora a me. Credo di essere un collaboratore poco allineato, con idee alquanto personali e poco disposto a non alimentarle.

Non ho ancora capito se don Gianni e il Consiglio di Amministrazione della Fondazione abbiano colto la magnifica opportunità che consente di aprire un ristorante per le famiglie e per i singoli che apparentemente vivono una vita dignitosa e normale ma che in realtà versano in condizioni di notevole disagio per la scarsità di risorse economiche. Che esista questa categoria di persone credo che nessuno possa metterlo in dubbio; che a Mestre non ci sia una risposta a questo tipo di “povertà dignitosa” è altrettanto certo; che la disponibilità del catering “Serenissima Ristorazione” sia una grazia del cielo nessuno lo può negare ed è altresì certo che la Fondazione dei Centri Don Vecchi abbia, a portata di mano, la possibilità di realizzare questo progetto senza esporsi economicamente. Ritengo che offrire un aiuto a questi concittadini in disagio oltre a essere un dovere morale sia anche un dono per un centinaio di mestrini generosi e desiderosi di impegnarsi in questa opera buona. Se avessi vent’anni di meno e se fossi io il responsabile della Fondazione non ci penserei un istante e come Cesare getterei il dado certo di fare la volontà di Dio e il bene del prossimo. Beneficerebbero di questa iniziativa i poveri ma anche chi contribuirà a realizzarla, però a novant’anni e da prete “fuori corso” come posso azzardare di imbarcarmi in un’impresa che indubbiamente presenta qualche difficoltà?

Io, però, non sono un soggetto disposto ad arrendersi alle prime difficoltà perciò, da mane a sera, sto seminando, nei solchi delle coscienze delle persone che mi sono vicine, questo seme bello e fecondo coinvolgendole con ogni mezzo in questa impresa difficile anche se non impossibile ma soprattutto sto coinvolgendo, da mane a sera, il mio “Principale” perché mi dia una mano!