I nostri protagonisti: Teresa

I nostri protagonisti: Teresa

Ho la sensazione che mentre tutti a Mestre hanno sentito parlare dei Centri don Vecchi, e credo pure che la stragrande maggioranza ne abbia una buona opinione, purtroppo invece pochissimi vi abbiano messo piede e quasi nessuno conosca il “meccanismo” umano che ci fa vivere e fa vivere bene. Quindi non vorrei mai che questa realtà, che credo rappresenti uno degli aspetti innovativi e migliori nella nostra Città, possa ridursi a una nozione o a una icona, per quanto apprezzata, ma appesa a un chiodo della galleria dei ritratti delle componenti della nostra città. Per questo motivo ho deciso di cercare di diffondere i “meccanismi” segreti che sorreggono questo “miracolo” sociale.

Oggi tenterò di descrivere il volto e il cuore del personaggio che dirige ad anima l’ultimo nato della Fondazione Carpinetum, il don Vecchi sei, il centro destinato ai disabili, ai coniugi separati e alle famiglie in forte difficoltà esistenziale. La vita non è facile in questo centro, perché ospita una sessantina di persone che per i ben pensanti rappresentano il frutto amaro della nostra società irrequieta, e con pochi punti di riferimento sicuri. La persona che è la responsabile si chiama Teresa, una giovane donna, che ha fatto un serio percorso di volontariato in un paese del sud d’Italia, e che poi le irrequiete norme che regolano il mondo della scuola ha deposto come una naufraga nella nostra Città. Questa concittadina acquisita da una dozzina di anni esercita la professione di maestra e dedica tutto il tempo libero e tutta la sua ricchezza umana alle persone che sono giunte bisognose, dopo peripezie difficili, nelle nostre strutture: gente di tutte le età, di tutte le esperienze, scelte solamente per il denominatore comune del bisogno. Teresa spesso è costretta a nascondere la tenerezza e il suo amore di donna sotto “l’armatura” della decisione, della capacità di imporsi e di far osservare le regole, indispensabili per poter vivere in comunità. Qualcuno dice che è perfino troppo forte e decisa, mentre io sono convinto che ella deve spesso imporsi la decisione per tenere il timone di questa comunità per nulla omogenea e per nulla facile da condurre. Spesso provo tanta tenerezza per una creatura che non sempre può lasciarsi andare a una naturale amabilità e dolcezza per una donna e debba assumere posizioni più rigide perché la vita scorra ordinata e serena.

Talvolta però, vedendo quanta è la amabilità con cui si lascia andare verso i bambini, ma pure con quanta comprensione tratti le giovani mamme provate dalla vita, o giovani uomini che arrancano sotto il peso di fallimenti familiari o lavorativi, provo per lei comprensione, ed ammirazione, stima e bisogno di esserle accanto perché non si senta sola di fronte a drammi umani veramente dolorosi. Sono convinto che sia giusto e doveroso che la nostra città sia cosciente che non ci sono solo tra noi donne effimere e deludenti, ma che a Mestre si possono incontrare pure creature forti, generose come Teresa che scelgono di spendere il meglio di sé, della propria giovinezza e del proprio cuore per chi, pur non conoscendolo, scopre che ha bisogno di essere incoraggiato, sorretto e amato.

Onore alla memoria

Da circa un anno e mezzo è tornata alla casa del Padre la concittadina Annamaria Malvestio, che ha seguito sempre con tanta attenzione e generosità lo sviluppo dei Centri don Vecchi e mi ha accompagnato con stima ed affetto nella realizzazione del progetto di offrire agli anziani in disagio economico un alloggio decoroso e funzionale a costi accessibili anche per chi gode solamente della pensione sociale.

La signora Annamaria ha suggellato questa collaborazione anche dopo la sua morte, disponendo che una parte del suo notevole patrimonio fosse destinata ad una decina di strutture solidali, tra i quali c’è stata pure la Fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi. Proprio in questi giorni s’è concluso l’iter testamentario che ha portato nelle casse della Fondazione circa 80 mila euro.

Porto a conoscenza della cittadinanza questo evento perché Mestre possa onorare i suoi cittadini più saggi ed altruisti e si venga a sapere che lo sviluppo pressoché “miracoloso” dei nostri centri è dovuto in parte notevole a questi lasciti testamentari che hanno permesso che in circa vent’anni la nostra città potesse fruire di più di quattrocento alloggi quanto mai degni e signorili per gli anziani meno abbienti, i quali a motivo di questa generosità possono vivere serenamente la loro vecchiaia in ambienti protetti e soprattutto alla portata anche di chi dispone di poco.

Segnalo pure questa scelta tanto meritoria perché sia di esempio e sprono a tutti coloro che dispongono di qualche bene e che non hanno doveri verso parenti diretti affinché tengano conto di questa scelta così meritoria e socialmente utile.

Segnalo pure alla cittadinanza l’impegno e la bravura con i quali l’avvocato Ugo Ticozzi, tanto affezionato alla Fondazione Carpinetum, ha portato a termine questa eredità, che ha presentato dei passaggi quanto mai impegnativi.

Una volta ancora tocco con mano che se gli obbiettivi sono nobili e condivisibili e quando tutti i membri della comunità lavorano per il bene comune è possibile realizzare opere notevoli. Questa ultima eredità sta spronando il Consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum a sognare con maggiore concretezza e realismo il Centro don Vecchi sette da costruire agli Arzeroni, località in cui dispone di una superficie idonea e di un permesso a costruire da parte del Comune.

Un’altra eredità per la Fondazione

Il signor Angelo Furlan, è morto a Venezia il 28 marzo scorso. Ha donato per testamento l’arredo della sua casa ai magazzini San Giuseppe del Centro don Vecchi.

Della liquidità che possedeva ha lasciato il 27% alla Casa di riposo Santa Maria dei Battuti, il 27% al Centro Nazaret, il 27% a don Armando Trevisiol già parroco di Carpenedo a favore delle sue opere di assistenza e il restante 19% alla nipote. La somma totale da suddividere ammonta a circa 90.000 euro, motivo per cui potremo disporre per i progetti della Fondazione di circa 25.000 euro.

Non posso che ringraziare il saggio e munifico benefattore però sento il dovere di additare pure la sua scelta all’ammirazione e alla riconoscenza dell’intera cittadinanza che trarrà beneficio anche da questa scelta.

Celebrerò quanto prima una messa in suffragio per il bene della sua anima, sperando che questa bella testimonianza di solidarietà spinga tanti altri cittadini a fare altrettanto per continuare a fare del bene in città.

Nuovi magazzini solidali

Quello che ho definito ormai da anni “Il polo solidale del Centro don Vecchi”, per illustrare le varie attività dei magazzini per il ritiro e la distribuzione degli indumenti, della frutta e verdura, dei mobili antichi e moderni, dell’arredo per la casa, dei supporti per gli infermi, per i generi alimentari in scadenza e di quelli offerti dal banco alimentare di Verona e altri ancora, attualmente è collocato proprio presso il don Vecchi. Però in spazi ridotti e non idonei.

Il numero sempre maggiore di frequentatori (che in gergo commerciale sarebbero chiamati “clienti”, ma per noi persone bisognose da aiutare) è diventato tale da costringere il Consiglio di amministrazione a programmare nuovi magazzini, progettati secondo le esigenze di queste attività, seppur di valenza caritativa.

Mestre pare abbia compreso appieno l’importanza dell’attività della Fondazione, che si avvale attualmente de “Il Prossimo”, il nuovo ente no profit, costituito per razionalizzare tutta l’attività, e ha già offerto una somma tale da poter affrontare e risolvere positivamente questo problema quanto mai urgente.

Le difficoltà però non sono nè poche nè facili, perché si deve trovare una superficie di 15-20 mila metri quadrati in un luogo facilmente raggiungibile sia dai volontari che dai beneficiari, e spazi che abbiano un costo alla portata della somma accumulata a questo scopo.

Io, ormai vecchio e senza potere alcuno, mi sono ritagliato uno spazio in questa vicenda scegliendo di pregare il Signore perché dipani questa matassa quanto mai così ingarbugliata. Desidero continuare ad essere coscienza critica per i consiglieri della Fondazione, ricordando quanto importante sia che che i soldi non restino a disposizione in banca e che quando vengono impegnati per realizzare opere a favore dei poveri sostanzialmente raddoppiano di valore.

L’insegnamento di Giuliana

Di recente sono intervenuto in maniera che qualcuno ha giudicato persino eccessivamente dura nei riguardi di più di un anziano che chiede di entrare in uno dei Centri don Vecchi e poi si comporta come se l’alloggio che gli è stato assegnato (dopo aver dichiarato di essere in grave bisogno economico) rappresentasse un qualcosa di anonimo e sganciato da una comunità viva e cristiana. Poi mi capita spesso di osservare che costui usa l’alloggio ottenuto come fosse un “pied a terre” comportandosi come un estraneo qualunque, non inserito per nulla nella vita della comunità e non collabora in alcun modo alle necessità del centro in cui abita.

Nel mio intervento ho detto a chiare lettere che non intendiamo per nessun motivo diventare degli affitta alloggi a buon mercato, ma domandiamo collaborazione di tutti per costruire una comunità di fratelli, per mantenere i costi così ridotti in maniera che anche gli anziani più poveri possano vivere in un ambiente signorile in un contesto di collaborazione attiva.

Credo che finché avrò vita ribadirò questo concetto, non vorrei però che si potesse pensare che tutti i residenti si comportino così. Ci sono infatti degli splendidi anziani che sentono il Don Vecchi come la loro dimora e che danno il meglio di sé non solo per il bene di chi vive nelle strutture, ma si impegnano anche seriamente in tutte quelle meravigliose attività del centro a favore dei poveri della città. Sono decine e decine gli abitanti impegnati per le necessità della struttura, ma anche per tutte le attività caritative che vengono svolte in favore del prossimo.

Ho sentito il dovere di fare questo nuovo intervento perché la città conosca anche la faccia migliore della medaglia e soprattutto perché in questi giorni è venuta a mancare, e lo dico senza enfasi e retorica, ma per pura verità, una delle più belle figure di questo impegno e di questo servizio a favore dei poveri.

E’ morta il 7 giugno a novantanni Giuliana Marin. Era una donna minuta di statura con due occhi vivi e sempre sorridente, sempre serena e laboriosa. Abitava in un appartamentino al secondo piano, lindo e ordinato, e dedicava la gran parte del suo tempo per l’umile ma necessario servizio di preparare le montagne di frutta e verdura che ogni giorno sono raccolte e distribuite ai poveri. Da una ventina di anni passava, silenziosa e instancabile, il pomeriggio presso “la Bottega Solidale” a Carpenedo, e più di recente ha continuato il suo umile ma prezioso lavoro presso il chiosco di frutta e verdura del Don Vecchi.

Giuliana poi cantava nel coro Santa Cecilia, era fedele alle prove e al sabato sera presso “la sala dei 300” al Don Vecchi e alla domenica nella “Cattedrale tra i cipressi” al cimitero metteva la sua voce per animare la Santa Messa.

Cristiana convinta e fedele, era sempre disponibile e serena, ha svolto il suo servizio con entusiasmo e rigore. Vedova da molti anni visse per la figlia che amava, ma era pur sempre disponibile per tutti. Ringrazio veramente il Signore di aver incontrato questa piccola e grande figura di donna che ha dato a tutti il meglio di sé sorridente e felice di poter essere utile al suo prossimo.

Un carico di dolcezza

Tutti abbiamo bisogno di dolcezza, specie gli anziani che spesso si sentono messi da parte. Quanto ci giunge gradito un saluto affettuoso, un sorriso caldo, una carezza e talvolta un bacetto fraterno! Ma tra queste delicatezze, nessuno disdegna e anzi ambisce a un dolcetto alla crema, una spumiglia, una francesina. Al Centro don Vecchi si può affermare senza timore di smentita che i nostri vecchi sono veramente sommersi da queste attenzioni così dolci e care. Talvolta la dottoressa Casarin, il medico per antonomasia delle nostre case, mostra qualche preoccupazione a motivo del diabete. Io, invece, mi preoccupo per i peccati di gola! Chi sono le persone che stanno viziando i nostri anziani? Voglio indicarvi questi concittadini: i titolari della “Dolciaria mestrina” mandano quasi ogni giorno vassoi su vassoi di brioche e Silvia, la giovane titolare di “Caffè Retrò”, invia molto spesso delle prelibatezze di dolci. Paolo e Mariagrazia Ceccon, i secolari gestori della celebre pasticceria vicino alla chiesa di Carpenedo, mandano di frequente le loro notissime prelibatezze. I titolari dei due negozi di “Dolci e Delizie” non lasciano passare un giorno senza far avere ogni ben di Dio avanzato dalla giornata. Questi amici non sono solamente benemeriti per le loro attenzioni ai nostri anziani, ma sono pure tra i pasticceri più seri perché quel che avanzano dalla produzione giornaliera non la riciclano, come potrebbe accadere! A tutte queste persone care e generose i 500 anziani dei 6 Centri don Vecchi ricambiano con un bacio e un abbraccio quanto mai affettuosi.

Rose ma anche spine

Dopo l’euforia per la splendida notizia dei supermercati Alì, purtroppo è arrivata pure una “spina” che conosco fin troppo bene, che mi punge e mi fa sanguinare da quando ho scelto di occuparmi dei poveri della nostra città. I generi alimentari non ce li spediranno per posta, ma serve un furgone, e questo per fortuna l’abbiamo, ma soprattutto un autista e un aiutante per ritirare nei giorni e nell’ora prescritta i prodotti alimentari. La ricerca di autisti volontari, mi fa perdere il sonno ogni notte! Questo appello l’ho fatto perfino durante le prediche nella mia “cattedrale tra i cipressi”, ma pare che i fedeli siano più propensi ad accendere un lumino a padre Pio che a offrire un paio d’ore alla settimana per ritirare i viveri per i poveri. “Cari concittadini, non fatemi morire di crepacuore, ma datemi una mano!”.

Di autisti ce ne servirebbe un esercito, perché c’è pure da ritirare i generi alimentari dei supermercati Cadoro, della Despar e altri ancora. E poi frutta e verdura da i mercati generali di Padova, Treviso, Mestre e di Santa Maria di Sala. E dolci dalla Dolciaria Mestrina, pasticceria Ceccon, Caffè Retrò, Dolci e delizie, senza parlare dei mobili e dei vestiti! Tu che mi leggi, facci un pensiero e se non hai la patente, di certo hai genitori, nonni, figli, nipoti ed amici ai quali puoi chiedere questo favore. Sappi che nulla si fa per niente, il Signore ricambia sempre con il centuplo. Contattami. Adesso attendo!

L’ultimo miracolo

Dopo più di un anno di suppliche, novene e tridui a San Antonio, a Santa Rita e a tutti gli amici del signor Francesco Canella, presidente della catena dei supermercati Alì e del suo diretto collaboratore Emanuele Buttarin, lo scorso 8 giugno mi è stata data conferma che ogni lunedì, mercoledì e venerdì possiamo ritirare dai supermercati Alì di via Piave e di piazzale Candiani i generi alimentari in scadenza e non più commerciabili. Io solitamente non pratico i supermercati, ma in questa occasione ho scoperto questi ultimi, una terra del paradiso o perlomeno i frutti della terra promessa!

Sono rimasto incantato per tanta abbondanza e nel contempo angosciato al pensiero che fino all’altro ieri almeno una parte di tanta grazia di Dio ogni giorno andava a finire nella pattumiera. Ringrazio di cuore, ma proprio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questo ultimo miracolo. Prego perché d’ora in poi ci sia una fila infinita di clienti che vada a fare la spesa in questi due supermercati e spero quanto prima che questo succeda per tutti i supermercati Alì di Mestre e dell’hinterland.

Il sogno nel cassetto

Un mio giovane ex parrocchiano mi ha raggiunto qualche giorno fa facendomi una strana e sorprendente richiesta. Mentre mi porgeva un’agenda mi disse: “Don Armando, il giorno dell’inaugurazione del Centro don Vecchi sei, nel suo intervento, ha affermato che bisogna impegnarsi a fondo affinché i sogni diventino realtà. Le chiedo di mettermi per iscritto la strategia che lei ha usato per realizzarli”.

Evidentemente, non provai solamente sorpresa, ma pure molto imbarazzo. Io, nella mia vita, mi sono sempre mosso per istinto, non avendo di certo “formule segrete” per far mettere radici ai miei sogni, pur accorgendomi oggi che, per grazia di Dio, sono parecchi quelli che durante la mia vita si sono concretizzati. Non ne faccio una elencazione completa per non essere accusato ancora una volta di autoreferenzialità.

Però, posso accennare alla realizzazione di Cà Letizia, alla “seminagione” cittadina degli scout, della San Vincenzo e dei maestri cattolici quando ero a Mestre e poi a Carpenedo: della costruzione del patronato, del “Germoglio” per i bambini, della Malga dei Faggi, di Villa Flangini, del restauro del Piavento, e prima degli appartamenti per gli anziani e poi dei sei Centri don Vecchi e del Polo solidale per quanto riguarda le strutture, mentre per quello che concerne i mezzi pastorali di comunicazione sociale: Radiocarpini, il mensile “Carpinetum”, “Il prossimo”, “L’anziano”, e i settimanali “Lettera aperta” e “L’Incontro”.

Ben s’intende: sono progetti realizzati assieme ad una schiera sconfinata di collaboratori diretti e dell’intera comunità.

La richiesta del mio giovane amico mi ha costretto però a riflettere e a ripensare se, coscientemente o meno, mi sono riferito a delle regole, giungendo a queste conclusioni che riferisco.

Nonostante la mia veneranda età, sento il bisogno di riscoprirle in quanto nel mio animo un nuovo progetto sta scalciando, come un bimbo prossimo a vedere la luce del sole. Tento quindi di riordinarle in maniera meno istintiva di quanto sia avvenuto per il passato. Sperando tanto che le regole alle quali mi sono sempre riferito funzionino ancora per il progetto che vorrei proporre ai miei successori. L’elenco di questi criteri sarà certamente poco organico, però credo che debbo proprio a queste scelte una mia qualche riuscita.

  1. Ho sempre tentato di rifarmi al pensiero di Gesù per tutto quello che concerne l’aiuto al prossimo, insegnamento quanto mai preciso e perentorio: “Ama il prossimo tuo come te stesso”!
  2. Ho sempre tentato di dare risposte possibilmente concrete alle vecchie, ma soprattutto alle nuove povertà.
  3. Non ho mai avuto paura di sporcarmi le mani con il denaro, che ho ritenuto uno strumento indispensabile per aiutare chi ha bisogno.
  4. Ho accettato in partenza i limiti di ognuna di queste imprese.
  5. Le critiche, le insinuazioni di qualcuno mi hanno fatto soffrire, ma non ho mai voluto che mi fermassero.
  6. Ho sempre giocato a carte scoperte non ricorrendo mai a sotterfugi o compromessi di alcun genere.
  7. Ho sempre ritenuto che il governo, sia religioso che civile, siano a servizio della gente e di chi se ne occupa e non mi sono mai presentato “col cappello in mano”, ma ho chiesto il dovuto.
  8. Ho cercato di essere il più trasparente possibile e di avere una vita coerente con le proposte che andavo facendo agli altri.
  9. Ho sempre trovato il coraggio di chiedere aiuti a chi possedeva, seguendo la dottrina di monsignor Valentino Vecchi il quale diceva che era lui ad aiutare quelle persone, perché metteva loro la coscienza a posto e le aiutava a guadagnare la salvezza.
  10. Aggiungo, non per concludere il decalogo, ma perché è sempre stato un punto di forza: ho creduto che se le mie imprese fossero state in linea con la volontà del Signore, Egli non avrebbe permesso che io fallissi.

Confesso agli amici che ho rispolverato e riordinato queste convinzioni non tanto per rispondere al mio giovane amico, che non so cosa abbia in mente di fare e che sogni stia coltivando, ma perché io pure ho un altro sogno che mi piacerebbe piantare in un gran prato verde per vederlo fiorito nella primavera del 2018.

Comincio quindi, con questo articolo, a rendere partecipi i miei amici e tutta la comunità di questa idea che da qualche mese mi frulla in testa. Il Cardinal Angelo Roncalli ci insegnò che quando abbiamo qualcosa di positivo da proporre è opportuno parlarne sempre a tutti. Questo suggerimento non me lo sono mai dimenticato anche se non l’ho finora inserito nel “decalogo”. Sono convinto però che esso sia uno dei punti più importanti e quindi comincio subito col metterlo in pratica a favore del mio ultimo sogno!

Essendo sfumata l’idea della Cittadella della solidarietà, ho virato verso il progetto di dar vita a Mestre a un primo Ipermercato solidale con un grande parcheggio, tutto ciò in linea con le attuali imprese commerciali che di queste cose sono ben esperte. In questa grande struttura che si rifarebbe agli ipermercati ci dovrà esser spazio per generi alimentari anche in scadenza, gli indumenti vecchi e nuovi, i mobili antichi e moderni, sussidi per i disabili e quant’altro. Spero che il mio decalogo funzioni come ha funzionato nei miei ultimi sessant’anni di vita! Confido quindi agli amici che, dopo aver consultato e pregato il “mio Principale e Datore di lavoro”, comincerò col presentare il mio sogno al nuovo consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum appena insediato. Prometto quindi, fin d’ora, ai miei concittadini che li informerò puntualmente se il segreto funzionerà ancora.

Angeli dalle trombe d’argento

Più di una volta ho citato un passaggio di una preghiera di don Zeno Saltini, il prete romagnolo che fondò Nomadelfia, la città dei fratelli. Questo prete ha realizzato, vicino a Grosseto, una comunità che ha come costituzione e codice civile solo il Vangelo. Gli abitanti di questo borgo di 300 anime hanno scelto di avere come regola per tutti gli aspetti della vita ciò che Gesù ha detto nel Vangelo.

Faccio questa premessa per inquadrare la preghiera di questo sacerdote che mi sta ispirando una scelta di vita e un nuovo metodo pastorale. La preghiera di don Saltini recita pressappoco così: “Angeli dalle trombe d’argento suonate l’accolta degli uomini di buona volontà, voci che conoscete i loro nomi, ove abitano e il loro numero di telefono, invitateli a mettersi assieme perché promuovano un mondo nuovo fondato sulla solidarietà e sull’amore”.

Mosso da queste parole, ho deciso che quando il mio o qualsiasi angelo custode mi fa incontrare uno di questi “uomini di buona volontà”, di arruolarli per aiutare la nostra città ad essere più solidale, a diventare, nonostante tutte le difficoltà e le resistenze, una città composta da fratelli che si vogliono bene e si aiutano. Il mio archivio che contiene i nomi degli uomini di buona volontà sta crescendo fortunatamente di giorno in giorno. Finora ho registrato ogni settimana i loro nomi e le loro opere buone nelle pagine di questo periodico. Però penso che sia bene che d’ora in poi informi i miei cittadini di certi gesti particolari che documentino l’inventiva e le gesta belle di questa gente che gli “angeli di buona volontà” me li fanno incontrare e che io inserisco nella mia sognata Nomadelfia, la città ideale della solidarietà e dello spirito evangelico.

Alla vigilia della Quaresima, è giunta al Centro don Vecchi una telefonata in cui si chiedeva che suor Teresa si recasse al supermercato In’s che si trova giusto a due passi da noi in viale Don Sturzo. Giunta suor Teresa al supermercato, le fu consegnato da un signore un carrello stracolmo di ogni ben di Dio e fu invitata a ritornare perché gliene sarebbe stato preparato un secondo. Ritornata la nostra suora in quel negozio, trovò un secondo carrello altrettanto pieno di ogni ben di Dio, con sopra un foglio bianco con scritto: “alla prossima volta!”

Chiesi alla mia collaboratrice il nome del benefattore, ma non trovò verso per farselo dire. Nel mio registro scriverò al numero 13.200: “xy”, però ritengo doveroso che tutti sappiano che a Mestre non ci sono solamente lestofanti, fannulloni e imbroglioni, ma pure uomini di buona volontà come questo del supermercato In’s. Questa sera nella mia preghiera ripeterò “agli angeli dalle trombe d’argento” che continuino a suonare con tutte le loro forze, perché finalmente gli uomini di buona volontà si mettano assieme a dare vita a un mondo migliore e più fraterno.

Centro don Vecchi di Marghera

A fine febbraio ho terminato la visita e la benedizione ai residenti del Centro don Vecchi di Marghera in via Carrara.

Ho sempre ritenuto che chi è incaricato della cura pastorale debba visitare il più frequentemente possibile i residenti dei 400 alloggi gestiti dalla fondazione Carpinetum dei Centri don Vecchi, ma non debba lasciar passare al massimo un anno senza fare una visita ad ognuno dei nuclei familiari che risiedono nei sei centri. Ritengo opportuno riferire in relazione a quest’ultima visita fatta al centro di Marghera, portando a conoscenza della città qualche impressione ricevuta in questa esperienza.

Il Centro don Vecchi di Marghera si trova accanto alla chiesa parrocchiale della comunità cristiana dei Santi Francesco e Chiara. E’ stato costruito sul terreno di quest’ultima mediante un accordo tra le parrocchie di Carpenedo e quella di Marghera. La parrocchia di Carpenedo ha offerto 750 milioni di lire perché fosse terminata la costruzione della chiesa parrocchiale, mentre la parrocchia di Marghera in cambio ha messo a disposizione 4000 metri quadrati di terreno, superficie sulla quale s’è costruito il centro su progetto dell’architetto Giovanni Zanetti.

Era da qualche tempo che non entravo in quella struttura, ma l’impatto è stato come sempre quanto mai gradevole da ogni punto di vista. Il fabbricato sorge al centro di un grande prato verde, che a sua volta è delimitato da un “muro” in arbusti squadrati come la lama di un rasoio. Dopo l’entrata luminosa del centro una vecchina ordinata e sorridente dalla guardiola mi ha accolto con un affettuoso saluto. Sulla sinistra ho potuto ammirare una bella mostra di acquerelli della galleria San Valentino collocata nella hall del fabbricato. Poi ho cominciato a bussare ad una ad una alle 57 porte che si aprono nel lungo corridoio di ogni piano, le pareti del quale sono tappezzate di quadri non di gran pregio artistico, ma quanto mai piacevoli e armoniosi.

Quasi tutti gli appartamenti sono arredati con buon gusto e taluni perfino con signorilità. L’accoglienza è sempre estremamente cordiale, riconoscente, i colloqui affettuosi, mediante cui ho avuto modo di apprendere le vicende spesso tristi della vita di ogni inquilino: vedove, divorziati, persone sole, pensioni sempre misere e talvolta non adeguate, figli disoccupati, comunque tutti estremamente felici per aver trovato un rifugio confortevole e fraterno. Ho rilevato qualche situazione veramente precaria da un punto di vista economico, alla quale fortunatamente potrò offrire un aiuto mediante la bella somma messa a disposizione dall’associazione “Vestire gli ignudi”.

Dalla visita poi ho avuto la riconferma che la mente e il cuore di quella piccola comunità di anziani sono i coniugi Teresa e Luciano Ceolotto, che da volontari la gestiscono come fosse la loro famiglia. A questi cittadini, quanto mai generosi e benemeriti, giunga la riconoscenza della Chiesa mestrina e dell’intera città.

Samaritani oggi

Per istinto, per educazione e per scelta mi sono sempre interessato, anzi, sono sempre stato fortemente coinvolto dai doveri che ho verso il prossimo, qualsiasi sia la sua condizione di vita.

Faticosamente sono arrivato a delle conclusioni che ho avuto modo, anzi che ho sentito il bisogno e il dovere di renderne compartecipi sia le persone con le quali vivo la mia vita, ma anche con quelli che vivono nella mia comunità cittadina.

Talvolta m’è parso che le mie conclusioni, sulle quali molto ho riflettuto e sulle quali spesso mi sono pure confrontato con gli altri a livello umano e religioso, fossero finalmente definitive e tranquille; in realtà debbo constatare che non è proprio così. So di certo che per molti altri miei colleghi le cose non stanno così e che han risolto questo problema con alcune battute: “Ci pensino i servizi sociali del Comune”, o “vadano alla Caritas o alla San Vincenzo” oppure in maniera più sbrigativa: “Si diano da fare!” Per me, non so se fortunatamente o sfortunatamente, le cose non stanno così e quel “ama il prossimo come te stesso” oppure “avevo fame, ero ammalato” ed anche “ero in carcere e tu…” mi rimangono come dei chiodi infissi nel cuore e nella coscienza e che, non appena incontro una persona in difficoltà e che mi chiede aiuto, cominciano a farmi male e a sanguinare.

Ripeto ancora una volta che mi sono ripromesso di dare uno o due euro ai mendicanti ormai endemici, di offrire un’offerta più consistente tramite il parroco del richiedente per situazioni più gravi e dedicare tutto il resto dei miei risparmi alla realizzazione di strutture, che, a detta del mio maestro monsignor Vecchi, aiutano seriamente tante persone in difficoltà non per un giorno, ma per decine d’anni e forse per secoli!

Fatta questa premessa, voglio raccontare al riguardo due casi emblematici. Circa un paio di mesi fa s’è presentata al Centro Don Vecchi una giovane donna, che ha domandato di me perché aveva una cosa urgente da dirmi. Mi disse che aveva fissato per una certa ora dello stesso giorno un esame a livello tumorale, ma non aveva gli 86 euro che le occorrevano. Ebbi subito la sensazione che l’anno scorso una signora della stessa età mi abbia presentato una situazione pressoché simile e lo stesso urgente, dicendomi che il giorno dopo mi avrebbe reso il debito, ma poi non s’è fatta più viva. Rimasi perplesso, ma poi prevalse in me il dubbio che non fosse lei. Le diedi i soldi richiesti, somma che lei mi disse che me l’avrebbe restituita il giorno dopo prima della Messa delle 10:00 che celebro ogni domenica nella chiesa del cimitero. Ella però non si fece più viva.

Eccovi la seconda storia. Ieri dalla segreteria del Don Vecchi mi telefonarono che un signore desiderava parlare con me. Andai e questi mi raccontò che era disoccupato da un paio d’anni e non riusciva a trovare lavoro, bollette ed affitto da pagare. Gli dissi che doveva rivolgersi al suo parroco, perché sono ancora convinto che ogni comunità cristiana deve farsi carico dei suoi poveri, anche se so che in realtà le cose non vanno così. Replicai: “Chi l’ha mandato da me?” Mi rispose che era stata una signora. Purtroppo è vero che ci sono signore e pure colleghi che trovano quanto mai comoda questa soluzione. Infine non sapendo che dirgli ancora, gli chiesi che professione facesse ed egli gelido ed un po’ beffardo mi rispose: “Il mendicante!”. Gli diedi 5 euro e se ne andò senza protestare. Ho chiesto lumi al mio angelo custode, ma pure lui rimane perplesso e mi sta lasciando tormentare nel mio dubbio.

Oggi mi rendo conto che è ben difficile fare il samaritano! Comunque quello della parabola del Vangelo sta là a ripetermi che egli è sceso da cavallo, ha curato il malcapitato disteso per strada, l’ha portato nella locanda e si è fatto carico della spesa! Mi chiedo: “Posso io far diversamente?”.

Il 5xmille: grazie, ma si può fare di più?

In questi ultimi giorni apprendo i risultati quanto mai brillanti ottenuti dall’associazione Avapo (assistenza domiciliare agli ammalati oncologici in fase finale) nei riguardi del 5 per mille. Infatti mi pare che quest’anno abbiano raggiunto i 120.000 euro, mentre noi della Fondazione, pur essendomi io impegnato a fondo nell’invitare i concittadini a ricordarsi anche di chi si occupa della domiciliarità degli anziani in disagio economico, abbiamo realizzato solamente un quinto in merito a questo contributo dello Stato.

A scanso di equivoci, affermo pubblicamente e con estrema onestà che l’Avapo si merita questo consenso poiché è un’associazione seria, efficiente, che svolge un’attività innovativa e quanto mai umana e quindi sono felicissimo del consenso che ha ottenuto. Tuttavia, sono pure convinto che l’impegno e il servizio svolto dalla nostra Fondazione nei riguardi degli anziani e dei poveri a Mestre non sia molto meno meritorio e ciò nonostante nell'”ultimo esercizio” ha realizzato soltanto 32.000 euro.

Sono immensamente riconoscente al consistente numero di concittadini che ci hanno aiutato e incoraggiato con la loro offerta però confesso, con molta amarezza, che rimango deluso da quella moltitudine di concittadini che si sono dimenticati delle nostre sei strutture, innovative e quanto mai signorili, che abbiamo offerto agli anziani più poveri di Mestre. Non sono poche le persone e gli amministratori del nostro Comune che hanno affermato che i Centri don Vecchi sono uno dei fiori all’occhiello di Mestre.

La mia speranza è che io, non essendo per nulla esperto in questo settore, ho impostato male la campagna per ottenere il 5 per mille a favore della Fondazione dei Centri don Vecchi. Dato poi che non sono uno che se la metta via facilmente, mi rivolgo ai concittadini, esperti di questo settore, perché mi aiutino a non fare ancora una volta flop.

È vero che quest’anno da 22.000 euro siamo passati a 32.000 euro, ma a mio parere è ancora troppo poco. Chiedo quindi agli esperti in pubblicità di offrirsi ad aiutare la nuova redazione de L’Incontro e particolarmente il nuovo direttore, don Gianni Antoniazzi, ad impostare la “campagna” di quest’anno! Grazie.

Addio a un testimone di solidarietà

La stampa cittadina ha segnalato con un certo rilievo la morte del dottor Vittorio Coin, già presidente della notissima impresa d’abbigliamento della nostra città. I quotidiani locali hanno parlato della competenza e dei meriti di questo imprenditore che giustamente devono essere sottolineati. Dal canto mio, vorrei aggiungere una nota per esprimere stima e ammirazione a questo nostro concittadino. In proposito, di primo mattino m’è giunta una telefonata della figlia del dottor Vittorio Coin, informandomi che suo padre era mancato durante la notte aggiungendo poi che, avendo avuto egli molta stima su quanto andiamo facendo con i Centri don Vecchi e con le nostre varie attività caritative, ha ritenuto doveroso darmi la dolorosa notizia. Questa telefonata ha fatto emergere dalla mia memoria alcuni episodi della vita di questo concittadino, che non solo ha ben meritato nei riguardi della città con la sua attività commerciale dando lavoro e benessere a tanta gente, ma pure ha avuto attenzione per i poveri e chi si occupa di loro.
Eccovi alcuni episodi degni di nota.

  • Un paio di anni fa, invitato dal signor Danilo Bagaggia, ex dipendente della Coin e attuale direttore del più grande ipermercato di carattere solidale del Triveneto, ha visitato i nostri magazzini, ha partecipato alla cena dei 110 volontari, ci ha offerto una cifra notevole e ci ha promesso il suo aiuto.
  • L’attuale associazione “Vestire gli ignudi” gestisce un enorme ipermercato di vestiti, per metà usati e per metà nuovi, offerti dalla Oviesse. È certo che una volta è stato lui a fare questa scelta e poi, quando è uscito dall’azienda, ha certamente presentato favorevolmente la nostra attività, tanto che continuiamo a ricevere una gran quantità di indumenti nuovi.
  • Lo scorso anno, in occasione delle sue nozze d’argento, ha invitato gli amici a non fargli regali ma a offrire il corrispondente alla nostra Fondazione. In quell’occasione abbiamo incassato ben euro 27.000.

Mi piace indicare questi lati nascosti della personalità di questo imprenditore, lati che dimostrano la sua bravura di gestore di una grande azienda ma soprattutto la sua alta statura umana.

Natale 2016, un bimbo non può nascere in un garage senza acqua né luce

Quarant’anni fa un racconto su una famiglia meridionale e su un parto sopra una stalla fece arrabbiare la Mestre `bene’. Adesso l’emergenza e il grido di aiuto sono reali: di nessuno abbandoni questo `San Giuseppe’ immigrato. Il Natale ha senso se si riconosce Cristo incarnato nei poveri, nei sofferenti che rinnovano la grotta di Betlemme.

Dei natali della mia infanzia, ricordo il presepio con le montagne di cartone e il laghetto fatto con un vecchio specchio, Gesù bambino e le statuine, di gesso. Nonostante la proibizione dei miei genitori, noi fratelli non riuscivamo a non toccare, facendole quindi cadere con dispiacere e rimorso, come se avessimo fatto un gran danno in famiglia. Ricordo ancora la messa a mezzanotte, con un cielo non ancora “affumicato”, in cui le stelle brillavano come perle preziose e la terra era sempre coperta di ghiaccio e spesso anche di neve.

Del tempo del Seminario, il mio Natale era liturgico, quasi che Gesù non sarebbe disceso volentieri dal cielo se le candele non fossero state dritte, le vesti del prete e dei chierichetti bianche e immacolate, i fiori ordinati e le colonne della chiesa avvolte nei damaschi rossi.

Il volto del Bambinello cambiò progressivamente ed in maniera radicale quando, da giovane prete, il Natale lo celebravo a san Lorenzo con una chiesa gremita di giovani seduti per terra, canti ritmati dalle chitarre ed un Gesù atteso come un rivoluzionario alla Che Guevara piuttosto che portato in terra da angeli osannanti. Eravamo nel sessantotto e la contestazione toccava persino il volto del Redentore. I miei ragazzi, ma pure il loro giovane prete, aspettavano più il figlio dell’uomo che il figlio di Dio: un Redentore che finalmente facesse giustizia nella società iniqua e ingiusta. Il mio Natale cominciò ad umanizzarsi ed incarnarsi nelle attese e nelle sofferenze dei poveri. In quella stagione nacque il “Caldonatale”. Un centinaio di ragazzini scouts, con tricicli e motorini presi a noleggio, cominciarono a portare nelle case dei poveri le “uova” di carbon coke che il presidente della Save, l’ingegner Re, su intercessione di monsignor Vecchi, ci donava, mentre il Cavalier Dell’Abaco ci mise a disposizione un camion di antracite e la Breda gli stampi in legno dei manufatti che produceva. A pensarci oggi, quella mi sembra una bellissima avventura, ma a quei tempi fu un dramma: la ventina di tricicli, alcuni a pedali altri a motore, montati da ragazzi tra i dodici e quattordici anni, girare da mane a sera per strade affollate da automobili; per loro fu un’impresa ma per me un’angoscia mortale. Comunque quel Gesù vestito da povero, al quale i miei ragazzi portavano legna e carbone, mi piaceva sempre di più! In quel tempo cominciavamo pure alla San Vincenzo a far Natale distribuendo “Buoni Caldo” ai più derelitti della città.

Fatto parroco a Carpenedo inventammo il pasto di Natale per “Gesù bambino e la sua famiglia”. I parrocchiani, ai quali un paio di settimane prima di Natale avevamo fornito le borse, le riportavano piene zeppe di generi alimentari. Pure a ogni negozio fornivamo le ceste per la carità. I ragazzi poi, durante la “messa della carità” accostavano davanti all’altare giocattoli, vestiti, dolci per il Gesù che qualche giorno dopo sarebbe arrivato.

La chiesa gremita di ragazzi, genitori e nonni offriva uno spettacolo veramente emozionante. Era un Natale anticipato che neppure gli angeli avrebbero potuto rendere più bello!

A quel tempo, prima invitavamo gli anziani e i poveri a pranzare, il giorno di Natale, in canonica assieme al parroco, poi, essendo i locali inadeguati perché troppo piccoli trasferimmo il pranzo di Natale al Ritrovo degli anziani in via del Rigo, nella sala capace di una cinquantina di coperti. Di quel volto di “Gesù bambino” finii per innamorarmi follemente: non avrei potuto riconoscerlo altrimenti, neppure fosse vestito come re Davide o la regina di Saba!

Il Natale dell’ultima stagione della mia vita lo sto vivendo da dodici anni al “don Vecchi” assieme a “Gioacchino e Anna”, genitori della Madonna, nonni di Gesù e suoceri di san Giuseppe. Il “don Vecchi” è già di per se stesso un presepio ogni giorno dell’anno, perché in esso c’è un Gesù vivo e reale anche dopo la sua morte.

Al “don Vecchi” la solidarietà dà volto al Risorto, motivo per cui ogni giorno si celebra sia Natale che Pasqua come dice il canto sacro: “Ubi caritas, ubi Deus”!

Comunque anche i nostri anziani sentono il bisogno di fare ogni anno un presente a Gesù bambino, infatti nella hall del don Vecchi, con l’Avvento, è stato posto un cassone che potrebbe contenere un miliardo e anche più di euro, con la scritta “ogni giorno una scodella di latte per i Gesù, bambini neri come l’ebano, che mia sorella Lucia ha scoperto dimorare a Wamba, un villaggio sperduto nella savana keniota.

Questo è il Gesù bambino che lungo le stagioni della mia vita ho scoperto e che per me ha il volto più reale e sicuro del Figlio di Dio da conoscere, amare e servire. Questo Gesù mi ha liberato dal magico, dalla leggenda, dal rito e dal folclore e ha ancorato la mia fede alla vita reale di tutti i giorni e agli uomini bisognosi di aiuto e di amore.

Senonché martedì 6 dicembre di quest’anno, giorno della seconda settimana di Avvento, mentre stavo prendendo la mia “Punto” per distribuire L’Incontro, suor Teresa, che doveva aiutarmi, prima di entrare in auto già con il motore acceso, si è fermata a parlare con un giovane sui trent’anni. Quando finalmente entrò in macchina, mi raccontò che quel giovane era venuto al don Vecchi per chiedermi aiuto, confessando che la sua giovane sposa è al terzo mese di gravidanza, vivono in un garage al freddo, senza luce e senza acqua e non riescono a trovare un alloggio perché il loro “Gesù” non nasca in quello squallore. Questo giovane fa il panettiere e quindi può pagarsi l’alloggio, ma la nostra gente non si fida di questo extracomunitario. Circa quarant’anni fa, si era di Natale anche allora, scrivessi per il periodico della San Vincenzo, “Il prossimo”, un racconto in cui narravo che due coniugi del Sud, a quei tempi c’era l’enorme salita di immigrati al Nord provenienti dal Sud d’Italia, giunti a Mestre cercavano affannosamente alloggio perché la giovane sposa aspettava un bimbo. Li inviai alla San Vincenzo, alle varie parrocchie, ma ottennero sempre un rifiuto dopo l’altro. Allora li indirizzai alla sede della Croce Rossa di Mestre, ma le Dame erano intente a preparare i regali per Natale e quindi neppure li ricevettero. Infine, deluso e disperato li mandai alla casa colonica dei Pettenò che si trova, ora restaurata, vicino al cavalcavia dei Quattro Cantoni. Sapevo che quella gente di buon cuore ospitava talvolta qualche povero offrendo di dormire nel fienile, dove pure questi due coniugi furono accolti, e Gesù nacque quindi sopra la stalla! In quel frangente il presidente della Croce Rossa, che era un ammiraglio in pensione, minacciò di farmi querela perché avevo sparlato delle sue Dame. Quella storia però era un racconto, inventato ma verosimile, mentre la richiesta di martedì 6 dicembre è tragicamente reale! Non vorrei proprio che quest’anno Gesù fosse costretto a nascere in un garage della periferia! Per scongiurare questo evento fornisco ai quindici – ventimila lettori de L’Incontro il nome di “San Giuseppe”, il futuro padre, e il suo cellulare. Cari amici, vi prego non macchiamoci quest’anno di un ulteriore rifiuto ed assieme facciamo in modo che finalmente Natale sia veramente Natale per tutti noi! Se avete dubbi, telefonatemi direttamente. Solamente dando una risposta positiva a questa richiesta di alloggio, a Mestre nascerà il vero Gesù e non quello di gesso, dei panettoni e delle luminarie allestite dal Comune nelle strade più importanti di Mestre.