Arriveranno anche le elezioni comunali

So che le elezioni comunali non sono molto lontane e col Comune ho rapporti frequenti, difficili e talvolta deludenti.

Ho parlato più volte della vicenda del Samaritano per cui avevo avuto promesse ed impegni precisi e in maniera disinvolta elusi senza spiegazione alcuna. Non voglio neppur parlare della situazione della cappella del cimitero e della nuova chiesa.

Ho in atto i problemi inerenti ai trecento anziani residenti nei Centri don Vecchi, che il Comune auspica che non vadano in casa di riposo per motivi umanitari ma, confessiamolo pure, anche per motivi economici perchè il mantenimento in casa di riposo di un anziano non autosufficiente costa un occhio della testa.

Anche in questo campo nonostante la buona volontà di qualche funzionario, tutto sommato, l’assessorato competente, risulta latitante. Ho pendente il problema del recupero dei generi alimentari in scadenza, che taluni grossi comuni hanno risolto da un decennio, mentre il nostro Comune sta bagolando tra le nebbie della laguna.

Mancanza di personale?
Mi risulta da fonte certa che il Comune di Venezia ha 4600 dipendenti e ne dovrebbe assumere altri 400 che ora sono precari e che il problema maggiore, per chi si occupa del personale, è quello di fare passare il tempo senza che si annoino e vadano in depressione per mancanza di compiti precisi.

L’organizzazione del Comune di Venezia è sempre stata sgangherata, ma ora poi con Brunetta ministro veneziano e la crisi economica in atto, la cosa risulta vergognosa.

Spero che assessori e consiglieri che oggi sono al potere girino al largo in tempi di elezione, perché li metterei alla porta a suon di legnate.

Piccoli gesti di grande valore

E’ arcinota e ancora essenziale la frase di Gesù: “non di solo pane vive l’uomo, ma anche della parola del Padre”

Teniamo ben presente questa massima evangelica, eviteremo tante delusioni e non inseguiremo miti ed obiettivi che alla fine risultano fatui ed inconsistenti.

Quando ero ragazzo e nel dopoguerra sentivo parlare di riforme, di giustizia sociale, immaginavo che finalmente l’uomo sarebbe stato felice in una società giusta e pacifica, in cui ognuno avrebbe avuto la casa, garantita l’assistenza medica ed un lavoro retribuito in maniera congrua.

Col passare del tempo non solamente ho capito che questa è un’utopia, ma ho capito altresì che l’uomo non ha bisogno solo del pane ma anche di tanti altri valori che si rifanno alla poesia, al sentimento, alla tenerezza ed a tanti altri aspetti che rendono gradevole la vita e ti fanno sentire dentro un mondo amico e caro.

Mi salgono alla mente queste considerazioni in rapporto a qualche esperienza che ho fatto durante la giornata che mi ha reso particolarmente felice. Sono fatti minuti che non hanno cambiato per nulla la mia vita eppure a motivo di essi ho passato una giornata particolarmente bella.

Il primo: una mia anziana coinquilina mi si è avvicinata e con fare sornione e sorridente, mi ha consegnato una busta dicendomi: “L’Inps mi ha aumentato la pensione; ho pensato di investirli sulla carità!” C’erano 20 euro, ma mi ha fatto contento come se ci fossero stati i due milioni che mi mancano per il don Vecchi di Campalto.

Secondo: stavo riempiendo de “L’incontro” l’espositore che sta all’Angelo; un signore si è avvicinato e mi ha offerto 50 euro per il periodico. I 50 euro non risolvono i problemi economici de “L’incontro” però che qualcuno lo apprezzi, tanto da darmi dei soldi incontrandomi per caso, mi ha molto gratificato.

Terzo: un direttore di un ipermercato mi ha telefonato per consegnarmi generi alimentari in scadenza. Ho perso mezza giornata per ritirarli, ma spero di aver aperto una breccia nella muraglia cinese e mi fa felice pensare che sulla tavola dei poveri ci saranno anche delle leccornie!

Il valore da trasmettere alla nuove generazioni

In questi ultimi giorni mi sono incontrato con un coetaneo molto acciaccato, costretto ormai a vivere in casa in solitudine, nonostante che l’amore e la sollecitudine dei figli provvedano alle sue necessità e una cara donna dell’est riordini la casa e gli stia accanto con quella tenerezza ed amabilità che solamente le donne hanno la capacità di offrire.

Il colloquio è cominciato con i soliti convenevoli, ma ben presto si è avviato verso un discorso serio ed essenziale sul senso della vita e sulla lettura più disincantata e perfino amara delle problematiche della fede e soprattutto su quelle della religione.

Normalmente la gente s’aspetta che il prete faccia il difensore d’ufficio della proposta religiosa ufficiale ereditata dall’educazione ricevuta. Con me le cose non potevano andare così; gli ero troppo amico per prendere le difese anche di ciò che credo che sia indifendibile, ma soprattutto le sue problematiche erano anche le mie.

Chi ha poco tempo davanti, chi sente d’essere ormai al capolinea, non può più accontentarsi di discorsi scontati, di argomentazioni poco condivisibili o di risposte su problemi marginali.

Una volta constatato di aver giocato il passato con onestà, d’aver perseguito un’utopia condivisibile per tutti, di avvertire che un mondo senza una realtà suprema che l’ha creato sarebbe semplicemente assurdo, non ci rimanevano in mano se non queste certezze, quella che la solidarietà è un valore etico assoluto, e costituisce la risposta al dono di Dio più certa, quella di cogliere ogni rito come strumento per rafforzare e vivere queste certezze e quindi l’opportunità e il dovere di continuare a dare con semplicità e con coerenza la nostra testimonianza senza dissacrare nulla di quello che ci ha aiutato a vivere e sta aiutandoci a morire.

Spero che almeno questa onestà possa essere compresa, apprezzata e condivisa dalle nuove generazioni.

Non voglio essere una star

Mi sono appena congedato da una giornalista di Raitre, che con un cameramen della Tv di Stato, ha girato un breve servizio per il telegiornale di questa sera (questo appunto mel diario di don Armando scritto risale ad alcune settimane fa, NdR)

La mia zazzera bianca, la mia corposa figura, un po’ ingobbita, apparirà stasera sui teleschermi dell’alta Italia.

La Rai mi aveva appena chiesto un sevizio sulla filiera di aiuti che in pochi anni abbiamo messo in atto, grazie alla generosità di quasi 150 volontari delle due associazioni Onlus “Carpenedo solidale” e la più recente “Vestire gli ignudi”. Tutto il seminterrato del don Vecchi è oggi impegnato al servizio dei bisognosi.

Oggi al don Vecchi si può trovare dai mobili per arredare un appartamento ai supporti per gli infermi, dai vestiti per tutte le taglie e tutti i gusti ai generi alimentari. Il Centro don Vecchi sta diventando pian piano la cittadella della solidarietà.

Al piano nobile, al secondo e al terzo piano, 194 alloggi per anziani poveri e nel seminterrato la holding della carità.

Tutto questo mi fa molto felice; un po’ meno il fatto che la televisione metta in mostra la mia decadenza fisica, ma soprattutto il fatto che l’opinione pubblica ecclesiale già mi giudica un ambizioso che desidera diventare una star, nonostante l’età. E il nuovo servizio riconfermerà questa convinzione!

Se questo è il prezzo per poter aiutare il mio prossimo, accetto di pagarlo, anche perché chi non fa le mie scelte non può sapere che solo i mass-media offrono un biglietto di presentazione valido per ottenere ciò che serve per aiutare il prossimo!

Ottenere un po’ di aiuto a volte è difficile

A Mestre gli ipermercati sono nati una quarantina di anni fa e ad aprire  loro le porte della nostra città e a concedere loro le chiavi relative è stato un prete; monsignor Vecchi.

Ricordo tutto questo per le infinite e puntigliose discussioni avvenute in canonica. Monsignore vedeva nell’apertura della Standa in via Carducci, la possibilità di una operazione commerciale che gli avrebbe permesso di realizzare grosse strutture sociali quali: Ca’ Letizia e il palazzo della Comunità. Noi cappellani temevamo l’abbattimento del patronato e la perdita dei campi da gioco per i ragazzi delle nostre associazioni; e così fu nonostante tutte le promesse di monsignore!

Nei quarant’anni che seguirono, gli ipermercati hanno invaso la nostra città, hanno imposto la loro filosofia di vendita ed hanno guadagnato un sacco di soldi che soprattutto all’inizio sono andati a finire a Milano, Genova e Torino.

In tutto questo niente di male!
Ossia le leggi di mercato si impongono comunque, però c’è un limite per tutto.

Negli ultimi vent’anni ho tentato in tutti i modi di ottenere l’invenduto, il non più commerciabile, le merci in scadenza. Non c’è niente da fare, la logica del mercato alla quale si rifanno padroni e gregari. è talmente inesorabile per cui bisogna sempre guadagnare e guadagnare il più possibile! Anche se una parte del bacino da cui gli ipermercati traggono profitto è in difficoltà e si potrebbe aiutare senza impegnarsi o spendere più di tanto.

Io sono stato sconfitto, mi sono arreso senza condizioni. Ora ci sta provando il Comune, che ha strumenti ed armi infinitamente più potenti delle mie. Spero che il Comune ottenga o semmai imponga una maggiore attenzione ai poveri del territorio.

Arrivando se non ci fosse altro mezzo, a ritirare le licenze di esercizio, altri Comuni con le buone o con le cattive ci sono arrivati. Spero che il nostro Comune non sia da meno e che gli assessori Bortoluzzi e Simionato possano finalmente spuntarla!

Una guerra giusta per aiutare i poveri!

Non ho proprio alcun desiderio di passare alla “storia” e neanche all’opinione pubblica corrente, come il rompiscatole di turno, che coltiva qualche mania o vuol farsi notare sollecitando i mass-media ad occuparsi di qualche problema presente nella nostra città.

Però, quando mi accorgo del disinteresse di chi si è offerto spontaneamente ai concittadini per gestire al meglio l’amministrazione della città e soprattutto non posso contare su altri mezzi civici per promuovere certe iniziative tese ad aiutare i cittadini più indifesi, allora non disdegno, anzi ricorro decisamente ai mass-media per creare opinione pubblica e pungolare gli amministratori della città ad affrontare e risolvere i problemi.

Una decina di anni fa “scoprii” il “Banco alimentare” e mi diedi da fare finché nacque “La bottega solidale” che opera tutt’oggi nella parrocchia di Carpenedo. In seguito, forse quattro anni fa, feci altre due “scoperte”: la legge chiamata “Samaritano” che autorizza ristoranti, mense e aziende del genere a mettere a disposizione dei poveri quei generi che avanzano. Però nonostante molti tentativi sono riuscito ad acquisire molto poco; è più facile buttare in pattumiera che mettere a disposizione del prossimo il cibo avanzato! La seconda “scoperta” è stata la notizia che il Comune di Bologna aveva concluso con gli ipermercati della città la cessione dei generi alimentari in scadenza abbattendo in cambio la tassa per lo smaltimento dei rifiuti. Ne parlai all’assessore Delia Murer, la quale mi promise solennemente un immediato interessamento. Sono passati inutilmente due o tre anni. Qualche giorno fa ho “scoperto” che anche Verona e Vicenza hanno concluso un accordo del genere. Ne parlai in assessorato con un funzionario, pareva che anche Venezia stesse concludendo un accordo simile. Nel frattempo ci siamo attrezzati per la distribuzione, però il Comune “lumaca” sonnecchia ancora.

Ora basta!
E’ intervenuta “La nuova Venezia” con un articolo, “Antenna Veneta” con un servizio, ma se il Comune non si muove “sparerò” a zero con tutto l’arsenale di cui dispongo, riservando “l’atomica” per le prossime elezioni amministrative.

Questa è certamente una guerra giusta!

Una strada buona per aiutare i più deboli

La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.

La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.

In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!

Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.

Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.

A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.

Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!

Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.

Una scelta sempre difficoltosa

In tempi abbastanza lontani uno dei tanti poveri che bussavano alla porta della mia canonica aveva finito per confidarmi una certa prassi che io ignoravo in via assoluta.

Qualche questuante più scaltro ed intelligente degli altri era riuscito a fare una doppia raccolta: da una parte intascava le elemosine e dall’altra compilava una lista di preti e di cristiani che erano più propensi a fare la carità.

Nella nota c’era quindi nome del prete, il suo domicilio e la cifra che normalmente era solito donare. Il furbastro poi vendeva ad un compagno di ventura il “portafoglio” della clientela che pian piano aveva raccolto.

Immagino che questa prassi sia ancora in vigore, osservando come pian piano si stia formando un gruppo di questuanti che vengono a scovarmi in cimitero, luogo che normalmente non fa parte del bacino dei benefattori.

Io sono convinto che bisogna aiutare il prossimo, anche se questo dovrebbe essere scontato per un cristiano e soprattutto per un prete, anche se purtroppo così non avviene!

Ormai a giorni fissi della settimana giunge quello da 5 euro, quello dei 10 o quello che usa una prassi diversa: venendo ogni due o tre mesi chiede una somma diversa!

Ora mi trovo in una posizione che se non è drammatica, mi provoca qualche scrupolo di coscienza ed ecco il perché!

Sto risparmiando per il don Vecchi di Campalto e tento quindi di dedicare ogni centesimo a questo progetto per il quale mancano all’appello ancora tanti soldi. Quello che do in elemosina perciò lo sottraggo “all’elemosina strutturale”.

Il solito Monsignor Vecchi mi diceva, spero con sapienza e grazia: “Vedi don Armando, se tu dai 10 euro ad un povero fai bene, ma se tu la stessa somma la destini ad una struttura di carità finisci a far del bene a tante più persone e per di più lo fai per almeno cent’anni!”

Mi pare che non avesse tutti i torti, ma mi riesce però veramente difficile mandar via a mani vuote chi ti dice di aver bisogno ora e un bisogno diverso da quello della casa.

“Signore, io credo, ma tu aiuta la mia poca fede”

In mattinata ho finito l’impaginazione de “L’incontro” di questa settimana. Di solito dapprima sistemo l’editoriale, quindi le principali rubriche fisse dei giornalisti che fanno parte della redazione, poi inserisco una piccola serie di articoli che a me paiono siano conformi alla linea editoriale e che traggo da periodici di ispirazione cristiana quali: Il Messaggero, Il nostro tempo, L’Avvenire, Gente Veneta, Famiglia Cristiana ed altri ancora.

Completo la rivista con i riquadri che mi permettono di offrire notizie relativamente fresche, di evidenziare la situazione degli enti di cui il periodico si fa portavoce, il tempo liturgico e le varie esigenze delle realtà di cui attualmente mi sto interessando.

Questa mattina, tra l’altro, ho tentato di avvertire ancora una volta i presunti 16400 lettori che la fondazione ha bisogno assoluto di consistenti finanziamenti per affrontare le spese della nuova struttura di Campalto che si presume verrà a costare più di tre milioni di euro.

Non è la prima volta che batto questo tasto, ma finora pare che i cittadini abbienti siano sordi del tutto. Motivo per cui ho cercato con attenzione le parole che potessero far breccia e mettere in crisi i concittadini, che pure pare apprezzino le nostre opere!

Se nonché, proprio nello stesso pomeriggio, la pagina del Vangelo della liturgia del giorno, riportava la guarigione di un ragazzo posseduto da un demone che neppure i discepoli erano riusciti a guarire. Nel brano Gesù dice al padre di questo povero disgraziato “Nulla è impossibile per chi crede!”

Mentre pronunciavo queste parole già sentivo il pungolo del rimorso per le mie preoccupazioni ed angosce d’ordine finanziario.

L’affermazione di Gesù mi colpiva come uno schiaffo in pieno volto.

Se nonché vennero a soccorrermi e lenire il mio dolore le parole del padre: “Signore, io credo, ma tu aiuta la mia poca fede”. A Gesù bastò così e fece il miracolo.

Sentii subito un caldo sentimento di conforto e sollievo che mi saliva al cuore. Spero di salvarmi, seppure in extremis e spero di salvare pure il finanziamento!

Le graduatorie della Ulss e i poveri

Al don Vecchi gli anziani dicono di stare bene, non c’è alcuno che sia rimasto deluso o si sia stancato cercando una soluzione diversa o migliore.

Tutto questo, assieme alle continue ed insistenti domande d’ingresso, non può che farmi felice. La formula è stata indovinata, molti la stanno copiando ed anche questo mi fa contento.

Purtroppo però neanche al don Vecchi si è scoperta la ricetta per bloccare l’avanzare del tempo con i suoi rovinosi effetti sul corpo e sullo spirito. Ormai l’età media dei 300 residenti presso i Centri don Vecchi si aggira intorno agli 84 anni; di giorno in giorno aumentano i bastoni da passeggio e soprattutto i deambulatori cioè “i spassisi” per vecchi! Tanto che, se continuiamo di questo passo, dovremo installare semafori sui corridoi principali ed assumere vigili per regolare il traffico!

Il problema attualmente si è tentato di risolverlo con l’aiuto del Comune, delle famiglie e dell’amministrazione del Centro creando supporti infermieristici e familiari per supplire alle aumentate deficienze fisiche, aumentando così un’autosufficienza con una componente “artificiale”.

Stiamo attuando un progetto ambizioso di prolungamento dell’autosufficienza, che per ora tiene, ma non mi illudo che potrà reggere a lungo. D’altra parte oggi vi sono 600 concittadini in attesa di poter entrare in quei tristemente famosi “paradisi terrestri”, che per il costo dovrebbero essere tali, ma in realtà non lo sono. Molti di essi non vi entreranno mai, anche perché le graduatorie della Ulss fanno acqua!

Ho scoperto in questi giorni che basta essere accolti in una casa di riposo per non autosufficienti, pagando 5-6 milioni di vecchie lire al mese, per avere l’aumento di 30 punti e poter così passare in testa alla graduatoria, lasciando così i vecchi poveri in eterna lista d’attesa!

Si apre un altro fronte per chi vuole aiutare gli ultimi!

Altri problemi, altre battaglie!

La solidarietà ed il giudizio di Cristo

Sono moltissimi anni che nutro il sospetto che Iddio, creatore del cielo e della terra, sia molto interessato e gradisca quanto mai il fumo d’incenso, anche se è incenso vero e non artificiale, i paludamenti suntuosi dei pontificali, la nenia infinita di un rosario dopo l’altro, novene ed ottavari, l’organizzazione turistica verso determinati santuari o l’esasperata pubblicizzazione di certi santi da miracoli.

Sono dubbi che tengo quasi sempre per me, perché sono invece convinto che sia sacrilegio e deprecabile turbare la fede dei semplici.

Detto questo però mi pare che sia dovere di un pastore d’anime mettere in luce determinate pagine del Vangelo che manifestano, senza ombra di dubbio, il pensiero di Cristo, ricordando a tutti che il primo a dettare indirizzi nella pietà dei cristiani sia appunto Cristo che è il fondatore e la pietra d’angolo della chiesa.

Qualche giorno fa mi ritrovavo col gruppetto dei fedeli che durante la celebrazione dell’Eucarestia, ascoltavano il brano del Vangelo che illustrava in maniera semplice, comprensibile e ribadita i paradigmi del Giudizio finale del Signore ai fedeli che sono chiamati a sottoporsi a questo esame: “Avevo fame, sete, ero ignudo, forestiero, in carcere e tu mi hai aiutato, oppure tu non mi hai aiutato” terminando col ribadire che ogni volta “che abbiamo aiutato o non aiutato il povero, abbiamo porto aiuto o rifiutato aiuto a Cristo stesso, Figlio di Dio”

Concludendo con la sentenza di accoglienza nel Regno o la condanna alla Geenna.

Mi pare quindi indubbio che il giudizio di Cristo ha come materia principale e forse unica: la solidarietà.

Mentre riflettevo ancora una volta non sulle chiose dei mistici o dei moralisti, ma sulla parola di Gesù, mi chiedevo: “Ma com’è possibile, che le nostre catechesi e le nostre prediche non si rifacciano con maggior precisione e determinazione, su queste verità certe piuttosto che su fumosi ed incerti obiettivi di gente di chiesa che non so con quale autorità propongono indirizzi macchinosi, talvolta razionalmente fragili e poco comprensibili da un punto di vista esistenziale?”

Con prudenza e pazienza, ma con decisione tenterò allora di sparare le ultime cartucce su bersagli validi piuttosto che su bolle, seppur iridate, di sapone!

Il tesoro del Patriarcato

Un paio di anni fa il Patriarca ha convocato a villa Visinoni di Zelarino, sede sia del nostro Vescovo che di alcuni uffici di Curia, tutti i responsabili delle strutture caritative e sociali esistenti nella nostra diocesi.

Nella prolusione all’incontro, che a suo dire si prefiggeva di far interloquire tra di loro questi enti, definì queste realtà come la “pala d’oro” della chiesa veneziana; essa infatti consiste in arredo sacro incastonato da pietre preziose, disegni e figure di valore inestimabile e che rappresenta una delle realtà più preziose della Basilica di San Marco.

Il definire così le opere della carità mi piacque assai, mi riportava alla scena in cui il diacono San Lorenzo, invitato dal prefetto romano a consegnare i tesori della chiesa, gli presentò una folla di poveri come la realtà più preziosa che la chiesa di quel tempo possedeva.

Ho sempre pensato che l’autentica ricchezza della chiesa, più delle splendide basiliche, i quadri degli artisti più famosi, le strutture più efficienti o gli arredi sacri, sono i poveri che ricorrono ad essa per essere aiutati e protetti.

Gli incontri previsti dal Patriarca non ebbero seguito, come sarebbe stato auspicabile, però gli enti caritativi fortunatamente, continuarono ad operare in silenzio, come sempre!

Qualche giorno fa la Caritas, ha pubblicato un opuscolo dal titolo “il tesoro di San Marco” con i dati essenziali degli organismi, strutture ed opere che la chiesa veneziana gestisce. Sono stato felice di annotare tanti nomi, tante attività e tante organizzazioni benefiche.

Veramente il Patriarcato possiede un vero “tesoro”. Sogno però che tutti i preti e fedeli si sentano responsabili di questa ricchezza autentica e siano impegnati a crescerla ed adeguarla ai tempi nuovi non lasciando che la gestiscano solamente pochi esperti, che lavorano solitari e dimenticati dai più!

Dovremmo rispondere meglio alle richieste di aiuto!

Qualche giorno fa mi ha telefonato un funzionario della Ulss, che opera nel territorio di Favaro-Carpenedo, per presentarmi una sua collega infermiera che aveva un piacere da chiedermi. Il problema che questa signora mi chiedeva si presenta abbastanza di frequente e sempre in maniera drammatica.

Lei aveva preso una badante per sua madre però, alla prova dei fatti, aveva capito che era preferibile alloggiare a Villa Lucia, sua madre, perché in quella struttura, una volta che non fosse stata più autosufficiente, la casa di riposo di via Spalti l’avrebbe automaticamente accolta, poiché la villa sul viale Garibaldi è parte integrante della stessa casa di riposo.

Essendosi affezionata e stimando questa ragazza moldava di 25 anni, che aveva dovuto, gioco forza, licenziare, le piangeva il cuore vederla angosciata cercare disperatamente una stanza per dormire. Quando l’infermiera venne da me la ragazza moldava aveva ottenuto, da una connazionale, il favore di poter dormire, per due tre giorni al massimo, con lei, nello stesso letto ad una piazza, una da testa e una da piedi.

Mi trovai come sempre sgomento, ed incapace di darle neppure un consiglio. Per casi del genere non ci sono assolutamente soluzioni di sorta nella nostra città!

Mi raccomandai a nostro Signore; che potevo fare altrimenti? Se non che il buon Dio ebbe pietà di me e soprattutto di lei!

Il mattino successivo mi telefonò una vecchietta ottantenne, precisamente la mia età, che aveva paura di dormire sola e mi chiese aiuto. Non feci altro che incrociare i numeri di telefono, e come si suol dire, presi “due piccioni con una fava!”

Ma nel mio cuore si acuiva un altro dramma: “Possibile che le 28 parrocchie di Mestre non possano dotarsi di una struttura per rispondere a questi drammi?

Credo che alla sette piaghe della Chiesa indicate da Rosmini, seppur tardivo, beato Rosmini, se ne debba aggiungere un’altra: l’insensibilità delle parrocchie ai drammi del nostro tempo!

Quando penso che ben 50 anni fa i nostri vecchi preti, che non avevano conosciuto il concilio e non andavano a tante riunioni, avevano creato a Mestre la “Casa della giovane”!

E’ inutile stracciarsi le vesti per gli stupri, la prostituzione e dintorni se non muoviamo un dito per aiutare chi è in difficoltà!

Il Centro don Vecchi evolve ma ha bisogno della città

Quando, insieme a Rolando Candiani, attuale direttore generale dei Centri don Vecchi, abbiamo messo a punto la dottrina, ancora assolutamente innovativa, di una struttura protetta per anziani autosufficienti di infime condizioni economiche e ne abbiamo stilato una relativa carta dei servizi, ritenevamo di aver definito una situazione ed aperto una nuova strada da percorrere con coraggio e fiducia.

Non sono passati ancora vent’anni e ci accorgiamo che la soluzione si riferiva ad un momento della società, ma che questo momento non è per nulla fisso, ma anzi è in costante e rapida evoluzione.

Noi che abbiamo rifiutato la dottrina delle vecchie case di riposo, che si rifanno ad una impostazione ottocentesca e che le abbiamo ritenute superate anche quando si imbellettano, come vecchie signore, di ammodernamenti e di nuovi arredi, ci accorgiamo però che in meno di una ventina di anni anche l’ipotesi che avevamo fatto si dimostra superata e che perciò si deve costantemente tener conto di una evoluzione quanto mai veloce!

Se dovessimo applicare alla lettera la scelta, che chi non è totalmente autosufficiente, secondo un concetto statico di autosufficienza, dovremmo mettere alla porta almeno una metà dei residenti.

Ora stiamo impegnandoci per trovare contrappesi al deficit di autosufficienza fisica, trovando supporti che non facilitino il suo progredire, non siano onerosi per l’interessato e per la struttura in maniera tale per cui pur usando “stampelle” l’anziano possa continuare a gestire la propria vita. Fortunatamente ora è l’ente pubblico che, finalmente, pare essersi accorto che la soluzione casa di riposo e spesso “disumana” è sempre insopportabile per l’economia del cittadino anziano bisognoso di aiuto, della relativa famiglia e dello Stato. Mentre la struttura di alloggi protetti rappresenta una sponda sensibile e provvidenziale per soluzioni più avanzate e socialmente possibili.

Questa ricerca però non può essere lasciata sulle spalle fragili di un vecchio prete, ma deve trovare l’appoggio solidale della città.

Rimboccarsi le maniche per il benessere comune

I criteri con cui tentiamo di inserire nel generalmente ritenuto “Paradiso Terrestre” del don Vecchi, sono quelli tante volte dichiarati: pensioni minime, sfratto, situazioni di assoluto disagio con la nuora, case malsane, solitudine abitativa, salute malferma, mancanza di familiari.

La signora Graziella, moglie di Rolando Candiani, il proverbiale direttore di stile gentleman inglese, asciutto come un’acciuga, con baffetti corti, cerimonioso nella parola e nel movimento delle braccia, tanto da assomigliare ad un direttore d’orchestra, è fin troppo rigorosa nel pescare, dalla lista infinita, gli anziani da immettere.

La signora Graziella, di nome e di fatto, ha però il rigore di un gendarme prussiano nell’usare questi criteri, mentre io sono più garibaldino, sono portato a privilegiare l’ultimo arrivato e a dar fede a tutte le credenziali presentate e non ultimo di tener conto del possibile aiuto che il richiedente potrebbe offrire alla nostra struttura che ha bisogno di tutti per permettere a tutti, compreso chi è al di sotto del minimo vitale, di dimorare al don Vecchi.

Sei, sette mesi fa si è presentata, in sagrestia del cimitero, una specie di amazzone a perorare la causa del padre, insistendo soprattutto che si sarebbe reso utile in tutti i modi. Tanto feci che gli ottenni un castello di 16-17 metri quadrati, compreso bagno ed entrata.

Giorgio si è presentato, lungo, dinoccolato come certi attori di Hollywood. Giorgio è un “giovane” anziano, con alle spalle tante peripezie che però non l’hanno ammansito ancora completamente; ogni tanto ha qualche guizzo selvaggio.

Nella sostanza è disponibile, pur assomigliando al secondo figlio della parabola evangelica che dice di no al Padre, ma che poi finisce per andare a lavorare nella vigna! Mi par che sia in cammino di “conversione”, ma procede lentamente e talora con battute di arresto.

Per ora lavora ai magazzini dei mobili, ma la sua occupazione principale è quella del frate questuante frutta e verdura ai magazzini generali di via Torino. Ma non disdegna i mercati di frutta e verdura di Padova e Treviso.

Ora viene a messa ed ha un rapporto caldo ed affettuoso con questo vecchio prete.

Spero proprio che diventi un cittadino modello del don Vecchi, così da invogliare anche tanti altri a rimboccarsi le maniche e a collaborare maggiormente per il benessere comune.