il mio infimo apporto

Non so come definire certi sentimenti che nascono spontanei, senza averli per nulla coltivati nella mia coscienza.

Spesso soprattutto quando sono stanco e deluso, mi viene spontaneo chiedermi: ha senso tutto questo mio tentativo di spendermi per il prossimo, quando pare che nulla cambi, anzi talvolta sembra che la situazione non soltanto non migliori, ma anzi sia tendenzialmente in fase di peggioramento?

Prediche, preghiere, incontri, progetti, scritti, rapporti umani, e perchè no, arrabbiature e scontri…; risultato? Mi pare, ormai al tramonto della mia vita, di trovarmi con un pugno di mosche in mano.

Vale la pena uno spreco di tante energie per essere coerenti a certi valori, per perseguire certi obiettivi che ritengo in linea con la fede che professo?

Questa mattina mi ha portato una certa consolazione, il pensiero di una cristiana d’America, la quale ha forse avuto anche lei le mie stesse tribolazioni interiori. Questa creatura ha scritto, in una sua riflessione, che l’ape operaia, durante tutta la sua vita riesce a produrre un dodicesimo del miele che è contenuto in un cucchiaino da caffè. Ben poca cosa in verità! Ma che comunque un alveare riesce a produrre ben 25 kg di miele all’anno.

Non ci sarebbe nulla da meravigliarsi se il mio impegno pastorale producesse il dodicesimo di risultato di un cucchiaino di caffè!

Madre Teresa di Calcutta riprende il discorso a modo suo: “Quanto sono riuscita a fare col mio impegno, rappresenta una goccia d’acqua del grande oceano, però anche l’immenso oceano è formato da tante piccole gocce”.

Ho capito e spero di ricordarmelo, che io debbo essere impegnato a dare il mio infimo apporto; sarà il Signore a metterlo insieme a tanti altri piccoli apporti. Solamente così si raggiunge un certo risultato!

Una felice concordia di idee per la carità

In questi giorni ho avuto un franco scambio di idee con un mio giovane collega a proposito dell’assistenza agli anziani.

Sono stato felice perché ho avuto l’impressione che, nonostante ci separi una quarantina di anni di età tra me e lui, ci fosse una concordanza di idee in merito a questo settore della carità.

Ho osservato, nella mia vita, che quando due persone sono concrete, vanno al sodo, sono impegnate a dare visibilità alle loro scelte ideali, trovano abbastanza facilmente elementi comuni nel loro impegno apostolico.

Il difficile invece nasce quando si tenta di dialogare con qualcuno che fila dietro a idee fumose di ordine sociologico o mistico.

I punti di incontro si riferivano al fatto che la fede e la religiosità hanno come sbocco necessario la carità e la carità vera è quella che si concretizza in servizi reali, in strutture operative a favore dei fratelli in difficoltà.

Secondo punto di convergenza fu quello che, queste strutture e questi servizi, debbono essere sani, efficienti, economici e soprattutto debbono contraddistinguersi per la qualità.

Guai a noi se le nostre strutture caritative non sono belle, non offrono dei veri conforts, non hanno i conti in regola e soprattutto non battono di gran lunga la “concorrenza” sui costi.

Terzo elemento d’incontro è il fatto che l’impegno per i poveri debba essere il biglietto di presentazione della chiesa locale nei riguardi dell’amministrazione pubblica e soprattutto della popolazione.

Auspicavamo infine che ci fosse una forma di confederazione che avesse un portavoce comune sia nei riguardi del Comune e della Regione ed un periodico che informasse l’opinione pubblica in maniera tale che la voce carità giunga chiara a tutti e la nostra gente si renda conto che l’impegno della nostra chiesa è serio, concreto, efficiente e quindi la predica sulla carità non batta l’aria, ma sia un discorso verificabile da tutti.

Noi due non rappresentiamo certamente la chiesa veneziana, comunque le voci libere, concrete e ricche di idealità hanno sempre un impatto positivo, sono sempre un seme che prima o poi porterà frutto.
Questo almeno ci auguriamo che avvenga.

Resto fedele alle mie origini!

Io da sempre mi sono schierato per la povera gente, non per vezzo, per moda o per vantaggio. Sono schierato con i poveri più che per motivi ideali, perché vengo da quel mondo, mi sento della stessa pasta e voglio condividere la stessa sorte.

Qualcuno pensa che abbia scelto di trascorrere la mia vecchiaia al don Vecchi perché è stata una mia opera, perché vi sono affezionato?

No! Ho scelto di terminare al don Vecchi perché voglio vivere come “loro”, come i vecchi poveri della città in cui sono vissuto. Le mie ribellioni, contro i ricchi, contro chi comanda, contro chi si è emancipato e s’è scrollato dalle spalle le ansie e le abitudini dei poveri è certo una nobiltà fittizia pagandola al prezzo di voltar praticamente loro le spalle, nasce appunto da questo voler rimanere con i paria della società e volerne condividere le condizioni esistenziali.

Nel mio alloggio incontro mille volte le foto di papà e mamma e il loro sguardo mi ricorda mille volte al giorno le mie origini, i drammi e le difficoltà della mia gente e del mio passato.

La mia solidarietà ai poveri abbia come motivo: le vacanze passate in bottega di mio padre a scaldare la colla e a raddrizzare i chiodi per poterli riutilizzare, le interminabili giornate passate con i fratelli e i bambini vicini di casa, a raccogliere fagioli, a zappare il granoturco, a togliere le patate dai solchi della bonifica, dopo aver fatto una decina di chilometri di strada in due sulla stessa vecchia bicicletta, il mangiare seduti per terra sotto le piante di granoturco, poi quando era terminato il raccolto, tre parti erano per il padrone e un terzo per noi!

Pensavo a queste vecchie storie qualche giorno fa vedendo gli operai che posavano il porfido davanti all’ingresso del cimitero. Il sole scottava ed erano già là curvi a posare questo rozzo mosaico, arrivò il temporale e rimasero sotto la pioggia. Non potevano permettersi di perdere una giornata! Perché a fine mese dei 1200 euro avrebbero tolto l’equivalente di una giornata di lavoro!

La mia famiglia è sempre vissuta così! Come potrei tradire questa gente perché ho studiato un po’ e la mia categoria socialmente mi tratta meglio?

L’Italietta che ci danno i nostri politici

Una delle tante utopie che sto inseguendo è quella ambiziosa e quanto mai ardua di permettere agli anziani che godono della pensione minima (516 euro mensili), e non sono pochi gli anziani al don Vecchi in queste condizioni, di poter vivere decorosamente senza mendicare presso i loro figli quel denaro necessario ad arrivare a fine mese.

Già scrissi di un’anziana signora, mia coinquilina da qualche mese, che andò a servizio presso una signora di Venezia a otto anni di età ed ha continuato a servire fino agli ottantatre anni, tempo in cui è stata accolta al don Vecchi; ebbene questa anziana signora per i suoi 75 anni di lavoro percepisce 710 euro.

Come volete che io abbia rispetto per il nostro Stato, per il Senato, per il Parlamento e per l’intera classe politica e sindacale quando avvengono cose del genere?

Tornando all’utopia, mettendo in atto tutti gli stratagemmi possibili e inimmaginabili (lo spaccio della frutta e verdura, il banco alimentare, e l’attenzione che non avvengano sprechi anche minimi), faccio pagare affitti che talvolta non raggiungono neanche i 100 euro, finora pare che i nostri anziani ce la facciano!

Certamente non possono andare in vacanza a Cortina e debbono vestire ai magazzini S. Martino! Se non che ogni tanto a qualcuno capita la “grandinata” allora sono guai!

L’altro giorno sempre una mia compagna di ventura, dovette farsi levare un dente, non ne poteva più dai dolori. Mi confessò, pur riconoscente quanto mai al nostro dentista che fa sconti impossibili e poi dona al don Vecchi quel poco che percepisce, togliere un dente le è costato 200 euro, se avesse applicato la tariffa sarebbe costato 300-350 euro. Allora da cittadino informato le dissi: “perché non è andata alla ULSS?”.

E lei prontissima: “Avrei dovuto portarmi il mio mal di denti per sei mesi!”

Questa è l’Italietta che i politici, che qualche giorno fa abbiamo votato, ricambiano per la fiducia che abbiamo riposto in loro.

Finché le cose non cambiano non sarò certamente fiero nè per le ville di Berlusconi nè per il veliero di D’Alema ed altrettanto per gli stipendi dell’intero apparato dello Stato Italiano!

Un labirinto di egoismo

Nota: questo commento risale a prima che l’annosa questione trovasse una soluzione.

Il dialogo con l’amministrazione comunale, al fine di ottenere i generi alimentari in scadenza, sembra piuttosto che un percorso di guerra, un labirinto in cui pare impossibile venirne a capo e trovarne la via d’uscita.

Non ripercorro la storia triennale di questo progetto per ottenere un protocollo di intesa con gli ipermercati che Bologna ha realizzato da più di cinque o sei anni e che alcune città del Veneto hanno concluso più recentemente.

Da noi la trattativa s’è impantanata tra le secche della laguna e sembra affondi nella melma di una amministrazione comunale bizantina, tanto più inerte quanto più è numerosa e l’egoismo infinito delle società che gestiscono gli ipermercati mediante funzionari talmente indottrinati dai loro padroni che non riescono ad aprirsi alle esigenze di una società da cui traggono immensi profitti e che alla lunga tornerebbe loro conto aiutare recependo la simpatia della popolazione.

Mi fermo all’ultimo incontro tra una funzionaria dell’assessore Bortolussi e una decina di responsabili degli enti assistenziali di Mestre, tutti di ispirazione religiosa, che con immensa difficoltà assistono tre-quattromila concittadini italiani e stranieri in forte disagio economico.

La testimonianza vivace, accorata e ricca di esperienza di questo drappello di volontari, si incontrò con un progetto fumoso, incartapecorito e pressappochista da parte comunale.

A detta dello stesso assessore, il Comune possiede “armi” per forzare l’indifferenza e l’indisponibilità di queste aziende solamente impegnate a guadagnare il più possibile e per nulla sensibili ai bisogni della povera gente.

Da parte mia credo che a questo punto non ci sia altro da fare che proporre il boicottaggio, la denuncia all’opinione pubblica sia del Comune che di queste aziende.

Facciano pure tutti gli affari loro, ma almeno sappiano del disprezzo da parte della città.

I doveri di un capo

Un tempo mi è capitato di leggere uno di quei pezzi brillanti, mediante cui, con un dosaggio attento ed appropriato di parole, si definisce un problema o una persona.

Sono pezzi che poi cominciano a girare specie tra i periodici di ispirazione religiosa e vengono ripresi da una rivista ad un’altra, tanto da diventare abbastanza noti.

Chi, a proposito, non ha mai letto il pezzo, ormai famoso sul “sorriso” o quello di quell’autore, dell’America latina, in cui il protagonista descritto si lagna con Dio perché nel momento del maggior bisogno non ha scorto le tracce di Cristo accanto alle sue e la risposta di Gesù: “le tracce che hai visto erano quelle dei miei piedi, le tue non c’erano perché in quel momento ti portavo in braccio!”.

Un tempo ho letto uno di questi pezzi sulle qualità del capo. Era un pezzo un po’ ironico: “il capo non dorme, ma pensa, il capo si sacrifica sempre per gli altri, il capo non cura i suoi interessi, ma quelli dei dipendenti e via di questo genere!” Fosse vero!

Mi piacerebbe essere capace di scrivere qualcosa di questo genere, sui doveri del capo: “Il capo deve decidere, il capo deve assumersi sempre la responsabilità, il capo non deve nascondersi dietro la decisione del consiglio. Il capo deve chiamare fannullone chi è tale, il capo deve combattere decisamente l’egoismo, l’arroganza, le azioni dei furbetti. Il capo deve impedire agli ingordi di approfittare delle situazioni favorevoli, il capo non deve favorire i privilegi, il capo deve avere il coraggio di essere impopolare, di ricordare a chi è favorito dalla società di ricordarsi di chi sfortunatamente non gode di suddetti privilegi. Il capo deve tener conto di non favorire alcuni a scapito di altri, ecc..”

Mi piacerebbe saper scrivere bene cose del genere per ricordarmi dei miei doveri, e per ricordare a quel piccolo popolo di privilegiati, tra cui vivo, che anche gli altri vecchi hanno diritto d’essere aiutati e non soltanto loro! Purtroppo anche il don Vecchi non è composto soltanto di anziani santi, ma ci sono anche i peccatori che il capo ha il dovere di mettere in riga!

Una riunione di condominio costruttiva

In questi giorni abbiamo fatto, al don Vecchi, la riunione di condominio, riunione in cui l’amministratore ha presentato il bilancio e in cui si sono discusse le varie questioni riguardanti “la vita condominiale”.

Ricordo che da parroco prestavo le sale del patronato per suddette riunioni per le quali, quasi sempre, si facevano le ore piccole, e spesso si terminava con gran baruffe.

Da noi le cose sono molto più veloci e soprattutto molto più civili, ma non mancano anche da noi le difficoltà. Alcuni residenti hanno pensioni così risicate motivo per cui anche un modesto conguaglio crea problemi, altri sono così attaccati ai soldi (questa è una tipica tentazioni da vecchi), motivo per cui tutto sembra tanto anche se infinitamente inferiore di quanto pagherebbero in qualsiasi altro alloggio. Altri inquilini sono talmente pressati dalle richieste dei figli tanto che sono sempre a corto di soldi. Purtroppo a questo mondo non mancano mai problemi, difficoltà ed incomprensioni, anche nelle migliori famiglie.

In questa occasione mi sono ricordato che un giorno fui fermato da un vigile perché aveva constatato che ero passato per il centro del Paese ad una velocità superiore al consentito. Suddetto vigile mi fermò e mi disse: “Reverendo ho un problema di convenienza su cui vorrei sentire il suo parere. Dovrei secondo lei, multare o no, un autista che ha infranto la legge correndo troppo veloce?”
Evidentemente si riferiva a me.

Io chiesi perciò all’assemblea degli anziani: “Datemi un parere, ci sono cento anziani che mi chiedono di aiutarli per avere un alloggio a prezzi accessibili per le loro magre finanze. Secondo voi è opportuno che suddetti alloggi, a condizioni estremamente favorevoli li dia solamente a cinquanta lasciando a bocca asciutta gli altri cinquanta, o è più giusto che aiuti tutti i cento però ponendo una pigione superiore di quanto potrei fare aiutandone solo cinquanta?”

Dapprima parve che non capissero o peggio che non volessero capire! Conclusi: “Ricordatevi che voi appartenete ai cinquanta super aiutati, mentre gli altri cinquanta che rimangono sono fuori che aspettano!”

Spero che il discorsetto abbia posto un paletto al peccato di egoismo da cui non vanno esenti neppure gli anziani del don Vecchi!

I miei due “uomini della Provvidenza”

Parlare di uomini della Provvidenza è certamente pericoloso, dati i nefasti precedenti storici. Ma non è sempre così, specie quando uno non parla a suo vantaggio, ma l’adopera a favore di qualche altro.

Io veramente non sono mai stato troppo preoccupato di questi luoghi comuni messi in circolazione o dalla stupidità di chi li ha affermati per autoincensarsi o dagli avversari per demonizzare chi li aveva contrastati.

Gli uomini, che la Provvidenza ha avuto la generosità di farmi conoscere e di affiancarli ai miei progetti, sono persone per bene senza grilli in testa e soprattutto disposti a servire i fratelli con tanta generosità e spirito di sacrificio.

Al don Vecchi di Marghera, il buon Dio mi ha donato non uno, ma due “uomini della Provvidenza!”

Come tali li ho ricevuti dalle mani del Signore ed ogni giorno di più li considero una grazia. In spirito di umiltà e di servizio hanno iniziato la loro missione di condurre avanti la comunità di una settantina di anziani, provenienti da ogni dove, per farne diventare una realtà di amici e fratelli.

A scrivere tutto ciò è facile, ma a realizzare un progetto con gente dalle esperienze, cultura e vicende tanto diverse non è proprio così semplice.

Qualche giorno fa, avvertendo la mia preoccupazione per Campalto, perchè è molto più facile trovare chi costruisce i muri piuttosto che le comunità, questi “uomini della Provvidenza”, con spirito evangelico mi hanno proposto: “Aiutiamo qualcuno a formarsi a Marghera e noi ci spostiamo a Campalto quando sarà pronto!”

Sono rimasto veramente folgorato dalla proposta. Ed io, povero vecchio, da mesi mi sono lambiccato il cervello per trovare una soluzione!

Lino e Stefano hanno dimostrato che una forma di autogestione guidata è la conduzione ideale del don Vecchi!

A Campalto sarà così e anche a Carpenedo pian piano imboccheremo la strada ormai aperta e collaudata!

Le più belle chiese di Mestre

Forse il mio atteggiamento e il mio desiderio di appartenere ad una chiesa bella, viva, pulita, aperta al domani, generosa e coerente è talmente forte per cui rimango triste e desolato quando alla prova dei fatti m’accorgo che essa è ben poco di tutto questo.

Io ho fatto una delle mie prime esperienze ecclesiali nel duomo di San Lorenzo di Mestre, e quindi della storia di questo diacono, della prima comunità cristiana di Roma, ne ho sentito parlare tante volte in largo ed in lungo. La bella immagine di questo giovane uomo di Dio e della chiesa, che all’invito del Prefetto romano a presentargli i tesori della sua chiesa gli presenta un folto gruppo di miserabili, non ha inciso solamente nella mia fantasia, ma anche nella mia concezione di chiesa.

La mia chiesa non può essere che la chiesa dei poveri, la chiesa che lava i piedi, la chiesa in “grembiule” come amava definirla don Antonino Bello, l’indimenticabile Vescovo di Barletta.

Questa immagine è rimasta così incisa nella coscienza, che quando ai Magazzini San Martino o al nostro Banco alimentare vedo una folla di poveri di tutte le razze, vestiti con le fogge più diverse, sento un’ebbrezza particolare, mi pare di assistere ad un pontificale, in una cattedrale tra le più belle del mondo e i volontari e le volontarie mi paiono i più venerati ministri della chiesa di Dio!

Dicono che il Vescovo è il presidente della carità, se le cose stanno così, il nostro Patriarca, un giorno sì e l’altro pure, dovrebbe venire nell’interrato del don Vecchi, dai Cappuccini, a Ca’ Letizia o ad Altobello.

Queste realtà sono per me le più belle e vere chiese di Mestre!

Il Signore m’ha scoperto!

Il Signore mi ha pizzicato ancora una volta in flagrante!

M’aveva telefonato una signora con una voce un po’ lagnosa, così da farmi immediatamente pensare che si trattasse di una delle tante che mi chiede un appartamento al don Vecchi. Mi chiedeva invece un appuntamento perché insisteva che sono cose che preferiva dire a faccia a faccia.

Per me, questi appuntamenti che mi sono chiesti di frequente, non sono molto graditi, un po’ perché non ricordo mai i miei impegni precedentemente già fissati ed un po’ perché mi spezzettano la giornata impedendomi così di dedicarmi con tranquillità a ciò che ho scelto di fare. Sparai subito il primo “missile strategico” che talvolta coglie il bersaglio: “Signora, io non sono una persona importante, può parlarmi al telefono che io l’ascolto e le dico subito se la posso aiutare o meno”. Tergiversò un momento, quasi contrariata, poi aggiunse: “Le devo portare un’offerta!”

D’istinto le diedi subito due tre orari in cui mi avrebbe trovato al don Vecchi.

Appena messo giù il telefonino mi parve, come don Camillo, di sentire il Cristo che dalla gran croce mi ripetesse: “Reverendo, reverendo … se si fosse trattato di un piacere da fare avresti avuto mille difficoltà, ma per ricevere un’offerta sei stato immediatamente disponibile!”. Arrossii ed incassai il rimprovero meritato; Gesù aveva ragione! Di solito nostro signore mi punisce così.

Il giorno dopo però mi rifeci.
E’ venuto il solito signore dalla faccia cadaverica al quale sto tentando inutilmente di fissargli una frequenza settimanale per i soliti cinque euro. Stavolta però appena lo vidi tirai fuori il portafogli e senza esitazione gli diedi i 15 euro che mi chiedeva, anche se erano passati solamente due giorni dall’ultima richiesta e superavano di 10 euro l’accordo fissato.

Spero d’aver pareggiato anche se io ho donato 15 euro e il Signore me ne aveva fatto avere 165. mi consolo però pensando che io sono un povero diavolo che si preoccupa del don Vecchi di Campalto, mentre Lui è Dio ed è padrone della zecca!

Modi bruschi

Per l’educazione ricevuta e per mia scelta personale, non dico mai parolacce e meno ancora faccio dei discorsi che contengono qualcosa di volgare. Questa confessione dovrebbe essere scontata per un giovane o vecchio prete quale sono io.

In realtà oggi le cose non stanno proprio così perché va di moda tra i ragazzi una parlata quanto mai volgare e come si sa queste cose sono come l’influenza, si diffondono, un po’ perchè rintronano sempre negli orecchi e un po’ perché non sono pochi neanche i preti che vogliono apparire giovanili dato che non possono essere più giovani!

Debbo però confessare che c’è una brutta parola che talvolta mi scappa perché la sento così di frequente che mi pare che non ce ne sia un’altra di altrettanto espressiva. Spero di non scandalizzare chi gli capitasse in mano queste mie confidenze e chiedo scusa in anticipo per questa scappatella.

Le premesse che inquadrano questo sfogo i miei amici le conoscono già e la riassumo per sommi capi.

Sono venuto a sapere, due anni fa, che il Comune di Bologna ha concluso una specie di accordo con gli ipermercati per ottenere i prodotti alimentari in scadenza per distribuirli ai poveri.

Ho telefonato ed ho appreso i termini dell’accordo. Gli ipermercati davano suddetti prodotti e il Comune diminuiva la tassa per lo smaltimento dei rifiuti.

Ne parlai con l’assessore di quel tempo Delia Murer, mi disse che si sarebbe data subito da fare, ma non successe nulla. Parecchi mesi fa appresi dalla stampa che anche Verona, Vicenza ed altri avevano concluso questo accordo. Telefonai alla sicurezza sociale ad ottobre/novembre dello scorso anno e pareva che anche a Venezia fossimo a buon punto per l’accordo, ma passavano i mesi e non succedeva nulla.

Costrinsi l’assessore Simionato a venire al don Vecchi per parlargli tra l’altro anche di questo problema. Promise, ma non successe ancora nulla.

Telefonai ed incontrai l’assessore Bortolussi, mi promise, ora sto attendendo, ma se non succede nulla sono pronto a far veramente “casino”!

Mi spiace per Cacciari, per la giunta, per il Comune, per il Centro sinistra e che so io, ma vedendo la gente bisognosa che viene a frotte a chiedere alimentari e i burocrati, che pigliano migliaia di euro al mese per aiutare i poveri, che si trastullano con dichiarazioni e discorsi non vedo altro modo di scuotere il “palazzo” se non facendo “casino”!

E il buon Dio mi perdoni!

Pensieri guardando oltre il campo…

Ho sognato e tentato di far rassomigliare il don Vecchi ad un paese.
L’organizzazione della vita comunitaria, i servizi, l’amministrazione e perfino la toponomastica si rifanno alla tipologia di un piccolo borgo.

Un tempo ho perfino pensato di riferirmi ad essa chiamandola “la seniorcity di Mestre” una specie di “città dei ragazzi” diventati anziani, ma tutto sommato mi sono accorto che pur rimanendo una realtà a sé stante, risulta sempre come un qualcosa di artificiale, manca quell’amalgama di elementi che fanno di un gruppo di uomini e donne un qualcosa di composito e di complementare che faccia del gruppo una comunità vera che interagisce, opera, produce e vive una vita piena.

Perciò quando mi affaccio al mio terrazzino e guardo oltre il grande campo che separa dalle ultime propaggini della città, ho la sensazione che là cominci il mondo vero con le sue problematiche e m’accorgo di esserne separato quasi escluso, impotente ad intervenire partecipando ai consessi in cui si discute, si cerca e si decide.

Dalla mia riva, guardo, mi preoccupo, mi indigno, talvolta progetto e sogno ma avverto di non esserne più parte viva, con la possibilità di influenzare le soluzioni da prendere.

Sono i momenti in cui avverto più che mai un senso di impotenza ed in cui sento i limiti della vecchiaia, sento che il cuore va al di là della trincea, ma che la condizione e le forze non mi permettono di fare il balzo.

Ora ho tutto il tempo, forse troppo tempo per sognare come impostare affrontare il problema dei giovani, del mondo del lavoro, quello dell’informazione e di rodermi nel constatare che quella chiesa giovane, vivace, intraprendente che sogno è invece lenta, pigra, sonnacchiosa e rassegnata!

La solidarietà per molti è difficile da mettere in pratica!

Sono vissuto per moltissimi anni, quasi tutta la mia vita, senza mai comprendere appieno la così detta “teologia della croce” cioè la vittoria sul male mediante la sconfitta.

Secondo questa dottrina, la passione genera la resurrezione! Cristo vince il male con la sua apparente sconfitta avvenuta attraverso una morte ignominiosa inflittagli da parte dell’egoismo dei responsabili del suo popolo, che con il supporto passivo della sua gente, lo condannarono alla croce.

La solidarietà trova la stessa difficoltà che incontrò ai tempi di Cristo.

Ognuno pensa per il proprio tornaconto personale o per quello della propria famiglia. Pare che l’amore non possa superare questi confini angusti e limitati. La risposta di Gesù alla notizia portatagli dagli apostoli, mentre egli stava parlando alla gente, che sua madre e i suoi parenti l’aspettavano: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli, se non chi condivide la proposta d’amore di Dio?”
Anche se non mi rasserena completamente, mi è di molto conforto!

Vivo in un luogo con tanti coetanei ai quali figli e parenti non hanno saputo o voluto provvedere, moltissimi dei quali sono contenti dell’accoglienza e della struttura che li ospita, ma ben pochi pare tentino di condividere la motivazione che l’ha fatta nascere, collabori perché altri malcapitati ne possano beneficiare.

Mi ha sempre sorpreso il fatto che nessuno abbia mai pensato di fare testamento a favore della struttura che li ha accolti e salvati da una vecchiaia solitaria e disagiata!

Prima i figli, solamente i figli e i nipoti; agli altri ci pensi chi di dovere.

Spero che il sogno della solidarietà, che sembra naufragare e destinato a sconfitta certa ed ineluttabile, obbedendo alla “logica della croce” prima o poi vinca e almeno dall’altro mondo possa vedere un giorno la solidarietà che superi le mura domestiche e s’allarghi alla propria città e al proprio mondo!

Esser consapevoli della propria età

Un giornalista de “Il Gazzettino”, ancora una volta, mi ha dato una mano e per di più l’ha fatto senza una mia richiesta.

Il cortese e generoso collega ha ripresentato all’attenzione della città, il progetto del don Vecchi quater da costruire adiacente alla famigerata via Orlanda in quel di Campalto.

Il giornalista, con la complicità benevola ed un po’ interessata del progettista, ha illustrato il progetto, ne ha pubblicato la foto e, usando i segreti del mestiere, ha pure ironizzato con l’inezia del Comune, con l’ente che doveva costruire l’albergo per i lavoratori, concedendosi una battuta finale a mio vantaggio e terminando con una notizia ad effetto: “E dire che don Armando non ha che appena ottant’anni”, quasi fossi nell’età d’oro per progettare e realizzare dei sogni di carattere sociale.

Io sono ben conscio di avere ottant’anni, anche se talvolta, soprattutto quando sono seduto alla scrivania, non me li sento, ma conservo fortunatamente la lucidità mentale per conoscere i limiti.

Il Cardinale Urbani ripeteva, talvolta, una battuta, che gli era cara: “Se tutti ti dicono che sei ubriaco, va a casa e mettiti a letto, anche se tu sai di non aver bevuto neanche un’ombra!”

Quando ho compiuto 75 anni mi sono battuto per andare in pensione, anche se mi piaceva il mio mestiere, e i miei capi insistevano che rimanessi. Avevo paura di non saper leggere e gestire i tempi nuovi!

Fortunatamente me ne sono andato lasciando la parrocchia in piedi. Ora ho 80 anni, la Fondazione è ben più modesta e meno impegnativa che una comunità di cristiani, ma comunque, questo è il tempo per pensare alla vita eterna e permettere che anche i preti più giovani abbiano il privilegio di servire Dio nei poveri!

Suor Elvira, un esempio da seguire

Una cara signora, spero per rappacificarsi con me, per un momento di incomprensione e di tensione, con gesto gentile e generoso m’ha regalato un bel volume che documenta l’opera di suor Elvira.

Se fosse così, ossia se questa signora gli avesse dato il significato di una volontà di totale intesa, le sarei tanto grato per questo gesto e le sarei ancora più grato perché suor Elvira è una suora che mi aiuta a sognare e a tentare l’impossibile.

Questa suora l’ho scoperta circa poco più di un anno fa e mi ha veramente incantato per il coraggio, la coerenza, la freschezza di fede e la totale fiducia che il Vangelo possa redimere e salvare subito e totalmente anche i giovani che hanno raggiunto i limiti massimi dell’abiezione a causa della droga e di tutti i vizi collaterali alla tossicodipendenza quali la prostituzione, il furto, il tradimento dei valori e dei legami più sacri.

In una ventina d’anni, questa suora, uscita da un convento che la “soffocava” e mortificava, come purtroppo avviene spesso per malintesi cammini di formazione spirituale, ha aperto una sessantina di strutture di formazione in tutto il mondo, ha fondato un gruppo di ragazze e di giovani che si dedicano totalmente alla redenzione dei tossicodipendenti e soprattutto ha “salvato” nel senso più radicale del termine, un numero incalcolabile di giovani.

Il volume è costituito da una raccolta di fotografie che documentano lo sviluppo di questa grande iniziativa.

Mi ha colpito una foto ed il relativo commento. Suor Elvira, una sera, raccoglie i suoi giovani provenienti dall’inferno, si inginocchia di fronte a loro e si confessa: “Ragazzi, vi chiedo perdono perché vi ho tradito; per la paura che ve ne andaste, mentre vi avevo promesso di aiutarvi ad uscire da ogni dipendenza, vi ho permesso di fumare. Da questo momento in poi qui non si fumerà più, chi vuol rimanere butti subito su questo braciere le sigarette che ha in tasca”. Ad uno ad uno tutti buttarono nel fuoco i pacchetti di sigarette.

Forse in questo coraggio, in questa radicalità evangelica, consiste il segreto del successo di questa suora.

Ora sono nel tormento perché dovrei trovare il coraggio di chiedere a me stesso, ai miei collaboratori e alla piccola comunità che quotidianamente si riunisce nel nome del Signore, molto di più di quanto ho chiesto finora.