L’insopportabile razzismo fomentato da certi movimenti produce rovi e spine!

Arrossisco, ma debbo confessare che ieri pomeriggio ho preso una solenne arrabbiatura. Mi ha telefonato una signora presentandosi con un cognome quanto mai diffuso nella zona. Ha cominciato col complimentarsi per quanto vado facendo per i vecchi e i poveri in genere, proseguendo però col dirmi che non è giusto che doniamo i generi alimentari a persone che li buttano nei cassonetti della spazzatura e che comunque non li meritano perché percepiscono un regolare stipendio.

Le risposi che non mi meravigliavo che sulle 2400 persone che assistiamo ci potesse essere qualche comportamento indegno o qualcuno che ci imbroglia. E’ un fatto fisiologico che ci sia una piccola frangia di persone che si approfittano. Continuai dicendo che il responsabile è una persona quanto mai pignola e che tiene la documentazione dell’assegnatario di ogni tessera, attenendosi con scrupolo ai parametri che assieme abbiamo fissato per concedere i viveri. Comunque le assicurai che siamo aperti ad ogni tipo di collaborazione, quindi, se avesse avuto qualche elemento utile relativo a una determinata persona, avremmo provveduto a ritirare immediatamente la tessera. Io insistevo perché lei ci fornisse le informazioni necessarie, mentre lei, incurante, ribadiva la presunta ingiustizia.

Pian piano finii per capire che si trattava di una sua badante, che probabilmente lei pagava poco o in nero, ma che, nonostante questo, avrebbe dovuto essere trattata da noi come un sotto prodotto umano. La semina razzista, da parte di movimenti che cavalcano sentimenti istintivi e meschini raccogliendo consensi elettorali, sta producendo rovi e spine.

Finii per accalorarmi e per non sopportare ulteriormente queste forme incivili, troncando la conversazione. Mi dispiace, però credo che dobbiamo bollare come si merita ogni forma di sfruttamento e di malcelata superiorità razziale nei riguardi delle nazioni povere del mondo.

Sarebbe ora di smettere di credere che il proprio mondo sia il centro di tutto!

Quando ero bambino pensavo che la mia casa stesse al centro del mondo.
Per molti anni questa convinzione mi accompagnò reputando veramente che gli altri ambienti; strade, paesi, campagne fossero meno importanti della piccola casa inserita in una stradina più simile ad un viottolo che ad una strada seppur sterrata. Da ragazzino andai in colonia, mandato dal Fascio del paese, quando poi frequentavo la quinta elementare feci un tema patriottico, che poi seppi si rifaceva ad una frase del Duce: “L’aratro traccia il solco, ma è la strada che difende”, che fu giudicato degno di partecipare alla selezione cittadina e perciò vidi per la prima volta Venezia, “Costruita sulle palafitte” come ci aveva insegnato la maestra.

Quanta nostalgia per la mia casa, la mia strada, il mio Paese!

C’era sempre la vecchia convinzione, che il mio piccolo mondo fosse al centro, poi capii un po’ alla volta che anche per la gente che abitava in altri paesi, in altra città, provavano la stessa sensazione.

A tutti sfugge che ci troviamo all’interno di un grandioso progetto di cui conosciamo solamente una parte minuta, pressoché insignificante, che però in qualche modo si coordina e si collega con un congegno estremamente complesso che una mente illuminata governa con grande sapienza, facendo si che ci siano risposte adeguate ai bisogni di tutti.

In questi giorni in cui i rappresentanti del mondo si sono riuniti a Copenaghen per salvare il pianeta dall’auto distruzione, comincia finalmente ad emergere e convincere il concetto della globalizzazione, ma soprattutto sta faticosamente facendosi strada che la solidarietà favorisce il funzionamento del mondo, mentre l’egoismo porta fatalmente, non al sopravento e al vantaggio di qualcuno, ma ad una forma di danno universale.

Il messaggio del Natale non è una ricetta solamente per le storie singole, ma anche per la storia universale dell’umanità.

Dio ha dato all’uomo una sovranità limitata, credo che sia così, perché se non fosse così l’uomo avrebbe già distrutto o distruggerebbe quanto prima l’intero ecosistema della vita dell’uomo sulla terra.

La testimonianza che propongo: accostarsi ai poveri, non parlarne e basta!

Don Marco, il giovane e barbuto sacerdote veneziano, che per ben 11 anni mi fu collaboratore nella parrocchia di Carpenedo, e che ora è parroco ai Tolentini, e si occupa della formazione degli universitari, mi ha chiesto di raccontare ai suoi giovani le mie esperienze caritative.

Come sempre la richiesta mi ha messo in grande imbarazzo e in grande apprensione.
So lucidamente di non essere un conferenziere né brillante e neppure modesto! Io spero, anzi ritengo di non essere uno stupido, comunque so per esperienze remote e recenti di non avere questa qualità.

D’altronde diventa veramente difficile dire di no ad un giovane prete pieno di entusiasmo che è convinto che possa fare del bene ai suoi ragazzi, sentire un vecchio prete che parla delle sue esperienze con i poveri.

Un secondo motivo che mi tratteneva era che avrei potuto dare l’impressione di uno che vuole mettere in luce le sue “prodezze”. Ho deciso comunque per il sì, accettando in partenza anche di fare una magra figura. Avrò così qualcosa da offrire al Signore!

Ricordo un prete che era stato invitato in parrocchia a tenere una conversazione che cominciò dicendo: “Normalmente quando si chiede ad un prete una cosa del genere, quasi sempre dice di no, deludendo le aspettative. Io pur riconoscendomi povero e non all’altezza di questo compito, per rompere questa brutta abitudine ho accettato ed eccomi qua!” In verità non fu per nulla brillante, ma comunque mi ha fatto bene la sua testimonianza tanto che in questa occasione mi ha spronato ad acconsentire alla richiesta di don Marco!

In questi giorni ho tentato di riordinare qualche idea ed una cosa che vorrò ribadire è che i poveri si devono frequentare direttamente.

Devi accostarti a loro, ascoltarli, vederli, sentire le loro pene. Altro è il dissertare sulla povertà e sul bisogno e altro è vedere le attese di chi non conta, di chi è impotente, di chi non ha voce in capitolo.

Se i funzionari del comune vedessero o sentissero i vecchi che chiedono un alloggio non farebbero tante difficoltà per dare una interpretazione positiva alle loro circolari e alle loro leggi, che di fronte al bisogno sono una più stupida ed iniqua dell’altra!

Se solamente passassi questa convinzione la mia conversazione sarebbe un gran successo!

La lunga odissea del Don Vecchi 4…

Spero che l’opinione pubblica della nostra città non abbia abbinato i nostri frequenti annunci di prossima apertura del cantiere del don Vecchi di Campalto, alle parole del coro di certe opere liriche in cui si ripete quasi ossessivamente “Partian, partian” ma in realtà esso rimane immobile sulla scena, incollato al pavimento del palco, nonostante le modulazioni diverse con cui motiva l’intenzione di partire.

Avevamo avuto assicurazioni incoraggianti, anzi certe, dal nostro tecnico l’architetto Giovanni Zanetti, che non solamente l’amministrazione comunale, ma anche i relativi tecnici degli uffici preposti alla concessione, erano non solamente consenzienti, ma anzi intenzionati ad adottare un percorso veloce e semplificato perchè si potesse procedere all’apertura del cantiere. Questi annunci i lettori de “L’incontro”, ma pure della stampa cittadina quale “Il Gazzettino”, “La nuova Venezia”, “Gente Veneta”, hanno potuto leggerli in primavera, prima delle ferie estive, dopo le ferie estive, all’inizio dell’autunno.

Nonostante questo, il coro sta ancora canticchiando sempre più svogliatamente “Partian, partian”

Il maestro del coro, sollecitato con sempre più impazienza e frequenza, ci offre delle spiegazioni che un comune mortale e per di più vecchio come me, non riesce proprio a comprendere.

Pare impossibile che il comune, rappresentato operativamente da un apparato burocratico elefantiaco, a dir poco, quattromila e seicento dipendenti, la più grossa ed improduttiva azienda del territorio, non riesca ad approvare in poco tempo, un progetto che gli permetta di avere a disposizione trecento alloggi per gli anziani più poveri della città.

Nonostante possa verificare che quelli esistenti, sono ambienti signorili, gestiti in maniera tale che anche chi ha la pensione minima vi può vivere senza mendicare nulla da nessuno e senza pesare sui figli!

Al tempo del don Vecchi 1° l’allora neo assessore Armando Favaretto, di fronte alle mie vivaci rimostranze mi aveva promesso che da allora in poi i cittadini del Comune di Venezia avrebbero avuto risposta ai loro progetti al massimo entro 15 giorni.
Dolce chimera!

Chiedo al sindaco Cacciari, che prima di lasciare l’amministrazione, mandi per qualche giorno in Austria tutti i funzionari dell’edilizia pubblica e privata, là mi si dice, fanno in un giorno ciò che i nostri fanno in un anno!

Questa non è una mia sparata, l’ha detto la nostra televisione di Stato un paio di settimane fa. Quello che poi non capisco è come mai Brunetta non cominci far pulizia nella sua città?

Una speranza e un altolà per il domani!

L’unica speranza perché la Fondazione, di cui sono presidente, possa avere un domani e possa, come stabilisce il suo statuto, creare a Mestre dei servizi a favore delle persone più fragili è quella che i cittadini, che non abbiano discendenti diretti, facciano testamento a favore di questa realtà, che ha come unico scopo quello di aiutare i più poveri.

L’esperienza pregressa come parroco a Carpenedo, mi ha dato ragione.
La bellissima villa ad Asolo, Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta ed altro ancora sono il risultato di questo messaggio che ho tentato di passare alla città e che i mestrini hanno recepito.

I benefici di questa seminagione non sono neppure totalmente esauriti perché una cara signora ha già donato la nuda proprietà di un grosso complesso immobiliare, che alla sua morte, passerà alla parrocchia di Carpenedo permettendogli così di realizzare altre strutture per i meno abbienti.

Un paio di anni fa, quando s’è pensato a questo vecchio prete cocciuto e testardo, per farlo presidente della Fondazione Carpinetum, non avendo essa proprietà e mezzi economici, non mi è rimasto che battere la stessa strada, forte dell’esperienza già fatta.

Certamente questa soluzione è simile al piantare un olivo, ci vogliono decenni e decenni perché quest’albero produca frutti!

Io sono ben cosciente di lavorare per chi verrà dopo di me, ad 80 anni compiuti, quali prospettive di tempo si possono avere?

In questi due anni ho seminato “in spem contra spem” pur sapendo di non essere io a raccogliere i frutti di questa proposta. Anche stamattina mi ha chiamato un signore per confidarmi che ha deciso di fare testamento a favore della Fondazione. Io ho raccolto contento per lui e per i poveri del futuro questa saggia e provvidenziale decisione.

Io dovrò arrabattarmi per il don Vecchi di Campalto, ma la confidenza ricevuta mi fa sognare che altri raccoglieranno i frutti e faranno di Mestre una città veramente solidale ripromettendomi però che se i miei successori osassero usare per scopi diversi questa fiducia e questa generosità, cosa purtroppo sempre possibile, verrò anche dall’altro mondo per tirarli per i piedi!

Quel clima di rassegnazione e resa nelle istituzioni cittadine…

Ero convinto di essermi aperto una strada con i primi tre Centri don Vecchi. Mi ero quindi illuso che quando ho chiesto la licenza edilizia per il quarto, i funzionari del Comune, mi avrebbero srotolato una corsia rossa di velluto.

Non sono in verità molti i cittadini che mettono a disposizione della collettività trecento appartamenti per anziani e scommettono di farli vivere anche con la pensione minima senza pesare sui figli e sul Comune.

Invece no, nell’Italia di “Franceschiello” c’è una tale ragnatela di leggi, ordinanze, disposizioni e quant’altro, che quando uno ci cade dentro, finisce per avvilupparsi come un ragno e perdere il senno e la vita.

Ero poi particolarmente irritato perchè il funzionario che stava mettendoci i bastoni tra le ruote, era uno dei ragazzini del Patronato di Carpenedo. In verità “aveva fatto combattere” anche da ragazzino, ma mentre la gran parte dei ragazzi crescendo “fa giudizio” in questo caso temo che egli abbia perso anche quel po’ che aveva.

Mi si suggerì di ricorrere al sindaco per non trovarmi in mezzo al guado in prossimità delle elezioni comunali.

Mi fu concessa udienza prestissimo. Ci andai con il progettista ed un membro del consiglio della Fondazione.

Venezia era appena emersa, bagnata come un anatroccolo, da un metro e trenta di acqua alta, umidità, spazzature, passerelle scompigliate!

A Ca’ Farsetti c’era consiglio comunale, un andirivieni disordinato e crocchi ad ogni angolo, uscieri poco protocollari, gli unici che si salvavano in quell’ambiente che sapeva di decadenza erano i vigili in uniforme.

Incontrai il sindaco in un salone con una tavola rotonda piena di carte in disordine, era stanco morto e parlava sottovoce. Credo che Daniele Manin il giorno della resa fosse più gagliardo, tanto mi parve stanco e sconfitto!
Fu cortese, telefonò al funzionario dicendogli di “darsi una mossa”.

Ci congedò in fretta perché doveva andare nella “fossa dei leoni” almeno così mi parve.

Certamente la forma è marginale in rapporto ai problemi, ma la Venezia di case e di uomini che ho incontrato, mi è apparsa desolata e rassegnata alla resa. Peraltro in questo paesaggio triste e melanconico, non mi pare che all’orizzonte appaia un “salvatore della Patria”. Tutt’altro!

Incontro con un San Francesco dei giorni nostri

Avevo appena terminato la messa. Ero contento perché avevo respirato, durante la celebrazione, un’aria di profonda intimità e di grande raccoglimento. Qualcuno mi ha confidato che la nuova chiesa, con le grandi capriate e tutto il soffitto in legno, gli dà l’impressione di trovarsi in una baita di montagna.

Per certi versi è vero, pare sempre di trovarsi in un luogo in cui si respira un’aria di famiglia, di intimità, motivo per cui non si fa alcuna fatica a creare comunità e a sentirsi vicini.

Comunque stavo uscendo particolarmente contento; l’incontro con Cristo, con i fratelli e con la Sacra Scrittura, aveva finalmente appagato il mio spirito, quando mi fermò un giovane distinto, dall’apparente età di 25 o 30 anni, il quale mi disse: “Vorrei, don Armando, darle un contributo per cui avrei bisogno che mi desse le coordinate della banca della sua Fondazione”.

La cosa prima di incuriosirmi, mi sorprese; normalmente sono le persone anziane che mi aiutano con offerte più o meno consistenti, i giovani o non hanno soldi oppure se li hanno pensano ad altro che alle opere di carità.

La sorpresa mi mise sull’onda della banalità spingendomi a domandargli se stava studiando. La domanda però mi aprì uno squarcio su un mondo ideale sorprendente. “Studiavo” mi disse “Poi un anno fa mi sono fermato per fare il punto sulla mia vita, per chiedermi, perché vivo?” Mi raccontò che aveva fatto, durante l’ultimo anno, varie e forti esperienze religiose, era stato perfino a Calcutta, da Madre Teresa. Ora stava frequentando dei religiosi per studiare la sua vocazione. Aggiunse “Ho capito che devo liberarmi delle cose che mi condizionano e da ciò è nato il proposito di darle del denaro”. Mentre mi parlava, d’istinto collegavo il suo volto, il suo sguardo al volto del poverello d’Assisi appeso alla parete ed illuminato dal faro nella chiesa semibuia.

Il mio animo non poté che associarlo al giovane Francesco d’Assisi e alla sua avventura evangelica.

Anche oggi, chi lo direbbe mai, c’è chi si innamora di “Madonna povertà” chi si lascia inebriare dal mondo pulito e bello della natura, chi sogna di poter salvare l’uomo dal grigiore e dalla fatuità di una vita insignificante.

Questa è per me una giornata veramente fortunata. La copia del Francesco di Cimabue da ieri è viva e si confonde col volto del ragazzo che ho incontrato uscendo di chiesa.

Sta terminando il 2009 se non avessi incontrato altro, questo incontro qualificherebbe positivamente l’intero anno trascorso!

Lentezze burocratiche insostenibili

Quindici anni fa ero più giovane e più battagliero, ad 80 anni molte armi risultano logore e spuntate.

A quel tempo non riuscendo ad ottenere la licenza edilizia per il progetto di una “residenza collettiva protetta per anziani autosufficienti” , chiesi ad una impiegata comunale gli indirizzi dei 60 consiglieri dei vari schieramenti politici ed ogni settimana per due mesi spedii “Lettera aperta” il settimanale della mia parrocchia d’allora, che riportava ad ogni numero un attacco all’inerzia e alla insensibilità sociale del Comune nei riguardi degli anziani della città.

Quando poi mi capitava di “sparare” mediante “Il Gazzettino” o “Gente Veneta” lo facevo con ebbrezza.

Resistettero neanche per due mesi poi finirono per capitolare!
Era inevitabile che avvenisse!

Ricordo che l’allora assessore all’edilizia mi garantì che tra la domanda e la risposta sarebbero passati al massimo 15 giorni.

Poi suddetto assessore scomparve, suppongo con il naufragio della democrazia cristiana, ma le cose non sono per nulla mutate anzi peggiorate!

Abbiamo un Comune di sinistra, che dovrebbe essere particolarmente sensibile ai problemi dei poveri, dispone di 4600 dipendenti, la più grande e la più improduttiva azienda della città, abbiamo il ministro Brunetta, che pur militando dalla parte opposta, ha fatto motivo della sua vita smascherare i fannulloni però niente si muove.

Un tempo l’amministrazione comunale e gli enti pubblici erano forse scettici sulla formula che proponevamo, ora siamo diventati un “fiore all’occhiello!” La facoltà di Economia e Commercio ha commissionato una tesi di laurea su “I centri residenziali per anziani don Vecchi” una soluzione innovativa nei servizi per “le nuove povertà”.

La Regione l’altro ieri ci ha mandato una commissione di un grosso comune che ha in animo di realizzare qualcosa di simile, per visionare “un prototipo all’avanguardia” e sta iniziando ad inquadrare a livello legislativo gli alloggi protetti. Nonostante questo la nostra burocrazia comunale continua a mettere bastoni tra le ruote e a pretendere “percorsi di guerra” impossibili. La gente dice che io sono “battagliero” ora non bastano più le parole credo che si debba auspicare ben altro!

Anche questo è egoismo!

In occasione del convegno della Fao tenutosi a Roma e soprattutto dell’intervento del Sommo Pontefice, con cui ha condannato lo sperpero e l’egoismo come due delle principali cause della fame nel mondo, una rete televisiva mi ha chiesto un’intervista domandando un mio commento sull’intervento del Pontefice.

La ripresa televisiva durò due o tre minuti e ciò che è andato in onda meno che un minuto.

Nel mondo delle immagini c’è poco spazio per i ragionamenti, sono i volti, le persone che diventano esse stesse messaggio se nella loro vita si spendono per una qualche causa.

Mi trovavo perfettamente d’accordo col Papa, non tanto perché Egli è il maestro della fede e della morale per i cristiani, ma perché condivido fino in fondo la sua analisi sui motivi che determinano la fame nel nostro mondo. Però per non annegarmi nel mare magnum delle questioni mondiali, la mia puntualizzazione si fermò a livello cittadino.

A Mestre negli ultimi 40 anni sono stati aperti una serie di ipermercati, che hanno letteralmente strangolato i piccoli commercianti, facendoli chiudere mediante una concorrenza spietata che essi non potevano reggere. Poi, conquistato il mercato, stanno facendo il bello e il cattivo tempo. Fino un paio di anni fa buttavano in discarica i generi alimentari non più commerciabili, poi hanno scoperto che facendo sconti potevano lucrare anche da questa merce che i cittadini più intelligenti e più poveri sono costretti ad acquistare. Pur sapendo che ricavano enormi utili da questo bacino di utenza, neanche si sognano di donare “gli avanzi” ai poveri, ma vogliono lucrare anche dagli avanzi!

Se questo non è egoismo della marca più raffinata non saprei proprio dove cercare l’egoismo?

Il guaio poi è che ormai si è costituito praticamente un cartello per cui non è neppur possibile proporre forme di boicottaggio. Comunque sono certo che la “farina del diavolo” rimarrà prima o poi nel gozzo di questa gente doppiamente asociale perché di certo essa spendacchia in maniera egoistica il frutto della loro “rapina” non conoscendo però la sentenza evangelica “stolto, stanotte morrai!”

La mia formula

La redazione augura un sereno Capodanno ai lettori sperando che nessuno si faccia male per festeggiare il 2010!

Un tempo un vecchio parroco, sornione ma arguto quanto mai, disse che io avevo trovato “la gallina dalle uova d’oro” alludendo alla parrocchia, rifiutata un tempo da altri assegnatari, che mi era stata offerta 40 anni fa.

La nomea di aver incontrato comunità ricche economicamente mi ha accompagnato per tutta la vita.

Perfino mio fratello, don Roberto, che mi vuol bene e credo che mi stimi, un giorno facendo il confronto, a livello economico, tra la mia parrocchia e la sua, uscì con un paragone da par suo. Disse che come si trovano docce in cui l’acqua fluisce abbondantemente da tutti i fori, ci sono altre docce più povere d’acqua perchè molti dei forellini sono otturati.

Traducendo l’immagine egli voleva significare che a Carpenedo piovevano dollari, o oggi meglio ancora euro, moneta più apprezzata, mentre a Chirignago si poteva solo sopravvivere a causa dei fori otturati.

Penso che questa fama persista anche se ora ho come unico reddito la pensione del clero, mentre altri beneficiano di pensioni scolastiche o di altro genere di certo più remunerative della mia.

A dire la verità più di una volta ho tentato di insegnare la formula “magica” ai miei confratelli vicini o lontani che lamentavano scarsità di risorse economiche. Forse essa è sembrata troppo semplice come quella del profeta Eliseo quando suggerì a Naon il siro, per guarire dalla lebbra. Taluno pensa che il benessere economico sia imputabile alla fortuna, alle condizioni economiche dei parrocchiani o a qualche stratagemma particolare, mentre le cose stanno ben diversamente.

Ecco il segreto per riuscire: 1) lavorare seriamente da mane a sera e anche dopo sera; 2) vivere in maniera parsimoniosa, rinunciando a viaggi e vacanze esotiche; 3) essere coerenti con ciò che si predica; 4) occuparci prima del prossimo che della canonica, della chiesa e dei suoi arredi, perché la gente riconosce Cristo più nei poveri che nei riti; 5) uscire sempre allo scoperto e servire prima la verità che qualsiasi personaggio pubblico o ecclesiastico; 6) non avere ambizione alcuna di carriera.

Non ho mai tentato di brevettare questa formula pur essendo certo della sua validità, perché vedo che anche al don Vecchi funziona bene come a San Lorenzo e a Carpenedo.

Quindi la cedo gratuitamente a tutti coloro che ne sono interessati!

Il valore perduto dell’apprendistato

Un tempo c’era una massima che circolava tra gli artigiani, ed io appartengo e provengo da questa povera ma bella ed interessante categoria: “Il garzone o l’apprendista bravo ruba con gli occhi il mestiere”

Mio padre, che gestiva una piccola bottega di falegname, mi raccontava che quando, “andava a mestiere”, l’apprendistato un tempo era in auge ora è ormai scomparso, cercava di imparare il mestiere pur essendo incaricato di scaldare la colla, di raddrizzare i chiodi vecchi per poterli riadoperare e scopare la bottega dai trucioli, spiava le soluzioni del capomastro, tanto che pur molto giovane riusciva a risolvere i problemi che anche colleghi più anziani non riuscivano ad affrontare.

Questa riuscita gli veniva dal suo impegno a “rubare” il mestiere al falegname esperto suo maestro d’arte.

Oggi è sparito l’apprendistato perché i giovani “nascono” o pretendono d’essere nati già “imparati”.

Io, alla mia veneranda età, dovrei essere un esperto del mestiere del prete, dopo 55 anni di attività sacerdotale. Talvolta sono stato tentato, avendo ottenuto qualche risultato positivo, di passare le esperienze al giovane clero che mi stava accanto, ma non solamente nessuno mi ha chiesto un qualsiasi consiglio, ma anzi c’è stato perfino chi si è premurato di dirmi che ho sbagliato tutto, che il mio efficentismo non aveva spazio nella chiesa attuale, giungendo perfino a raccomandarmi che avrei dovuto smobilitare tutto l’apparato della mia comunità per standardizzare la parrocchia al modello di inedia e di miseria dominante (queste ultime note ben s’intende sono esclusivamente un mio parere).

Ricordo un progetto, poi mai realizzato, del vecchio Patriarca Luciani, che sperava di imbastire tre o quattro parrocchie efficienti e vitali perchè il giovane clero facesse in esse delle belle esperienze iniziali in maniera tale da impiantarle poi nelle comunità future alle quali sarebbe stato destinato.
Il Papa Luciani poi è morto portando nella tomba il suo progetto.

Spero che ci siano ancora preti coraggiosi e liberi che rimangono tali pur senza seguaci, almeno immediati!

Però penso che la moda, in mondo globalizzato, investe tutti, senza eccezione alcuna.

Il messaggio di Gesù all’uomo: volersi bene e aiutarsi!

Una cara e graziosa signora di Mirano, all’apparenza elegante e preoccupata di dare una bella immagine di sé, ma in realtà determinata e volitiva, mi ha “costretto” a partecipare, come relatore, ad un dibattito sul volontariato, che ella ha organizzato per il suo grosso paese.

Questa signora presiede ad un gruppo di una sessantina di volontari che prestano servizio nell’ospedale di Mirano e spera con l’iniziativa di sensibilizzare la cittadinanza e di allargare il numero di aderenti.

Confesso che la cosa mi è costata molto, sono cosciente di non aver i requisiti del conferenziere, sciolto e convincente. Però la bontà della causa, la decisione della richiedente, il suo pagare in prima persona con un servizio quotidiano tra le corsie e soprattutto il fatto di aver un partner come il dottor Bettin, brillante parlatore ed amico cordialissimo, mi hanno convinto che era comunque doveroso accettare anche a prezzo di fare una magra figura.

Analizzando poi più a fondo la mia coscienza, mi è parso di aver scoperto una motivazione forte e forse decisiva.

Ho nell’animo da sempre la convinzione che la solidarietà, di cui il volontariato è una delle espressioni più autentiche ed immediate, sia una componente essenziale del messaggio di Gesù, ma che invece col tempo la tendenza al quieto vivere e la comoda alternativa del rito abbia fatto slittare la virtù concreta della carità ad una posizione marginale, quasi fosse un optional della vita cristiana.

Pur essendoci nella storia della chiesa remota, recente ed attuale delle splendide figure di testimoni della carità e delle iniziative derivanti da questa prassi, spesso le comunità cristiane hanno ridotto a cenerentola l’impegno gratuito verso il prossimo più bisognoso ed indifeso, e specie oggi che lo stato sociale ha di molto sviluppato il suo impegno per gli ultimi, i cristiani sono tentati di lavarsi le mani e di delegare ad altri il compito della solidarietà, compito che a mio modesto parere, nessuna elaborazione tecnologica e nessuna tradizione può giustificare.

Ad essere onesto so che volevo dire, convinto che un cristianesimo fatto da pie pratiche, da riti più o meno solenni, o da una religiosità intimistica non ha nulla a che fare col pensiero di Cristo.
Gesù è venuto per dirci che ci vogliamo bene, che ci aiutiamo a vicenda, perché tutti possano vivere una vita migliore e più degna.

Una religiosità da cui prender esempio

Da qualche tempo presta servizio presso l’associazione di volontariato “Carpenedo solidale” un signore che pensavo arabo o musulmano.

Sono ormai più di uno gli stranieri dell’Est Europa, dell’Africa settentrionale e del Centro America che si sono uniti nell’opera di solidarietà dei nostri volontari nelle varie associazioni che operano al don Vecchi.

Spinto dalla curiosità, chiesi a questo brav’uomo se fosse musulmano, infatti sono la maggioranza i seguaci di Maometto che frequentano i nostri magazzini, e con mia sorpresa mi rispose: “Sono iraniano!” e vedendo la sua disponibilità al dialogo, soggiunsi: “E’ Maomettano?” – “No” rispose “Sono semplicemente un credente, la mia religione non ha un nome, crediamo semplicemente in Dio”.

Il colloquio finì li, ma io continuai ad osservare il comportamento particolarmente dolce, disponibile, cortese e buono di questo straniero sempre pronto a sobbarcarsi ogni fatica.

Qualche giorno fa, facendo particolarmente freddo, chiese di acquistare un giaccone, indumenti del genere ne abbiano a vagoni!

Il dirigente dell’associazione intese donargli l’indumento, ma lui insisteva, a tutti i costi, a pagare, il seppur prezzo esiguo, ma questo responsabile cosciente di aver donato a più di un volontario indumenti del genere, rifiutò decisamente l’offerta.

Qualche momento dopo il volontario persiano, consegnò l’offerta alla suora dicendole: “La mia religione mi proibisce di ricevere un dono per un’opera che ho scelto di fare da volontario”.

Quando suor Teresa mi raccontò, ammirata, l’episodio, mi venne da confrontarlo all’operato di un volontario cristiano che porta a casa quanto può arraffare e che all’osservazione di un collega che gli faceva notare quanto questo fosse disdicevole, rispose: “Ma che volontariato è se non mi torna qualche vantaggio?”

D’ora in poi farò più fatica a pensare che i cristiani abbiano, come credevo, una corsia preferenziale per entrare in Paradiso!”

In equilibrio sul presente

Da qualche tempo a questa parte sto conficcandomi nella coscienza, con ripetuti forti colpi di martello questa verità: devo impegnarmi comunque per il presente anche se le previsioni per il futuro di certe mie imprese non sono rosee, date certe esperienze che ho già fatto. A proposito di questa scelta mi sono messo via un trafiletto del grande teologo ma soprattutto del grande testimone cristiano che fu il pastore Dietrich Bonhoeffer fatto impiccare dai nazisti pochi giorni prima della capitolazione del Reich.
“Il presente è l’ora, gravida di responsabilità di Dio con noi, ogni presente; oggi e domani, il presente in tutta la sua realtà e multiformità; in tutta la storia del mondo esiste solo e sempre un’ora realmente importante: il presente, chi fugge dal presente fugge le ore di Dio, chi fugge dal tempo, fugge da Dio. Servite il tempo. Il signore del tempo è Dio”

Ho fatto il proposito di leggermi di frequente queste parole vere, profonde e sagge di questo uomo di Dio.

Sto raccogliendo quadri e mobili per il futuro don Vecchi 4, sto impegnandomi per rendere sempre più accoglienti e signorili gli ambienti ove vivono come fossero in un grand’hotel gli attuali 300 anziani più poveri della nostra città. Ma ho un tarlo che mi rode la coscienza, che non mi lascia mai in pace facendomi presente in ogni momento: “Hai ottant’anni come puoi sperare che la tua impostazione, che non interessa a nessuno dei tuoi colleghi, possa reggere? che né è stato di tutto quello che ti sei impegnato precedentemente? non ti accorgi che stai camminando controcorrente? che c’è una mentalità nuova, che il tuo piccolo mondo sta ormai scomparendo?”

Bonhoeffer quando scrisse queste cose sull’impegno da svolgersi nel presente, aveva già il cappio del boia al collo, eppure anche negli ultimi istanti diede il meglio di se!

Perché io dovrei fare diversamente? Voglio impegnarmi come se dovessi vivere ancora mille anni!

Un educatore alla solidarietà fallito

Io sono vissuto con gli scout e per gli scout almeno una trentina di anni.

Pur svolgendo il servizio di assistente ecclesiastico mi “hanno costretto” a partecipare ad un campo scuola per avere la qualifica di capo e prima ancora mi hanno chiesto di fare la “promessa scout”.

Comunque quella degli scout è stata una delle mie più belle esperienze nel campo giovanile come educatore; il metodo è certamente valido ed ha ancora presa sull’animo dei ragazzi.

Una delle mete che gli scout passano a chi aderisce al movimento, è certamente quella “di lasciare il mondo un po’ più bello e più buono di quello che hanno trovato”.

Io, onestamente ci ho provato! Non so però se ci sono riuscito almeno in minima parte! Questo m’addolora alquanto e soprattutto non so a che o a chi imputare questo probabile insuccesso.

Di natura sono uno stacanovista e perciò credo proprio che la causa non sia uno scarso impegno!

Ho fatto queste considerazioni proprio in questi giorni. Al don Vecchi capita che, essendo tutti vecchi, qualcuno sia costretto a causa dei propri acciacchi ad andare, pur a malincuore, in casa di riposo, qualche altro invece è costretto, suo malgrado, a trasferirsi in Cielo, ma che ci sia uno fra i tanti che lasci le sue poche cose all’organizzazione che l’ha salvato dalla solitudine, dalla miseria e da mille altre preoccupazioni, non c’è verso di trovarlo!

La quasi totalità approfitta volentieri del trattamento di favore, dei vestiti a prezzi simbolici, dei generi alimentari donati, della frutta e verdura distribuiti gratuitamente, ma è ben raro, se non rarissimo, che si trovi qualcuno che si ponga la domanda: “Hanno aiutato me, senza che io potessi accampare alcuno diritto, quindi anch’io voglio aiutare altri che si trovano nella triste situazione in cui mi trovavo!” tutti sono pronti a beneficiare di ogni provvidenza, come fosse un diritto sancito da non so quale legge, ma ben pochi pare che comprendano la lezione che ogni giorno è loro proposta, e da noi non si tratta di chiacchiere ma di fatti.

Non so quindi se sia neppure più vero l’antico detto: “Le parole volano, mentre gli esempi trascinano”
Ma chi e dove trascinano?

Come educatore alla solidarietà, debbo ammetterlo, sono fallito! Peccato!

Sarebbe così importante far crescere la solidarietà nel nostro mondo!