Un discorso senza parole

Le mie principali occupazioni sono la celebrazione della liturgia nella mia cara ed accogliente “cattedrale tra i cipressi”, il colloquio con i fratelli colpiti dal dolore per la perdita di un loro caro congiunto e la frequentazione pluridecennale del Camposanto della nostra città.

Ora normalmente entro in cimitero più volte al giorno passando per il grande cancello e attraverso il piazzale degli uffici ma non passa giorno che non imbocchi anche l’entrata storica che dal cancello in ferro battuto porta alla “Cappella della Santa Croce”. A metà strada tra il cancello e la cappella due angeli di bronzo, dalla tomba di don Vecchi ormai da più di vent’anni, annunciano ai passanti la splendida verità: “È risorto, non è più, lo puoi incontrare domani più avanti”. Non passa giorno quindi che non mi soffermi per qualche minuto a guardare l’immagine un po’ sbiadita ma ancora bella di Monsignore, a leggere le due date, quella dell’inizio e quella della fine della sua vita terrena, confrontandole con la mia realtà e a meditare per poi concludere l’incontro con il vecchio maestro con una preghiera.

Durante queste mie soste di riflessione non so più quante volte mi sono ritrovato a pormi le stesse domande: “Chi ricorda ancora la rivoluzione pastorale del delegato patriarcale per la terra ferma? Chi ricorda ancora il suo progetto e le sue opere di pietra e di riorganizzazione della vita ecclesiale? Chi ricorda che Monsignore ha costruito Cà Letizia, Villa Giovanna, il Palazzo delle Comunità, la grande struttura di fronte alla canonica, l’Agorà, il cinema Mignon, il rifugio San Lorenzo? Chi ricorda il progetto per una pastorale globale per Mestre, il centro culturale del Laurentianum, l’opera per i poveri, il segretariato della gioventù, la rivista e il settimanale “La Borromea”? Forse don Franco ed io siamo rimasti gli unici testimoni della grande rivoluzione di Monsignore. Morti noi due tutto sembrerà scontato e normale!

Queste riflessioni mi aiutano a capire che anche per me sarà la stessa cosa e a concludere che l’importante però è rimanere fedeli alla propria coscienza e servire la comunità cristiana senza aspettarsi nulla!

Una scelta sbagliata

L’altra sera, durante il telegiornale, la conduttrice ha letto una laconica notizia: “Civati lascia il P.D.”. Il deputato monzese è uno dei politici di spicco della minoranza o, sarebbe meglio definire, della “fronda” del partito democratico che non condivide le scelte del segretario Matteo Renzi. Premetto che io non condivido per nulla la condotta della sinistra di questo partito, reputo che la sua opposizione sia pretestuosa e preconcetta perché anche se Renzi oggi li accontentasse domani troverebbero altri pretesti per opporsi. Quasi certamente questa opposizione così accanita, tanto da arrivare perfino alla rottura e all’uscita dai ranghi, penso sia dovuta non a motivi ideali ma a “interessi di bottega”! Comunque ammiro, anche se non condivido, la scelta di Civati che abbandona.

Questo episodio abbastanza marginale nella vita del nostro Paese mi offre l’opportunità di ribadire un concetto espresso da Gandhi che ben si adatta a questo tipo di comportamenti. Uscire, sbattendo la porta, credo sia sempre svantaggioso per la causa che si crede giusto portare avanti. Uscendo da una compagine affermata si diventa un nulla ma soprattutto si priva l’organismo in cui si milita di quella dialettica interna che arricchisce sia chi la porta avanti sia chi la subisce. Il confronto, anche polemico, ma soprattutto il dialogo costruttivo fa crescere e fa emergere sempre la linea vincente.

Questo vale nella politica ma anche nella religione. Se torno indietro nel tempo, agli anni del modernismo, i pur validi sacerdoti quali Don Murri o Don Bonaiuti, che hanno rotto con la Chiesa, sono scomparsi e anche più recentemente, al tempo della contestazione del sessantotto, della purtroppo folta schiera di sacerdoti che per dissenso hanno abbandonato, non è rimasto nulla.

Credo sia una scelta saggia e produttiva impegnarsi e perfino contrapporsi rimanendo però all’interno della struttura in cui si milita. Don Mazzolari ebbe come motto “liberi e fedeli” ed ora, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto superare per l’ostilità patita nella Chiesa, pare si ventili la possibilità di introdurre la causa per la sua beatificazione. Da questa convinzione nasce la linea editoriale de L’Incontro.

La bella “ministra”!

Qualche sera fa, come ho già scritto, mi sono preso il lusso di vedere alla televisione il grande e bel concerto che si è tenuto, alla vigilia dell’apertura dell’Expo internazionale, in piazza del Duomo a Milano alla presenza di ventimila spettatori.

L’annunciatore, durante una pausa per la pubblicità, ha informato che dopo lo spettacolo sarebbe andata in onda, sullo stesso canale, la rubrica “Porta a Porta”. È da tantissimo tempo che non vedo questa rubrica perché, alzandomi alle cinque del mattino, vado a letto verso le dieci e mezza, mentre il programma condotto da Bruno Vespa viene trasmesso in tarda serata. Il concerto mi ha tenuto sveglio oltre “l’ora canonica” del sonno e perciò ho ceduto alla tentazione di vedere e sentire anche quello che sarebbe avvenuto nel “salotto” di Vespa.

Praticamente la trasmissione è consistita in un fitto dialogo tra Vespa e la “Ministra” per le Riforme, una bella e giovane signora che ho visto altre volte alla televisione ma della quale non conosco il nome. Io, come credo molti della mia età, provengo da una educazione maschilista e, pur essendomi “convertito” alla “parità dei generi”, conservo nel mio modo di pensare ancora un po’ del “peccato originale” di un tempo, motivo per cui sono portato istintivamente a pensare che le belle donne siano un po’ frivole, inconsistenti, preoccupate di apparire più vezzose che razionali!

La trasmissione televisiva ha confutato in maniera assoluta questa mia prevenzione. Non so come la pensi Vespa da un punto di vista politico ma il fatto che la stuzzicasse con domande imbarazzanti mi ha fatto pensare che non condividesse le scelte di questa signora e del governo di cui fa parte. Sono stato ammirato ed entusiasta per la lucidità dei ragionamenti, le motivazioni sempre convincenti, espresse in modo garbato e gentile ma deciso, senza sorrisetti da femmina leggera e senza dar spazio ad ambiguità o a cedimenti per convenienza. L’argomento verteva sull’Italicum e sui voti di fiducia, ne sono uscito con la convinzione assoluta che Renzi e la sua bella squadra hanno assolutamente ragione nel tentare finalmente di voltar pagina prendendo le distanze da una politica di corto respiro, partigiana, senza entusiasmo e senza sogni e ideali!

La samaritana

Quando, fino a ieri, sentivo pronunciare il termine: “samaritana”, da vecchio prete, che mille volte ha dovuto con fatica commentare l’episodio del Vangelo nel quale una donna di Samaria si incontra con Gesù presso il pozzo di Giacobbe, d’istinto mi veniva di pensare a quella donna di facili costumi che ha intessuto un colloquio con Gesù. D’ora in poi però, quando sentirò la parola “samaritana”, mi si affaccerà alla memoria un’altra donna, una donna che i mass-media hanno definito “samaritana” perché è stata la prima ad aver donato un rene ad un ammalato, in attesa di un trapianto, che lei non aveva mai conosciuto e che non conoscerà mai. Questa meravigliosa notizia ha tenuto banco per un paio di giorni ma purtroppo non come avrebbe meritato: ignorata dalle prime pagine dei più importanti quotidiani per poi scomparire nel nulla come se nel nostro mondo ci fossero notizie più belle da diffondere. Nel frattempo i media hanno continuato a fornirci dettagli sulle squallide beghe della politica, sulle ruberie e su tutto il marciume di mezzo mondo.

Ritengo che almeno “L’Incontro” debba fare da cassa di risonanza ad un gesto così nobile e generoso. È vero che nel mondo c’è tantissimo male ma fortunatamente sono convinto che il bene sia molto di più; il guaio è che mentre i mass-media fanno a gara per essere i primi a diffondere notizie sui fatti di cronaca nera quasi nessuno è seriamente impegnato a informare sul volto bello della vita. Privarsi di un rene, ed io so bene cosa voglia dire averne uno solo perché uno mi è stato asportato a causa di un tumore, è un atto a dir poco eroico! La nuova “samaritana” ha offerto non solo un rene ad un ammalato ma ha mostrato a tutti noi il volto di Gesù Risorto!

Renzi

Ascoltando gli interventi di Renzi, che non cessa mai di sorprendermi positivamente per l’entusiasmo, la vivacità dell’eloquio e le sue battute d’effetto ricche d’immaginazione mi viene da domandarmi in quale branca dell’Agesci abbia militato. Spesso mi vien da pensare che probabilmente da giovane sia stato il capo “branco” ossia il responsabile del “gruppo” dei lupetti, i ragazzi più giovani dell’associazione scout.

Io ho fatto l’assistente degli scout per quasi una trentina di anni e conosco bene il metodo e la vita scout. Il testo base di chi educa i ragazzini più piccoli, i lupetti, è “il libro della giungla” di Kipling, il libro in cui le qualità più nobili sono rappresentate dagli animali della foresta e confesso che quando il capo “Akela” raccontava suddetto libro i ragazzi erano letteralmente entusiasti, non battevano ciglio, ascoltavano a bocca aperta il loro capo che parlava della vita trasmettendo messaggi e valori positivi mediante le storie della vita nella foresta.

Ebbene oggi, quando mi capita di ascoltare Renzi nei suoi interventi, rimango affascinato come i miei “lupetti” di un tempo. Qualche giorno fa, a proposito dell’Italicum, sbottò: “Ragazzi non stiamo giocando a Monopoli dove ti fanno tornare indietro in caselle pregresse!” e successivamente ad Obama: “L’Italia non è più la bella addormentata nel bosco!”. A me Renzi piace per il suo coraggio, per la determinazione e per il suo fare spigliato e disinvolto, per il suo amore verso l’Italia. Mi pare che con la sua squadra di belle ragazze, di giovanotti e di uomini abbia finalmente portato la primavera in Parlamento anche se in esso vi sono ancora le ortiche alla Bindi, i cardi alla D’Alema o alla Fassina e i rovi alla Bersani. A me Renzi piace davvero e mi chiedo: “Ma coloro a cui non piace forse gli preferirebbero Vendola, Grillo, Berlusconi o Salvini?

I barboni in Vaticano

Papa Francesco non molla! Ormai sono di dominio pubblico le sue scelte personali legate ad uno stile di vita sobria, coerente, evangelica che si rifà al modo di vivere e di comportarsi della povera gente.

Il concetto del “Papa re”, che era già stato intaccato dai suoi immediati predecessori, Papa Francesco lo ha letteralmente distrutto. Il mondo intero sa che si porta la borsa, usa l’utilitaria, vive in un appartamento normale a Santa Marta, usa l’autobus per spostarsi, in chiesa si siede nei banchi con tutti gli altri, si mette in fila per ritirare il vassoio alla tavola calda, adopera vesti sacre normali ed evita ogni pomposità.

Coerente con tutto questo invita gli ordini religiosi ad aprire conventi, monasteri e strutture, che sono ormai vuote, per ospitare i senza tetto e gli immigrati dell’Africa, bacchetta spesso i vescovi dagli atteggiamenti troppo principeschi, invita i preti ad usare l’utilitaria, i cristiani a frequentare le periferie, suore e frati a fare la scelta dei poveri e a condividere la loro vita. Pare che oggi abbia iniziato la terza fase della sua “rivoluzione” per rendere la Chiesa più solidale con i poveri aprendo lo stesso Vaticano all’accoglienza degli ultimi.

Ben si intende le sue sono scelte poco più che simboliche ma comunque tese allo stesso scopo, quello di dire al mondo intero che la Chiesa vuole diventare la casa dei poveri. Mi ha colpito la decisione del Papa di creare presso gli edifici adiacenti al Colonnato, cuore di Roma e della cristianità, bagni, docce e barbiere per i barboni, arrivando perfino ad invitarli a visitare i musei vaticani, non dimenticando però che essi avrebbero si gradito un invito tanto onorifico, ma forse ancor di più avrebbero gradito il rinfresco al termine della visita. Mi pare poi che non possiamo dimenticare le telefonate del Papa a persone in difficoltà, le offerte personali e la nomina di un vescovo incaricato di fare la carità a nome suo.

Papa Francesco è buono, caro, umile ma deciso e determinato a realizzare il suo progetto. Ora, cardinali, vescovi, monsignori, preti, frati, monache e cristiani normali non hanno che imboccare la strada indicata. Non ci sono più scuse per nessuno!

I nuovi “residenti” nella Cattedrale tra i cipressi

Nella mia cattedrale tra i cipressi abita, fin dall’inaugurazione, Gesù di Nazareth, il quale ogni giorno riceve un buon numero di “amici” e alla domenica una vera folla di ammiratori e di postulanti. Maria, la Madre di Gesù, ha preso invece fissa dimora in un luogo un po’ discreto ed appartato all’ingresso della chiesa per offrire consolazione a chi soffre per lutti lontani o recenti.

Ho poi invitato altri “buoni cristiani” perché aiutassero e accompagnassero i fedeli all’incontro con il divino Maestro. Ho cominciato con l’invitare Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta e Sant’Antonio che hanno accettato “alloggio” sulla parte destra della chiesa; sulla parte sinistra invece ho collocato Papa Giovanni, Papa Woytila, Papa Luciani e San Francesco d’Assisi. In questi ultimi mesi, nei quali la Chiesa ha portato agli onori degli altari Papa Paolo VI, un Papa che ammiro e amo quanto mai per come ha servito, in tempi difficili, la Chiesa e l’umanità, mi sarebbe sembrato di fargli un grande torto se non avessi invitato pure lui completando così quella meravigliosa schiera di Papi che il Signore ci ha donato negli ultimi tempi. Papa Paolo VI ha portato “le chiavi pesanti” del tempo del dopo Concilio.

La Chiesa, con questa grande assise, aveva dato la stura alle grandi attese del mondo cattolico, cosicché il post Concilio è stato un tempo assai irrequieto e Papa Paolo, con grande sofferenza, amore ed intelligenza, ha avuto il compito ingrato e difficile di ricomporre in unità queste tensioni perché dessero un volto aggiornato ma armonioso e composto alla comunità cristiana.

Mi restava un ultimo “alloggio” ancora libero e dopo averci pensato tanto, mi è parso giusto assegnarlo a Santa Rita da Cascia che è passata alla storia come la “Santa degli Impossibili”.

Per far sì che gli uomini del nostro tempo trovassero serenità e facessero chiarezza nelle loro coscienze tanto irrequiete mi è parso ci volesse una Santa che avesse queste risorse. A Santa Rita ho però detto con chiarezza che le ho sì offerto un alloggio ma che mi aspetto anche che aiuti tutti coloro che si rivolgeranno a lei per chiedere aiuto, anche quando le loro richieste saranno davvero difficili.

I “militi ignoti” dei Centri don Vecchi

Fortunato me che molto spesso ricevo complimenti ed elogi ammirati per le strutture che col tempo “sono” riuscito a realizzare per gli anziani di modeste condizioni economiche. Sempre e ripeto sempre, quando mi capita di sentire queste attestazioni di simpatia e di ammirazione le dedico a quel piccolo mondo di persone che hanno abbracciato la mia proposta e che con il loro impegno, la loro generosità e spirito di sacrificio le hanno dato volto e tutt’ora la mantengono in vita. Ogni volta che ho avuto l’occasione di prendere la parola ho ricordato che la vera protagonista è stata la città e in particolare la mia cara comunità parrocchiale e più ancora quella pattuglia di collaboratori con i quali ho condiviso la mia avventura solidale. Moltissimi anni fa lessi una frase di una bella commedia di Bertolt Brecht in cui, commentando un passo del “De bello gallico” in cui si afferma che Cesare conquistò la Gallia, questo autore, un po’ sarcastico, si domanda: “Ma Cesare non aveva con sé neppure uno scudiero, uno stalliere o semplicemente un cuoco?” affermando così che ogni impresa non è mai attribuibile ad un solo uomo ma ad una comunità che condivide il suo ideale e il suo impegno.

Ho scritto che Rolando e Graziella Candiani lasciano dopo vent’anni di dedizione assoluta nei riguardi dei Centri Don Vecchi. Senza i loro cuori, la loro intelligenza e il loro impegno questi Centri non avrebbero di certo il volto che hanno! Il Centro Don Vecchi di Marghera non sarebbe così elegante e funzionale senza l’anima e il cuore di Teresa e Luciano. Il Centro di Campalto poggia poi sulla saggezza e sulla generosità del vecchio Lino e sull’intraprendenza del giovane Stefano mentre agli Arzeroni, si sperava di aver trovato una soluzione valida, ma poi è improvvisamente sfumata, quindi rimane ancora un problema aperto per il nuovo Centro! Infine Rosanna e Gianni stanno iniziando la loro avventura per ringiovanire e mantenere vitali tutte le nostre strutture. Oggi sento il bisogno di additare all’ammirazione e alla riconoscenza della città questi “Militi Ignoti del Bene” e i tanti altri ignoti senza i quali Mestre non avrebbe questo bel fiore all’occhiello rappresentato dai Centri Don Vecchi.

Il nuovo sindaco

Ho già scritto del mio auspicio nei riguardi del nuovo sindaco di Venezia. Speravo che una volta tanto i soliti politici “guastafeste e combina guai” avessero, come si usa dire oggi, “fatto un passo indietro” e si fossero messi da parte permettendo ad una nuova categoria di cittadini di tentare di colmare la voragine di debiti che essi avevano fatto rimettendo di nuovo in piedi il nostro disastrato comune. A questo scopo pensavo che il tipo di candidato sindaco più adatto a raggiungere l’obiettivo fosse un bravo imprenditore onesto e con un’azienda efficiente che, per amore della propria città, sacrificasse cinque anni della sua vita per questa opera di carità così nobile e necessaria ma con il timore però di ripetere la medesima esperienza narrata nella parabola della Bibbia, che racconta come andarono le cose quando gli alberi vollero trovarsi un re. Chiesero alla vite, ma questa si rifiutò dicendo che “non se la sentiva di privare gli uomini del suo vino che rallegra i loro cuori!”; si rivolsero quindi all’ulivo ma anche lui non si rese disponibile perché la gente aveva bisogno del suo olio per vivere” e così via. Non trovando nessun altro candidato malauguratamente accettarono l’offerta del rovo che li ridusse in miseria costringendoli a vivere una vita grama. Temendo che avvenisse così anche per il Comune di Venezia, pensavo di chiedere al Patriarca che, con tanto di croce astile, seguito dai sacerdoti e dal popolo, si recasse in processione per chiedere questa grazia a qualcuno che non fosse il “rovo” di sempre! Pare che il Signore mi abbia ascoltato e il Brugnaro, dei trionfi della Reyer e del tentativo di bonificare l’isola di Poveglia, ha fatto la scelta generosa di salvare Venezia. Sennonché anche un magistrato mentore della giustizia, uomo di legge, strenuo combattente contro le mafie e la corruzione, di nome Felice Casson, ha avvertito il dovere di offrire il proprio talento professionale perché a Venezia cessi di regnare il malaffare, il sopruso, la prepotenza, l’arrivismo e tutti i malanni del genere. Questo evento mi ha fatto cambiare i sogni, gli auspici e la mia preghiera oggi è questa: “Signore, fa che si mettano d’accordo” perché questi due “consoli” tanto diversi offrano ognuno le proprie risorse e assieme salvino Venezia! Mi auguro tanto che il Signore ma, soprattutto Casson e Brugnaro, finalmente l’accolgano!

Il tempo passa per tutti

Vent’anni fa iniziò l’avventura dei Centri Don Vecchi. Le cose ci sono andate molto bene sia perché il progetto si è rivelato valido ed innovativo, sia perché eravamo spinti da motivazioni esclusivamente di carattere ideale in quanto, sia io sia tutti coloro che mi hanno aiutato, eravamo persone disinteressate che operavano senza aspettarsi nessun ritorno economico ed infine perché chi si occupava di contabilità ha sempre tenuto i conti sotto controllo ed ha amministrato in maniera saggia e prudente. L’amministratore unico, per una decina di anni, quando i Centri Don Vecchi erano amministrati per conto della parrocchia e successivamente quando la responsabilità della loro gestione passò alla Fondazione, è stato il ragionier Rolando Candiani. Devo riconoscere che se il Signore mi ha fatto un dono è stato quello di sognare e di perseguire progetti solidali sempre più avanzati anche se, da un punto di vista amministrativo, l’unica mia certezza era che i conti dovevano sempre quadrare o meglio ancora essere in attivo. Vent’anni fa, quando il Consorzio Agrario, presso cui lavorava uno dei “miei ragazzi” dell’Azione Cattolica, andò in crisi e licenziò la maggior parte delle sue maestranze, la Fondazione optò per il ragionier Rolando Candiani, figlio del famoso pittore mestrino Gigi Candiani. Chiesi allora a Rolando se fosse disposto ad aiutarmi ad impostare un’amministrazione seria che non mi mettesse in difficoltà. Rolando accettò condividendo così questa “missione impossibile” e, nonostante mille vicissitudini, non solo i conti sono stati sempre in regola ma ci hanno anche permesso di realizzare la quinta struttura e di impostare la sesta! Rolando coinvolse poi anche la moglie Graziella cosicché i Centri Don Vecchi diventarono lo scopo principale della loro vita. Il tempo però passa per tutti. Io sono stato il primo a lasciare per motivi anagrafici, e proprio in questi giorni anche Rolando e sua moglie Graziella sono andati “in pensione” lasciando la loro vita di volontari. Credo sia giusto che la nostra città sappia che per vent’anni questi due coniugi sono stati le colonne portanti dei Centri Don Vecchi e sia loro riconoscente per il “miracolo” che hanno concorso a realizzare!

Convinzione feconda

Leggo da molti anni una rivista bimestrale delle Suore Apostoline che tratta prevalentemente di scelte vocazionali. “Se Vuoi”, così si chiama la rivista, tra le righe suggerisce le domande: “Che cosa il Signore vuole da me? Qual è il mio posto nel progetto di Dio?” e poi, neanche troppo velatamente, incoraggia la risposta radicale di dedicare l’intera vita a Dio e al prossimo. La rivista, che è di visioni larghe, non si limita a suggerire la scelta religiosa ma tenta anche di incoraggiare la scelta di una famiglia realizzata con maggiore consapevolezza ed inquadrata alla luce della fede ed infine non trascura neppure l’impegno ad aiutare tutti a comprendere che la vita è un magnifico dono da spendere sempre anche per gli altri. Nell’ultimo numero che mi è arrivato, ho trovato un bel servizio sulla testimonianza della Delbrêl, una splendida ragazza che, partita da un ateismo radicale e da una militanza di comunista convinta, folgorata dal Signore, sceglie di testimoniare la sua fede e il suo amore per l’uomo girando per i sobborghi più degradati delle periferie parigine. La sua testimonianza, in linea con la spiritualità dei nostri giorni, è discreta, silenziosa, aperta a tutti e in atteggiamento di comprensione e di accettazione del bene che può provenire anche da posizioni opposte a quella cristiana. Nel servizio mi ha colpito soprattutto un’affermazione di questa donna che interpreta, nella maniera più positiva, la proposta cristiana calata nella realtà del nostro tempo. Ella dice infatti: “La fede vince sempre e là dove pare non vinca, non è essa che perde ma è che la nostra presunta vita di fede, che non è né autentica né evangelica, che fallisce!”. Questa affermazione mi pare in linea con quella di Gandhi, la guida spirituale indù, che affermava: “L’amore vince tutto e sempre e quando pare che non vinca non dipende da esso, ma dal fatto che quello offerto non è vero amore!”. La crisi religiosa dei nostri giorni non è causata dall’incapacità di presa della proposta cristiana sulla gente d’oggi ma dal fatto che essa è impoverita e adulterata dai cristiani attuali!

Anche da noi

Un paio di settimane fa ho confidato, agli amici de “L’Incontro”, che mi sono sentito quanto mai gratificato dalla decisione di un giovane barbiere dell’alta Italia che ha scelto di lavorare anche il lunedì, tradizionale giorno di riposo per questa categoria di lavoratori, e di mettere a disposizione dei poveri il ricavato della sua fatica. Qualche giorno fa sono andato da Valter, il mio barbiere, che conduce, assieme a sua sorella, uno dei più eleganti saloni della nostra città. Valter è un gran bravo ragazzo che, pur diplomato al Pacinotti, ha scelto di dedicarsi a questo lavoro artigianale, lavoro che svolge con scrupolo, competenza e grande cordialità. Piano piano è riuscito ad acquistare il suo negozio in via Trezzo e recentemente lo ha fatto restaurare trasformandolo in uno dei saloni più eleganti e frequentati di Mestre. Sono anni che affido a lui la mia chioma, in parte perché il suo negozio è a due passi dalla mia vecchia parrocchia, ma soprattutto perché mi piace incontrare un professionista serio che lavora bene e con gusto. Io frequento raramente il barbiere perché mi pare di avere sempre cose più interessanti e urgenti di cui occuparmi ma, ogni tanto, finisco con l’andarci, un po’ perché mi sento a disagio per la mia capigliatura scapigliata e ribelle ma soprattutto perché le “mie” vecchie brontolano per il mio aspetto. L’ultima volta che ci sono andato, per una naturale associazione di idee, mi è tornato alla mente il parrucchiere benefico della televisione e quasi con sorpresa mi sono detto: “Mi sono sentito edificato perché quel barbiere, a me sconosciuto, lavora un giorno alla settimana devolvendo il ricavato in favore dei poveri e perché non dovrei provare lo stesso sentimento per il “mio” barbiere di fiducia che da una vita, conoscendo il mio impegno in favore dei vecchi poveri, mi taglia i capelli accettando solamente cinque euro?”. Talvolta ci sorprendono le cose belle che leggiamo sui giornali e non ci accorgiamo di quanto ci sia di bello, nobile e generoso anche nella nostra vita di ogni giorno! Al che ho rinnovato il proposito di annotarmi tutte le cose buone in cui mi imbatto giornalmente per lodare il Signore e credere nell’uomo.

“La tromba dello spirito Santo”

Non fa parte della raccolta dei “Fioretti di Papa Giovanni” ma il modo in cui questo grande Pontefice accolse in Vaticano, subito dopo la sua elezione, Don Primo Mazzolari corrisponde ad una pagina di storia documentata. Tutti sanno che questo sacerdote, che a tutta ragione può essere definito un “profeta” del nostro tempo, ebbe molto a soffrire dalla Chiesa.

L’apparato gli fece chiudere “Adesso”, la testata che questo prete “libero e fedele” aveva fondato, gli proibì di predicare fuori dalla sua parrocchia ma soprattutto lo accusò di poca fedeltà alla Chiesa stessa.

Appena eletto Giovanni XXIII disse: “Per prima cosa è giusto e doveroso riabilitare gli umiliati”. Invitò don Mazzolari in Vaticano e lo accolse benevolmente con queste parole ormai diventate famose: “Ecco la tromba dello Spirito Santo”, probabilmente per lodare la franchezza, il coraggio e la libertà di questo prete che nonostante tutto amò la Chiesa che lo aveva fatto soffrire. Qualche giorno fa mentre portavo “L’Incontro” al primo piano dell’Ospedale, un signore, che era intento a leggere il nostro periodico, alzò gli occhi, mi vide e pronunciò nei miei riguardi quella frase di Papa Giovanni.

È stata la seconda volta che mi è capitato di sentirmi interpellare con queste parole. Io non posso sostenere di essere stato perseguitato dalla gerarchia ma, qualche tirata d’orecchi l’ho pure avuta e soprattutto sono sempre stato relegato ai margini della Chiesa ufficiale. Ritengo però tutto questo un dono piuttosto che un castigo, dono che mi ha aiutato a rimanere “libero e fedele”.

Don Bonini

Qualche tempo fa, don Fausto Bonini, l’ex parroco del Duomo di Mestre, mi ha chiesto di potermi incontrare. Ho pensato che, poiché era stato “nominato” rettore della chiesa della Madonna della Salute e cappellano della Casa di Riposo avesse da chiedermi qualcosa per una sua nuova sistemazione pastorale all’interno della nostra Chiesa.

Ero preoccupato perché oggi io non ricopro alcun ruolo a Mestre se non quello che mi sono scelto da solo ma don Fausto, con garbo e cordialità, è venuto a ringraziarmi perché nei miei interventi l’ho sempre sostenuto ed ammirato.

Ero e sono convinto che la chiesa del Duomo, guidata da don Fausto, sia stata, fino a qualche mese fa, la mosca bianca delle parrocchie di Mestre, l’unica o quasi che sapesse dialogare con il mondo d’oggi, l’unica o quasi che fosse strutturata in maniera organica ed efficiente.

Non sono proprio riuscito a capire perché non sia stato chiesto a don Fausto di rimanere un’altra decina d’anni, non fosse altro per dargli la possibilità di testimoniare che è ancora possibile impostare, in maniera moderna, la pastorale parrocchiale.

Oggi a Mestre pare si sia optato per il passo del gambero, il ripiegamento su vecchi schemi è continuo e costante.

Non è che Venezia brilli per impegno, però è ancor più triste che, per inedia e per scelte incomprensibili, si sia lasciata spegnere la pur tenue speranza del dopo Concilio.

Suor Cristina

Nella mia prolungata pausa natalizia, a motivo dell’influenza, guardando la televisione ho avuto modo di imbattermi in due esecuzioni canore di Suor Cristina, la suoretta che si è ormai fatta un nome, a livello internazionale, nel campo della musica moderna.

Alle esecuzioni sono seguite delle interviste nelle quali questa suoretta, dal volto bello e pulito, se l’è cavata con onore, senza strafare e senza coinvolgere più di tanto la fede e nostro Signore.

Ho avuto l’impressione che ella sia ancora all’inizio di una carriera quanto mai difficile e pericolosa e che, per ora, sia ancora protetta dall’entusiasmo, dalla buona fede e dalla semplicità di un cuore desideroso di fare opera di apostolato mediante la sua bella voce e la sua gioia di cantare.

Ho sempre affermato che questi modi particolari di lodare il Signore e di testimoniarlo in ambienti totalmente laici, mi fanno piacere e aprono il mio cuore alla speranza di un dialogo vero e rispettoso con il mondo estraneo alla Chiesa. Confesso però che quel salterellare sul palcoscenico e soprattutto quei suoni strani, irrequieti, spesso urlati oltre ogni misura mi hanno indotto a pormi almeno una domanda per la quale finora non ho trovato alcuna risposta: “Ma che cosa canta quella ragazza? Che cosa dice a Dio e agli uomini?”. Io non conosco gli attuali linguaggi musicali, ho però l’impressione che siano sguaiati, senza senso, confusi ed irrequieti proprio come il modo di vestire, di parlare e di comportarsi dei nostri giovani. Non ho la minima speranza che i giovani, che partecipano ai concerti fiume dei più famosi cantanti attuali ne traggano motivi di speranza, orizzonti più aperti e positivi e soprattutto più ordine nel vivere e nell’amare! Non vorrei proprio che Suor Cristina si sgolasse tanto e mettesse in pericolo la sua freschezza umana per risultati così deludenti!