Un’interprete attuale

Quante volte ho detto e scritto che l’uomo ha bisogno di campioni. Il campione è colui che dimostra, al di fuori di ogni dubbio, che è possibile raggiungere un obiettivo. Guai a noi se non ci fossero dei campioni perché se non ci fossero o se non fossero in grado di dimostrare di essere tali con i fatti saremmo in un mondo di uomini mediocri, adagiati nella comoda illusione che più di così non si può fare. I campioni offrono questo stimolo per superare la pigrizia, l’indolenza e il quieto vivere in ogni comparto della vita. Nel campo dell’ascesi spirituale i campioni sono chiamati: testimoni, apostoli, santi, ossia uomini e donne che per noi cristiani danno volto fedele ed attuale a Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, che si è vestito della nostra umanità per attestare quale è l’uomo vero e autentico uscito dal progetto e dalle mani del Creatore. Bisogna anche aggiungere che come l’uomo nella sua storia si è evoluto così Egli, pur rimanendo sempre se stesso, cambia volto, stile di vita, movenze e linguaggio. Credo che ciascuno convenga che come uomini e donne di altre epoche, anche se spinti dai medesimi valori ideali, hanno modi di vestire, di parlare, di muoversi e di rapportarsi con gli altri diversi dai nostri, così anche i testimoni e i santi sono più facilmente comprensibili e imitabili se figli dei nostri tempi.

Io ammiro la Chiesa che oggi dichiara santi persone che anche noi abbiamo conosciuto. Avevano ragione i giovani che ai funerali di Papa Wojtyla hanno chiesto: “Subito Santo!”. Sto leggendo attualmente una biografia di Madeleine Delbrêl. Il volume narra la vita, il pensiero e la testimonianza di una ragazza francese, atea radicale, che convertitasi, con un gruppo di amiche sceglie di vivere nei sobborghi della grande metropoli d’oltralpe in comunità dominate dal comunismo nelle quali la Chiesa non riusciva ad entrare e ad incidere. Il libro non è facile e non si lascia leggere volentieri però mi fa bene, molto bene, perché mi aiuta a capire che oggi al cristiano non viene chiesto nient’altro se non far incontrare anche i più lontani con Gesù amando e spendendosi per tutti senza discriminazioni di sorta. Se i cattolici delle nostre parrocchie facessero questo credo che farebbero il meglio che si possa fare per la gente del nostro tempo.

“La maggioranza silenziosa”

Ci sono frasi che, per motivi non sempre facili da comprendere, entrano nella “storia” e poi vengono utilizzate per riferirsi a situazioni ben diverse da quelle per le quali sono state pronunciate.

Ci fu un tempo, passato ormai da più di vent’anni, in cui pareva che alla FIAT di Torino gli scontri tra gli operai e la direzione, con i relativi e clamorosi scioperi, non dovessero più finire. Sennonché, quando pareva che la fabbrica stessa corresse il rischio di disgregarsi, ci fu una reazione da parte di operai benpensanti e di impiegati che portò circa quarantamila “colletti bianchi” a sfilare a Torino per chiedere che la situazione ritornasse alla normalità e che la produzione potesse riprendere evitando che il lavorare alla FIAT si trasformasse in un inferno.

Tale manifestazione, del tutto nuova e inaspettata, fu denominata dalla stampa: “la marcia della maggioranza silenziosa” e la città scoprì che a Torino e alla FIAT non esistevano solamente le bandiere rosse degli operai della FIOM manovrati dalla CGIL e dal partito di Botteghe Oscure. Questa marcia fece prendere coscienza alla città di quanti fossero i lavoratori stanchi di conflittualità e pronti a fare comunque il proprio dovere nonostante le mille difficoltà quotidiane. Questa presa di coscienza diede vita a nuovi equilibri e a risultati di ordine economico e lavorativo certamente più positivi.

In questi ultimi tempi vengo reso partecipe della vita di tantissimi concittadini ai quali porgo l’ultimo saluto affidandoli alla misericordia del Signore e come tante persone semplici, buone e generose anch’io sto prendendo coscienza di quella “maggioranza silenziosa” di uomini e donne che non riempiono le pagine dei giornali con i loro nomi e con le loro gesta ma si impegnano con serietà a fare il loro dovere e a dare il meglio di sé alla famiglia, al lavoro e alla società. Questa presa di coscienza mi conforta e mi aiuta a sperare in un mondo migliore ma soprattutto mi aiuta a capire che, com’è più facile accorgersi di un numero limitato di papaveri che sembrano colorare di scarlatto un intero campo di grano piuttosto che di un mare di violette che profumano in silenzio il nostro mondo, così succede anche per tutti quei ciarlatani e vendi vento che riempiono le pagine dei giornali nei confronti di quella “maggioranza silenziosa” su cui ogni società può e deve contare.

Il fiuto della gente

Una volta, soprattutto nel mondo ecclesiastico, si infiorettavano i discorsi con sentenze latine. Qualche anno fa ho riletto quel bellissimo volume “Il giornale dell’anima” nel quale don Loris, o più precisamente il Cardinale Francesco Maria Capovilla, ha raccolto propositi, riflessioni, confidenze e pensieri spirituali di Papa Roncalli. Durante la lettura di quel corposo volume mi sono imbattuto mille volte nelle massime latine con le quali Papa Giovanni XXIII condensava le sue riflessioni. Ho constatato che in quel tempo la cultura ecclesiastica dei vecchi preti e soprattutto di quelli più intelligenti e più colti era veramente vasta mentre noi preti del terzo millennio abbiamo, quando va bene, una cultura da quotidiani e da telegiornali fatta di informazioni non supportate dalla sapienza del passato.

In queste ultimissime settimane, venendo a conoscenza delle folle sterminate che sono andate ad ascoltare e ad acclamare Papa Francesco, sono arrivato alla conclusione che la gente ha un fiuto particolare per valutare gli uomini di spessore e per dare loro il giusto riconoscimento. Pochissimi giorni fa un milione di persone si sono recate a Roma per ascoltare il Papa esprimersi sui problemi della famiglia, alcuni giorni prima settantamila ragazzi e giovani scout avevano partecipato, in maniera vivace, all’incontro con il sommo Pontefice e la settimana successiva settecentomila persone a Torino si sono unite a Papa Bergoglio per venerare la sacra Sindone.

Non passa settimana che alla catechesi del Papa, Piazza San Pietro non si riempia di fedeli desiderosi di ascoltare la lezione di catechismo del Pontefice e ogni domenica la stessa piazza è pressoché insufficiente per contenere la folla accorsa per l’Angelus. Non credo che ci sia personaggio in tutto il mondo che abbia il “successo” del Papa, nonostante egli sia anziano, il suo italiano non sia perfetto, le sue prediche assomiglino spesso ai sermoni dei vecchi parroci di campagna e il suo charme sia modesto. Papa Giovanni avrebbe detto a proposito di questo fenomeno: “Vox populi, vox dei”. È il Signore che si manifesta sotto le povere e logore vesti del nostro Papa e il popolo lo avverte e lo segue come pastore dell’umanità.

Al sindaco Brugnaro

Brugnaro, prima che si offrisse per fare il sindaco di Venezia, non sapevo neppure chi fosse, non conoscevo di lui altro se non il tentativo di comperare l’isola di Poveglia. L’avevo ammirato per questa sua intenzione perché avrebbe finalmente liberato l’isoletta dalle pantegane, dalla gramigna e dal degrado a cui invece la vorrebbe destinare il comitato dei veneziani che non si sono ancora accorti che la Serenissima è morta da più di tre secoli.

Ho incontrato Brugnaro al Don Vecchi un mese prima delle elezioni. Nell’incontro privato che ho avuto con lui gli ho chiesto solamente di sviluppare il dialogo con il “privato sociale”, la realtà più libera, più coraggiosa, più generosa, più intraprendete e disinteressata che esista nella nostra città. Il venerdì antecedente le elezioni gli ho scritto una lettera personale per ringraziarlo di aver offerto alcuni anni della sua vita alla collettività confermandogli che se anche non fosse stato eletto gli sarei stato comunque riconoscente perché questa sua offerta rappresentava già una bella testimonianza di altruismo e di amore per la propria città.

In precedenza avevo scritto su “L’incontro” che sognavo che il Patriarca, accompagnato dal clero e dal popolo, chiedesse ad un imprenditore di fare questa offerta a Venezia. Il Signore mi ha esaudito anche se il Patriarca, a cui non avevo fatto conoscere il mio sogno, non ha fatto questa solenne e pubblica richiesta.

Il lunedì dopo le elezioni ho scritto una seconda lettera personale a Luigi Brugnaro appena eletto manifestandogli la mia ammirazione e la mia gratitudine ma dicendogli, in maniera franca, che avevo votato per lui e non per il centro destra o peggio ancora per Brunetta, Berlusconi, Salvini e compagnia cantante. Ho concluso la lettera chiedendogli che qualora riscontrasse di non riuscire a mantenersi libero dalla tutela di quei soggetti preferirei mille volte che se ne tornasse a casa piuttosto che subire l’influenza di questi cattivi compagni.

Quando per la prima volta ho votato per il PD, tra i cui antenati ci furono Pajetta, Berlinguer, Ingrao e Napolitano, ho inviato un messaggio a mio padre, morto da vent’anni, democristiano purosangue: “Papà sappi che ho votato Renzi, lo scout di Firenze, ma non mi sono macchiato l’anima e non ti ho tradito con quelli di Botteghe Oscure”.

La mia rosa blu

Chi legge frequentemente L’Incontro è certamente a conoscenza che, su richiesta della dottoressa Federica Causin, ho scritto la prefazione del suo ultimo volume. Dopo averci pensato un po’ ho ritenuto di rifarmi ad una bellissima poesia di Gerda Klein, poesia che io ricordo assai sommariamente dal titolo “La rosa blu”, titolo che una delle più vecchie cooperative di disabili di Mestre ha adottato come nome fin alla sua nascita.

L’autrice di questo volume è una mia coinquilina del Centro Don Vecchi 2, abita nella mia stessa “strada”, collabora con “L’incontro” e gode di tutta la mia stima e del mio profondo affetto. La dottoressa Causin, disabile dalla nascita, si è laureata in lingue a Ca’ Foscari, lavora presso un’azienda di Marcon e vive un’intensa vita sociale portando avanti con intelligenza e decisione le problematiche che sono proprie di queste persone che, soffrendo di menomazioni di carattere fisico, cercano pian piano di inserirsi nel tessuto sociale rivendicando i loro diritti e offrendo generosamente il loro prezioso contributo.

Ho scelto come titolo della prefazione “La mia rosa blu” perché la conoscenza e il rapporto quotidiano con questa giovane donna mi ha reso ancora più cosciente che queste creature non devono assolutamente essere considerate come nel passato uno “scarto” della nostra società ma perle preziose che ci aiutano a guardare con occhi nuovi tutte le manifestazioni di vita che incontriamo ogni giorno. Probabilmente, a causa di questa prefazione, la signora Raffaella Marini Franchin, che da una vita si batte con un coraggio ed una generosità infinita per questa nobile causa, mi ha inviato il testo originale della poesia che è davvero splendido. Neanche poi a farlo apposta in un periodico dei padri del don Orione mi è capitato di trovare la fotografia di una giovane suora che con un sorriso, una bellezza ed una tenerezza soave tiene in braccio un bimbo Down e subito mi è venuto da pensare che se la disabilità non servisse ad altro che a suscitare un amore così intenso, dolce e luminoso avrebbe già donato alla società qualcosa di veramente bello ed incomparabilmente prezioso.

Don Armando Berna

Fra la posta che mi hanno consegnato questa mattina c’era anche una busta abbastanza rigonfia. L’ho aperta con un pizzico di curiosità anche a causa del suo spessore e vi ho trovato due fogli con una corposa testimonianza su don Armando Berna, il prete dell’Onarmo, che ha speso l’intera sua vita per l’evangelizzazione degli operai di Porto Marghera e che fu poi il parroco della parrocchia di “Gesù Lavoratore” a Ca’ Emiliani.

La lettura del manoscritto e la fotocopia di un piccolo manifesto del 1965, che invita a celebrare il 48° anniversario della nascita di Porto Marghera e la festa dell’infiorata della statua della Madonna di Fatima, mi hanno indotto a ritornare alle vicende di mezzo secolo fa. Inizialmente sono stato tentato di pubblicare su “L’incontro” la testimonianza di questo ammiratore di Don Berna, il protagonista dei preti degli operai delle fabbriche di Marghera, poi, il fatto che il testo è sì denso di passione ma un po’ sconclusionato nella stesura e soprattutto privo di firma, mi ha indotto a metterlo da parte per ripensare ancora un po’ sull’opportunità di pubblicarlo.

Don Berna però merita un ricordo ed un ricordo significativo. Io porto ancora nel cuore una bella memoria di lui che per me è stato un prete vero, un prete con una grande passione per le anime. I miei rapporti con questo sacerdote, ben più vecchio di me, non sono stati molto profondi però hanno inciso decisamente sul mio animo. Ricordo un ritiro spirituale che egli ha tenuto in seminario. Non dimenticherò mai questo sacerdote che dialogava in maniera appassionata con Gesù tanto da bussare sulla porticina del tabernacolo quasi per farsi ascoltare meglio da Cristo! Lo ricordo quando con un gruppo della San Vincenzo abbiamo aperto un dopo scuola a Ca’ Emiliani e lui parve soffrire pensando che considerassimo la sua comunità un po’ degradata, evidentemente l’amore gliela faceva immaginare migliore. Ricordo quando mi mandarono a dirgli di non incoraggiare i suoi fedeli convinti che la Madonna della sua chiesa si muovesse. Don Armando Berna fu un uomo di fede, forse un po’ particolare, però l’amore per Cristo lo scuoteva nell’intimo del suo sentire ed operare. Mi auguro che ci sia qualcuno in grado di ricordare ai preti e ai fedeli di Mestre questa forte figura di sacerdote.

Un riferimento ideale

Una delle collaboratrici più dirette nella mia vita di vecchio prete è certamente suor Teresa, suora che appartiene alla minuscola comunità religiosa con la quale le suore di Nevers hanno tentato di tornare alle origini della loro congregazione destinando alla pastorale parrocchiale alcune delle loro consorelle. L’esperimento mi pare sia stato del tutto positivo.

Per almeno vent’anni suor Michela, la più anziana, si è dedicata con grande profitto all’insegnamento del catechismo, alla cura degli anziani e poiché non potevo contare su un sagrestano mi ha aiutato in occasione di funerali, battesimi e matrimoni.
Suor Teresa ha mantenuto economicamente la sua piccola comunità lavorando come infermiera in ospedale ed impegnando tutto il tempo libero con i chierichetti. Ricordo a questo proposito che per vent’anni abbiamo mantenuto il record italiano, e forse mondiale, con i nostri centodieci chierichetti. Si è dedicata anche alla cura della chiesa e l’ha fatto talmente bene da farla considerare da tutti la più bella della città.

Con il mio pensionamento queste due suore mi hanno seguito al Don Vecchi continuando a spendersi in questa nuova esperienza pastorale tutta da inventare. Ora suor Michela, ormai novantenne, ha dovuto arrendersi, anche se non completamente, perché continua a soffrire e a pregare per il “regno dei cieli” e suor Teresa, che non ama che si parli della sua età, continua la sua “battaglia” aiutando la consorella quasi inferma, interessandosi in maniera attiva della “cattedrale tra i cipressi”, ricoprendo il ruolo di presidente dell’associazione “Vestire gli ignudi”, impegnandosi come tappabuchi da mane a sera al Don Vecchi, curando i miei malanni, perché io sembro una solida “roccia” ma in realtà sono una roccia friabile e per evitare che mi sgretoli brontola da mattina a sera di non trascinare i piedi, di stare diritto, di non mangiare dolci, di non impegnarmi troppo, di guardarmi da chi non tiene conto della mia età, di chiudere la finestra, di rilassarmi e via di seguito!

Ho tentato più volte, e continuo a tentare, di ricordarle la mia data di nascita: 15 marzo 1929 e la mia volontà di compiere il mio dovere fino alla fine ma da quell’orecchio pare non ci senta proprio per nulla e così continua imperterrita con le sue prediche che sono più noiose di quelle dei preti. D’altronde quando penso a Nino Brunello, il maestro di violino, che a 97 anni suonati accompagna con la sua musica due volte alla settimana tutte le liturgie che celebro, come posso prendere in considerazione le lagne di questo “grillo parlante”?

Nulla va perduto!

Ho letto da qualche parte che sono stati trovati in una tomba, non ricordo se egizia o di qualche altra antica città del Medio Oriente, alcuni semi di frumento e nell’articolo si afferma che questi semi, una volta piantati in terra, a distanza di alcune migliaia di anni, hanno dapprima germogliato e successivamente prodotto le spighe di grano.

Ho fatto questa premessa per presentare un fatto, almeno per me, molto positivo che mi ha donato una grande consolazione. Mio padre, tanto tempo fa, mi confidava che ai vecchi basta poco per provare dispiacere ma pure molto poco per provare consolazione e anche per me, ormai vecchio, vale la stessa cosa! Ne parlo per incoraggiare tutti coloro che sono impegnati nel difficile compito della formazione dei ragazzi e dei giovani ma soprattutto per quelli impegnati nell’ancor più difficile missione di formare i cristiani. Ebbene, me ne stavo tranquillo nella minuscola sagrestia della mia “cattedrale tra i cipressi” quando mi ha raggiunto il rumore di un passo sicuro e cadenzato ampliato dal pavimento fatto di tavole grezze. Mi si è presentato un giovanottone nel fulgore della sua maturità che mi ha salutato con calore ed affetto. Ho fatto dapprima un po’ di fatica a riconoscerlo, non lo rivedevo da almeno una dozzina d’anni, poi, sia per l’accento romagnolo che era rimasto nel suo dire sia per l’aspetto, ho riconosciuto il figlio di una vecchia maestra di Carpenedo, mia preziosa collaboratrice in uno dei mensili della parrocchia: “L’Anziano”.

Immediatamente mi sono ricordato di sua madre dolce ed assennata, tanto preoccupata per la fede dei suoi due figli, di sua nonna – una cattolica di ferro – a cui portavo la comunione a casa, una donna che non ammetteva tentennamenti e che non faceva la minima concessione alla modernità di pensiero e del babbo pacato ed accondiscendente. Il giovane uomo mi ha abbracciato come fossi stato suo padre, mi ha parlato del suo lavoro e della sua vita ormai lontana da Mestre, infine mi ha consegnato una busta dicendomi che conteneva un mattone per la “costruzione” che ho in corso. Quando ho aperto la lettera non vi ho trovato solamente una somma significativa ma anche la nota che mi ricordava che l’indomani sarebbe stato il decennale della morte di sua madre. Egli non mi ha parlato della fede, per la quale sua madre era tanto preoccupata, ma la visita, l’abbraccio e l’offerta sono stati i segni più evidenti che i germi seminati da sua madre e da sua nonna erano tutti in fiore pronti per la spiga.

“Foyer San Benedetto”

So di correre il rischio d’essere etichettato di referenzialità perché parlo sempre delle mie cose. D’altronde, non avendo una cultura tale da poter scrivere dei saggi, se voglio comunicare le mie idee e confrontarmi con i colleghi e con i concittadini sulle problematiche della solidarietà non posso fare altro che rifarmi alle mie esperienze!

Il discorso di oggi nasce dal fatto d’aver incontrato una povera donna bulgara che, venuta in Italia come numerose altre donne dell’Est per fare la badante, è stata investita da un’auto perdendo così lavoro e casa, vagando quindi poi come “un’anima morta” in cerca di aiuto. Nell’incontro più recente mi ha riferito che negli ultimi quindici giorni ha dormito nelle sale d’attesa dell’aeroporto Marco Polo. Questa soluzione, pur estrema, non può durare perché l’organizzazione aereoportuale non può accettare soluzioni del genere.

Messo con le spalle al muro e non sapendo più a che santi rivolgermi ho telefonato ad una delle mie vecchie “creature”: il Foyer San Benedetto di Via G. Miani 1. Il problema dell’alloggio esisteva purtroppo anche trent’anni fa. Con l’aiuto di una mia piccola scout di un tempo, riuscii a comprare un appartamento abbastanza capiente e a ricavarne undici posti letto in sei camerette. Allora si pagavano dieci lire a notte, ora sono arrivati a tredici euro, quindi due volte tanto! Mi ha risposto al telefono la giovane donna che conduce questa bella esperienza: alla mattina fa scuola e al pomeriggio e alla notte fa da madre, sorella ed amica a chi ricorre a questo “rifugio”.

Lei è una splendida ragazza giunta dal Sud, che avendo avuto bisogno di un alloggio lo trovò in questa soluzione di emergenza, allora condotta da Bianca, un’altra splendida donna ora in Paradiso, che le ha lasciato in eredità non solo le chiavi ma anche la sua capacità pressoché infinita di aiutare il prossimo.

Per parlare di queste due donne bisognerebbe richiamare in vita il De Amicis del “Cuore” o Giovannino Guareschi del “Piccolo Mondo”, solo loro saprebbero farne un ritratto con una cornice adeguata! Penso che siano sufficienti due o tre donne come queste perché Dio sia indotto a salvare la città! Sono molto contento di poter dire ai miei concittadini: “Sappiate che a Mestre non ci sono solamente mafiosi o politici ma anche tante magnifiche creature!”.

Una parola che Renzi non ha ancora detto

La strada dello scout del Mugello, diventato capo del governo, si fa ogni giorno sempre più in salita. Ritengo che i nervi di Renzi siano ben più saldi dei miei e che la sua ambizione di governare l’Italia sia molto più alta di quella che avrebbe un comune mortale perché altrimenti, come farei io al suo posto, prima o poi direbbe: “Me ne ritorno al mio paesello ad educare i ragazzi piuttosto che pretendere di governare questa banda di matti!”.

Non passa giorno che i grillini non lo attacchino “all’arma bianca” coprendolo di insulti e di insinuazioni, che “Fratelli d’Italia”, “Sel” e compagnia cantante non lo invitino a mollare perché incapace, ma soprattutto che la minoranza del suo partito non pretenda di dettare le regole come fosse la maggioranza, non gli tirino trabocchetti e non treschino contro di lui per farlo scivolare su una buccia di banana. Io sono decisamente preoccupato perché, non vedendo altre maggioranze attualmente possibili e constatando quanto il nostro Paese sia pericolante e rimanga il fanalino di coda del carrozzone europeo, temo vedendo che i sindacati, arroccati da anni su posizioni conservatrici, lo combattono accanitamente, che i magistrati, ormai abituati a condizionare la politica italiana pontificando da intoccabili, lo mettono in difficoltà nei momenti cruciali, temo, ripeto, che prima o poi Renzi si stanchi e lasci o venga costretto a lasciare.

Allora sono propenso a suggerire a Renzi: “Sappi Matteo che in Italia c’è un precedente significativo che può offrirti una via d’uscita nobile e dignitosa. Ti ricordi che alle elementari ti hanno insegnato che ai tempi di Roma un certo Cincinnato, trovandosi pressoché nella tua stessa situazione, disse ai romani: “Torno a lavorare nei miei campi e se avrete bisogno di me venitemi a chiamare”? Allora, caro Matteo, non potresti fare un discorso simile alla televisione a reti unificate: “Cari italiani tutti sono contro di me, tutti mi accusano di sbagliare ogni cosa, tutti affermano di possedere una ricetta miracolosa per cui ho deciso di ritirarmi nel mio paese a educare i ragazzi a crescere onesti e se un giorno l’Italia avesse ancora bisogno di me venitemi a chiamare!”. Penso che otterresti molto di più con i tuoi scout perché certi tuoi amici ed avversari, sono convinto, siano proprio irrecuperabili”.

Dove posso trovare Dio?

Sono certo che tutti, prima o poi durante la vita, facciano degli incontri un po’ strani diversi dal solito, incontri particolari che fanno riflettere. Penso però che un prete, per il suo ruolo, ne faccia più degli altri ma soprattutto faccia incontri particolarmente densi di umanità.

Qualche giorno fa, avevo appena aperto la mia “cattedrale tra i cipressi”, erano le sette e un quarto e in sagrestia stavo verificando l’agenda per dispormi agli incontri del giorno quando ho udito i passi decisi di una persona che veniva verso la mia porta. Subito dopo è apparsa sulla soglia la figura di un giovane trentenne che mi ha detto senza tanti preamboli: “Padre può dedicarmi due minuti?” e senza interrompersi mi ha confidato: “ho un posto di responsabilità in una grande azienda che fattura sessanta milioni all’anno”. Pareva mi volesse dire: “Non sono il solito mendicante che tenta di spillare qualche soldarello”, vestiva infatti alla moda d’oggi con blue jeans sbrindellati ed una semplice camicia, cosa che facilmente poteva far pensare che fosse tale! Poi è andato dritto al bersaglio: “Come posso incontrare Dio?” ed ha continuato quasi a giustificare quella domanda che non dovrebbe risultare insolita per un prete ma che in verità lo era: “Sono caduto nel vortice della droga e non riesco ad uscirne!” poi in silenzio, guardandomi negli occhi, ha atteso la mia risposta.

Mi sono ricordato di un’affermazione della Bibbia a cui tante volte mi sono aggrappato nei momenti più difficili della mia vita: “Dio si fa trovare da chi lo cerca con cuore sincero!”. Era evidentemente disperato e d’istinto capiva che solamente Dio lo avrebbe potuto salvare. Mi è sembrato però che egli avesse scarsa dimestichezza con il Signore! Gli ho consigliato di rivolgersi ad un mio amico prete che è esperto in queste cose e gli ho assicurato che lo avrei ricordato ogni giorno a quel Dio a cui si era rivolto. È poi uscito rituffandosi nei ritmi della sua vita. Forse non lo rincontrerò mai più ma spero tanto che non smetta di cercare il Signore. Da parte mia, per quanto posso, chiederò al buon Dio ogni giorno di avere per questo ragazzo un supplemento di attenzione.

L’opera più celebre di Luigi Scaggiante

Lo scorso anno la comunità cristiana di San Giorgio a Chirignago ha organizzato una bellissima mostra in onore del suo cittadino più illustre: Luigi Scaggiante. Il gruppo culturale di quella comunità si è impegnato a fondo facendo stampare il catalogo con il centinaio di opere esposte che rappresentano l’impegno artistico della sua intera vita di pittore.

Scaggiante, uomo di fede, si è impegnato a fondo su soggetti a carattere religioso, ha partecipato con successo ad alcune biennali di arte sacra promosse dalla Galleria La Cella ed ha dipinto una Via Crucis per la parrocchia di Santa Maria Goretti segnalandosi come artista figurativo che, pur rifacendosi alla tradizione della pittura del sacro, ha avuto la capacità di esprimersi pittoricamente con un linguaggio moderno, comprensibile e gradevole.

L’opera in assoluto più significativa di Scaggiante, che gli organizzatori della mostra non sono riusciti ad esporre, è certamente “La Cena” di Gesù con personaggi del nostro tempo. La grande tela, che gli ho commissionato una quindicina di anni fa per la sala da pranzo del Don Vecchi 1, è un’opera di grandi dimensioni (metri 5 per 2,5) e si rifà alla tradizione monastica che era solita collocare nel refettorio un’Ultima Cena. La particolarità della tela è quella che i personaggi che la animano sono uomini del nostro tempo, personalità note come: Madre Teresa di Calcutta che siede alla sinistra di Gesù, Monsignor Vecchi alla Sua destra, Padre Turoldo, Padre Pio, uomini, donne, bimbi e anziani, in tutto una trentina di figure; nella tela l’autore ha pure avuto la benevolenza di “farmi sedere” alla mensa del Signore e per di più ringiovanendomi di una trentina d’anni. Questa singolare “Ultima Cena” offre soprattutto il fondamentale messaggio che la Redenzione non è una vicenda del passato ma una realtà che coinvolge e salva gli uomini del nostro tempo.

Brugnaro al Don Vecchi

Io so quando scrivo ma non so assolutamente quando il mio scritto sarà pubblicato. L’Incontro porta in testata la definizione di settimanale ma potrebbe portare anche quella di “mensile”, semestrale o pure quella di numero unico. La catena di montaggio è veramente infinita, premetto questa annotazione perché il numero de “L’incontro” in cui verrà pubblicata questa mia pagina di cronaca potrebbe uscire sia nel bel mezzo della tornata elettorale sia successivamente quando il sindaco di Venezia sarà già stato eletto.

Noi del Don Vecchi siamo “amici di tutti e fratelli di chi ci vuol bene” come dice la legge scout. Abbiamo perciò invitato tutti e faremo anche un brindisi con i candidati al comune di Venezia e alla Regione Veneto che ci vorranno fare visita perché siamo interessati a farci conoscere, a collaborare per il bene della comunità e ad offrire, a chi ci amministrerà, il nostro contributo specifico per quel che riguarda gli anziani e i poveri.

Il primo a venirci a trovare è stato il candidato sindaco Luigi Brugnaro, l’imprenditore che è diventato celebre perché ha fatto della nostra squadra di pallacanestro una tra le migliori squadre d’Italia. Il basket è uno dei pochi primati positivi di cui possa vantarsi Venezia mentre essa brilla come la stella polare per quelli negativi, vedi il deficit comunale. Brugnaro è diventato noto per aver tentato di comprare l’isola di Poveglia, purtroppo non gli è andata bene perché uno dei soliti comitati guastafeste e con la testa tra le nuvole l’ha avuta vinta e così l’isolotto è rimasto un rifugio per cocai e pantegane! I veneziani di oggi sono purtroppo fatti così!

Brugnaro ha condensato la sua impressione sul Don Vecchi con una frase che è ricorrente ma soprattutto vera: “Ne avevo sentito parlare bene ma mai avrei creduto che fosse così!”, questo vale sia per il centro sia per il polo solidale impegnato ad aiutare i poveri. Sono convinto che, sindaco o non sindaco, Brugnaro d’ora in poi sarà sempre dalla nostra parte. So che verranno a trovarci anche Casson e la Zaccariotto e mi auguro che vengano anche tutti gli altri candidati, sia al Comune che alla Regione, perché la “dottrina” del Don Vecchi può diventare una carta vincente non solo per Venezia ma per tutti i veneti!

Matteo Vanzan

I concittadini, anche quelli poco attenti alle vicende della nostra città e della nostra nazione, conoscono, almeno superficialmente, la fine tragica del giovane lagunare Matteo Vanzan caduto a Nassiriya. Io ho conosciuto questo ragazzo solamente attraverso i mezzi d’informazione che al tempo della sua morte ne hanno parlato diffusamente. Ho approfondito la sua conoscenza in occasione della sua sepoltura vicino all’Altare della Patria del nostro cimitero ma soprattutto nella pubblica commemorazione, della quale è sempre parte integrante la Santa Messa in suo suffragio, organizzata ogni anno dall’associazione dell’Arma dei Lagunari in congedo. Qualche anno fa celebrò la Messa in suffragio di Matteo il cappellano militare del reggimento del nostro “eroe” e dall’omelia ho appreso che era un ragazzo di sani principi morali che credeva nell’ideale dell’amor di Patria.

Con il passare del tempo il responsabile dell’Associazione dei Lagunari si è reso conto che diventava sempre più difficile reperire un cappellano militare per il rito e quindi è ricorso sempre più spesso a me in qualità di Rettore della chiesa del cimitero. Ho sempre accettato volentieri questa richiesta anche perché, a me “pacifista” per scelta, si offriva l’opportunità di parlare ai graduati precettati per partecipare a questo rito.

L’anno scorso insistetti sul concetto che bisogna preparare i nostri giovani non a morire per la Patria, come vorrebbe una certa retorica patriottarda, ma a vivere per il bene della comunità non adoperando le armi ma la ragione. Quest’anno invece, partendo dal fatto che ho appreso che il Vanzan era animato da nobili ideali e dal fatto che il dramma di Nassiriya è diventato il dramma amaro e tragico di tutto il Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale, ho insistito sulla funzione della testimonianza che non produce mai frutti in tempi brevi ma, che seguendo la logica di Dio, produce invece “salvezza” personale ed una riproposta dell’utopia della pace, della libertà, e della democrazia. Mi è parso che tutta quella gente in divisa, con il petto pieno di decorazioni, sia rimasta pensosa di fronte a questo discorso.

Una rosa per la Fornero

Credo che in questi ultimi due anni non ci sia stata in Italia una donna tanto rifiutata, insultata e vilipesa quanto la Fornero, la donna del governo Monti che si è resa tristemente famosa per la riforma delle pensioni, ossia del blocco della rivalutazione per le pensioni più consistenti. I capofila di questa “crociata” sono, come sempre, i sindacati guidati dalla Camusso. Sono sempre stato convinto che il sindacato sia una delle istituzioni più necessarie della nostra società ma sono altrettanto convinto che i sindacati operanti oggi in Italia siano una delle corporazioni più parassitarie, sorpassate, inconcludenti e dannose che si possano immaginare. Dietro di loro c’è pure un seguito rappresentato dalla vecchia sinistra, dal mondo padronale più retrogrado, e forse da una parte di lavoratori poco amanti del lavoro che sperano di continuare a vivere senza faticare troppo grazie all’impegno di altri molto più volenterosi.

La Fornero è stata chiamata alla responsabilità di governo in uno dei momenti più difficili della storia del nostro Paese. Si è resa conto della voragine creata dall’insipienza e dalla demagogia dei governi precedenti e ha tentato di salvare le pensioni delle nuove generazioni di lavoratori. Una settimana fa ho ascoltato l’autodifesa di questa signora che, con pacatezza e misura, ha risposto alle obiezioni che l’Annunziata le ha fatto durante la rubrica domenicale “Mezz’ora”. L’ex ministro ha ricordato l’urgenza assoluta e le difficoltà che ha incontrato non riuscendo a ricevere dati certi dai funzionari dello Stato ed avendo assoluta consapevolezza che, se non fosse intervenuta subito, avrebbe compromesso non solamente i limiti di bilancio imposti dall’Europa ma soprattutto la possibilità di erogare pensioni adeguate ai giovani lavoratori del domani.

Aggiungo che, anche se queste due motivazioni pur comprensibili e necessarie non fossero del tutto condivisibili, bloccando la rivalutazione delle pensioni di chi ha avuto stipendi, a volte ingiustificatamente esagerati, ha fatto la scelta più sacrosanta che si potesse fare. Mando quindi una rosa alla Fornero ed un mazzo di ortiche alla Camusso e ai componenti della Corte Costituzionale che ha annullato il suo saggio provvedimento.