La suora dalla bicicletta rosa

Alcuni mesi fa, o forse l’anno scorso, ho letto su “Gente Veneta”, il settimanale della nostra diocesi, un bellissimo “pezzo” a firma di mio nipote don Sandro Vigani sull’apostolato di una suora che era solita spostarsi su una bicicletta rosa.

La lettura mi aveva piacevolmente incuriosito per la prosa scorrevole ma soprattutto per il suo contenuto. Si trattava di una suora, né mistica né da miracoli, una semplice suora di mezza età che occupava tutte le sue giornate incontrando gente, visitando ammalati, consolando sofferenti cioè offrendo il suo calore di donna e la sua ricchezza di cristiana convinta. L’articolo mi è piaciuto e questa semplice testimonianza mi ha edificato, oggi c’è tanto bisogno di gente semplice e cara, animata da ideali che offre con semplicità mediante l’incontro affettuoso e sereno.

Questo ricordo era andato a finire in quel grande serbatoio della memoria e in qualche occasione forse avrebbe anche potuto riemergere sennonché, nel primo pomeriggio di uno dei miei pochi giorni di degenza all’Angelo, ha bussato alla porta della mia stanzetta una suoretta di mezza età dal volto dolce e rasserenante. Io di certo non l’avevo mai incontrata eppure lei mi trattava come se mi conoscesse da sempre. Poi pian piano ho capito che svolgeva la sua attività a Trivignano assieme a tre consorelle, non aveva nessun compito proprio delle attività pastorali ma svolgeva la sua missione intessendo rapporti un po’ con tutti, offrendo il calore di una parola di conforto, visitando le famiglie, i vecchi e gli ammalati.

Il dialogo con questa cara donna di Dio si è fatto ben presto cordiale e confidenziale e mi ha confidato che, poiché a fine anno la sua comunità sarà smembrata, dovrà lasciare la vecchia parrocchia nella quale è conosciuta e in cui ha intessuto mille legami. La prospettiva di questa decisione determinata dall’ormai cronica mancanza di vocazioni lasciava trasparire nella sua voce e sul suo volto una nota di comprensibile amarezza. Nella mia giovinezza sacerdotale ho incontrato a San Lorenzo delle bellissime creature quasi sempre mortificate da regole chiuse e frustranti; oggi, epoca in cui stanno acquisendo una dimensione religiosa più vera, le suore purtroppo stanno scomparendo. Spero proprio che il Signore, anche in questo campo, ci riservi qualche bella sorpresa.

La mia proroga

Ho letto che i sondaggi affermano che in Italia il gradimento e la stima nei confronti dei politici e degli amministratori pubblici è pressoché vicina allo zero. Considerando che quasi la metà degli italiani ha disertato le urne durante l’ultima tornata elettorale è facile ritenere che l’esito di queste rilevazioni statistiche rappresenti correttamente il pensiero degli italiani. Quello che vale per l’Italia naturalmente vale anche per Venezia. Credo che la cosiddetta “discontinuità” con una prassi politica che dura da più di mezzo secolo sia il desiderio di tutti ed io non sono da meno degli altri.

Alcuni ricorderanno che avevo auspicato, in occasione delle ultime elezioni, che il Patriarca – preceduto dalla Croce Astile, seguito dal clero e dal popolo veneziano – si recasse in processione da un imprenditore che nella sua azienda avesse dimostrato di saperci fare, per chiedergli, sperando nella sua onestà, di dedicare alla città cinque anni della sua vita per risollevare le sorti del nostro Comune. Quasi per miracolo il mio sogno si è avverato e Luigi Brugnaro, dopo essersi buttato a capofitto in una campagna elettorale appassionata in cui ha giurato che avrebbe cambiato il modo di governare, è stato eletto; confesso, anche con il mio voto convinto. Il nuovo sindaco aveva promesso che si sarebbe rinchiuso in Comune e assieme ad alcuni esperti avrebbe tradotto a livello operativo il suo progetto. I primi segnali sono positivi, vedi la piazza di Carpenedo e il ritiro dei volumetti Gender dalle scuole materne. Sennonché è arrivata la “scomunica” boriosa ed insultante di quel famoso cantante inglese, famoso anche per il suo matrimonio omosessuale e per l’adozione di due bambini. Di primo acchito è sembrato che Brugnaro tirasse diritto per la sua strada, per nulla preoccupato dalla critica e coerente al suo programma, tanto che mio fratello don Roberto gli ha dedicato un trafiletto dal titolo: “Bravo Brugnaro”. Successivamente il sindaco, forse intimorito dalla reazione dei radicali, ha affermato di essere stato frainteso e puntuale è arrivata la dura reazione di mio fratello che trascrivo:

“Ritiro parola sindaco quaraquaquà”

Non mi riferisco al Gay Pryde, manifestazione che non mi piace per motivi estetici (troppo esibizionismo) ma mi lascia indifferente per i contenuti che eventualmente andrebbero esaminati in altra sede e con altro metodo.
Mi riferisco alla pace fatta – senza scuse – con il rospo, il quale dando del contadino al Sindaco di Venezia ha offeso anche il popolo che lo aveva eletto.
Bene aveva fatto il sindaco a rispondere per le rime.
Male ha fatto a riapparire in pubblico facendo finta di niente, anzi, agitando la vecchia improponibile scusa del “mi hanno frainteso”.
Brugnaro, credevo che tu fossi un uomo: sei, come tanti politici: un quaraquaquà.

don Roberto Trevisiol

Io che ho vent’anni più di don Roberto, spero che si tratti della proverbiale buccia di banana ma sia ben chiaro che se continuasse su questa strada sarebbe “diabolico” e perciò lo combatterei con tutte le mie forze.

L’ultimo libro

Ho terminato da poco di leggere il volumetto “Frugalità” del prof. Paolo Legrenzi e spero, rifacendomi alle conclusioni di questo volume, di essere in grado di offrire almeno un piccolo contributo allo stile di vita dei miei amici.

Ho già confidato la mia fatica nell’arrivare alla fine di questo volume il cui autore è professore di psicologia presso l’università Ca’ Foscari. L’elevato livello intellettuale del testo mi fa pensare che probabilmente si tratta di un’opera diretta ad una platea di specialisti. Legrenzi non si è limitato ad utilizzare un linguaggio impegnativo per chi non conosce la materia ma cita anche il pensiero di una serie di autori a me assolutamente sconosciuti.

La tesi di fondo che emerge, e che non mi trova evidentemente d’accordo, è questa: “Molti di noi sanno che la nostra storia è qui, sulla nostra terra, che non ci sono altri mondi, né un futuro garantito da ideologie o religioni. Possiamo quindi dare solamente una nuova direzione alle nostre vite individuali e così facendo salvare il pianeta dalla spogliazione sistematica delle risorse formatesi in milioni di anni”.

Pur non essendo d’accordo sulla premessa, perché a parer mio la vita non ha né giustificazione né senso se non nella prospettiva dell’eternità, concordo sulla conclusione e cioè che non abbiamo il diritto di sprecare le risorse del Creato, a danno delle generazioni future, col nostro consumismo esasperato ed assurdo. L’autore continua poi sostenendo che dobbiamo prendere coscienza dei debiti che abbiamo contratto a causa dei danni provocati dai nostri sperperi, frutto di una vita innaturale a cui ci siamo abituati ritenendo lecito e perfino necessario quello che non lo è affatto. L’emerito professore suggerisce di riflettere su questo argomento per avviarci verso quella frugalità necessaria per educarci e per educare ad uno stile di vita più sobrio e meno artificioso. L’illustre psicologo ci suggerisce di imboccare la strada della frugalità invece di perseverare in modi di vivere impostici subdolamente dal consumismo che produce sprechi e riduce drasticamente la disponibilità di risorse per il futuro. Invita poi a sostituire i nuovi piaceri fittizi della vita contemporanea con i piaceri antichi in linea con la natura ma per cominciare questo processo, prima di decidere che non possiamo fare a meno di qualcosa, dobbiamo imparare a domandarci: “Ne abbiamo proprio bisogno? E se ne facessimo a meno?”. Queste simulazioni, a parere dell’autore, potrebbero avviarci nella giusta direzione. Questo discorso a me non risulta nuovo perché ci viene riproposto ogni anno dalla Quaresima. Mi auguro che le tesi espresse in questo volume, grazie al ruolo dell’autore, sortiscano effetti migliori di quelli che abbiamo ottenuto noi sacerdoti in tanti anni di prediche.

Bravo Brugnaro!

Ho sempre affermato, e chi mi legge da più di sessant’anni lo ha potuto verificare, che a me piacciono le persone che escono allo scoperto, che prendono posizione apertamente e che dicono “pane al pane”. Se poi lo dicono con coraggio, con franchezza, in maniera incisiva e senza peli sulla lingua mi piacciono ancora di più. Chi si compromette per un’idea in cui crede, anche se quell’idea è antitetica a quello che io credo sia giusto, ha tutta la mia stima. Forse per questa mia scelta e per questo mio modo di affrontare i problemi, la mia “carriera” ecclesiastica è stata molto modesta, anzi più che modesta, però non rimpiango nulla e sono sempre stato contento di pagare il prezzo, per quanto salato esso fosse, pur di esercitare la mia libertà di pensiero e di parola. Penso poi che tutti i miei fratelli abbiano, chi più chi meno, la mia stessa convinzione ma con don Roberto, il più piccolo tra di noi che fa il mio stesso “mestiere”, ho più spesso l’occasione di trovarmi sulla stessa lunghezza d’onda in merito ai problemi che la società fa emergere. Nell’ultimo numero di Proposta, il periodico della comunità di Chirignago, don Roberto ha scritto, con quello stile brillante che gli è proprio, il “pezzo” che proprio non riesco a non offrire ai lettori de “L’incontro”. Eccovelo… :

“Premetto che ho il massimo rispetto per chi è omosessuale e che perciò non mi permetto, neanche lontanamente di giudicare e meno che mai di condannare. Ma devo fare un applauso al nostro nuovo sindaco. Per due motivi. Il primo: se uno viene eletto dal popolo con un programma e poi lo mette in pratica, o cerca di farlo è solo un galantuomo. Brugnaro aveva dichiarato guerra, in campagna elettorale ai libretti che per comodità chiameremo “genders” che si stavano diffondendo nelle scuole e coerentemente li ha vietati. Se si voleva il contrario bisognava votare Casson, Ma Casson non è stato eletto e Brugnaro fa benissimo a mantenere le promesse. Il secondo: è riuscito ad irritare il mostriciattolo inglese, al secolo Elton John, il “rospo”, che di suo crede di essere il padreterno, anzi, di più. Mi sono sempre domandato perché e come mai tutto il mondo si è inchinato e si inchina davanti ad un personaggio del genere. Non me ne intendo, ma anche se fosse un ottimo musicista questo non gli darebbe titolo per considerarsi il maestro del mondo intero. Così pieno di sé che non accetta critiche o pensieri diversi dal suo: ricordate la polemica con Dolce e Gabbana a proposito dei figli da adottare o meno? Bene. Si è fatto il fegato grosso, ha definito il nostro sindaco un contadino. Ma lo zotico è lui. Le sue offese? Fossi Brugnaro ne andrei fiero, e le terrei come un titolo nobiliare”.

don Roberto Trevisiol

Io aggiungo che non so se nel programma elettorale di Brugnaro vi fossero anche lo sfratto o per lo meno un controllo a vista dei centri sociali; una posizione decisa nei riguardi dei vari sindacati per far capire, una volta per tutte, ai loro iscritti che oltre al diritto di protestare hanno anche il dovere di lavorare; il rifiuto di ogni complesso di inferiorità nei riguardi delle signore da salotto; una posizione ferma nei riguardi dei vari comitati che a Venezia sorgono come funghi; un occhio vigile nei confronti del popolo dei dipendenti comunali e del continente dei dipendenti delle società partecipate e infine se ha previsto di ricordare ai veneziani che non si può vivere della gloria della Serenissima ma è indispensabile il lavoro di tutti coloro che abitano la città insulare e in terraferma ma, se tutto questo non fosse nel suo programma, sarebbe opportuno che ve lo inserisse al più presto.

Le vacanze del Papa

Quando alcuni anni fa scrissi, da mascalzone quale sono sempre stato, che non approvavo le vacanze del Papa che venivano a costare allo Stato Italiano circa venti milioni di lire, metà dei cattolici mi guardò bieco e tutti i preti storsero il naso e presero le distanze da quel vecchio prete che aveva avuto l’ardire di “non voler bene” al Papa.

Quell’evento fu la classica tempesta in un bicchier d’acqua. La Segreteria di Stato tempestò di telefonate la Curia di Venezia e di Treviso per accettarsi che, dietro a quel semplice trafiletto, non ci fosse un movimento anti cristiano; i miei colleghi presero immediatamente le distanze; il cardinal Scola non aprì bocca ma per un paio di anni mi tenne il broncio mentre la stampa laica dalla Nuova Venezia a “Le Monde” in Francia suonò la grancassa per dare rilievo alla presunta critica di questo povero vecchio prete che in realtà pensava di compiere un gesto d’amore verso il Vicario di Cristo.

Quest’anno la stampa nazionale, in maniera più o meno esplicita, ha mostrato ampie riserve verso Marino, sindaco di Roma che, mentre la città “bruciava”, imperturbabile è rimasto fino all’ultimo giorno negli Stati Uniti a trascorrere le sue vacanze. Questo una volta ancora sottolinea il fatto che il comandante, specie quando c’è burrasca, deve rimanere sulla tolda al timone della sua nave e in verità credo che con Marino la stampa sia stata perfino troppo benevola.

Quello che però mi ha sorpreso e indignato è che nessuno, al di là e al di qua del Tevere, abbia avuto una parola di elogio per Papa Francesco che non solo non è andato in vacanza in montagna ma non si è neppure preso qualche giorno per riposare a Castel Gandolfo continuando a fare il prete nonostante le ferie estive. Noi cristiani, in questo momento storico assai difficile, abbiamo una guida che alla parola aggiunge una testimonianza limpida e convincente. Per essere sulla strada giusta non abbiamo che da seguirlo sulla via della Croce.

“Che fai tu luna in ciel?”

Spero che i miei “nemici” non mi accusino di rivelazionismo se ripeto ancora una volta che mi alzo alle cinque del mattino per compiere, in pace e serenità, le mie pratiche di pietà. Penso sia una scelta che tutti possono fare senza violare alcuna norma anzi spero che molti dei miei colleghi si alzino ancor prima.

Appena alzato, dopo aver salutato nostro Signore, alzo le tapparelle del mio alloggio al Don Vecchi e mi affaccio al terrazzino per vedere come va il tempo. In questi giorni di settembre alle cinque è ancora buio e per due mattine di seguito, guardando il cielo, ho avuto la sorpresa di ammirare la luna: bella, luminosa e pulita. D’istinto mi è tornata alla mente la domanda di Giacomo Leopardi, il poeta dell’infanzia della gente della mia età: “Che fai tu luna in ciel?”. La risposta mi è venuta immediata: “Ti ricordo che Dio vigila su di te e ti dice: <Buon giorno figliolo mio!>”.

Un paio di anni fa è morto don Zega, il discepolo di don Alberione, che per alcuni anni diresse “Famiglia Cristiana”. In occasione della sua morte, nei vari servizi pubblicati sul settimanale, che questo buon prete aveva diretto, veniva riportato un aneddoto della sua vita: in occasione del cinquantesimo anniversario del suo sacerdozio confidò ai vecchi amici del suo paese natio che per tanti anni aveva avuto la gioia di annunciare la “tenerezza di Dio”.

Questa affermazione mi fece molta impressione tanto che ogni volta che vedo un fiore, ogni volta che il mio sguardo si allarga sul verde del grande campo che posso ammirare dal terrazzino del mio alloggio e ogni volta che incontro i volti belli ed armoniosi dei nostri ragazzi, delle giovani donne o dei nostri vecchi ho la sensazione di provare la tenerezza di una carezza di Dio. Sono molto grato a questo vecchio prete perché mi ha aiutato a vedere uomini e cose da un’angolatura piena di fascino e di gaudio interiore. Era molto tempo che non vedevo la luna e il cielo stellato, questa mattina ho avuto l’impressione che la carezza di Dio fosse più calda ed affettuosa di sempre.

Il funerale di una mia vecchia parrocchiana

Qualche giorno fa mi è giunta una telefonata, una voce rotta dal pianto mi ha informato che era appena morta sua madre e che avrebbe desiderato che andassi a darle la benedizione. Per farsi riconoscere mi ha detto il suo nome, come se questo avesse potuto farmi inquadrare la famiglia e il domicilio. Purtroppo nella mia vecchia memoria c’è ormai una grande confusione di nomi, di volti e di strade ma, piano piano, sono riuscito a capire di chi si trattava e dove abitava. Ho preso la macchina e ci sono andato subito perché ho avvertito quanto questa figliola tenesse alla benedizione del sacerdote.

Sono entrato in una piccola villetta dove, a piano terra, c’era la salma composta di una anziana signora quasi centenaria. Negli anni in cui ero parroco a Carpenedo sono entrato in quella casa almeno altre trentacinque volte sempre accolto in maniera affabile da questa signora, elegante, compita e signorile. Ella mi ha sempre accettato con affetto e con fede così come hanno fatto i suoi figli in questa triste occasione. Le visite in questa casa sono sempre state particolari perché il marito, di cui pure ho celebrato il funerale e che fu per anni il presidente della vecchia società dei 300 campi di Carpenedo, era conosciuto da tutti come il commissario politico della brigata garibaldina dei partigiani che operarono nella nostra zona. Molte volte questa donna mi aveva parlato del marito, comunista convinto, che però aveva sempre rispettato la sua fede, che si era sposato in chiesa, aveva avviato ai sacramenti i figli e speso i suoi ultimi anni facendo il bene dei suoi concittadini.

Questi due sposi sono stati due belle figure di persone decise, convinte dei loro valori e rispettose l’uno dell’altra. Sono stato felice di aiutare la mia vecchia parrocchiana a raggiungere il suo sposo nella casa del Padre. Sono convinto che, anche se per strade diverse, ora si siano ritrovati e sono assieme nella Casa di Dio.

La Pira e Renzi

Ieri sera mi sono goduto un bellissimo servizio su Giorgio La Pira, il grande e santo sindaco di Firenze. Io, ai tempi di La Pira, ero per la sinistra democristiana e, seguendo gli insegnamenti della scuola di vita di don Mazzolari e di don Milani, facevo un tifo da “curva” per i cristiani progressisti. Allora seguivo con estrema attenzione le vicende del sindaco di Firenze però sentirle raccontare oggi, da chi conosce meglio di me i risvolti, le reazioni e i contraccolpi tra i “benpensanti” fuori e dentro la Chiesa e la politica italiana, ha fatto sì che questo servizio mi investisse e facesse riemergere ricordi di passioni e di discussioni che credevo ormai definitivamente sepolti sotto la cenere del tempo.

La rubrica di Rai Storia ha messo a fuoco la figura di questo amministratore pubblico “fuori serie” offertoci non dalla Bocconi ma dalla mistica Santa Teresa d’Avila o da San Giovanni della Croce; un uomo assolutamente inedito nella storia della Chiesa e della politica del nostro Paese e, mentre sullo schermo scorrevano le sequenze degli eventi che hanno contraddistinto la sua azione, d’istinto l’ho confrontato con un altro sindaco di Firenze, con quel Matteo Renzi che abbastanza di frequente afferma di ispirarsi al suo santo predecessore.

I due personaggi però hanno una caratura molto diversa e, anche se non ho nessuna difficoltà nel pensare a Renzi come ad un cristiano che a modo suo sta spendendosi per l’Italia, devo però ammettere che La Pira era un uomo di una tempra ben diversa, era un uomo che camminava con un altro passo, con ideali tanto diversi da essere il “folle” che si fidava ciecamente di Dio e che sulla fede ha giocato la sua vita ed ha lanciato le sue sfide impossibili. Ho concluso che uomini come La Pira, nel piano dell’economia della Provvidenza, sono un dono preziosissimo del Signore e questi uomini di Dio, fuori dalle righe della logica normale, diventano punti di riferimento straordinari che costituiscono un grande stimolo per chi vuole impegnarsi seriamente a favore della comunità. Rimangono però purtroppo figure uniche ed irripetibili uscite dalla mano di Dio, prototipi a cui non fa seguito una produzione di serie. Mi pare perciò buona cosa che Renzi, anche se per il suo impegno politico dice di ispirarsi a La Pira, continui a rimanere se stesso, magari moderando un po’ quella sua aria scanzonata e provocatrice, perché se tentasse di imitare La Pira farebbe fiasco.

Un medico solidale con la gente d’origine

Io sono un grande ammiratore di Raoul Follereau, l’apostolo dei lebbrosi. Si deve a questo giornalista, brillante e generoso, se la lebbra, la malattia sopravvissuta purtroppo al passare dei secoli, è quasi definitivamente sconfitta. Questo testimone del nostro tempo affermava che non può ritenersi uomo e men che meno cristiano chi non si fa coinvolgere dal dramma e dalla sofferenza di un suo simile in qualsiasi parte del mondo egli viva. Questo giornalista francese infatti si batté, senza risparmio, a favore degli ammalati di lebbra dei villaggi più remoti e sconosciuti di questo mondo.

Nelle ultime settimane mi è riaffiorata alla memoria questa testimonianza in occasione di una colletta promossa da un medico mio amico, nato nel Sud dell’Italia, che venuto a conoscenza della situazione tragica in cui si trovava un suo conterraneo, si è dato talmente da fare da riuscire a raccogliere una somma veramente significativa. In un paio di settimane, parlando con amici e conoscenti, è riuscito a racimolare quasi 15.000 euro, somma necessaria per evitare la messa all’asta della casa di questo operaio con moglie e figli, disoccupato ormai da diversi mesi a causa della chiusura dell’azienda in cui lavorava. Conoscevo già da tempo la disponibilità e la generosità di questo medico che, quando mi è venuta a mancare l’anziana organista che accompagnava il coro del Don Vecchi, dopo aver letto su “L’incontro” il mio appello per trovare un sostituto, si è offerto senza batter ciglio. Oltre che medico è anche un bravo organista e ha offerto la sua disponibilità due volte alla settimana per le prove e per l’esecuzione dei canti.

A chi crede veramente nella solidarietà nulla è impossibile. Gandhi, l’apostolo della liberazione dell’India, ha scritto: “L’amore risolve ogni difficoltà e se ciò non avviene non è perché quella difficoltà è irrisolvibile ma solamente perché quello non è vero amore”. Mi pare giusto che si conoscano anche questi lati belli della vita, per quelli negativi ci pensano già fin troppo bene i mass-media.

Non posso tacere!

Ieri una mia “giovane” coetanea, che ho conosciuto occasionalmente una dozzina di anni fa, mi ha telefonato per informarmi che “l’operazione” era finalmente giunta in porto.

Sento non solo il dovere ma anche il bisogno di far conoscere ai miei amici lettori de “L’Incontro” questo felice evento perché troppo bello per tenerlo solamente per me. Alcuni anni fa è morta una “signorina” funzionaria del Comune di Venezia, con cui, fin dai tempi in cui ero a San Lorenzo avevo instaurato un rapporto di collaborazione per aiutare i poveri. Questa creatura, che mi ha preceduto in cielo da parecchi anni, aveva fatto testamento a favore della sorella disponendo che ella destinasse tutti gli averi ricevuti in eredità alle missioni e ai poveri. La sorella è la cara “giovane” coetanea che ieri mi ha telefonato per annunciarmi la lieta novella. Ieri ho ricevuto la “parte che aveva destinato ai poveri” perché facessi da suo tramite nell’aiutarli.

“L’operazione”, a cui l’amica fa cenno nella telefonata, non è stata né breve né facile perché si trattava di mettere in regola, con le norme attuali, un “bacaro” vicino a Piazza San Marco e trovare un acquirente che disponesse del denaro necessario per l’acquisto, denaro destinato alla Fondazione per la costruzione di 65 alloggi in quel degli Arzeroni per i divorziati in miseria, per i disabili, per i vecchi preti, per i parenti dei degenti dei nostri ospedali. Ieri la mia “giovane” coetanea mi ha dato il lieto annuncio con voce squillante, fresca, sorridente ed affettuosa come fosse una giovane ventenne felice ed innamorata. In altre occasioni, nel passato, avevo ricevuto questo genere di notizie e ricordo che, anche in quelle occasioni, la voce era la stessa: squillante, fresca ed affettuosa ma sentire a quasi novant’anni che una creatura ti mette a disposizione 675.982 euro è qualcosa che profuma di miracolo! Le ho mandato un bacio per telefono e questa mattina sono andato agli Arzeroni per accertarmi che i muri degli ulteriori 65 appartamenti per i concittadini in difficoltà profumassero di questa carità meravigliosa.

Vedendo la squadra di operai che lavorava di gran lena, ancora una volta ho preso a prestito una frase del Manzoni piena d’incanto: “Là c’è la Provvidenza!”.

San Francesco in versione hippy

Qualche giorno fa mi è giunta la “partecipazione” alla “Professione perpetua” di un giovane del mio quartiere. Forse non tutti sanno che quando un giovane o una ragazza decidono di entrare in un ordine religioso non vengono spalancate loro le porte dei conventi e non viene nemmeno fatta indossare loro la tonaca. Prima devono compiere un lungo tirocinio, che in linguaggio religioso è chiamato “noviziato”, per verificare se la chiamata viene veramente dal Cielo e se hanno le attitudini per abbracciare la vita religiosa.

La “partecipazione” mi ha informato che il 5 settembre, in un convento milanese dei Frati Cappuccini, questo giovane, assieme ad altri sei compagni, emetterà i voti di povertà, di castità e di obbedienza secondo la regola dettata da San Francesco, il poverello di Assisi. Questa notizia mi è particolarmente cara perché stimo e voglio un gran bene a questo ragazzo quasi trentenne che ho conosciuto, nella mia “cattedrale tra i cipressi”, in una tarda mattinata di quattro anni fa.

Ricordo come adesso l’emozione che provai quando mi confidò che, dopo aver fatto diverse esperienze e dopo una intensa ricerca interiore, aveva deciso di entrare nell’Ordine dei Cappuccini indossando il saio di San Francesco per vivere la sua spiritualità. Ricordo ancora che, pochi giorni dopo avermi fatto questa confidenza, si spogliò dei suoi averi donandomi settantamila euro, cioè tutto quanto possedeva, per i poveri e poi chiese ai frati di accoglierlo. La cartolina di partecipazione mi ha aperto il cuore alla letizia francescana perché non era per nulla sussiegosa e formale ma riproduceva il globo terrestre sorretto da sette fraticelli sereni e sorridenti.

Finché si possono incontrare giovani del genere possiamo tranquillamente sognare un mondo migliore

Ancora su don Ciotti

Don Ciotti, il prete di cui ho parlato ieri, non lo ritenevo molto gradevole, un po’ per quella sua voce rauca, un po’ per la capigliatura trasandata ed un po’ perché mi pareva che bazzicasse troppo la gente di sinistra. Ora però ho capito che è un gran prete, uno dei sacerdoti più significativi del nostro tempo e del nostro Paese.

A farmi cambiare idea è stato un suo discorso riportato su una rivista cattolica in cui affermava che il Cardinal Pellegrino, il grande arcivescovo di Torino che l’Ordine dei Benedettini ha offerto alla Chiesa Italiana, il giorno in cui lo ha consacrato prete, forse intuendo, da uomo di Dio quale fu quel vescovo, la particolare personalità di quel giovane prete montanaro delle Dolomiti, gli assegnò come parrocchia la strada. In realtà don Ciotti è sempre stato un prete di strada, un prete che ha sempre voluto incontrare non gli uomini e i cittadini da manuale ma gli uomini autentici del nostro tempo, con i loro pregi ma anche con le loro enormi deformazioni assunte da un mondo assolutamente secolarizzato. Ebbene oggi ho avuto modo di “incontrarmi” con don Ciotti. Vi dico come.

Un mio amico pompiere in pensione, attualmente in montagna, mi ha telefonato dicendomi di mettermi in contratto con un droghiere di Piazza Ferretto che mi avrebbe fornito l’indirizzo per ottenere un carico di pesche. Luigi, il factotum del don Vecchi, l’uomo per ogni evenienza, anche la più imprevedibile, ha preso il suo furgone ed ha portato a casa una quindicina di quintali di pesche di prima qualità provenienti dall’Italia del Sud. Queste pesche sono state raccolte da una cooperativa di “Libera”, l’organizzazione di don Ciotti a cui sono state assegnate le campagne sequestrate alla mafia e che, non so per quale strada, sono giunte alle organizzazioni di beneficenza del nostro Nord. Pochi giorni fa ho letto una frase in cui si afferma che “l’impatto di un sasso lanciato nel fiume provoca dei cerchi concentrici che arrivano fino a sponde quanto mai lontane e sconosciute”. Il sasso di don Ciotti, ossia le sue pesche, ha raggiunto anche me e i poveri di Mestre!

Oggi, missionari a casa nostra

Una ventina d’anni fa, non ricordo come, conobbi una vecchia suora che da una vita era missionaria in un paese africano ed ho mantenuto con lei una fitta corrispondenza. Oggi le suore sono qualificate, conseguono titoli di scuola superiore e prima di partire per le missioni si specializzano con corsi di formazione mentre un secolo fa, quando quella ragazza del nostro Veneto partì per le missioni, penso che al massino avesse conseguito l’attestato di terza elementare. Il fatto poi di essere rimasta in Africa per vari decenni aveva talmente imbastardito il suo italiano, già inquinato dal nostro dialetto, che le lettere che ci scriveva erano di una povertà assoluta sia per i vocaboli che per la grammatica e per la sintassi. Le lettere di quella santa creatura, che avevo fatto conoscere alla parrocchia come “la vecchierella di Dio”, erano però lettere che toccavano il cuore e trasmettevano la sua sconfinata passione per le anime. Questa vecchia missionaria, morta a più di novant’anni in Africa perché non si volle staccare dai suoi poveri indigeni, da un lato ci illustrava come spendeva le nostre offerte: fagioli secchi, sale e altri generi di prima necessità e dall’altro ci parlava con tenerezza delle decine e decine di adulti che si preparavano a ricevere il Battesimo ad una scuola dove l’insegnante era questa vecchia suora quasi illetterata ma con una laurea in fede e generosità conseguita con centodieci e lode.

In questi giorni sto leggendo la biografia di un’altra “suora” senza voti e senza tonaca: Madeleine Delbrêl che ha speso la vita nei sobborghi più scristianizzati di Parigi; una donna di Dio, fine intellettuale e una mistica impegnata nel sociale, quasi per nulla preoccupata di convertire e di battezzare e talora perfino in contrasto con l’apparato ecclesiastico ma attentissima al discorso politico dei responsabili dei quei quartieri dominati dal marxismo ed ancor più impegnata a testimoniare con la sua vita Gesù Cristo. L’unica sua preoccupazione fu quella di ascoltare tutti, di amare tutti, di dialogare con tutti ma soprattutto di vivere in una intimità così profonda con il Cristo affinché la sua gente, che amava più di se stessa, potesse vedere ed incontrare nella sua persona e nella sua umanità Gesù di Nazareth, il figlio di Dio. Due testimonianze da Vangelo tanto diverse però entrambe vere e autentiche e soprattutto capaci di mettersi in assonanza con gli uomini del tempo e del luogo dove hanno testimoniato Gesù. Oggi penso che la gente accetti e capisca maggiormente la Delbrêl che la “vecchierella di Dio” però ambedue sono state un ostensorio del Cristo.

Il Papa tira dritto!

Con il passare del tempo ho sempre più l’impressione che il Papa abbia le idee chiare sul modo di condurre la Chiesa, idee ben diverse da quelle a cui ci avevano abituati. Nei rapporti con la gente può apparire quasi come un vecchio parroco di campagna che si rapporta e guida la comunità cristiana con il cuore e con lo stile di un buon nonno ma in realtà mi pare sia quanto mai determinato a realizzare obiettivi che non si rifanno ad una Chiesa fatta di riti e di buone parole ma ad una Chiesa che si ispira, in maniera radicale, al Vangelo. Questa determinazione nel guidare la “barca di Pietro” si manifesta, in primo luogo, nel suo modo di vivere che esalta l’umanità e demolisce quella sacralizzazione che ha fatto del Papato, della Chiesa e della religione qualcosa di arcano e di estraneo al sentire e al vivere della gente comune. Ritengo quindi quasi superfluo ricordare, ancora una volta, alcuni dei suoi comportamenti che sono insiti nel suo modo di essere e non rappresentano un facile simbolismo: salutare con il buon giorno, la buona sera ed augurare buon pranzo; portare la sua borsa nera da viaggio; vestire una tonaca bianca che lascia intravvedere i pantaloni, le bretelle, e le scarpe da supermercato e usare l’utilitaria. Mi pare ancora più superfluo ricordare il Papa che sale in autobus con gli altri passeggeri, che prende personalmente il cibo al self service e il Papa che in ogni viaggio apostolico pretende di visitare una baraccopoli o una periferia, ecc.

Nei suoi interventi inoltre non si lascia mai andare a misticismi siderali ma è sempre concreto, basti ricordare i quindici rilievi, molto puntuali, rivolti a cardinali e vescovi; le raccomandazioni fatte ai preti, per esempio quelle di non cambiare autovettura ogni due giorni e di vivere con il “gregge” tanto da sposarne perfino l’odore. Mi sembra poi intenzionato a procedere con determinazione nei confronti dei responsabili della Banca Vaticana, dei preti pedofili, delle nomine dei cardinali, non più legate a sedi storiche quali Torino o Venezia e a conferma di questo ieri ho colto la classica ciliegina sulla torta con la nomina a vescovo di Padova di un semplice parroco di Mantova. Credo che se il Papa continuerà su questa strada non subiremo più le deformazioni causate dalle lauree delle università romane e dalle immutabili consuetudini curiali ma avremo invece pastori che hanno fatto la gavetta in parrocchia e hanno imparato il mestiere andando a “bottega”. Bravo Papa Francesco! Era ora!

La mia fortuna

Quando ero cappellano a San Lorenzo mi fu affidata la cura della San Vincenzo e questa associazione in pochi anni è diventata come un pesco o un melo tutto in fiore. Oltre alle avventure della mensa dei poveri, del mensile “Il Prossimo”, delle vacanze degli anziani e dei ragazzi, dei concorsi per ragazzi sulle tematiche della solidarietà, della San Vincenzo in ospedale e dei servizi: magazzino dei vestiti, docce, barbiere ed altro ancora riuscimmo a dar vita ad un gruppo, che nello stile vincenziano chiamavamo “conferenza”, che si occupava esclusivamente dei poveri di Ca’ Emiliani. A quel tempo con questo gruppo abbiamo creato perfino un dopo scuola estivo per i ragazzi e aiutavamo anche gli abitanti delle baracche, il piccolo borgo della miseria che ora fortunatamente non esiste più. Con quel gruppo ho imparato che l’educazione e le esperienze della fanciullezza e dell’adolescenza sono determinanti per la maturazione di una persona. Compresi allora che da quella situazione di degrado morale, abitativo e sociologico era pressoché impossibile che nascessero personalità pulite, oneste, dedite al lavoro e rispettose delle leggi della buona convivenza.

Qualche giorno fa, ricordando queste vicende ormai lontane, mi sono chiesto: “A chi devo la mia personalità, il mio modo di pensare e di concepire la vita?”. Mi sono ritornate alla mente le istituzioni e soprattutto le persone alle quali devo tutto. Il papà sognatore e ricco di ideali; la mamma concreta e generosa così da dare tutto di sé; don Giuseppe Callegaro, il prete della mia fanciullezza, cordiale, sorridente ed affettuoso; don Nardino Mazzardis, il sacerdote nato in un paese disperso nella campagna, lucido, intelligente, fu lui il prete che costruì la mia coscienza ed innescò la scelta di farmi sacerdote; monsignor Umberto Mezzaroba, parroco della mia adolescenza e successivamente parroco delle mie prime esperienze pastorali, un prete di una fede assoluta e di una passione autentica per le anime; don Giuliano Bertoli che mi inserì nel mondo giovanile mediante gli scout; monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo che mi offrì una testimonianza maschia e forte del pastore di anime; monsignor Valentino Vecchi, prete dalle infinite iniziative che aprì il mio animo alla città e alla Chiesa che cammina. A queste figure vicine devo aggiungere anche quelle ideali come Papa Pio XII, Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II e i miei Patriarchi: Agostini, Urbani, Roncalli, Luciani, Scola e i preti che mi fecero sognare una Chiesa bella, libera, povera, da Vangelo come Don Milani, don Mazzolari e Padre Turoldo. A questi preti e vescovi devo molto per tutto il bene che mi hanno fatto e per questo li ringrazio e prego per loro.