Le attuali “parole chiave”

In ogni stagione si scoprono e si usano parole chiave che identificano i problemi più scottanti e cruciali e che, il più delle volte, si ritiene siano le chiavi per capire, affrontare e risolvere suddette criticità. Vorrei soffermarmi su alcune di queste parole che una volta si definivano “magiche”, ma che ora, in un tempo di laicismo imperante, si ritiene siano invece le ultime “scoperte” per dare soluzione a problematiche che superano le capacità dell’individuo e delle comunità, specie di quelle più piccole.

Una delle locuzioni oggi più ricorrenti è quella di: “investire nella ricerca”. Tutti affermano che le aziende che investono nella ricerca riescono a stare sul mercato e a sviluppare le proprie attività creando reddito. Se applicassi questa conclusione alle nostre parrocchie e se questo enunciato fosse valido, esse dovrebbero essere destinate al fallimento certo perché ormai, da decenni, queste realtà sono rimaste ingessate. Infatti, a livello parrocchiale, io non riesco a scoprire alcunché di nuovo per quanto riguarda la carità, i massmedia, il mondo giovanile e la presenza sul territorio; mi pare anzi che nell’ultimo mezzo secolo si debba registrare piuttosto qualche passo indietro mentre la società civile, in questo lasso di tempo, è passata dal grammofono alla televisione, dal pallottoliere al computer! Investire sull’uomo non solo è una necessità ma è soprattutto un dovere se si crede nel messaggio evangelico e se si vuole sopravvivere.

Oggi si parla poi spessissimo della necessità “di far rete”: solamente Mussolini ha predicato l’autarchia! Se le parrocchie della nostra città non si mettono assieme a progettare una pastorale comunitaria rimarranno sempre più fragili, impotenti, incapaci di far passare un messaggio ed una testimonianza recepibile dalla gente del nostro tempo.

Nel passato ho definito le parrocchie di Mestre come un arcipelago di tante isolette autonome e non comunicanti, ora, adoperando la definizione del filosofo von Leibniz nei riguardi dell’uomo, sarei tentato di parlare di “monadi senza porte e senza finestre”. Le nuove esigenze determinate dalla crescita e dallo sviluppo, che valgono per il commercio e per l’industria, purtroppo valgono anche per le comunità cristiane che vogliono stare a galla e continuare a diffondere, con risultati positivi, la loro proposta.

Richiesta ai candidati

L’elezione a sindaco di Venezia o a governatore del Veneto purtroppo sembra interessare più ai candidati che agli elettori, anche se i candidati non dovrebbero aspettarsi altro se non l’onore di servire la comunità senza alcun ritorno di ordine economico. Gli elettori invece dovrebbero sperare di avere amministratori capaci, onesti e sommamente preoccupati di operare per il bene della collettività. Io probabilmente avrò la “fortuna” di incontrare personalmente quasi tutti i contendenti. I cinquecento residenti presso i Centri Don Vecchi e le cinquemila copie settimanali de “L’Incontro” non possono non far gola a chi ha bisogno di voti per “ambire all’onore di sacrificarsi per la comunità!”. Avendo l’opportunità di un incontro diretto mi sto preparando da tempo su cosa dir loro e su cosa chiedere. Premetto che ritengo opportuno che i candidati conoscano direttamente il mondo che ambiscono amministrare, perciò illustrerò loro il nostro progetto che può far risparmiare centinaia di migliaia di euro al mese all’ente pubblico e, con l’aria che tira, questa non è cosa di poco conto! Ribadirò inoltre, a chiare lettere, che la nostra sperimentazione, ormai ventennale, offre agli anziani una qualità di vita infinitamente migliore di quella offerta da altre soluzioni e questo non è un elemento trascurabile. Infine arriverà il colpo di grazia, la prova del nove per la loro serietà: chiederò a Casson se, qualora venisse eletto, sarebbe disposto a governare assieme a Brugnaro e a Brugnaro chiederò la stessa cosa e cioè se, qualora fosse lui ad essere eletto, sarebbe disponibile ad amministrare con Casson. Perché questo è il “busillis” della questione; non mi si parli di destra o di sinistra, queste distinzioni sono solamente baggianate per allocchi, ormai tutti sappiamo che sono parole vuote, paraventi per porcherie di parte! Se questi personaggi e quelli della Regione avessero a cuore il bene dei cittadini, dovrebbero, come in ogni famiglia sana, trovare una mediazione e se non volessero farlo sarebbero dei vendi vento, degli imbonitori da fiera con i quali è bene non aver nulla a che fare!

I “militi ignoti” dei Centri don Vecchi

Fortunato me che molto spesso ricevo complimenti ed elogi ammirati per le strutture che col tempo “sono” riuscito a realizzare per gli anziani di modeste condizioni economiche. Sempre e ripeto sempre, quando mi capita di sentire queste attestazioni di simpatia e di ammirazione le dedico a quel piccolo mondo di persone che hanno abbracciato la mia proposta e che con il loro impegno, la loro generosità e spirito di sacrificio le hanno dato volto e tutt’ora la mantengono in vita. Ogni volta che ho avuto l’occasione di prendere la parola ho ricordato che la vera protagonista è stata la città e in particolare la mia cara comunità parrocchiale e più ancora quella pattuglia di collaboratori con i quali ho condiviso la mia avventura solidale. Moltissimi anni fa lessi una frase di una bella commedia di Bertolt Brecht in cui, commentando un passo del “De bello gallico” in cui si afferma che Cesare conquistò la Gallia, questo autore, un po’ sarcastico, si domanda: “Ma Cesare non aveva con sé neppure uno scudiero, uno stalliere o semplicemente un cuoco?” affermando così che ogni impresa non è mai attribuibile ad un solo uomo ma ad una comunità che condivide il suo ideale e il suo impegno.

Ho scritto che Rolando e Graziella Candiani lasciano dopo vent’anni di dedizione assoluta nei riguardi dei Centri Don Vecchi. Senza i loro cuori, la loro intelligenza e il loro impegno questi Centri non avrebbero di certo il volto che hanno! Il Centro Don Vecchi di Marghera non sarebbe così elegante e funzionale senza l’anima e il cuore di Teresa e Luciano. Il Centro di Campalto poggia poi sulla saggezza e sulla generosità del vecchio Lino e sull’intraprendenza del giovane Stefano mentre agli Arzeroni, si sperava di aver trovato una soluzione valida, ma poi è improvvisamente sfumata, quindi rimane ancora un problema aperto per il nuovo Centro! Infine Rosanna e Gianni stanno iniziando la loro avventura per ringiovanire e mantenere vitali tutte le nostre strutture. Oggi sento il bisogno di additare all’ammirazione e alla riconoscenza della città questi “Militi Ignoti del Bene” e i tanti altri ignoti senza i quali Mestre non avrebbe questo bel fiore all’occhiello rappresentato dai Centri Don Vecchi.

Il nuovo sindaco

Ho già scritto del mio auspicio nei riguardi del nuovo sindaco di Venezia. Speravo che una volta tanto i soliti politici “guastafeste e combina guai” avessero, come si usa dire oggi, “fatto un passo indietro” e si fossero messi da parte permettendo ad una nuova categoria di cittadini di tentare di colmare la voragine di debiti che essi avevano fatto rimettendo di nuovo in piedi il nostro disastrato comune. A questo scopo pensavo che il tipo di candidato sindaco più adatto a raggiungere l’obiettivo fosse un bravo imprenditore onesto e con un’azienda efficiente che, per amore della propria città, sacrificasse cinque anni della sua vita per questa opera di carità così nobile e necessaria ma con il timore però di ripetere la medesima esperienza narrata nella parabola della Bibbia, che racconta come andarono le cose quando gli alberi vollero trovarsi un re. Chiesero alla vite, ma questa si rifiutò dicendo che “non se la sentiva di privare gli uomini del suo vino che rallegra i loro cuori!”; si rivolsero quindi all’ulivo ma anche lui non si rese disponibile perché la gente aveva bisogno del suo olio per vivere” e così via. Non trovando nessun altro candidato malauguratamente accettarono l’offerta del rovo che li ridusse in miseria costringendoli a vivere una vita grama. Temendo che avvenisse così anche per il Comune di Venezia, pensavo di chiedere al Patriarca che, con tanto di croce astile, seguito dai sacerdoti e dal popolo, si recasse in processione per chiedere questa grazia a qualcuno che non fosse il “rovo” di sempre! Pare che il Signore mi abbia ascoltato e il Brugnaro, dei trionfi della Reyer e del tentativo di bonificare l’isola di Poveglia, ha fatto la scelta generosa di salvare Venezia. Sennonché anche un magistrato mentore della giustizia, uomo di legge, strenuo combattente contro le mafie e la corruzione, di nome Felice Casson, ha avvertito il dovere di offrire il proprio talento professionale perché a Venezia cessi di regnare il malaffare, il sopruso, la prepotenza, l’arrivismo e tutti i malanni del genere. Questo evento mi ha fatto cambiare i sogni, gli auspici e la mia preghiera oggi è questa: “Signore, fa che si mettano d’accordo” perché questi due “consoli” tanto diversi offrano ognuno le proprie risorse e assieme salvino Venezia! Mi auguro tanto che il Signore ma, soprattutto Casson e Brugnaro, finalmente l’accolgano!

Non tutto vien per nuocere

Quello di cui oggi vorrei parlare ai miei amici è un argomento che ho trattato tante volte però sento il bisogno di “rileggerlo” da un punto di vista diverso. È ormai risaputo a Mestre, “anche dai sassi”, che la mia comunità ha tentato, fortunatamente con successo, di inventare una soluzione assolutamente innovativa per gli anziani autosufficienti che “godono” di modeste risorse economiche. Questa “invenzione” consiste negli alloggi protetti dei Centri Don Vecchi. L’obiettivo è quello di favorire, fino all’ultimo, la loro autonomia, impegnandoli a provvedere a se stessi, offrendo loro un alloggio alla portata delle loro tasche e aiutandoli dando loro modo di vivere in una struttura che, sia a livello architettonico che a livello sociale, facilitasse loro la vita. Fortunatamente abbiamo fatto centro cosicché la stragrande maggioranza dei cinquecento residenti nei 483 alloggi dei Centri Don Vecchi affermano di essere fortunati e contenti.

L’assessore alla Sicurezza Sociale della Regione, dott. Sernagiotto, è venuto casualmente a conoscenza della nostra iniziativa e ci ha proposto di ampliare il nostro progetto accogliendo in un centro anche gli anziani della quarta età, ossia quegli anziani che stanno tra gli ottanta e i cento anni, cioè in quella zona grigia tra l’autosufficienza e la mancanza di autosufficienza e che abbiamo definito, per comodità, “anziani in perdita di autonomia”. Sernagiotto ci ha promesso che avrebbe indetto un bando in cui la Regione avrebbe messo a disposizione 25 euro al giorno per l’assistenza di suddetti anziani. In quattro e quattr’otto abbiamo costruito agli Arzeroni una struttura di 65 alloggi e l’abbiamo riempita con persone anche ultranovantenni.

Sennonché Sernagiotto è stato eletto al Parlamento Europeo e il funzionario incaricato di “costruire” il bando del concorso ha trovato più comodo starsene tranquillo sulla sua poltrona sicuro che a fine mese il suo stipendio sarebbe arrivato ugualmente. Questa purtroppo è una storia assai frequente nella burocrazia della pubblica amministrazione! Inizialmente mi venne da disperarmi: 65 anziani traballanti, senza i soldi necessari per la loro assistenza: un problema apparentemente senza soluzione. La disgrazia però si è rivelata ben presto una “fortuna” perché i vecchi hanno fatto ricorso a tutte le loro forze residue, i familiari si sono sentiti moralmente costretti a non abbandonarli alla loro sorte e un gruppetto di volontari, che sta vieppiù crescendo, ha offerto la sua disponibilità, tanto che tutto va per il meglio. Una volta ancora si è dimostrato fortunatamente vero e calzante il detto spagnolo: “Il Signore scrive dritto anche quando le righe sono storte!”.

Il tempo passa per tutti

Vent’anni fa iniziò l’avventura dei Centri Don Vecchi. Le cose ci sono andate molto bene sia perché il progetto si è rivelato valido ed innovativo, sia perché eravamo spinti da motivazioni esclusivamente di carattere ideale in quanto, sia io sia tutti coloro che mi hanno aiutato, eravamo persone disinteressate che operavano senza aspettarsi nessun ritorno economico ed infine perché chi si occupava di contabilità ha sempre tenuto i conti sotto controllo ed ha amministrato in maniera saggia e prudente. L’amministratore unico, per una decina di anni, quando i Centri Don Vecchi erano amministrati per conto della parrocchia e successivamente quando la responsabilità della loro gestione passò alla Fondazione, è stato il ragionier Rolando Candiani. Devo riconoscere che se il Signore mi ha fatto un dono è stato quello di sognare e di perseguire progetti solidali sempre più avanzati anche se, da un punto di vista amministrativo, l’unica mia certezza era che i conti dovevano sempre quadrare o meglio ancora essere in attivo. Vent’anni fa, quando il Consorzio Agrario, presso cui lavorava uno dei “miei ragazzi” dell’Azione Cattolica, andò in crisi e licenziò la maggior parte delle sue maestranze, la Fondazione optò per il ragionier Rolando Candiani, figlio del famoso pittore mestrino Gigi Candiani. Chiesi allora a Rolando se fosse disposto ad aiutarmi ad impostare un’amministrazione seria che non mi mettesse in difficoltà. Rolando accettò condividendo così questa “missione impossibile” e, nonostante mille vicissitudini, non solo i conti sono stati sempre in regola ma ci hanno anche permesso di realizzare la quinta struttura e di impostare la sesta! Rolando coinvolse poi anche la moglie Graziella cosicché i Centri Don Vecchi diventarono lo scopo principale della loro vita. Il tempo però passa per tutti. Io sono stato il primo a lasciare per motivi anagrafici, e proprio in questi giorni anche Rolando e sua moglie Graziella sono andati “in pensione” lasciando la loro vita di volontari. Credo sia giusto che la nostra città sappia che per vent’anni questi due coniugi sono stati le colonne portanti dei Centri Don Vecchi e sia loro riconoscente per il “miracolo” che hanno concorso a realizzare!

Insufficienza congenita

I miei interessi primari sono di ordine religioso, in maniera più specifica di ordine cristiano ed infine il mio interesse più immediato è quello di ordine parrocchiale e soprattutto cittadino. Tutto questo mi costringe a denunciare ancora una volta una carenza pastorale che è diventata sempre più consistente in quest’ultimo ventennio. Quale parrocchia, anche se abbastanza numerosa, è attrezzata per formare universitari, maestri, dirigenti d’azienda, per essere propositiva e trainante nel promuovere lo sport, l’arte, la musica e per essere attiva nel mondo del lavoro, nelle problematiche della famiglia e nella carità?

Credo che siamo giunti al punto in cui la maggior parte delle parrocchie non riesce più a seguire nemmeno i ragazzi delle superiori. Da questa constatazione nasce l’urgenza di impostare una pastorale globale che superi gli ambiti parrocchiali. Questo problema dovrebbe essere affrontato in ambito vicariale ma, i vicariati sono anch’essi troppo piccoli per problematiche del genere, bisognerebbe quindi rifarsi ad un ambito cittadino. Purtroppo attualmente, a Mestre, non vi sono più organismi sovraparrocchiali che abbiano il mandato di occuparsi di questo tipo di pastorale. I sogni e i progetti di monsignor Vecchi a questo proposito sono naufragati ancor prima di nascere per l’insipienza del “governo”. Se non riusciamo a risolvere per tempo questo problema, nel prossimo futuro, la Chiesa mestrina non potrà più contare su una classe dirigente.

Attesa vana?

Alcuni mesi fa il nostro Patriarca ha cambiato i vertici della Caritas diocesana, l’organismo che guida uno degli aspetti principali della vita e dell’attività della comunità cristiana. Il cambiamento ha riacceso nel mio animo la speranza, cullata da una vita, che finalmente si desse vita ad un progetto globale ed aggiornato nella gestione della carità della diocesi e che si tentasse di mettere in rete i vari organismi ora operanti in maniera quasi totalmente autonoma, senza nessun tipo di collegamento e di coordinamento che stimoli la loro complementarietà e le spinga ad agire, nell’ambito del loro ruolo di servizio alla comunità, avendo come riferimento il progetto globale indicato. Il cardinale Scola, prima di essere trasferito a Milano, aveva promosso un paio di incontri con l’intento di creare forme di sinergia tra le strutture caritative però la cosa non ebbe seguito ed ora sembra abbandonata del tutto. Non appena sono venuto a conoscenza della nuova nomina, pur con qualche difficoltà, mi sono messo in contatto con il nuovo responsabile per offrire la mia disponibilità a collaborare sul fronte della solidarietà cristiana e per conoscere gli obiettivi che il nuovo responsabile si prefiggeva di raggiungere con il nuovo servizio. Il responsabile della Caritas della Chiesa veneziana mi promise che non appena avesse preso coscienza dell’esistente, mi avrebbe contattato. Io sono ben cosciente che avviare un progetto globale, iniziando con il mettere in contatto l’esistente, non è cosa di poco conto e perciò ho lasciato trascorrere giorni, settimane e mesi ma a tutt’oggi mi pare che su questo fronte di primaria importanza non ci sia nulla da segnalare, quindi spero che a questo tempo di attesa prolungato corrisponda qualcosa di veramente consistente e valido!

Un nuovo alito di speranza

Premetto che ritengo di essere nella condizione di potermi avvalere di una saggia sentenza della cultura dell’antica Roma: “I vecchi hanno il diritto di dimenticare e di ripetersi”.

Ho già l’età per potermi rifare a questa sentenza e perciò lo faccio con tranquillità e soddisfazione! Ho scritto, anche recentemente, che quando, con Monsignor Vecchi cinquant’anni fa, aprimmo “Il Ristoro” di Ca’ Letizia non pensavamo, come invece poi è avvenuto ed avviene tutt’ora, ad una “mensa per barboni” ma sognavamo un “ristorante” per gente con pochissime risorse economiche. Non rimpiango di certo la piega che ha preso Ca’ Letizia, perché ha fatto e continua a fare un gran bene, però mi è rimasto nell’animo il vecchio progetto del “ristorante popolare” che possa permettere anche ad un operaio che guadagna mille duecento euro al mese, che ha un affitto di seicento euro e un bambino che frequenta la scuola, di poter dire, in occasione dell’anniversario di matrimonio o dell’onomastico o compleanno della moglie o del piccolo: “Questa sera vi porto fuori a cena!”, cenando con dieci euro al massimo in una sala signorile, servito a tavola da camerieri in divisa, con un menù semplice ma gustoso e vario.

Finora questo sogno è rimasto solamente una chimera. Ora però che ho letto su “Il Messaggero di Sant’Antonio” che a Milano un manager della ristorazione invita ogni sera a cena un centinaio di “poveri veri”, sapendo che i proprietari del catering “Serenissima Ristorazione”, che appronta centomila pasti al giorno, abitano in Veneto e sono dei buoni cristiani, ho messo a punto questo progetto:

a) chiederò alla Fondazione Carpinetum l’uso gratuito della sala da pranzo capace di ospitare centoventi persone.

b) chiederò agli scout se mi assicurano ogni sera una decina di ragazze e ragazzi almeno diciottenni per fare da camerieri.

c) chiederò infine ai proprietari del suddetto catering, che ha attualmente un centro cottura al Don Vecchi, se sono disponibili ad offrire almeno cento-centoventi pasti a sera con un menu fisso ma buono ed abbondante a due euro a persona. A questo scopo inizierò una novena a Padre Pio e a Santa Rita e poi procederò nel tentativo!

Un capitolo per il mio testamento

Raoul Follereau, l’apostolo dei lebbrosi, scrisse nel suo testamento: “Lascio in eredità ai miei discendenti i progetti che non sono riuscito a realizzare”. Ho pensato in questi giorni, avendo compiuto ottantasei anni e constatando che “il tempo si fa breve”, che debbo aggiungere un paragrafo al mio testamento: quello di costruire per Mestre un progetto che metta almeno in rete tutte le “agenzie” cittadine della carità o meglio della solidarietà. Ho tentato con la “Cittadella della Solidarietà” ma, con l’uscita dalla diocesi del Patriarca Scola, tutto è finito nel dimenticatoio. Ho pure tentato di avviare un progetto, pur parziale ma moderno, ossia quello di creare un sito “Mestre Solidale” in cui sono fornite tutte le informazioni relative agli enti caritativi esistenti in città. Ho però concluso che i poveri non hanno dimestichezza con internet e che colleghi preti, San Vincenzo e soprattutto Caritas pare che, a tal proposito, siano riottosi. A Mestre non esiste tutto quello che sarebbe necessario per aiutare i poveri, però qualcosa c’è e se ci fosse un minimo di coordinamento qualcosa di più e di meglio penso che si riuscirebbe a fare. La mia speranza si è rinfrancata con la nomina del nuovo direttore della Caritas, però passano i mesi senza che alcuno si muova; sto perdendo le speranze. Questi pensieri e soprattutto queste preoccupazioni si sono rinnovate leggendo su “Proposta”, il settimanale della Parrocchia di Chirignago, il trafiletto che trascrivo.

L’anno scorso abbiamo tentato una strada nuova nell’approccio ai “mendicanti” e cioè ai poveri che suonano alla porta delle case e quindi anche della canonica. Avevamo dovuto cambiare perché quelli che chiedevano l’elemosina non erano per nulla degli stupidi e vedendo che ogni giorno cambiava il segretario, ogni giorno si presentavano a prendersi l’uno o i due euro.
E si facevano la “paga mensile”.
Per evitare questo inconveniente abbiamo deciso di dare due euro solo il mercoledì. Ma in un lampo la voce si diffuse tra i mendicanti e ben presto dovemmo scendere ad un euro a testa.
Ma adesso la situazione si è fatta ugualmente insostenibile: 115 la scorsa settimana, 95 questa, … di questo passo dove andremo a finire?
Il fatto è che quelli che hanno bisogno anche di un euro sono sempre di più. Sono una marea.
Avevo sperato che questa scelta fosse sostenibile.
Ma mi accorgo che non lo è: così, tra il lusco e il brusco, distribuiamo (o sarebbe meglio dire: buttiamo dalla finestra) qualcosa come cinque o seimila euro all’anno.
Troppo, se teniamo conto che questa è solo una delle voci che fanno capo alla Carità.

La soluzione prospettata da don Roberto, parroco di Chirignago, mi pare sia meno del minimo per una comunità cristiana, però se messa in rete, se i cinque o seimila euro che ogni anno dice di buttare dalla finestra fossero messi in “rete” e questa “rete” si rifacesse ad un progetto globale, studiato con intelligenza e con cuore, di certo non risolverebbe il problema dei poveri ma perlomeno le offerte non sarebbero “buttate”! Alla mia veneranda età non credo di poter fare altro che inserire nel testamento questo mio sogno rimasto finora tra le nuvole del cielo.

Il sindaco

Mentre butto giù queste note è in pieno svolgimento la campagna per le primarie del centro sinistra per proporre a Venezia e Mestre il suo candidato sindaco. Non sto a ripetermi sui problemi in attesa di soluzione che aspettano il nuovo primo cittadino. A me vengono le vertigini al pensiero che la passata amministrazione ha lasciato sessantacinque milioni di debito, per cui credo che una persona, anche solo minimamente responsabile, dovrebbe farsi pregare in ginocchio per accettare di impegnarsi nel risanamento di questo buco portando il bilancio del Comune al pareggio. Vedo però che invece non mancano i candidati che hanno cominciato a sgomitare per avere il privilegio di addossarsi una croce del genere! Mi auguro che posseggano delle formule magiche e misteriose per realizzare questa “impresa davvero impossibile”. Per quanto riguarda la destra non ho ancora visto all’orizzonte alcun personaggio di sorta; spero che abbiano un asso nella manica di grande valore! Ad essere onesto verso i miei concittadini, io mi auguravo che i possibili candidati non uscissero dalla vecchia guardia, sia del centro sinistra che del centro destra, ma soprattutto non avessero nulla a che fare con le segreterie dei partiti, considerati i fallimenti e i disastri che hanno provocato nel passato e che sono sotto gli occhi di tutti. Finora ho auspicato e pregato affinché sia la destra che la sinistra riuscissero ad individuare, pregandolo in ginocchio, qualche cittadino onesto e di buona volontà, che avesse già dimostrato le sue capacità manageriali disposto ad offrire cinque anni della sua vita per riassestare l’apparato comunale e le sue finanze disastrate ponendo almeno le premesse per un’amministrazione ordinata e positiva. Ho l’impressione che il mio auspicio abbia poche possibilità di realizzarsi, mi accontenterei che il Signore offrisse a Venezia almeno un piccolo Renzi con la voglia di fare e con la voglia di sbarazzarsi di tutto il vecchiume del passato.

Campagna elettorale

All’ultimo momento don Gianni mi ha chiesto, a causa di un banale incidente che lo ha costretto all’immobilità, di sostituirlo ad una tavola rotonda organizzata dallo staff elettorale dell’aspirante sindaco Casson. Pur non amando questo tipo di incontri perché sono conscio di non possedere la dialettica necessaria in queste situazioni, ho ritenuto doveroso acconsentire anche perché l’incontro avrebbe potuto tornare utile alla causa dei Centri Don Vecchi. La tavola rotonda si è svolta al Laurentianum di fronte ad un pubblico formato prevalentemente da anziani ed aveva per tema: “Le nuove povertà”. Penso che gli organizzatori abbiano puntato ad interessare il mondo cattolico che non può non essere coinvolto su questi aspetti della vita della nostra città. Partecipavano all’incontro, oltre all’onorevole Casson, don Albino Bizzotto, sacerdote molto noto per le sue posizioni radicali nei riguardi dell’impegno politico e dei cattolici, un esperto in problemi agricoli ed io che, tutto sommato, rappresento la memoria storica dell’impegno della Chiesa mestrina nei riguardi del mondo dei poveri. Nel mio intervento ho precisato con chiarezza il mio pensiero ribadendo che sono poco interessato a discorsi fumosi e di circostanza sulla solidarietà e che nella mia vita ho sempre privilegiato i fatti concreti.

Monsignor Vecchi, il mio maestro di vita, diceva che: “Un fatto vale più di mille parole!”. Ho cominciato con l’affermare che alle “vecchie povertà”, ancora presenti, si sono aggiunte le nuove povertà anche se le mie maggiori preoccupazioni sono rivolte alle nuovissime povertà: mancanza di speranza, di entusiasmo, di fiducia nelle istituzioni, di coraggio, di ottimismo e di valori. Ho proseguito con il ricordare la mensa di Ca’ Letizia, le vacanze degli anziani, la rivista Il Prossimo, i trenta gruppi caritativi della San Vincenzo e per finire ho ricordato i cinque Centri Don Vecchi con i loro quattrocento alloggi protetti per gli anziani poveri, l’apertura del cantiere della nuova struttura che risponderà alle urgenze abitative e il polo solidale formato dalle quattro associazioni di volontariato. Ho concluso il mio intervento auspicando che la nuova amministrazione tenga in maggior conto il “privato sociale”, poiché attualmente il Comune “elargisce” solamente un euro e novanta centesimi al giorno per ogni residente dei Centri Don Vecchi, e si limiti a fare il coordinatore delle varie organizzazioni solidali piuttosto che impegnarsi direttamente come nel passato.

Un sogno rimasto solo un sogno

Quasi cinquant’anni fa Monsignor Vecchi, la San Vincenzo ed io aprimmo il “Ristoro” di Cà Letizia, quella struttura che attualmente tutti chiamano: “La Mensa dei Poveri”.

Noi a quel tempo non intendevamo avesse i connotati che essa pian piano ha assunto, cioè una mensa in cui senza tetto e sbandati potessero trovare un piatto di minestra calda e qualcosa per placare i morsi della fame ma, a quel tempo, lo progettammo affinché fosse come un ristorante, pur modesto, in cui le persone, con poche risorse economiche, potessero pranzare in un luogo dignitoso e ad un prezzo pressoché simbolico.

Inizialmente fu così, tanto che perfino una coppia di giovani sposi organizzò il pranzo di nozze nella sala da pranzo di Cà Letizia! Forse era fatale che diventasse la “Mensa dei Poveri” però nel mio animo è rimasto ancora l’antico sogno del “ristorante” per la povera gente, sogno che probabilmente dovrò lasciare in eredità a chi verrà dopo di me.

Qualche settimana fa, leggendo un servizio de “Il Messaggero di Sant’Antonio”, ho appreso dell’iniziativa di un ristoratore milanese che ha aperto un locale in cui, chi è di modeste condizioni economiche, può pranzare con un euro. A motivo di questa notizia ho cercato di raccogliere informazioni presso gli addetti ai lavori per capire se la sala da pranzo del don Vecchi potesse essere adibita a “Ristorante Popolare”, però mi sono reso conto che la cena verrebbe a costare non meno di quattro euro, garantendo però ogni sera almeno una cinquantina di commensali. A questo punto mi vedo costretto a rimettere nel cassetto dei sogni questo progetto in attesa di momenti migliori!

“Dolci e delizie”

L’anno scorso una giovane signora mi telefonò informandomi che due pasticcerie, gestite da suoi amici, erano disposte a regalarci ogni sera “le paste e i dolci” che non erano stati venduti perché avevano scelto di vendere solamente la produzione di giornata. Con un po’ di impegno sono riuscito a organizzare una piccola squadra che ogni giorno, dopo il consueto avviso telefonico, parte con il Doblò e porta a casa una o più grandi scatole delle migliori leccornie reperibili nelle pasticcerie di Mestre.

Ritengo giusto segnalare i nomi di queste pasticcerie per indicarle all’ammirazione dei concittadini e per informare che in questi negozi si vendono solamente dolci freschi, appena prodotti, mi riferisco a: “Dolci e Delizie” di Via S. Pio X e della Bissuola a cui si è aggiunta, anche se con minore frequenza, la Pasticceria Ceccon di Carpenedo. Questa elargizione, pressoché quotidiana, fa sì che gli anziani dei cinque Centri Don Vecchi spessissimo abbiano a tavola anche il dolce. Queste offerte sono così frequenti ed abbondanti che, anche per timore del diabete, talvolta dirottiamo questo “ben di Dio” alla mensa dei poveri di Ca’ Letizia, a quella dei Frati Cappuccini e perfino a quella di Altobello.

Se in città si sviluppasse maggiormente la cultura della solidarietà ci sarebbe più benessere per tutti. Questi casi sono purtroppo ancora isolati, ci auguriamo però che facciano scuola. Noi pertanto invitiamo i concittadini a scegliere per i loro acquisti questi negozi.

Villa Salus

Non so bene quale sia la funzione specifica di Villa Salus nell’organigramma della Sanità approntato dalla Regione per la nostra città.

Per quel poco che mi è dato di capire credo che quello dell’Angelo sia l’ospedale d’eccellenza per le situazioni più gravi, mentre Villa Salus debba affrontare le situazioni meno impegnative e fare da supporto per completare le cure ai pazienti che si sono sottoposti ad interventi molto gravi nell’ospedale dell’Angelo.

Comunque, avendo frequentato in quest’ultimo tempo Villa Salus, a motivo del ricovero di una persona cara, mi è parso di avvertire che in questo ospedale periferico, in cui sono presenti un gruppetto di suore anziane, si respiri un’aria di famiglia, si avverta un clima di umanità, di rispetto e di attenzione particolare per i pazienti per cui tutto pare più sereno. Pure medici ed infermieri sembrano adeguarsi alla motivazione religiosa che ha dato vita a questa struttura e che tutto sommato, s’avverta che l’ambiente risente dell’amore per il prossimo, quell’amore che ha spinto quest’ordine religioso a dedicarsi ai fratelli ammalati. L’altra mattina poi, quando ho sentito la suora guidare la preghiera del mattino, ho capito quanto grande sia il valore aggiunto dello spirito di fede che impregna ancora questa struttura.