Don Armando Berna

Fra la posta che mi hanno consegnato questa mattina c’era anche una busta abbastanza rigonfia. L’ho aperta con un pizzico di curiosità anche a causa del suo spessore e vi ho trovato due fogli con una corposa testimonianza su don Armando Berna, il prete dell’Onarmo, che ha speso l’intera sua vita per l’evangelizzazione degli operai di Porto Marghera e che fu poi il parroco della parrocchia di “Gesù Lavoratore” a Ca’ Emiliani.

La lettura del manoscritto e la fotocopia di un piccolo manifesto del 1965, che invita a celebrare il 48° anniversario della nascita di Porto Marghera e la festa dell’infiorata della statua della Madonna di Fatima, mi hanno indotto a ritornare alle vicende di mezzo secolo fa. Inizialmente sono stato tentato di pubblicare su “L’incontro” la testimonianza di questo ammiratore di Don Berna, il protagonista dei preti degli operai delle fabbriche di Marghera, poi, il fatto che il testo è sì denso di passione ma un po’ sconclusionato nella stesura e soprattutto privo di firma, mi ha indotto a metterlo da parte per ripensare ancora un po’ sull’opportunità di pubblicarlo.

Don Berna però merita un ricordo ed un ricordo significativo. Io porto ancora nel cuore una bella memoria di lui che per me è stato un prete vero, un prete con una grande passione per le anime. I miei rapporti con questo sacerdote, ben più vecchio di me, non sono stati molto profondi però hanno inciso decisamente sul mio animo. Ricordo un ritiro spirituale che egli ha tenuto in seminario. Non dimenticherò mai questo sacerdote che dialogava in maniera appassionata con Gesù tanto da bussare sulla porticina del tabernacolo quasi per farsi ascoltare meglio da Cristo! Lo ricordo quando con un gruppo della San Vincenzo abbiamo aperto un dopo scuola a Ca’ Emiliani e lui parve soffrire pensando che considerassimo la sua comunità un po’ degradata, evidentemente l’amore gliela faceva immaginare migliore. Ricordo quando mi mandarono a dirgli di non incoraggiare i suoi fedeli convinti che la Madonna della sua chiesa si muovesse. Don Armando Berna fu un uomo di fede, forse un po’ particolare, però l’amore per Cristo lo scuoteva nell’intimo del suo sentire ed operare. Mi auguro che ci sia qualcuno in grado di ricordare ai preti e ai fedeli di Mestre questa forte figura di sacerdote.

L’annuario

Io faccio parte della Chiesa veneziana ma, un po’ per l’età ma soprattutto perché sono sempre stato allergico alle vicende della curia e del “palazzo”, vivo ai margini dell’attualità del patriarcato di Venezia. Le uniche notizie che lo riguardano le leggo su “Gente Veneta”, il settimanale della diocesi, e rarissime volte su “Il Gazzettino”, quotidiano locale che, a differenza di un tempo, interviene raramente sulle vicende della nostra comunità cristiana.

Questa premessa non significa che io non sia interessato e che non viva le problematiche della Chiesa a cui ho dedicato l’intera esistenza perchè talvolta il mio coinvolgimento è così profondo da farmi preoccupare e soffrire, nonostante ormai non abbia più alcuna responsabilità diretta in queste vicende. A testimonianza di questo, quando posso o riesco, in maniera attiva o passiva tento di mandare messaggi al “governo” della nostra comunità.

Ho fatto questa premessa perché questa mattina mi è giunto per posta “L’Annuario” della diocesi, un volume che informa minuziosamente su tutta “l’architettura “della nostra diocesi, tanto che una volta letto questo volume, la cui compilazione ha certamente richiesto tempo, fatica e denaro a chi lo ha compilato, si può avere una visione esauriente, dettagliata e pignola sull’organizzazione e sulla realtà della nostra diocesi. Confesso di aver speso più di un’oretta per trovare una risposta alla mia curiosità un pochino morbosa e confesso anche le conclusioni o meglio quali sono state le mie reazioni a caldo.

Primo: per dirla con Occhetto, che la nostra è una magnifica e perfetta “macchina da guerra”, un’organizzazione così perfetta con la quale sembrerebbe possibile convertire non solo il nostro pezzettino di Veneto ma il mondo intero!

Secondo: ho anche constatato con piacere che sono ricomparsi i titoli onorifici di Monsignore e simili, nonostante la passata burraschetta in cui sembrava fossero stati aboliti, burraschetta che evidentemente si è dissolta come una bolla di sapone. Sono comunque contento perché così sono ritornato ad essere uno dei pochi “soldati semplici” senza titoli e senza galloni e questo non è cosa da poco!

“Foyer San Benedetto”

So di correre il rischio d’essere etichettato di referenzialità perché parlo sempre delle mie cose. D’altronde, non avendo una cultura tale da poter scrivere dei saggi, se voglio comunicare le mie idee e confrontarmi con i colleghi e con i concittadini sulle problematiche della solidarietà non posso fare altro che rifarmi alle mie esperienze!

Il discorso di oggi nasce dal fatto d’aver incontrato una povera donna bulgara che, venuta in Italia come numerose altre donne dell’Est per fare la badante, è stata investita da un’auto perdendo così lavoro e casa, vagando quindi poi come “un’anima morta” in cerca di aiuto. Nell’incontro più recente mi ha riferito che negli ultimi quindici giorni ha dormito nelle sale d’attesa dell’aeroporto Marco Polo. Questa soluzione, pur estrema, non può durare perché l’organizzazione aereoportuale non può accettare soluzioni del genere.

Messo con le spalle al muro e non sapendo più a che santi rivolgermi ho telefonato ad una delle mie vecchie “creature”: il Foyer San Benedetto di Via G. Miani 1. Il problema dell’alloggio esisteva purtroppo anche trent’anni fa. Con l’aiuto di una mia piccola scout di un tempo, riuscii a comprare un appartamento abbastanza capiente e a ricavarne undici posti letto in sei camerette. Allora si pagavano dieci lire a notte, ora sono arrivati a tredici euro, quindi due volte tanto! Mi ha risposto al telefono la giovane donna che conduce questa bella esperienza: alla mattina fa scuola e al pomeriggio e alla notte fa da madre, sorella ed amica a chi ricorre a questo “rifugio”.

Lei è una splendida ragazza giunta dal Sud, che avendo avuto bisogno di un alloggio lo trovò in questa soluzione di emergenza, allora condotta da Bianca, un’altra splendida donna ora in Paradiso, che le ha lasciato in eredità non solo le chiavi ma anche la sua capacità pressoché infinita di aiutare il prossimo.

Per parlare di queste due donne bisognerebbe richiamare in vita il De Amicis del “Cuore” o Giovannino Guareschi del “Piccolo Mondo”, solo loro saprebbero farne un ritratto con una cornice adeguata! Penso che siano sufficienti due o tre donne come queste perché Dio sia indotto a salvare la città! Sono molto contento di poter dire ai miei concittadini: “Sappiate che a Mestre non ci sono solamente mafiosi o politici ma anche tante magnifiche creature!”.

Carità con la “C” maiuscola

Io sono sempre stato per la trasparenza e, da quando ho cominciato ad avere una qualche responsabilità in parrocchia, ho sempre pubblicato l’elenco delle offerte che ricevevo dai fedeli per i motivi più diversi. Ci fu una quindicina di anni fa un vecchio parrocchiano, uno che seguiva con fin troppa attenzione le vicende della parrocchia che, leggendo sul foglio parrocchiale i dati che andavo comunicando, faceva i conti su quanto “incassavo” ogni mese.

Faccio questa premessa per dire che se ci fosse tra i lettori de “L’incontro” un cittadino altrettanto attento e pignolo come quel mio vecchio parrocchiano interessato ai miei incassi, avrà notato che ogni paio di mesi pubblico sul nostro periodico nella rubrica delle offerte questa annotazione: “Un noto professionista di Mestre, che chiede l’anonimato, ha sottoscritto un’elevata quantità di azioni pari ad una cifra altrettanto significativa”. Ebbene ritengo di dover svelare almeno in parte l’identità di questo “misterioso” benefattore. Si tratta di un noto dentista che, almeno da un decennio e forse anche di più, cura gratuitamente i denti dei residenti al Don Vecchi che la direzione segnala come persone bisognose e agli altri residenti, considerando poi che nessuno di loro è certamente un riccone, pratica prezzi accessibili devolvendo alla Fondazione dei Centri Don Vecchi il ricavato.

Perché faccio questa segnalazione? Primo perché a me fa enormemente bene incontrare persone altruiste e generose. Secondo perché anche gli altri professionisti, che operano nei settori più disparati e che normalmente traggono dalla loro attività guadagni significativi, sentano il bisogno di ringraziare il buon Dio per averli favoriti nell’avere una professione redditizia aiutando i concittadini meno fortunati. Terzo perché in città cresca la cultura della solidarietà. Posso assicurare a tutti che, per quanto mi riguarda, riesco a raccogliere da questa semina frutti consolanti!

Un relitto di donna

Qualche giorno fa si è presentata nella mia sagrestia una “giovane” anziana dal portamento dignitoso ben diverso da quello di una mendicante. Mi ha raccontato il motivo per cui mi chiedeva aiuto però, ricevuti i cinque euro, se n’è andata ringraziando e senza aggiungere parola. È ritornata un paio di altre volte e gli incontri si sono svolti alla stessa maniera.

Normalmente ai miei mendicanti abituali offro uno o due euro che tengo sempre in tasca e che attingo da una scatoletta che conservo per questa “bisogna”. C’è qualcuno che si accontenta e ringrazia, altri hanno spesso in serbo dei motivi particolari per ottenere qualche cosa di più. Raramente, dal momento che ho fatto la scelta di impiegare tutto quanto posseggo per realizzare una struttura solidale che possa rappresentare un aiuto più serio e più duraturo, offro più di uno o due euro arrivando fino a cinque o dieci euro in casi veramente particolari.

L’altro ieri ero un po’ più libero del solito per cui ho potuto aprire un dialogo più profondo con questa povera creatura. Ho appreso quindi che è bulgara e che come moltissime donne dell’Est è venuta in Italia a cercare lavoro come badante, senonché un’automobile l’ha investita rendendola inabile tanto da farla camminare con estrema difficoltà e con l’aiuto di due stampelle. Ha perso quindi il lavoro e anche la stanza perché non può pagare l’affitto. Queste cose le ho apprese solo dopo averle dato i soliti cinque euro.

Enrico, il mio “aiutante di campo”, che ha assistito ai colloqui, le ha dato una somma ben più consistente e poi l’ha accompagnata “a casa” in automobile ma da allora l’immagine di questa donna è diventata per me quasi un incubo; il pensare a questa creatura sola e senza denaro mi ha fatto perdere la pace. Ho cercato la sua parrocchia, ho telefonato poi ad uno dei “miei ragazzi” di mezzo secolo fa che fa parte della “Banca del Tempo Libero” ottenendo che la signora, per almeno quindici giorni, possa stare a “Casa Talierco” del Sacro Cuore. Trascorso questo tempo però poi sarà di nuovo in strada e questo pensiero mi angoscia. Di certo non l’abbandonerò ma so fin da ora che non sarà facile trovarle una collocazione dignitosa. Una volta ancora ho provato sdegno verso la mia Chiesa che in tanti anni non si è ancora decisa a realizzare un progetto veramente serio per soccorrere chi è in difficoltà!

La minestra dei frati

Dagli “Atti degli Apostoli” si apprende che fin dagli albori della comunità cristiana si diede vita alle mense per i poveri. Questa iniziativa continuò ininterrottamente durante i venti secoli di storia cristiana e fu sempre una prerogativa dei “figli” di San Francesco aprire alla carità i loro conventi. Credo che non ci sia comunità francescana che non gestisca una qualche attività caritativa.

A Mestre i padri conventuali, il cui convento è situato in via Aleardi, gestiscono da molti anni la “Casa Taliercio” che ospita da almeno vent’anni le donne dell’Europa dell’Est che approdano disorientate e in cerca di lavoro nella nostra città. Nella stessa comunità si è dato vita ad una associazione di volontari che si occupa dei poveri ed in particolare assiste i senza tetto che passano le notti nella stazione ferroviaria. A Marghera i frati Francescani assistono con pacchi viveri un numero notevole di poveri ed attualmente collaborano con la nuova mensa promossa dalla Caritas nella ex scuola Edison. A Mestre poi i padri Cappuccini, fin dal loro insediamento avvenuto all’inizio del 1600, hanno aperto le porte del loro convento per donare il pane, frutto della cerca, ai poveri.

Attualmente la mensa dei padri Cappuccini di Via Andrea Costa è leader nel settore con i suoi duecento pasti al giorno, con i settanta volontari e con una cucina e una sala da pranzo all’avanguardia! A Mestre c’è anche la mensa di Cà Letizia gestita dalla San Vincenzo cittadina e quella più modesta dei padri Somaschi di Altobello.

In questi giorni è uscito un opuscolo a firma del cappuccino padre Ubaldo Badan con il titolo “La minestra dei frati”, opuscolo pubblicato in occasione dei settant’anni di servizio della mensa per i poveri presso il convento dei Cappuccini di Mestre. Ho letto con estremo piacere le pagine con le quali padre Ubaldo ha narrato la bella storia dei nostri frati Cappuccini. Mentre i politici lanciano programmi e promettono “il sole dell’avvenire” i nostri poveri frati, con umiltà e generosità, continuano imperterriti a servire gli “ultimi”!

Ancora un sogno

Sognare non solo non costa niente ma soprattutto ci mantiene “vivi” e alle volte si corre il rischio di vedere che il sogno prende forma. Una ventina di anni fa il vivaista che ha curato l’arredo del parco del Don Vecchi ha piantato, accanto alla rete che delimita il parcheggio, alcune piante che d’estate producono un fiore rosaceo dalla forma che richiama quella di una minuscola tromba.

L’estate scorsa ho tagliato una trentina di rami, li ho messi in un secchio d’acqua al sole finché dopo alcuni mesi, quando ormai non nutrivo più alcuna speranza, hanno messo radici. Ho piantato queste talee vicino alla rete metallica che separa il parco dal lago che si trova a sud della nuova struttura ed ora pazientemente aspetto sperando che questi piccoli rami germoglino. Le probabilità penso siano scarse comunque io, una volta ancora, voglio scommettere sul positivo.

Con questa immagine agreste e con questa filosofia di vita voglio piantare nel cuore dei miei concittadini il seme di un altro progetto. Di primo acchito potrà sembrare a tutti un’impresa impossibile però ritengo, basandomi sulla mia esperienza, che nulla è impossibile per chi crede nel bene e desidera aiutare il prossimo.

Ho scritto recentemente, sulla scorta di notizie lette sulla stampa locale, che tra Mestre e Venezia ci sono cinquecento senzatetto e che i posti disponibili per questi poveri diavoli non superano i duecento. Non sono certo un uomo che pensa di potersi cimentare in grandi imprese perciò mi sforzo di commisurare i miei sogni e i miei progetti alle mie risorse e alla mia età.

Eccovi il sogno: spero, ora che il costo delle case è al minimo storico, di trovare un rustico, in una zona adiacente alla nostra città da poter ristrutturare così da ricavare dalle venti alle trenta “cellette” di tipo monastico, ove alloggiare di notte una parte di questi senzatetto. Per la prima parte del “sogno-progetto” mi rivolgo ai titolari delle agenzie immobiliari chiedendo loro aiuto per trovare questo casale ad un prezzo contenutissimo mentre per la seconda fase chiedo a chi dispone di mezzi economici in esubero, rispetto alle proprie necessità, di finanziare il progetto, progetto che chiederei ad un architetto affermato di donare alla comunità. Se tutti i tasselli andranno al loro posto l’impresa certamente riuscirà.

Brugnaro al Don Vecchi

Io so quando scrivo ma non so assolutamente quando il mio scritto sarà pubblicato. L’Incontro porta in testata la definizione di settimanale ma potrebbe portare anche quella di “mensile”, semestrale o pure quella di numero unico. La catena di montaggio è veramente infinita, premetto questa annotazione perché il numero de “L’incontro” in cui verrà pubblicata questa mia pagina di cronaca potrebbe uscire sia nel bel mezzo della tornata elettorale sia successivamente quando il sindaco di Venezia sarà già stato eletto.

Noi del Don Vecchi siamo “amici di tutti e fratelli di chi ci vuol bene” come dice la legge scout. Abbiamo perciò invitato tutti e faremo anche un brindisi con i candidati al comune di Venezia e alla Regione Veneto che ci vorranno fare visita perché siamo interessati a farci conoscere, a collaborare per il bene della comunità e ad offrire, a chi ci amministrerà, il nostro contributo specifico per quel che riguarda gli anziani e i poveri.

Il primo a venirci a trovare è stato il candidato sindaco Luigi Brugnaro, l’imprenditore che è diventato celebre perché ha fatto della nostra squadra di pallacanestro una tra le migliori squadre d’Italia. Il basket è uno dei pochi primati positivi di cui possa vantarsi Venezia mentre essa brilla come la stella polare per quelli negativi, vedi il deficit comunale. Brugnaro è diventato noto per aver tentato di comprare l’isola di Poveglia, purtroppo non gli è andata bene perché uno dei soliti comitati guastafeste e con la testa tra le nuvole l’ha avuta vinta e così l’isolotto è rimasto un rifugio per cocai e pantegane! I veneziani di oggi sono purtroppo fatti così!

Brugnaro ha condensato la sua impressione sul Don Vecchi con una frase che è ricorrente ma soprattutto vera: “Ne avevo sentito parlare bene ma mai avrei creduto che fosse così!”, questo vale sia per il centro sia per il polo solidale impegnato ad aiutare i poveri. Sono convinto che, sindaco o non sindaco, Brugnaro d’ora in poi sarà sempre dalla nostra parte. So che verranno a trovarci anche Casson e la Zaccariotto e mi auguro che vengano anche tutti gli altri candidati, sia al Comune che alla Regione, perché la “dottrina” del Don Vecchi può diventare una carta vincente non solo per Venezia ma per tutti i veneti!

“Capitani coraggiosi!”

Sono ben cosciente che quando queste “note” verranno lette, nella nostra città certamente si parlerà d’altro. I mass-media hanno sempre più bisogno di novità perciò le notizie “invecchiano” molto velocemente, purtroppo però i problemi evidenziati non si possono considerare risolti solo per il fatto che di essi non se ne parli più e che i titoli dei giornali trattino d’altro!

Finalmente dopo tante reticenze è venuto a galla che il Comune di Venezia ha accumulato un miliardo e mezzo di debiti lasciati in eredità dalle precedenti amministrazioni. Credo che se nel mondo della politica, nel corpo della Guardia di Finanza e nella Magistratura ci fosse un minimo di serietà si dovrebbero incriminare tutti quegli amministratori comunali che hanno provocato un “buco” tanto enorme, processando sia loro sia chi non ha vigilato sul loro comportamento. Quando le aziende falliscono se c’è stato dolo chi ne è responsabile va in galera ed è costretto a pagare i debiti, non capisco però perché nelle amministrazioni pubbliche questo non avvenga e non capisco neppure perché chi aveva il compito di vigilare non lo abbia fatto.

La prima conclusione di questo discorso dovrebbe essere quella di costringere suddetti amministratori a risarcire la collettività per i danni arrecati dalla loro cattiva amministrazione; la seconda quella di mandare in galera chi ha imbrogliato; la terza di incriminare chi doveva vigilare e non lo ha fatto; la quarta di impedire a coloro che hanno provocato tali danni di ricandidarsi a compiti per i quali si sono già dimostrati incapaci, inetti o imbroglioni! Non capisco proprio perché questo non sia previsto e perché non si legiferi in tal senso.

Quello poi che per me rappresenta un mistero assolutamente incomprensibile è il come mai tanta gente e con tanto accanimento si sia offerta e si arrabatti in tutti i modi per farsi carico di una missione veramente impossibile! Se non ci troviamo in presenza di santi o eroi, per offrirsi a risolvere problemi così impegnativi in una situazione così fallimentare, costoro o sono assolutamente matti, totalmente stupidi ed irresponsabili o sono astutamente interessati e propensi al malaffare! Quando queste note saranno pubblicate conosceremo i nomi e i volti di questi “candidati coraggiosi” (scelgo l’ipotesi più nobile) però Magistratura, Guardia di Finanza ed opinione pubblica dovrebbero imbracciare il fucile e premere il grilletto al minimo errore!

Fiore di ortica

In una delle precedenti riflessioni ho riferito della mia passione di raccogliere “fiori”, fiori normali simili a quelli che nascono nei prati delle periferie della nostra città o perfino nei vasi sui davanzali delle finestre delle nostre case. Fuori dalla metafora confesso che mi piace quanto mai deliziarmi della scoperta e della raccolta di certi gesti semplici, gentili, espressione di calda umanità.

Un tempo, come confidavo agli amici, uscivo ogni giorno con il cestello in mano per questa raccolta, tanto che in pochi anni ho riempito due o tre volumetti con questi “fioretti” di stile francescano. Poi uscendo dalla parrocchia ho continuato a mantenere questa passione ma avevo smesso di fissarli sulla carta, come un tempo erano solite fare le ragazze che essiccavano tra le pagine dei loro diari sentimentali certi fiori semplici che ricordavano loro momenti di incontro, di ebrezza e di sogni rosa. Ho ripreso da qualche settimana questa raccolta che allieta il mio animo e lo addolcisce da tutte le brutture e le stonature che purtroppo incontro sui giornali e sullo schermo della televisione.

Confesso però che anche in questa nobile e gentile passione si possono fare degli incontri sgraditi e raccogliere “fiori” che nella sostanza non sono tali perché nascondono sorprese amare e deludenti. Quasi senza accorgermene mi capita talora di cogliere un’ortica oppure un cardo pungente. Eccovi l’ultima avventura amara. Qualche giorno fa due fidanzati controcorrente sono venuti da me per prepararsi alle loro prossime nozze da celebrarsi fortunatamente in chiesa. Durante la conversazione cordiale ed affettuosa mi è capitato di apprendere che in una parrocchia della nostra città, per la sola compilazione dell’atto di matrimonio, sono stati chiesti loro ben duecento euro nonostante lei sia disoccupata e lui un impiegatino di primo pelo. Questo fiore di ortica mi ha riempito di amarezza e di rossore pensando soprattutto a Papa Francesco impegnato in una rivoluzione difficile e piena d’insidie!

Un discorso senza parole

Le mie principali occupazioni sono la celebrazione della liturgia nella mia cara ed accogliente “cattedrale tra i cipressi”, il colloquio con i fratelli colpiti dal dolore per la perdita di un loro caro congiunto e la frequentazione pluridecennale del Camposanto della nostra città.

Ora normalmente entro in cimitero più volte al giorno passando per il grande cancello e attraverso il piazzale degli uffici ma non passa giorno che non imbocchi anche l’entrata storica che dal cancello in ferro battuto porta alla “Cappella della Santa Croce”. A metà strada tra il cancello e la cappella due angeli di bronzo, dalla tomba di don Vecchi ormai da più di vent’anni, annunciano ai passanti la splendida verità: “È risorto, non è più, lo puoi incontrare domani più avanti”. Non passa giorno quindi che non mi soffermi per qualche minuto a guardare l’immagine un po’ sbiadita ma ancora bella di Monsignore, a leggere le due date, quella dell’inizio e quella della fine della sua vita terrena, confrontandole con la mia realtà e a meditare per poi concludere l’incontro con il vecchio maestro con una preghiera.

Durante queste mie soste di riflessione non so più quante volte mi sono ritrovato a pormi le stesse domande: “Chi ricorda ancora la rivoluzione pastorale del delegato patriarcale per la terra ferma? Chi ricorda ancora il suo progetto e le sue opere di pietra e di riorganizzazione della vita ecclesiale? Chi ricorda che Monsignore ha costruito Cà Letizia, Villa Giovanna, il Palazzo delle Comunità, la grande struttura di fronte alla canonica, l’Agorà, il cinema Mignon, il rifugio San Lorenzo? Chi ricorda il progetto per una pastorale globale per Mestre, il centro culturale del Laurentianum, l’opera per i poveri, il segretariato della gioventù, la rivista e il settimanale “La Borromea”? Forse don Franco ed io siamo rimasti gli unici testimoni della grande rivoluzione di Monsignore. Morti noi due tutto sembrerà scontato e normale!

Queste riflessioni mi aiutano a capire che anche per me sarà la stessa cosa e a concludere che l’importante però è rimanere fedeli alla propria coscienza e servire la comunità cristiana senza aspettarsi nulla!

Benedette parrocchie

In queste settimane, che precedono le elezioni comunali e regionali, ricevo abbastanza di frequente la visita di persone che si sono candidate a compiere questo servizio sociale. Abbiamo ripetuto che i Centri Don Vecchi sono aperti a tutti, proprio a tutti, perché tutti hanno bisogno di imparare qualcosa da essi e noi del Don Vecchi abbiamo veramente bisogno della simpatia e della collaborazione di chi, fra qualche giorno, avrà la responsabilità diretta della comunità cittadina e regionale.

In questi giorni ho avuto modo di fare due considerazioni: la prima è che non tutti i candidati sono degli opportunisti, dei furbastri e degli approfittatori come spesso l’opinione pubblica ritiene e sono sempre più convinto che ci siano dei concittadini spinti da una forte passione civile e da motivazioni ideali alte e molto nobili. Guai al cielo se non ci fossero! Queste persone è giusto, anzi doveroso sostenerle, incoraggiarle perché la società ha bisogno di chi crede nell’utopia! La seconda osservazione è un po’ più amara: in questo mese ho incontrato finora i rappresentanti dei partiti più consistenti e più affermati ma non quelli dei partiti più piccoli che normalmente hanno una carica ideale più genuina e più intensa. Spero che ciò sia avvenuto solamente a causa di un’organizzazione più fragile perché sono profondamente convinto che anche queste formazioni minori abbiano qualcosa di valido da offrire alla Città e alla Regione.

L’altro ieri è venuto il signor Ordigoni, un mio vecchio parrocchiano, che per una vita è stato impegnato nel sindacato e che negli ultimi anni ha fatto il presidente nel quartiere di Favaro Veneto. Quando visitavo i miei parrocchiani, a casa sua incontravo solo la moglie perché l’impegno civile lo ha sempre assorbito. Non vedevo questo “parrocchiano” fin dal tempo in cui ci diede una mano per le vicende del Don Vecchi di Campalto e nella conversazione calda e amichevole che ho avuto con lui mi è piaciuto quanto mai quando mi ha detto: “Don Armando, io credo nelle parrocchie, esse sono sempre disponibili e aperte ad ogni bisogno”. Mi fa piacere che uomini della politica e dell’amministrazione civica abbiano questa considerazione delle comunità parrocchiali!

Leggere tutte le pagine della vita

Da più di mezzo secolo celebro Messa, predico, incontro fratelli piegati dal dolore o sospinti dalla nostalgia di persone fortemente amate tra le tombe del nostro cimitero. Ho cominciato quasi per caso scoprendo la vecchia cappella ottocentesca sporca, abbandonata e in disordine, poi pian piano, mi affezionai sia da cappellano di San Lorenzo che da parroco di Carpenedo e successivamente da prete in pensione!

Debbo confessare che, pur essendo il nostro cimitero appartato, chiuso da alte mura, dentro vi pulsa la vita, un tipo di vita particolare, non fatta solamente di dolore, rimpianti, rimorsi e speranze ma anche rappresentata da uomini e donne che scrutano ora la terra ora il cielo in cerca di una soluzione al mistero della vita e dell’eternità.

Il discorso delle tombe è poi un discorso quanto mai avvincente e profondo, basta ricordare gli scritti del Foscolo o “Spoon River Anthology”, il libro che ha ispirato il celebre cantautore genovese Fabrizio De André, in cui si racconta, in forma di epitaffio, la vita delle persone sepolte nel cimitero della piccola cittadina americana o per finire Shakespeare l’insuperabile drammaturgo inglese!

ecentemente il “Centro Studi Storici di Mestre” ha pubblicato una semplice ma accurata ed attenta guida del nostro camposanto, è un opuscolo che fa riemergere dalle nebbie del passato gli uomini della nostra città che hanno ben meritato o che hanno pronunciato parole forti e vere che ancora oggi fa bene riascoltare.

In questi giorni i becchini, chiamati ora “operatori ecologici”, stanno riesumando i resti dei defunti sepolti nel campo antistante la vecchia chiesetta. Ogni tanto sbircio, tra le giunture dei pannelli che nascondono quest’operazione di forte impatto emotivo, questi uomini che con le loro tute bianche ricompongono le spoglie mortali in povere bare per essere avviate alla cremazione o a una nuova sepoltura e mi chiedo se loro e noi, passeggeri furtivi, siamo capaci di riflettere e di arrivare a saggezza come il grande drammaturgo inglese con il suo: “Essere o non essere”.

Credo che uno dei miei compiti sia anche quello di aiutare i concittadini a frequentare il camposanto e ad imparare la grande lezione di vita che può ancora offrire. Nei precetti della Chiesa e nei suggerimenti per il buon vivere inserirei almeno una visita mensile al cimitero!

Assenteismo nel pubblico

Io provengo da una piccola bottega di un artigiano e conosco bene i problemi della categoria. Grazie a questa esperienza sono giunto alla conclusione che soltanto nel mondo dell’artigianato e del piccolo commercio si lavori veramente mentre nel mondo della grande industria si lavora poco e in quello degli enti pubblici quasi nulla! Per carità, ci sono eccezioni, uomini di buona volontà si trovano in tutti i comparti della nostra società e perciò anche nel pubblico impiego ho conosciuto lavoratori, impiegati e dirigenti esemplari tanto che quando sono tentato di criticare i “lavoratori” dello Stato e del parastato mi sento a disagio e mi rimorde la coscienza perché non vorrei mai fare “di ogni erba un fascio” consapevole che in ogni categoria c’è sempre qualcuno che tira la carretta e sgobba come lavorasse per interessi propri, purtroppo però temo che queste siano eccezioni!

Domenica scorsa ho seguito il programma televisivo “L’Arena” su Rai Uno, diretto da Giletti, che viene trasmesso nel primo pomeriggio. L’argomento trattato era appunto l’assenteismo e l’abbandono del posto di lavoro in alcune cittadine del Sud da parte di dipendenti pubblici che durante l’orario di lavoro usano occuparsi dei fatti propri. Mi pare che a Cassino, in un ente pubblico in cui ci sono centoventi impiegati, i carabinieri abbiano costatato che i tre quarti di essi si erano assentati per i motivi più disparati, lasciando sul posto di lavoro un minuscolo gruppo di stacanovisti a ricevere il pubblico e a sbrigare le pratiche di ufficio.

La cosa mi ha deluso e indignato ben s’intende, però mi ha fatto ancora più male costatare che il solito sindacalista si è azzardato a prendere le loro difese. Gli scout della mia vecchia parrocchia, qualche giorno fa, hanno organizzato un riuscitissimo incontro al Palaplip con i candidati sindaco al comune di Venezia e li hanno “costretti” a firmare un documento, purtroppo inutile, sulla trasparenza e contro le mafie. Giustissimo! Però io, che sono meno idealista dei nostri ragazzi, chiederei sia a Casson che a Brugnaro e agli altri sei candidati, di impegnarsi formalmente a ridurre almeno della metà, ma sarebbe meglio dei due terzi, i tremilaseicento dipendenti comunali se veramente vogliono essere credibili nella loro opera di risanamento!

Oggi mi ha scritto Brugnaro

Oggi la tecnica fa veramente miracoli! Mi è giunta questa mattina una lettera di Luigi Brugnaro, l’imprenditore che è uno dei candidati a Sindaco di Venezia. Penso però che nonostante il tono amichevole e confidenziale con cui inizia scrivendo: “Caro Don Armando”, la stessa lettera l’abbia inviata a migliaia di concittadini, infatti anche l’anziana suor Michela, mia coinquilina, mi ha confidato che Brugnaro ha scritto pure a lei dicendole: “Cara Michela”.

Il computer è l’artefice del “miracolo” di personalizzare un messaggio che invece è rivolto a migliaia e migliaia di cittadini. Brugnaro chiede ai veneziani se gradirebbero che fosse il loro Sindaco, così come stanno facendo, usando argomentazioni e modi diversi, anche gli altri candidati Sindaco.

Io non conosco affatto il candidato Brugnaro che mi propone di condividere la “missione impossibile di salvare Venezia”, so solamente che è un imprenditore di successo che finora non ha avuto nulla a che fare con la politica “di mestiere”, come lui definisce coloro che hanno fatto di questa nobile arte una professione, però mi è piaciuto il modo di porgersi, l’entusiasmo e la passione con cui dice di voler fare questo tentativo anche se l’esperienza ci insegna che, in queste occasioni, è facile fare promesse che non costano nulla.

Non pubblico la lettera perché desidero che tutti i cittadini che ambiscono a ricoprire questo ruolo, abbiano eguali opportunità di misurarsi e di chiedere consenso.

Spero solo che chi riceverà i voti necessari per diventare sindaco dimostrerà con i fatti le sue reali capacità facendo pulizia di tutto il malaffare e l’incompetenza che hanno ridotto il Comune di Venezia nelle condizioni in cui si trova.