Il ristorante dei poveri dignitosi

Anche se da dietro le quinte sto dandomi da fare perché si realizzi anche a Mestre un’esperienza di solidarietà tanto diversa dalle altre e che spero possa raggiungere dei concittadini che non sono soliti frequentare le assistenti sociali, la San Vincenzo, la Caritas o le canoniche per battere cassa. So quanto sia difficile fare accettare un aiuto a chi conserva, nonostante i disagi, la propria dignità e vorrebbe a tutti i costi vivere del proprio lavoro.

A casa mia eravamo sette fratelli, vivevamo in una casupola con annesso un pezzo di terra, dove scorrazzavano galline e oche, però in casa entrava solamente lo stipendio di mio padre che, quando eravamo molto piccoli, faceva il carpentiere del legno. Non dimenticherò mai quando, al tempo del frumento, andavamo a raccogliere le spighe sulle terre bonificate dal duce. Mia madre con una brigata di ragazzini svogliati e rissosi andava a raccogliere i semi del ricino, le patate, i fagioli e le pannocchie. Ricordo ancora quando ci affidavano una coppia di buoi per sarchiare la terra ed essi, che non ci riconoscevano come guide valide, facevano i fatti loro. Ricordo anche quando mio padre dovette andare in Germania per mandare avanti la baracca, ma mai i miei genitori si sarebbero presentati alle porte del Comune o all’E.C.A. per chiedere aiuto. Mio padre poi arrivava perfino ad affermare che noi, in confronto a tanti altri, eravamo dei “scioretti”.

Ebbene farò di tutto perché famiglie di disoccupati, di lavoratori in cassa integrazione o in mobilità possano cenare in un ristorante signorile, serviti a tavola e accolti fraternamente. Prego il buon Dio che mi aiuti a condurre a termine questa mia ultima avventura solidale ma soprattutto prego e chiedo a tutti i miei amici di mettersi a disposizione del buon Dio per aiutare chi è meno fortunato a sentirsi accolto come un fratello amato e atteso.

Una magnifica opportunità

Nota della redazione: questo articolo, come gli altri, risale a diverso tempo fa. Come è noto il ristorante è stato poi realizzato.

Don Gianni è il nuovo direttore de “L’incontro” ma il compito di impaginarlo è stato affidato ancora a me. Credo di essere un collaboratore poco allineato, con idee alquanto personali e poco disposto a non alimentarle.

Non ho ancora capito se don Gianni e il Consiglio di Amministrazione della Fondazione abbiano colto la magnifica opportunità che consente di aprire un ristorante per le famiglie e per i singoli che apparentemente vivono una vita dignitosa e normale ma che in realtà versano in condizioni di notevole disagio per la scarsità di risorse economiche. Che esista questa categoria di persone credo che nessuno possa metterlo in dubbio; che a Mestre non ci sia una risposta a questo tipo di “povertà dignitosa” è altrettanto certo; che la disponibilità del catering “Serenissima Ristorazione” sia una grazia del cielo nessuno lo può negare ed è altresì certo che la Fondazione dei Centri Don Vecchi abbia, a portata di mano, la possibilità di realizzare questo progetto senza esporsi economicamente. Ritengo che offrire un aiuto a questi concittadini in disagio oltre a essere un dovere morale sia anche un dono per un centinaio di mestrini generosi e desiderosi di impegnarsi in questa opera buona. Se avessi vent’anni di meno e se fossi io il responsabile della Fondazione non ci penserei un istante e come Cesare getterei il dado certo di fare la volontà di Dio e il bene del prossimo. Beneficerebbero di questa iniziativa i poveri ma anche chi contribuirà a realizzarla, però a novant’anni e da prete “fuori corso” come posso azzardare di imbarcarmi in un’impresa che indubbiamente presenta qualche difficoltà?

Io, però, non sono un soggetto disposto ad arrendersi alle prime difficoltà perciò, da mane a sera, sto seminando, nei solchi delle coscienze delle persone che mi sono vicine, questo seme bello e fecondo coinvolgendole con ogni mezzo in questa impresa difficile anche se non impossibile ma soprattutto sto coinvolgendo, da mane a sera, il mio “Principale” perché mi dia una mano!

“Cadoro” e lo “Spaccio solidale”

A me piace giocare sempre a carte scoperte e comunque spero che, così facendo, i concittadini, ma soprattutto i colleghi sacerdoti, possano conoscere come nascono, crescono e si sviluppano certi progetti di solidarietà in grado di tradurre nel concreto il comandamento di Cristo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Dedico queste poche righe all’informazione sulla genesi, sullo sviluppo e sui risultati del progetto che abbiamo denominato “Spaccio Solidale”.

Circa un anno fa il signor Danilo Bagaggia, direttore del magazzino degli indumenti per i poveri, ha avuto la fortuna di conoscere la segretaria del nostro concittadino Cesare Bovolato, presidente della Cadoro, la catena di supermercati che dispone di una trentina di punti vendita. Questa cara signora ci ha organizzato un incontro con il signor Bovolato dal quale è nato un protocollo d’intesa tra Cadoro e la Fondazione Carpinetum che, nel rispetto della normativa vigente, prevede che la Società Cadoro conceda ogni giorno i prodotti alimentari di prossima scadenza e quindi non più commerciabili, in giacenza nei sette ipermercati di Mestre.

In quattro e quattr’otto abbiamo acquistato un furgone usato del costo di 5000 euro e abbiamo allestito due locali, uno per la distribuzione dei generi alimentari ed uno destinato alla catena del freddo per l’immediata conservazione. In un paio di settimane si è costituita una squadra di una trentina di volontari che, a turno, riordinano e distribuiscono i prodotti. Il furgone parte verso le undici e in un paio d’ore procede alla raccolta, verso le 14.00 una squadra dispone i generi alimentari in bella vista su delle scaffalature e alle 15.30 d’estate e alle 15.00 d’inverno inizia la distribuzione. Ogni “cliente” sceglie cinque prodotti a sua discrezione e normalmente offre un euro per coprire i costi di gestione (carburante, luce, sacchetti contenitori, ecc.).

La scelta del Polo alimentare del Don Vecchi, di chiedere ad ogni beneficiario un contributo, è scaturita anche dall’esigenza di aiutare altre persone con bisogni diversi così da far maturare una cultura della solidarietà. La gestione quindi non è in passivo, anzi riusciamo ad accantonare sempre qualche “cosetta” da destinare ad altre opere benefiche. L’iniziativa è attiva tutti i giorni dal lunedì al venerdì. Normalmente ogni giorno vengono aiutate dalle 180 alle 220 persone ed ogni giorno circa una decina di volontari si guadagnano la riconoscenza di chi è in difficoltà, riconoscenza che si somma al centuplo promesso da Cristo e questo non è poco.

Desidero ricordare che ho scritto questa relazione con la speranza che ognuna delle 28 parrocchie del mestrino, non essendo impegnata in altre imprese solidali, possa fare altrettanto se non di meglio.

L’amara sorpresa

Una delle accuse che le persone abituate a pensare solo ai fatti propri spesso rivolgono a chi si sforza di aiutare il prossimo è quella di soccorrere i mendicanti di professione, i fannulloni e le persone viziose trascurando i veri poveri cioè quelli che hanno dignità, che non chiedono nulla e soffrono in silenzio.

Non riesco proprio né a stimare né tantomeno ad approvare chi non sa fare altro che criticare senza impegnarsi in prima persona, sono però costretto ad ammettere che nella loro critica c’è qualcosa di vero. In quest’ultimo periodo della mia vita, pur non riuscendo a non dare un euro a chi mi tende la mano con fare mieloso ed avvilito, sto impegnandomi più del solito per tentare di aiutare i concittadini che con dignità preferiscono soffrire in silenzio piuttosto che stendere la mano. Credo che molti conoscano già il mio sogno, che spero stia per trasformarsi in un progetto concreto e realizzabile, di aprire un “ristorante” per le famiglie con un reddito molto basso, per le persone disoccupate o in mobilità. Più ci penso più mi appare un progetto difficile da realizzare, sono però sereno perché l’Arcangelo Gabriele ha detto a Maria che “Nulla è impossibile a Dio”.

Mentre sto perseguendo questa meta, inaspettatamente, l’Associazione di Volontariato “Vestire gli Ignudi” mi ha messo a disposizione una certa somma per offrire il pranzo (euro 5 al giorno) ai residenti dei Centri Don Vecchi con minori entrate. Ho chiesto alla segreteria di svolgere un’indagine e il risultato mi ha messo letteralmente in crisi. Al Don Vecchi tutti vestono benino, nessuno, se non i soliti due o tre scioperati, chiede mai nulla ma i numeri che l’indagine ha evidenziato mi hanno fatto accapponare la pelle! Ho letto con estrema tristezza le note sulle condizioni dei cinquanta residenti: tre non hanno alcun reddito, due dispongono di 250 euro, una quarantina dispone di un reddito compreso tra i 250 e i 500 euro mensili (la maggior parte va dai 300 ai 400 euro) per non parlare poi di quelli con un reddito compreso tra i 500 e gli 800 euro. Spero che gli utili di “Vestire gli Ignudi” mi permettano di offrire il pranzo ad almeno cinquanta residenti sia nel 2015 sia nel 2016.

Vi informo di questa situazione sperando che chi ha del superfluo si ricordi di chi non ha il necessario!

La carità estiva

So che la mia denuncia è perfettamente inutile ritengo però giusto fare il mio dovere fino in fondo. Qualche tempo fa, in occasione dell’inaugurazione dell’Adorazione perpetua a San Silvestro a Venezia, auspicai che anche per la carità ci fosse un servizio ininterrotto, ventiquattro ore su ventiquattro perché, come la presenza di Cristo nell’Eucarestia è parte del nostro credo, così lo è la certezza che lo stesso Cristo è presente nei poveri, ossia nei fratelli che soffrono e vivono in disagio qualunque ne sia il motivo.

A questo proposito ci sono, per grazia di Dio, a Mestre e a Venezia dei servizi efficienti e lodevoli. Ricordiamo per tutti: le mense dei Cappuccini, della San Vincenzo, dei Padri Somaschi di Altobello e quella di Papa Francesco a Marghera, oltre ai servizi del “Polo Solidale” del Don Vecchi di cui fanno parte: i Magazzini San Martino per gli indumenti e San Giuseppe per l’arredo della casa, “La Buona Terra” per la frutta e la verdura, lo “Spaccio solidale” per i generi alimentari offerti dai sette ipermercati Cadoro, la “Bottega solidale” di Carpenedo, le docce e il parrucchiere alla San Vincenzo.

Ogni anno però in agosto tutti chiudono contemporaneamente lasciando sul campo un presidio assai fragile: l’offerta del pranzo all’asilo notturno di Santa Maria dei Battuti.

A proposito di queste chiusure estive ho scritto, tuonato, denunciato ma sono rimasto una voce nel deserto. Ho fallito anche quando nel passato ho tentato di precettare le suore affinché si facessero carico di questa supplenza.

Io non conto nulla ma nella diocesi c’è un Patriarca, un Consiglio presbiteriale, un Consiglio pastorale, i Consigli di vicariato, la Caritas, la San Vincenzo, un Vicario generale ed altro ancora. Non so se anche loro siano stati sconfitti oppure finora non abbiano avvertito il problema tanto da farmi pensare che la diocesi, una volta ancora, si sia disinteressata della presenza di Cristo nei poveri. Per ora non posso che fare un plauso alla “Bottega solidale”, alla “Buona Terra” e allo “Spaccio solidale” che sono rimasti aperti anche nel mese di agosto, consapevoli che i poveri hanno bisogno di mangiare anche durante le ferie di ferragosto!

Il ristorante

Il Patriarca Roncalli mi ha insegnato che quando mi sta a cuore qualcosa, che ritengo utile o necessaria, se ne parlo un po’ con tutti, prima o poi troverò qualcuno disposto a darmi una mano. Ho fatto tesoro del consiglio di questo santo vecchio e confesso che mi sono trovato bene e, anche se non sempre le cose sono andate secondo i miei calcoli, le mie attese e i miei convincimenti, ho comunque “ho portato a casa” sempre qualche risultato. Io sono un uomo che si “innamora a prima vista”, ed è soggetto ai “colpi di fulmine”, quindi quando intravvedo la possibilità di realizzare un nuovo progetto mi butto a capofitto e finché non riesco a realizzarlo non trovo pace e non demordo.

L’ultimo “colpo di fulmine” è quello di riuscire ad aprire un “ristorante” per i poveri che soffrono in silenzio, che non sono soliti batter cassa né in parrocchia né in Comune, ma vivono con dignità il loro disagio, magari tirando la cinghia. Tanti anni fa, durante la benedizione delle case, conobbi una famiglia che viveva in una casa pulita e ordinata e manteneva un regime di vita che fino ad allora mi era parso nella norma, successivamente però venni a sapere che erano soliti comperare quasi esclusivamente alette di pollo perché non potevano permettersi molto altro. Ora vorrei dare una mano a questa gente povera, ma dignitosa offrendo loro la cena almeno per un mese o se possibile anche più a lungo con l’auspicio che riescano a superare le difficoltà in cui si dibattono. Finora ho ottenuto la disponibilità del catering “Serenessina Ristorazione” ad offrirci fino a centodieci pasti per sera. Spero che la Fondazione metta a disposizione la sala da pranzo e quanto altro può servire e che qualche concittadino di buona volontà si renda disponibile per il servizio e per l’organizzazione che credo sarà un po’ complessa.

Il guaio e l’ostacolo più grave è la mia età, ormai ho quasi novant’anni e mentre il cuore e il cervello sono ancora in buone condizioni il resto è logoro. Ma volete che a Mestre non ci sia qualcuno più giovane e più bravo di me disposto a dar vita a questa meravigliosa e insperata opportunità?

Scopa nuova

Sono sempre stato convinto che i proverbi ci trasmettano esempi di saggezza popolare perché nascono da esperienze di vita vissuta. A leggere il Gazzettino pare che la nuova Amministrazione di Venezia manifesti almeno inizialmente una certa intraprendenza. C’è un proverbio che afferma: “Scopa nuova, scopa bene”, dobbiamo però anche avere un pizzico di prudenza ed attendere ulteriori conferme per non rischiare di rimanere delusi. Sempre rifacendomi ai proverbi ce n’è uno che dice: “Meglio poco che niente”, per fortuna però ce n’è anche un altro, più incoraggiante, al quale voglio aggrapparmi per poter almeno sperare: “Chi ben comincia è a metà dell’opera”.

In questi giorni, dovendo transitare più volte al giorno per l’incrocio della piazza di Carpenedo, ho avuto modo di vedere che i lavori per la rimozione di quel terribile acciottolato, che scuote l’auto come un terremoto, sono iniziati. A quanto mi si dice pare che in un paio di settimane i lavori saranno ultimati e tutto verrà sistemato.

Qualcuno dirà: “È ancora poco”, è vero però è qualcosa. Partendo da questa parziale constatazione positiva mi è venuto da pensare, rifacendomi all’auspicio che ho manifestato in questa rubrica prima delle elezioni quando ho scritto: “Spero che il Patriarca, preceduto dalla Croce astile e seguito dal clero e dal popolo veneziano, si rechi da un imprenditore affermato e possibilmente onesto per pregarlo di donare alcuni anni della sua vita per rimettere in sesto la nostra città”. Per quanto riguarda la scelta di un professionista piuttosto che di un politico il Signore mi ha esaudito mentre per quanto riguarda la sua onestà e la sua capacità, per non restare deluso, preferisco aspettare ancora un po’ ad esprimere giudizi. Spero anche che il Signore continui ad ascoltarmi suggerendo a Brugnaro di tirare dritto, di tenersi lontano dai cattivi compagni annidati tra i politici, nei sindacati e nei vari comitati e di procedere, anche se con prudenza, applicando quelle leggi del buonsenso e della corretta amministrazione che per tanti anni, a Venezia, sono state disattese.

La lezione di don Fausto

Ho avuto modo di affermare molte volte che qualsiasi società ha un’estrema necessità di campioni, di santi e di martiri che facciano da capi cordata nell’aprire vie nuove verso la vetta e che dimostrino, con la loro vita e con la loro esperienza, che è possibile farlo per aiutare i meno esperti a raggiungerla. Quest’esigenza è importante in tutti i settori della vita umana e a maggior ragione lo è per la pastorale e per la vita parrocchiale. Poter disporre di questi campioni come guida e come punto di riferimento nella nostra esistenza è un dono del cielo e, grazie alle loro doti naturali, al loro impegno e grazie anche ai “maestri” che a loro volta hanno avuto la fortuna di incontrare, essi diventano “mosche cocchiere” per chi è meno dotato e per chi è talmente pigro da autogiustificarsi affermando che certe mete sono irraggiungibili.

Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di leggere l’Annuario redatto da Monsignor Fausto Bonini che fino a pochi mesi fa, prima di diventare pensionato, era il parroco della comunità cristiana di San Lorenzo, il Duomo di Mestre. Questo testo mi ha offerto un progetto pastorale tanto innovativo, avanzato e all’avanguardia da consigliarne la lettura ai miei confratelli e da suggerire a don Fausto di inviarne copia a tutti noi sacerdoti anche se lui, probabilmente per comprensibile modestia, non ha aderito alla mia richiesta.

Partendo da questo spunto, stimolato dal contenuto della corposa busta con i bollettini parrocchiali della diocesi, oggi non posso esimermi dal sottolineare quanto questi periodici, che normalmente sono poveri di contenuti, durante l’estate lo siano ancor di più. Ricordo ancora quando don Fausto curava settimanalmente “La Borromea” che costituiva un messaggio ed una testimonianza fatta quasi esclusivamente da immagini, soluzione quanto mai coerente al modo di trasmettere messaggi dei nostri giorni. Alla Borromea affiancava, con scadenze varie, “Piazza Maggiore” un giornale-rivista nel quale offriva un dibattito condotto da giornalisti qualificati sui problemi attuali della città e della Chiesa di Mestre. Sono le soluzioni di questo genere ad essere efficaci e innovative nello stimolare un dialogo con la parrocchia e con la città.

Creare opinione pubblica

L’affermazione di Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, che sosteneva che le notizie anche puramente inventate, quando vengono ripetute più volte, diventano “verità”, temo purtroppo sia vera.

La presa che hanno sull’opinione pubblica le campagne pubblicitarie di vari beni e servizi condotte attraverso i media, soprattutto quando, utilizzando messaggi ingannevoli, millantano vantaggi o effetti mirabolanti, ne è la prova più eclatante.

Mio fratello, don Roberto, in questi giorni ha scritto un trafiletto sul settimanale della sua parrocchia, scritto che ho deciso di pubblicare su uno dei prossimi numeri de L’Incontro perché quanto mai interessante, in cui afferma che i mass-media per motivi di lavoro e di cassa sono talmente asfissianti nel ribadire certe notizie che finiscono, non solo per farcele percepire come vere e interessanti ma riescono anche a far sì che spesso le persone si carichino sulle spalle dei fardelli amari e pesanti di cui avrebbero fatto volentieri a meno. In questi giorni di afa i mass-media hanno così tanto insistito nel parlare di questo sole rovente da farci credere che il caldo sia ancora più micidiale. Io però tento di far tesoro in positivo di questa “legge di mercato”, tanto da parlare frequentemente di solidarietà nella speranza che piano piano possa passare la convinzione che sia non solo giusto ma anche necessario aiutarci vicendevolmente.

Credo che ci sia del vero in questa “legge di mercato” e la miglior conferma è la generosità che ha consentito di realizzare i Centri Don Vecchi. Sono convinto che fortunatamente questa “semina” stia producendo ancora frutti infatti non passa giorno che, nelle occasioni e per i motivi più disparati, qualcuno non mi offra qualcosa “per le sue opere” perché sicuro che l’offerta andrà a buon fine. Spesso ringrazio frettolosamente e con estremo imbarazzo.

Oggi, riflettendo su questa realtà, sento il bisogno di esprimere a tutti questi benefattori, grandi e piccoli, il mio grazie più sentito e di ripetere loro che hanno fatto e stanno facendo la scelta più giusta. Oggi Mestre dispone di quattrocento appartamentini per gli anziani meno abbienti. Lo scorso maggio abbiano inaugurato sessantacinque alloggi per anziani in perdita di autonomia e a pochi mesi di distanza siamo al tetto di altri sessantacinque alloggi per le criticità abitative. Spero che la scoperta delle leggi di mercato per una volta dia frutti positivi.

La mia fortuna

Quando ero cappellano a San Lorenzo mi fu affidata la cura della San Vincenzo e questa associazione in pochi anni è diventata come un pesco o un melo tutto in fiore. Oltre alle avventure della mensa dei poveri, del mensile “Il Prossimo”, delle vacanze degli anziani e dei ragazzi, dei concorsi per ragazzi sulle tematiche della solidarietà, della San Vincenzo in ospedale e dei servizi: magazzino dei vestiti, docce, barbiere ed altro ancora riuscimmo a dar vita ad un gruppo, che nello stile vincenziano chiamavamo “conferenza”, che si occupava esclusivamente dei poveri di Ca’ Emiliani. A quel tempo con questo gruppo abbiamo creato perfino un dopo scuola estivo per i ragazzi e aiutavamo anche gli abitanti delle baracche, il piccolo borgo della miseria che ora fortunatamente non esiste più. Con quel gruppo ho imparato che l’educazione e le esperienze della fanciullezza e dell’adolescenza sono determinanti per la maturazione di una persona. Compresi allora che da quella situazione di degrado morale, abitativo e sociologico era pressoché impossibile che nascessero personalità pulite, oneste, dedite al lavoro e rispettose delle leggi della buona convivenza.

Qualche giorno fa, ricordando queste vicende ormai lontane, mi sono chiesto: “A chi devo la mia personalità, il mio modo di pensare e di concepire la vita?”. Mi sono ritornate alla mente le istituzioni e soprattutto le persone alle quali devo tutto. Il papà sognatore e ricco di ideali; la mamma concreta e generosa così da dare tutto di sé; don Giuseppe Callegaro, il prete della mia fanciullezza, cordiale, sorridente ed affettuoso; don Nardino Mazzardis, il sacerdote nato in un paese disperso nella campagna, lucido, intelligente, fu lui il prete che costruì la mia coscienza ed innescò la scelta di farmi sacerdote; monsignor Umberto Mezzaroba, parroco della mia adolescenza e successivamente parroco delle mie prime esperienze pastorali, un prete di una fede assoluta e di una passione autentica per le anime; don Giuliano Bertoli che mi inserì nel mondo giovanile mediante gli scout; monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo che mi offrì una testimonianza maschia e forte del pastore di anime; monsignor Valentino Vecchi, prete dalle infinite iniziative che aprì il mio animo alla città e alla Chiesa che cammina. A queste figure vicine devo aggiungere anche quelle ideali come Papa Pio XII, Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II e i miei Patriarchi: Agostini, Urbani, Roncalli, Luciani, Scola e i preti che mi fecero sognare una Chiesa bella, libera, povera, da Vangelo come Don Milani, don Mazzolari e Padre Turoldo. A questi preti e vescovi devo molto per tutto il bene che mi hanno fatto e per questo li ringrazio e prego per loro.

“La luna di miele”

La tradizione popolare definisce il periodo immediatamente successivo alle nozze “luna di miele” perché per i giovani sposi è considerato un tempo in cui tutto è facile, bello e inebriante. Soltanto dopo queste prime settimane avviene l’impatto con la vita reale che non è sempre facile. Nella vita politica e nella pubblica amministrazione spesso si tenta di dare un giudizio sull’attività di chi è stato eletto basandosi su quanto fatto nei primi cento giorni del suo impegno politico. Questi tre mesi sono comunque troppo pochi per poter giudicare il passo e le iniziali prese di posizione di un’amministrazione di un grosso ente come il Comune di Venezia che credo conti ben quattrocentomila abitanti.

È pur vero che Brugnaro, il nostro nuovo sindaco, durante la campagna elettorale, ha affermato che se avesse vinto le elezioni si sarebbe chiuso a chiave in municipio per esaminare, con i tecnici del Comune e con altri esperti, ogni dettaglio dei conti e delle attività comunali per mettere a punto il programma attuativo in grado di tradurre in fatti concreti il progetto proposto ai cittadini durante la campagna elettorale. Che i primi cento giorni di governo di Brugnaro e della sua giunta non corrispondano alla luna di miele è fin troppo chiaro perché è più che evidente invece che essi corrispondano ai primi cento passi della via dolorosa che fatalmente conduce alla croce, comunque finora, per quanto emerso dalla stampa cittadina, di questo conclave non è uscita alcuna notizia.

Non mi resta che invocare il buon Dio che illumini i nostri amministratori affinché cerchino, trovino e applichino soluzioni radicali anche se amare ed impopolari che ci evitino di ridurci come i Greci. Il parroco di Viale San Marco, don Natalino Bonazza, ha scritto sul periodico della sua comunità che a noi preti e alle nostre comunità spetta il compito di pregare e io sono d’accordo con lui però credo anche che sia doveroso incalzare i nostri amministratori perché non continuino a fare anch’essi un’allegra, pavida e debole amministrazione da populisti come finora è quasi sempre accaduto.

Rassegna stampa

È morto più di un anno fa un signore di Viale San Marco, che di propria iniziativa, senza che qualcuno glielo avesse mai chiesto, ogni settimana prelevava, da uno dei nostri punti di distribuzione de “L’incontro”, un numero consistente di copie del periodico e lo distribuiva nelle chiese e nei conventi di Venezia. Ricordo che la Superiora del Convento delle Carmelitane Scalze di Cannareggio un giorno mi telefonò e mi espose il suo problema parlandomi come se mi conoscesse personalmente da molto tempo. Io mi stupii perché non sapevo neppure che questo convento esistesse ma poi capii quando mi disse che ogni settimana leggeva “L’incontro”.

Il signore di Viale San Marco, non solo distribuiva il nostro periodico ma mi faceva anche avere il bollettino parrocchiale delle varie parrocchie di Venezia. Con tristezza devo confessare che in merito ai periodici parrocchiali se a Mestre non si brilla a Venezia non c’è quasi nulla: una vera desolazione!

Da qualche mese, anche questa volta senza che io abbia fatto alcuna richiesta, una signora, avendo letto su “L’incontro” del mio interesse per questi “mass-media di casa nostra”, ogni settimana me ne fa pervenire un discreto malloppo e questo campione mi offre una panoramica sulle attività delle varie parrocchie veneziane.

Quando apro la grossa busta che contiene i vari periodici mi si stringe il cuore perché avverto odore di muffa, di tradizione, di conservazione e di rassegnazione. Possibile che non ci sia uno scatto d’impegno e una presa di coscienza che il novanta per cento della popolazione della nostra città incontra il Cristo solamente attraverso quello che scrivono i giornali cittadini, che oltretutto prediligono la “cronaca nera” anche per le notizie che riguardano la Chiesa e la religione? Leggendo il volume sulla Delbrêl, ho appreso che, almeno da mezzo secolo, la Chiesa francese pensava a preti missionari in patria. Quanto mi vien da sognare che una seppur piccola equipe diventi anche nella nostra diocesi un’avanguardia cristiana in grado di stimolare ad una presenza più vivace ed attiva.

La mia “sposa bella”

Un po’ di romanticismo l’ho sempre avuto e mi pare di avere anche quel po’ di fantasia che serve per vestire di poesia e d’incanto le cose che amo. Qualche tempo fa mi sono lasciato vincere da un certo amarcord passando in rassegna uno dei miei scritti sulle Chiese che ho amato: da bambino l’austera chiesa neogotica costruita a ridosso della riva sinistra del Piave dopo la Prima Guerra Mondiale; da adolescente la splendida Basilica della Madonna della Salute che mi ha accolto materna durante il tempo del seminario; appena ordinato sacerdote il gioiello barocco della Chiesa dei Gesuati sulle rive del Canale della Giudecca ove ho vissuto le mie prime esperienza pastorali; da giovane prete il bel San Lorenzo, il Duomo mestrino che ha aperto il mio cuore alla città; da uomo maturo la chiesa neogotica del Meduna in cui sono vissuto per trentacinque anni come parroco ed infine da anziano la “sposa bella” della mia vecchiaia la “cattedrale tra i cipressi”.

L’ultimo mio amore è nato per caso perché il comune non aveva soldi per realizzare il pretenzioso tempio progettato dall’architetto Gianni Caprioglio che voleva donare il suo capolavoro a Mestre, la sua amata città. Il Presidente della Veritas, stanco dei miei continui interventi e solleciti, si sentì quasi costretto dall’opinione pubblica a ordinare una struttura prefabbricata in Romania dal costo di duecentocinquantamila euro.

Al primo impatto la nuova struttura sembrava un capannone per attrezzi ma poi, pian piano, arrivarono le luci, i fiori, i quadri, l’arredo sobrio ma ordinato e gradevole tanto che molti mestrini ritengono la mia “cattedrale” una delle più belle chiese di Mestre. Il clima di raccoglimento, il tetto e le travature in legno, che richiamano una baita di montagna, il silenzio del camposanto, la cornice dei cipressi e l’alta frequenza di fedeli fanno sì che la chiesa della “Madonna della Consolazione” sia una delle chiese più amate e frequentate della città. Non c’è ora del giorno in cui non vi sia qualcuno che si “ristora” col messaggio di pace e di intimità con Dio che la chiesa ed il suo sottofondo musicale offrono a chi la frequenta. Ora poi la chiesa è resa ancora più accogliente dalle riproduzioni del Beato Angelico, dai ritratti delle più belle figure dei Santi della nostra tradizione ed infine dalle due grandi opere, “La Deposizione” e “L’Assunzione al cielo della Madonna”, di uno dei più insigni pittori della nostra città: Luigi Scaggiante.

All’incasso? No!

In occasione delle elezioni comunali e regionali, la Fondazione dei Centri Don Vecchi non si è limitata ad accogliere tutti i candidati dei diversi raggruppamenti politici distribuendo i loro messaggi e i loro programmi elettorali ma ha anche offerto, a tutti i politici che si sono succeduti, un modesto rinfresco. La nostra non è stata solamente una forma di cortesia ma la volontà di cogliere l’opportunità di far conoscere “dal vivo”, ai futuri amministratori, la nostra esperienza che fa risparmiare una montagna di euro alle relative amministrazioni e nel contempo permette agli anziani di vivere una vita più degna e più umana.

Da pochi giorni abbiamo avuto modo di conoscere i volti e i nomi dei nuovi assessori che si occuperanno delle politiche sociali. Sarà quindi nostra premura, non appena questi amministratori si saranno insediati ed avranno preso visione dell’immensità dei problemi che con tanta insistenza si sono offerti di risolvere, chiedere loro di impegnarsi nell’affrontare e concretizzare le esigenze che abbiamo evidenziato quando sono venuti a chiedere il nostro voto. Mi pare sia giusto che i lettori conoscano le nostre richieste che poi in realtà sono anche le nostre offerte.

  1. A fine anno la Fondazione metterà a disposizione 55 appartamenti a favore delle criticità abitative.
  2. La Fondazione desidera mettersi in rete con le amministrazioni pubbliche per sviluppare un servizio sempre più integrato.
  3. Si richiede la realizzazione della pista ciclopedonale per collegare il Don Vecchi 4 con il centro di Campalto promessa dalla precedente amministrazione.
  4. Si chiede di predisporre una fermata degli autobus dell’A.C.T.V. nei pressi dei Don Vecchi 5 e 6 agli Arzeroni per collegarli alla città.
  5. Si chiede al Comune di mantenere il contributo per assicurare il monitoraggio estendendolo anche al Don Vecchi 5. Per chi non lo sapesse il contributo ammonta a euro 2,5 al giorno per ognuno dei cinquecento residenti!
  6. Si chiede alla Regione di mettere in rete i Don Vecchi 5 e 6 assicurando loro un congruo aiuto.

Per evitare illazioni preciso che non stiamo presentando il conto per il nostro supporto ai nuovi eletti ma cerchiamo di ottenere i miglioramenti e gli aiuti più volte promessi a favore degli ospiti dei Centri Don Vecchi.

Gli Arzeroni

Almeno una volta alla settimana mi reco al Don Vecchi 5, la struttura con la quale è cominciata la nascita del “Villaggio Solidale degli Arzeroni”, per consegnare un certo numero di copie de “L’Incontro”.

L’avventura del quinto Centro, che nell’intenzione dell’assessore regionale Remo Sernagiotto doveva rappresentare un progetto pilota per sperimentare una soluzione più economica ma soprattutto socialmente più valida per quella zona grigia di anziani che si collocano tra gli ottantacinque e i novantacinque anni, è cominciata praticamente all’inizio di settembre dello scorso anno.

Il progetto è stato avviato con un indirizzo non ben definito perché non si è avuto il coraggio di optare per una scelta radicale realizzando una struttura per anziani che, anche se al limite dell’autosufficienza fossero ancora relativamente autonomi ma, temendo che la sperimentazione potesse fallire si è tentato di adattarlo anche per l’accoglienza di persone non autosufficienti. Devo constatare però che, nonostante tutto, il progetto è risultato positivo.

Un secondo elemento che ha provocato preoccupazioni, tentennamenti e paure è stato determinato dal venir meno di quel contributo regionale che doveva consentire di assumere un certo numero di assistenti per sopperire al maggior deficit di autonomia dei nuovi residenti, quasi tutti appartenenti alla fascia della quinta età. Anche questo secondo ostacolo però è stato brillantemente superato in quanto la Fondazione ha imposto ai familiari una maggior presenza, presenza che, alla prova dei fatti, non solo è risultata possibile ma anzi ottimale.

La terza gamba che si è temuto facesse barcollare il progetto è stata l’ubicazione del Centro che, pur essendo vicino alla zona commerciale, risulta comunque un po’ decentrato e mal servito dagli autobus e questo ci ha fatto pensare di non poter contare sul volontariato, elemento essenziale per abbattere i costi: anche questa difficoltà però è stata brillantemente superata.

Nell’ultima visita ho riscontrato un clima sereno e soprattutto ho trovato uno staff di volontari estremamente motivato, coordinato ed efficiente. Portare a regime l’iniziativa si è rivelata un’impresa abbastanza concitata che ha generato paure e preoccupazioni però oggi possiamo affermare con assoluta tranquillità che questo progetto pilota per la quinta età è felicemente decollato e sta dimostrandosi quanto mai valido anche senza ulteriori contributi della Regione. Tuttavia se potessimo attingere a questa disponibilità riusciremmo ad apportare ulteriori miglioramenti dimostrando così che è possibile arrivare alla fine della vita come persone e non come pesi da sopportare.