Fuoco sotto la cenere

Ormai m’ero rassegnato. Da almeno vent’anni avevo sognato che a Mestre parroci e parrocchie sentissero il bisogno di avere un centro che da un lato razionalizzasse e controllasse tutte le associazioni e le “agenzie” cattoliche che sono impegnate sul fronte dei poveri, e dall’altro lato fosse pure operativo concentrando in uno stesso luogo le attività più consistenti in maniera che ai concittadini in difficoltà fosse facile trovare una grande istituzione dove sia possibile avere risposte adeguate alle necessità più diverse. Non è che in questi anni sia stato con le mani in mano, tanto che nel seminterrato del don Vecchi c’è già un abbozzo di questo centro, che io ho denominato con una certa enfasi “il polo solidale del don Vecchi”.

Però è una struttura ancora troppo piccola ed inadeguata. Nel recente passato vi fu un momento in cui mi illusi che il progetto prendesse corpo, tanto che avevamo individuato un terreno e si aveva incominciato a disegnare quella che sognavo fosse intitolata la “cattedrale della solidarietà”.

Il Patriarca Scola s’era lasciato coinvolgere, dando appoggio e facendo promesse, però m’accorsi quasi subito che l’ambiente cattolico non era maturo, a cominciare dalla Caritas che affermò di non crederci, e don Franco che mi disse: “Bello, don Armando, però per i soldi dovrai arrangiarti!”

L’uscita poi di scena del vecchio Patriarca e l’insorgere dei guai finanziari della diocesi, che già era poco convinta e propensa di imbarcarsi in un progetto così nuovo e impegnativo, mise una grossa pietra tombale sopra al mio sogno.

La Fondazione poi si impegnava in quello che doveva diventare un progetto pilota per prolungare ulteriormente l’autosufficienza; sennonché la scelta dell’assessore della Regione Senargiotto di candidarsi per il parlamento europeo, pur avendo promesso appoggio finanziario, impegnò a fondo la Fondazione per tentare di portare avanti senza alcun aiuto pubblico suddetto progetto.

Dati i miei quasi novant’anni m’ero rassegnato a lasciare in eredità ai posteri il sogno di razionalizzare e concentrare in una struttura polivalente uno dei più rilevanti problemi di qualsiasi comunità cristiana e in particolare della Chiesa di Mestre, che è costituito di dare autentica consistenza al progetto della carità. Sennonché qualche giorno fa è morta una persona che aveva fiducia in me tanto che aveva deciso di lasciarmi ogni suo avere, ma che per mio suggerimento aveva scelto la Fondazione dei centri don Vecchi.

Data la consistenza del patrimonio ereditato, la brace, che era ancora viva pur sotto la cenere del mio sogno, cominciò a brillare, tanto che da ora in poi ho deciso di non perdere occasione per suggerire e premere sul Consiglio di amministrazione ed impegnarmi su questo progetto.

Ora mi trovo molto di frequente a pensare: “Vuoi vedere che se le cose andranno per il giusto verso e se il Signore avrà ancora un po’ di pazienza a mandarmi “la cartolina di precetto” avrò anche la grazia di vedere questa lungamente sognata cittadella della solidarietà?

Se poi non sarà una cittadella mi accontenterei anche che fosse un piccolo borgo o un villaggio solidale!

La nuova galleria

Il “don Vecchi sei”, che ora ha un volto, un’articolazione dei locali ed una destinazione a soggetti diversi ai quali è destinata, non è nato per incanto ma, come avviene, per ogni creatura ha avuto una gestazione abbastanza faticosa di almeno quattro o cinque anni.

In quest’ultimo tempo, che precede l’inaugurazione, si è parlato spesso di rette, di regolamenti e di destinatari, però chi ha concepito la nuova creatura, durante questa faticosa gestazione, l’ha sognata accogliente, bella signorile, ad ha lavorato in silenzio e lungamente perché risultasse pari al sogno.

Una delle caratteristiche che si colgono di primo impatto con i centri della nostra fondazione è certamente l’aspetto signorile e la scelta dell’arredo di mobili, piante e quadri. Così è avvenuto anche per quest’ultima creatura, che pur avrà meno spazi comuni delle altre, dato che la maggior parte dei residenti saranno meno “stanziali” di quelli degli altri centri. Comunque anch’essa offre un vastissimo salone perché la popolazione che vi abiterà abbia un ampio spazio per relazioni umane e per i momenti di relax. Quando pensai all’arredo delle sue pareti trovai subito difficoltà ad immaginare una accozzaglia di poveri quadri raccogliticci e mi venne in mente di chiedere ad un mio vecchio parrocchiano, che nel passato mi ha aiutato nelle situazioni più diverse, di dipingere una serie di quadri per farne una galleria permanente. Questo signore, che di professione ha fatto il fisico, in enti di risonanza mondiale, ma nel contempo ha dimostrato di avere un ottimo rapporto con la tavolozza, alla mia richiesta, dopo qualche resistenza dovuta soprattutto alla sua modestia naturale, mi ha offerto la sua disponibilità tanto che da alcuni mesi sta lavorando a tempo pieno per offrirci una galleria di una trentina di sue opere.

La disponibilità e la generosità di questo signore dall’ingegno e dalle risorse di tipo michelangiolesco sono arrivate non solamente a donarci un numero così consistente di opere, ma a regalarci pure le cornici.

Quando penso a tutto ciò mi viene da concludere che la fatica per il “sei” trova già una sua ricompensa per la scoperta che a Mestre ci sono anche cittadini così bravi e generosi.

Ristorante Serenissima: cena ad un euro, perché ho chiuso

La stampa e la televisione ne hanno parlato talmente tanto del mio progetto di offrire un pranzo ad un euro per i concittadini in disagio economico e che soffrono in silenzio e con dignità la loro difficoltà che mi pare quasi superfluo ritornare sull’argomento, però sento il bisogno di chiarire qualche aspetto su questo progetto non riuscito. È da una vita che mi occupo dei poveri, perché, lo ripeto ancora una volta, a mio parere è aria fritta la vita religiosa e la fede se non diventano carità.

A riprova di questa affermazione ricordo il mio impegno per la San Vincenzo della nostra città, l’apertura di Ca’ Letizia con i suoi servizi di mensa serale, di fornitura di vestiti, delle docce, del barbiere, le vacanze degli anziani e gli adolescenti, il caldo Natale. Il mensile “Il Prossimo”, poi a Carpenedo l’apertura de “Il Rtrovo” per gli anziani, di Villa Flangini per le vacanze degli anziani poveri, del gruppo “Il Mughetto” per i disabili, del gruppo San Camillo per gli ammalati, poi i cinque Centri don Vecchi con i relativi 400 alloggi per anziani autosufficienti in difficoltà economiche, infine: Il Polo Solidale del don Vecchi con i suoi magazzini per vestiti, mobili, arredo per la casa, Banco di distribuzione di generi alimentari, il chiosco per la frutta e verdura, lo spaccio alimentare per la distribuzione degli alimentari in scadenza. Ciò premesso, nonostante i miei quasi 90 anni, non ho perso la voglia e sento ancora il dovere di farmi prossimo nei riguardi di chi è in difficoltà. Quindi, essendomi presentata l’occasione di raggiungere un tassello di questo curriculum, durato una vita, l’ho colto al volo. Le cose sono andate così: avendo letto su Avvenire che il manager della ristorazione in Milano, signor Pellegrini, offre mille pasti a sera ad un euro per i poveri, il mio angelo custode mi ha subito suggerito: “Perché non chiedi al catering Serenissima Ristorazione che fornisce i pasti ai residenti dei cinque Centri?” Avendo anche sentito dire che il signor Mario Putin, che è il fondatore e presidente di questa grande società di Vicenza, fornisce in Europa 200.000 pasti al giorno, perché non chiedergli un centinaio di cene al giorno? Il mio angelo custode è quanto mai intelligente e buono, e quindi una volta tanto gli ho dato ascolto. Non ci pensai un giorno e feci la richiesta a questo signore, che fino il giorno prima neppure sapevo che esistesse. A giro di posta mi giunse la risposta che avrebbe mandato Tommaso, uno dei suoi figli, per vedere cosa si poteva fare. Dopo pochi giorni giunse questo figlio di Putin, che cura la parte economica dell’azienda, e forse, vedendo il Centro don Vecchi ha capito che siamo persone serie e ci ha dato là su due piedi il via all’operazione. Il proseguo della vicenda lo conoscono un po’ tutti, perché demmo vita ad un battage pubblicitario tanto che mezza Italia ne è venuta a conoscenza.

Le testate televisive e giornalistiche andarono a gara per pubblicizzare questa insolita iniziativa benefica. Chiesi aiuto ai due miei vecchi collaboratori Graziella e Rolando Candiani, domandai il permesso alla Fondazione Carpinetum di utilizzare la sala da pranzo del Don Vecchi che alla sera era libera, in poco tempo abbiamo reclutato 60 volontari come camerieri ed organizzato al meglio l’iniziativa. Ci siamo messi in contatto con tutte le componenti cittadine che ritenevamo avessero sensibilità e conoscenza del settore del disagio sociale: i parroci, la San Vincenzo, la Caritas, la municipalità, l’apparato della sicurezza sociale, illustrando nei dettagli il progetto. Non volevo in maniera assoluta creare una nuova mensa per i poveri perché a Mestre ce ne sono già quattro: Ca’ Letizia, i frati cappuccini, la parrocchia di Altobello e la mensa Papa Francesco di Marghera. Queste mense funzionano benissimo, sono dignitose e soprattutto sono più che sufficienti per rispondere ad un tipo di povertà, che si rifà alla mendicità cronica, al disagio sociale, alla mancanza di tetto ed altro ancora. Con queste mense sono in contatto costante, tanto che ogni qualvolta abbiamo degli esuberi di alimenti li mandiamo ad esse. Quindi l’aspetto specifico ed innovativo della nostra iniziativa era quello di intercettare ed aiutare quelle persone, che per i motivi più disparati quali: disoccupazione, mobilità, malattia, famiglia monoreddito, o pensione insufficiente, pur decise di reinserirsi nel tessuto sociale normale, passavano un momento di difficoltà e che per educazione e dignità non bussano mai alle porte del Comune, delle canoniche o di suddette mense per i poveri. Questo discorso lo abbiamo fatto a chiare lettere alla stampa, alla televisione e a tutti i collaboratori sociali che abbiamo interessato con ogni mezzo attraverso comunicati stampa, lettere e telefonate.

Esito? Certamente insufficiente! In tre mesi abbiamo avuto come ospiti abbastanza intermittenti una cinquantina di persone, raccogliticce, che spesso avendo appreso dalla stampa l’iniziativa ed avendo scoperto che l’ambiente è bello, che si mangiava bene, però pareva non avessero alcuna voglia di superare il momento di disagio per reinserirsi normalmente nella società. Fare una diagnosi di questa situazione mi è alquanto difficile: o non ci sono poveri di questo tipo? O non c’è stata collaborazione sufficiente da parte degli operatori sociali: parrocchie, assistenti sociali, associazioni specifiche del settore? O io sono inviso da queste realtà, o le persone bisognose di questo tipo non riescono ad uscire allo scoperto e superare il disagio d’aver bisogno degli altri, oppure c’è un po’ di tutto questo! Comunque tutto ciò non mi permetteva moralmente di caricare di un onere consistente il benefattore che si è dimostrato tanto generoso senza che ci fosse un risultato tale da giustificare l’impegno finanziario, quello delle spese e del disagio del Centro e quello di tutti i collaboratori che hanno generosamente messo a disposizione il loro tempo, sottraendolo ai loro impegni. Siccome io non sono un uomo per tutte le stagioni soprattutto considero come mia unica padrona di casa la mia coscienza, avendo la sensazione di non aver raggiunto lo scopo del progetto che avevo sognato ho deciso di chiudere.

Ho piena coscienza di aver deluso e scontentato un po’ tutti: i signori Candiani, tanto generosamente una volta ancora a disposizione, i volontari, la Fondazione, il Comune, l’opinione pubblica e soprattutto il gruppo di utenti. Questo mi dispiace veramente, ma mi sarebbe dispiaciuto ancora di più fare qualcosa che per me non era del tutto morale.

Aggiungo che ho tentato di trovare una soluzione alternativa per chi aveva trovato comoda la soluzione della cena ad un euro. Per le famiglie ho ottenuto i generi alimentari ogni settimana del Banco Alimentare dell’associazione Carpenedo Solidale e pure i generi alimentari in scadenza dallo spaccio alimentare del don Vecchi, per gli anziani del Centro ho ottenuto il pranzo al prezzo dimezzato di euro2,50 e all’altra decina di utenti ho consigliato le mense dei Cappuccini e della San Vincenzo. Comunque tutte le persone che sono rimaste dispiaciute per la mia decisione possono continuare l’esperienza della cena, io fornisco loro l’indirizzo di chi mi ha generosamente aiutato: per la Fondazione Carpinetum il presidente don Gianni Antoniazzi, via San Donà 2; per il catering Serenissima Ristorazione il signor Mario Putin, via della Scienza 46 Vicenza, telefono 0444.348400.

L’opzione per cui sarei ancora disposto a mettermi in gioco sarebbe quella della fornitura, per asporto, a favore delle famiglie, dopo aver vagliato scrupolosamente la loro situazione. Questo però sarebbe possibile solamente se fosse potenziata la struttura del nostro centro di cottura ed aumentato il personale addetto.

Della scelta mi assumo tutte le responsabilità, e contemporaneamente ringrazio di tutto cuore chi si è messo a disposizione per la riuscita dell’impresa: la Fondazione, il signor Putin della “Serenissima Ristorazione”, i signori Candiani, tutti i volontari e la cuoca che s’è sobbarcata tanto lavoro straordinario perché il progetto andasse a buon fine. Da ultimo confido che ho capito ancor più lucidamente che a novant’anni è meglio che si lascino ai giovani queste “avventure” qualora essi avvertano il dovere di dare concretezza e verifica alla carità cristiana.

La povertà dignitosa

Io, sia alla San Vincenzo che in parrocchia e soprattutto alla mensa di Ca’ Letizia, ho toccato con mano che cosa sia la povertà con poca o con nessuna dignità: poveri grami, drogati, senza tetto, gente con poco comprendonio,viziosi, fannulloni, rissosi e via di seguito; sembra infatti che fra Mestre e Venezia vi siano almeno alcune centinaia di soggetti del genere. Sono comunque sempre stato convinto che si debbano aiutare anche questi fratelli meno fortunati o meno dotati d’intelligenza e di volontà.

Le prove di questa convinzione sono la mia pluridecennale militanza nella San Vincenzo e il mio impegno nella creazione e nella gestione della prima mensa per poveri a Mestre, con l’apertura del Ristoro di Ca’ Letizia, più di cinquant’anni anni fa assieme al mio vecchio parroco Monsignor Vecchi.

In verità soprattutto nei trentacinque anni in cui sono stato parroco ho incontrato anche qualche “caso” in cui la malattia o la morte del capo famiglia aveva ridotto all’indigenza alcune famiglie e per quanto ho potuto, soprattutto con la San Vincenzo, abbiamo cercato e talvolta siamo riusciti a offrire soluzioni efficaci. Questi casi però sono stati relativamente pochi. Nella mia comunità di quasi seimila anime si potevano contare sulle dita di due mani ma, se si cambia dimensione e ci si riferisce ad una città di 200.000 abitanti, questi “casi” diventano più consistenti.

Con l’apertura del “Ristorante Serenissima” intendevo intercettare questa “povertà dignitosa” e non quella di mestiere o di abitudine ma finora non ci sono ancora riuscito. Sono forse cinque o sei le famiglie in queste condizioni che vengono a cenare nel nostro “ristorante” (dico “ristorante” non per vezzo ma perché è tale!) e forse sono una decina i frequentatori singoli mentre gli altri trenta, quaranta sono “parenti prossimi” di quelli che frequentano le quattro mense per poveri esistenti a Mestre.

Non ho ancora perso la speranza di riuscire ad aiutare “i poveri dignitosi” ma sono vicino a perderla ma per ora mi conforta l’escamotage di offrire la possibilità dell’asporto della cena per consumarla a casa propria in famiglia e ogni sera le cene asportate sono più di una ventina. Confesso che mi sarei aspettato un risultato migliore dai parroci e dall’apparato quanto mai consistente degli operatori dell’Assessorato alla Sicurezza Sociale, comunque sono ancora lontano dallo sventolare la bandiera bianca. La vita è un combattimento!

L’importante è seminare

Una delle utopie a cui ho sempre aspirato è quella di trasformare Mestre in una città solidale. Questa scelta non è nata come una propensione a una filantropia civile ma dalla convinzione profonda che la pratica religiosa, se non diventa solidarietà, rimane pietà fatua ed inconsistente.

L’inizio di questo mio cammino ha avuto origine con l’incontro casuale che ebbi, più di mezzo secolo fa, con un minuscolo gruppo della San Vincenzo presso la parrocchia del Duomo di Mestre. Mi parve allora che Federico Ozanam avesse suggerito un metodo e una finalità alquanto concreta ed anche se non aspirava a risolvere radicalmente il problema dei poveri aveva posto un mattone reale per creare questa struttura o, per dirla come madre Teresa di Calcutta, una goccia che contribuisce a dare vita al grande oceano. In qualche decennio la San Vincenzo crebbe, si diffuse in moltissime parrocchie, acquistò credibilità a livello della città e diede vita ad una serie di iniziative concrete, alcune delle quali ancora vive: Ca’ Letizia, il Ristoro, il mensile il Prossimo, il guardaroba, le docce, il barbiere, le vacanze per i vecchi e per gli adolescenti e le attività di formazione dei ragazzi alla solidarietà.

La seconda fase di questo progetto la sviluppai in parrocchia a Carpenedo con il Ritrovo, con Villa Flangini, con i Centri Don Vecchi e con la Bottega Solidale.

La terza fase si è concretizzata nel dopo pensione con il Polo della Solidarietà: vestiti, mobili, arredo per la casa, supporti per gli infermi, il Banco alimentare, lo spaccio per i generi alimentari in scadenza, il chiosco di frutta e verdura e il Ristorante Serenissima, ultimo nato.

Queste strutture penso abbiano fatto crescere lentamente una mentalità solidale a livello cittadino: vedi i numerosi lasciti, le eredità veramente consistenti che non possono essere giustificate se non dalla crescita di questa mentalità solidale. Prova ne sia: l’eredità Saccardo, il lascito dell’ingegner Cecchinato e il lascito di Anita Bergamo, ultimi segni di questo “campo coltivato” e ormai in fiore. L’origine di questa primavera della solidarietà è sempre la stessa: seminare gesti concreti di carità cristiana che prima o poi fioriranno e porteranno frutto.

Un incontro desiderato

Alcune settimane fa mi è stato chiesto dalla Fondazione di scrivere una lettera al Sindaco per elencare i punti critici dei Centri Don Vecchi al fine di superarli lavorando in sinergia con il faraonico apparato comunale. Ho scritto, come mi viene naturale, una lettera con tanto pepe chiedendo al Sindaco un colloquio per mettere a punto il rapporto che io ritengo assolutamente necessario con l’ente pubblico, rapporto in cui il ruolo dell’ente pubblico ritengo non debba essere quello di gestire i servizi sociali ma quello di svolgere una regia intelligente per tutte quelle realtà di base a cui, a vario titolo, sta a cuore il bene della comunità.

Quando, durante la campagna elettorale, ho avuto modo di incontrare l’aspirante Sindaco gli ho chiesto di instaurare un rapporto privilegiato con il “privato sociale” e più volte mi sono permesso di suggerirgli di mantenersi alla larga dai sindacati, dai centri sociali, dai “comitati no a tutto” e dalle nobildonne che quando s’incontrano per il tè si sentono delle dogaresse.

Ho fatto presente al Sindaco, come detto, alcuni punti critici della Fondazione, anche se essa naviga con il vento in poppa. Avrò modo, in altre occasioni, di ritornare su queste criticità per le quali è necessario il dialogo con l’Amministrazione Comunale così come è necessario per il Comune dialogare con una realtà che mette a disposizione quasi 500 alloggi per gli anziani più poveri e che rappresenta una delle strutture più avanzate e moderne per la loro domiciliarità.

Le sensazioni che ho avuto dal colloquio sono state sostanzialmente positive. Brugnaro mi è parso un uomo intelligente, concreto, con un’ottima conoscenza dei problemi, estraneo al politichese degli uomini di partito, con idee e obiettivi condivisibili, totalmente allergico alla dialettica fatua ed inconsistente degli amministratori impreparati e sapientoni espressione dei partiti di qualsiasi colore, pragmatico e in rottura con la prassi amministrativa di una sinistra che ha portato al limite del fallimento il nostro Comune. Se penso però a tutto quel mondo clientelare e interessato che dovrebbe sradicare, temo che non gli basti la semplice Ave Maria serale che gli dedico, forse non gli basterebbe neppure l’intero Rosario.

Esco ancora una volta allo scoperto

La riflessione su cui sento il sacrosanto dovere di ritornare l’ho già fatta non molto tempo fa. Oggi è diventata attuale l’espressione che l’arcivescovo della capitale francese aveva anticipato ben quarant’anni fa: “Parigi è terra di missione”. In quella famosa lettera pastorale, che ha turbato l’opinione pubblica del mondo ecclesiale, questo cardinale ha snocciolato dati che denunciavano la secolarizzazione o peggio ancora la scristianizzazione dei cittadini della grande metropoli d’oltralpe.

A quel tempo con monsignor Vecchi feci un viaggio di esplorazione pastorale in Francia perché, pur in quel contesto di abbandono della pratica religiosa, in Francia c’erano anche delle punte di diamante che pareva avessero molto da insegnare. Mestre deve a quel viaggio apostolico la nascita della “Borromea” e dei “bollettini parrocchiali”. Alla conclusione di quell’esperienza con Monsignore siamo arrivati a questa conclusione: “Dobbiamo riuscire a portare la nostra gente ai livelli più avanzati della Chiesa francese senza però cadere nell’inferno della scristianizzazione di massa”. Non ci siamo riusciti e ora le parrocchie della nostra città stanno slittando progressivamente, in maniera ineluttabile, verso il vortice dell’indifferenza e dell’abbandono.

Questa è una tristissima constatazione, è ancora peggio però non notare alcun segnale dei tentativi di contrastare questa catastrofe. Qualche giorno fa ho appreso da una “soffiata” che Gente Veneta, l’unico giornale d’ispirazione cristiana, a Mestre ha una tiratura di poco superiore alle 1000 copie. Ciò significa che, se fosse vera la più lusinghiera delle ipotesi e cioè che la presenza di fedeli al precetto festivo raggiunge forse il 15%, e quindi solo questo 15% ascolta un discorso religioso attraverso il sermone del parroco, il restante 85% dei mestrini non è raggiunto da alcuna proposta religiosa. Da questi dati mi sono reso conto della grande responsabilità che noi de L’Incontro abbiamo nel continuare a diffondere le 5000 copie del nostro settimanale. Sono corso ai ripari chiedendo a sacerdoti e laici collaborazione perché suddetta proposta possa mantenere il suo standard elevato e magari migliorarlo ma finora non ho ottenuto alcun risultato positivo.

Appelli caduti nel vuoto

Carissimi amici, sono consapevole che spesso approfitto della vostra cortesia e benevolenza, comunque per vostra consolazione vi preannuncio che con la fine di quest’anno cesserò di tediarvi ripetendo spesso le solite cose. A mia giustificazione vorrei citare una bella preghiera che qualcuno ha composto pensando ai limiti che l’età impone all’anziano. Nella preghiera che è intitolata: “Le beatitudini dell’anziano” c’è una frase che recita pressappoco così: “Beati quelli che non mi fanno osservare che quella cosa l’ho detta più volte e perciò la ascoltano come fosse la notizia più interessante del mondo”.

Fatta questa premessa e offertavi questa “beatitudine” interessata vengo al motivo per il quale vi chiedo, per l’ennesima volta, di pazientare se ritorno su un argomento che so di aver già trattato: l’apertura del “Ristorante Serenissima” per le famiglie in difficoltà. Questo “ristorante” è aperto da tre giorni però delle 110 cene offerteci dal signor Mario Putin del “Catering Serenissima” finora ne utilizziamo solo 40 per mancanza di “clienti”. Lo staff che mi ha aiutato nell’organizzazione di questa “impresa” ce l’ha messa tutta: ha scritto a tutti i parroci, ha preso contatto con le assistenti sociali del Comune, con la Municipalità, con la Caritas e con la San Vincenzo. La collaborazione delle testate giornalistiche locali: Gazzettino, La Nuova, il Corriere, Gente Veneta e delle emittenti Raitre, Tele Venezia, Tele Chiara, Rete Veneta, Antenna Tre, Telepace è stata veramente meravigliosa e non avrebbero potuto fare di meglio. La risposta all’appello per la ricerca di volontari è stata entusiasmante: sessanta volontari di tutte le estrazioni sociali e di tutte le età si sono offerti in pochissimi giorni. La disponibilità della famiglia Putin del catering “Serenissima Ristorazione” è stata prontissima e generosa, come pure quella della cuoca che è di una bravura eccezionale.

Fatta questa premessa sono costretto a concludere che o a Mestre non ci sono più poveri, ma di questo dubito fortemente perché ogni settimana più di 3000 persone si presentano al Don Vecchi per ritirare i generi alimentari, oppure chi dovrebbe conoscere chi è povero e bisognoso di aiuto ed essere qualificato per offrire l’aiuto necessario o non conosce queste persone oppure non è interessato alla loro sorte. Questo discorso è assai amaro però non saprei a quale altra causa imputare questa poca adesione.

Il ristorante Serenissima

Quando usciranno queste mie note, le sorti della nuova e pressoché unica esperienza di un ristorante vero e proprio destinato alle famiglie e ai singoli che con dignità affrontano il loro disagio economico saranno già segnate, mi auguro di tutto cuore in maniera assolutamente positiva. Mi pare però opportuno fare il punto e tirare le conclusioni della fase preparatoria. Nel momento in cui sto scrivendo mancano meno di una manciata di giorni alla sua inaugurazione. Devo sottolineare che in questa avventura le cose positive sono moltissime però vi sono anche delle lacune abbastanza deludenti che spero si risolvano nelle prossime settimane. Credo che di ogni impresa in cui si cimenta l’uomo sia doveroso sottolineare il bianco e il nero: il bianco per offrire speranza e positività e il nero per combattere i demoni dell’indifferenza e del disimpegno. Comincio con il sottolineare le positività di questa avventura

Ritengo doveroso ricordare a tutti la prontezza e l’assoluta disponibilità con le quali la famiglia Putin di Vicenza, che gestisce la grande impresa “Serenissima Ristorazione”, ha risposto alla richiesta di questo vecchio prete, a loro sconosciuto, che chiedeva 110 pasti al giorno gratis per i poveri.

Quando si è posto il problema dello staff di governo ho richiamato in servizio Graziella e Roberto Candiani, ormai “pensionati” dopo 20 anni di assoluta dedizione al prossimo, e il sì è stato immediato ed entusiasta.

L’esigenza di reperire “manovalanza”, dopo il deludente comportamento degli scout sui quali, avendone fatto l’assistente per mezzo secolo contavo in maniera assoluta, si è risolta quando mi sono rivolto direttamente alla città e in una settimana ben 60 volontari di ogni ceto e di ogni età si sono offerti per svolgere questo servizio.

Infine desidero ringraziare per la splendida collaborazione ricevuta i giornali e le emittenti locali: sono stati veramente magnifici e non avrebbero potuto fare di meglio.

Tra le note dolenti mi duole annoverare la mancata risposta delle parrocchie, delle assistenti sociali, della Caritas, della San Vincenzo e della Municipalità, soggetti che dovrebbero essere gli specialisti del settore.

Mi auguro che alla sordità e alla lentezza iniziale segua un impegno serio, positivo ed efficiente. Purtroppo non tutte le ciambelle riescono con il buco.

Efficienza e bellezza

Io sono molto orgoglioso che Mestre, il brutto anatroccolo di Venezia matrigna, abbia finalmente un ospedale che s’impone da un punto di vista architettonico ed estetico. “L’Angelo” è forse l’unica struttura costruita nel dopo guerra che colpisce chi è dotato di un pizzico di gusto estetico.

Mi piace la torre Maya che si offre allo sguardo dello spettatore nel contesto della nostra bella campagna senza però incombere su di essa, mi piace la collinetta verde con i suoi piccoli cipressi affusolati che sembrano pungere l’orizzonte, mi piace anche l’interno dell’ospedale così accogliente e riposante. Entrando l’impatto che se ne riceve è ben diverso da quello che si prova in un nosocomio dove l’odore pungente di disinfettanti ti colpisce sgradevolmente e dove non puoi fare a meno di notare il trascinarsi delle anime stanche dei pazienti. Il nostro ospedale offre la sensazione di un giardino ben curato, riposante per gli occhi e per l’anima. L’Angelo poi ogni giorno si presenta come nel giorno dell’inaugurazione: squadre di dipintori rinfrescano continuamente le pareti, i giardinieri curano il giardino pensile e i prati mentre gli operatori ecologici raccolgono fino all’ultima cicca o carta di caramella abbandonata per terra dai soliti maleducati di turno.

Il governatore Zaia ha brontolato più volte contro la bellezza dell’Angelo ma Zaia è della scuola di Salvini, lo zoticone sboccato e volgare segretario della Lega. Sarebbe però giusto e doveroso che alla bellezza si accompagnasse anche l’efficienza e l’eccellenza dei professionisti che vi operano. Io, non sono in grado di esprimere giudizi perché non ne ho la competenza però, per quello che riguarda le mie esperienze personali, non posso dire che bene. Credo comunque che sia convinzione comune che la bellezza non guasti mai e se fosse accompagnata anche dalla bravura degli operatori sanitari saremmo vicini a quell’optimum a cui naturalmente tendiamo.

Sono purtroppo in pena!

Credo che tutti i lettori ormai sappiano che io scrivo quando ho tempo e soprattutto quando penso d’avere qualcosa da comunicare per il bene della fede, dei poveri e della mia città. Tanti lettori infatti mi dicono di aver scoperto che certi temi sviluppati nelle mie “Riflessioni” si riferiscono ad eventi vecchi di almeno un paio di mesi ma quando l’articolo viene stampato, anche se fa riferimento ad episodi datati, il messaggio che volevo trasmettere generalmente non perde la sua efficacia. Cosa pretendete, amici miei, da un prete di quasi novant’anni? Che cosa vi aspettate da me?

Vorrei rendervi partecipi della confidenza di un mio insegnante di settant’anni fa: “Caro Armando, sappi che io usualmente quando acquisto il giornale, per poterne valutare efficacemente la consistenza e la correttezza dei contenuti, lo lascio sul tavolo per almeno un mese”. Io non commento notizie e fatti datati per scelta come faceva lui ma per necessità, spero comunque che le ansie, le preoccupazioni, i sogni e i progetti di un vecchio prete possano essere di una qualche utilità anche per gli altri.

Vengo al sodo: oggi è il primo di ottobre e lunedì 19 ottobre sogniamo di aprire il “Ristorante” per i poveri occulti: i cittadini monoreddito, quelli che hanno stipendi da fame o peggio ancora sono disoccupati, cassaintegrati, ecc. So per certo che l’accettare quest’offerta richiederà loro molto coraggio anche se la proposta offre un ambiente signorile, un servizio inappuntabile ed un centro di cottura eccellente. Lo staff che si è fatto carico di questa impresa, e che ha come responsabili i coniugi Graziella e Rolando Candiani, ha fatto l’impossibile per far conoscere questa iniziativa benefica. Tutte le emittenti televisive e le testate dei giornali cittadini ne hanno parlato più volte ed inoltre abbiamo scritto a tutti i parroci, alle assistenti sociali e alle agenzie della solidarietà cittadina.

L’organizzazione del Ristorante è più che adeguata a ricevere un numero consistente di commensali grazie anche al contributo dell’Associazione Vestire gli Ignudi e al reclutamento di più di una trentina di volontari. Per me rimane un’incognita e una preoccupazione: le parrocchie conoscono veramente i loro parrocchiani in difficoltà e hanno strumenti per contattarli e convincerli ad approfittare di questa opportunità? Confesso che mi spiacerebbe “perdere” ma se ciò avvenisse saprei di aver fatto l’impossibile per “vincere”.

Verso le seimila copie

Da quel poco che vengo a sapere pare che tutta la carta stampata sia in crisi. Non c’è quotidiano, settimanale o mensile che affermi di incrementare la propria tiratura, anzi. Ultimamente poi mi hanno detto che anche le emittenti televisive stanno perdendo spettatori. Le testaste giornalistiche forse sono troppe o forse la gente preferisce destinare le magre risorse al cibo piuttosto che alla cultura e all’informazione.

Questo fenomeno però, una volta ancora, mi preoccupa soprattutto per quanto riguarda l’informazione religiosa e pastorale, una volta ancora ripeto la mia amarezza e la mia preoccupazione per quello che riguarda i mass-media della Chiesa veneziana e del Triveneto. Radio Carpini, l’emittente che vent’anni fa ho consegnato alla diocesi con i suoi duecento volontari e con la sua rete di ripetitori che “copriva” tutte le zone pastorali della diocesi e che dal Monte Torrion raggiungeva una larga fascia di territorio fino a raggiungere perfino Ravenna, è stata chiusa ormai da tempo e l’emittente Telechiara, al cui “battesimo” ho partecipato anch’io in tempi in cui pareva che nel Triveneto ci fosse un sussulto di entusiasmo per i mass-media, l’anno scorso è stata venduta ad un gruppo di imprenditori padovani. Gente Veneta, il settimanale di cui ero tanto fiero fino a poco tempo fa, pare stia arrancando faticosamente.

Tutto questo però non m’induce a demordere “nonostante l’età” ma anzi mi sprona ad un impegno maggiore soprattutto per quanto riguarda la Chiesa di Mestre. La nostra editrice stampa il mensile “Sole sul nuovo giorno” in 250 copie, “Il messaggio di Papa Francesco” in 500 copie settimanali e “L’incontro” si avvia ormai verso le seimila copie settimanali. La consapevolezza dell’esigenza di una proposta religiosa che raggiunga il maggior numero di concittadini possibile e della necessità di riqualificare il settimanale con ulteriori apporti di gente capace, mi ha spinto a chiedere aiuto a qualche sacerdote e a qualche laico. Mi auguro di tutto cuore che tante risposte generose vengano a tamponare la grossa falla che mette in grave pericolo i mass-media diocesani.

I silenzi del sindaco

Ho già scritto che avevo deciso, fin dal momento in cui è stata ufficializzata la vittoria di Brugnaro, che avrei rispettato i giorni della luna “di miele” o meglio i primi cento giorni di governo della città. Questo silenzio però non può durare più a lungo. Ormai da decenni ho sentito il dovere e il bisogno di donare il mio cuore e la mia voce a chi non ha voce e i poveri appartengono certamente a questa categoria.

Quando incontrai Brugnaro al Don Vecchi, durante la campagna elettorale, egli mi concesse qualche momento di colloquio personale ed io ne approfittai per raccomandargli che se fosse stato eletto sindaco avrebbe dovuto riservare una particolare attenzione ai concittadini meno abbienti e sviluppare un dialogo costruttivo con le persone che gestiscono il privato sociale perché essi rappresentano il meglio della popolazione in quanto sono i cittadini più generosi, più intraprendenti e più disinteressati. Sia prima che dopo la sua elezione a sindaco scrissi a Brugnaro a titolo personale e come cittadino particolarmente interessato alle sorti della nostra città e soprattutto della popolazione più svantaggiata e, affinché il nuovo sindaco si ricordasse di questa “voce scomoda”, ogni settimana gli ho inviato copia de “L’incontro”.

A tutto questo però ha risposto con un “assordante silenzio”. Per essere benevolo ho pensato che a causa dei debiti comunali e della conseguente necessità di risparmiare egli avesse smobilitato la segreteria del Comune della quale, già in passato, conoscevo la sovrabbondanza di personale e che perciò fosse in difficoltà nel rispondere: penso però che almeno una segretaria possa permettersela! Ho incontrato il giovane assessore alla sicurezza sociale però anche questo colloquio non ha prodotto risultato concreti! Ora un caro amico mi ha assicurato che mi procurerà un nuovo colloquio ma se non dovessi riuscire a cavare un ragno dal buco dovrò decidermi a parlare alla nuova amministrazione comunale attraverso l’opinione pubblica, come ho sempre fatto in passato ottenendo anche qualche risultato.

La sanità nel Veneto

Talvolta mi chiedo a chi possano interessare le mie vicende, le mie avventure e i miei pensieri. So perfettamente di essere un vecchio prete che ha molto poco da offrire agli altri, però sono anche convinto che solamente il confronto delle idee favorisce, nelle donne e negli uomini, la crescita dello spirito di umanità e del senso civico. Partendo da questi presupposti, con grande umiltà e semplicità, mi pare opportuno rendere partecipi i miei concittadini delle esperienze che vado facendo.

Come ho scritto un paio di giorni fa sono stato ricoverato nell’ospedale all’Angelo per quattro giorni per una presunta ischemia cerebrale. Il timore dei medici derivava dalla paralisi parziale che aveva colpito la mia mano sinistra ma poi i controlli a cui sono stato sottoposto hanno rivelato che il problema era riconducibile ad un banale incidente notturno causato forse da una postura errata del corpo che ha determinato la compressione di qualche nervo. Tutto, fortunatamente, si è risolto per il meglio e dopo quattro giorni di degenza sono ritornato alla normalità.

Quello che però sento il bisogno di esternare ai miei concittadini è la presa di coscienza dell’eccellente accoglienza, del trattamento e dell’efficienza della struttura sanitaria del nostro ospedale. Ho incontrato medici cortesi, competenti, scrupolosi e ben coordinati che in pochi giorni hanno effettuato un checkup completo delle funzioni del mio organismo e hanno messo a punto una cura efficace e risolutiva. Lo stesso encomio lo devo riservare agli infermieri e a tutta l’organizzazione dell’ospedale: dal personale curante, a quello addetto alle pulizie e alla cucina, insomma proprio a tutti. Ho riscontrato puntualità, competenza, cortesia e grande efficienza.

Una nota estremamente positiva la debbo esprimere anche all’organizzazione nel suo insieme che mi è parsa veramente stupenda. Sono uscito con la convinzione che in Italia, e nel Veneto in particolare, godiamo di una sanità d’eccellenza tanto da augurare a tutti i paesi d’Italia e d’Europa strutture confortevoli con lo stesso standard serio e con la stessa efficienza. La ciliegina sulla torta di tutto questo l’ho scoperta poi nella parte finale della lettera di dimissione con la quale l’ULSS 12 mi ha informato che i quattro giorni di degenza sono costati alla Regione 1.592,45 euro. Tutto questo mi impegna a non ammalarmi più perché il costo del ricovero ospedaliero è veramente molto salato.

Il circo Orfei agli Arzeroni

Alcuni anni fa mi recai negli uffici comunali, che ormai da tempo avevano sede nell’ex “Carbonifera” di viale Ancona, per verificare la disponibilità del Comune a metterci a disposizione un’area in una zona centrale su cui costruire una nuova struttura per anziani non completamente autosufficienti.

Presentammo alcune proposte che risultarono però inattuabili per vari motivi, poi uno dei funzionari ci disse che in località Arzeroni era disponibile un’area di circa trentamila metri quadrati che aveva il vantaggio di farci risparmiare il denaro per la costruzione del parcheggio in quanto già realizzato dal Comune. Un altro impiegato, che assisteva al colloquio, uscì con una battuta che mi fece sorridere: “Aiutereste così anche noi perché non vorrei mai che, prima o poi, passasse un giornalista di Striscia la Notizia e tutta l’Italia venisse a sapere che il Comune di Venezia ha costruito un parcheggio inutilizzato in mezzo alla campagna e non collegato con una strada”.

La soluzione ci parve allettante ma alla prova dei fatti l’impresa si rivelò assai più difficile di quanto avremmo potuto immaginare. Realizzato il Don Vecchi agli Arzeroni abbiamo avuto subito l’impressione d’aver costruito una cattedrale nel deserto, in verità c’è ancora qualcosa che ci preoccupa e per questo stiamo stuzzicando la nuova amministrazione comunale affinché predisponga una fermata per autobus vicino alla nostra struttura.

L’altro giorno, quando mi sono recato al Don Vecchi 5, ho notato, con mia grande sorpresa, che sull’area antistante la struttura era nata in un giorno, come per incanto, una città: prefabbricati di ogni genere, un tendone che poteva contenere centinaia o forse migliaia di persone, roulotte e quant’altro. Una strana città con giardino zoologico: un elefante, dei dromedari ed altri animali che brucavano nei prati antistanti la nostra struttura. Il Don Vecchi 5 e il 6, che è già al tetto, sono diventati la piazza maggiore della città del Circo Orfei. Credo che questo evento riuscirà a far conoscere a tutta Mestre le nostre nuove strutture. Il circo è stato un dono inaspettato ma quanto mai gradito.