Mi viene da pensare che quando un popolo comincia a decadere questo processo non si fermi a metà strada, ma continua inarrestabile finché non arrivi alla sua completa distruzione.
Un tempo pensavo che il ciclo della decadenza della Serenissima Repubblica di Venezia fosse decisivamente terminato prima con l’arrivo dell’albero della libertà piantato nei campielli di Venezia e poi con la resa definitiva all’impero degli Asburgo.
Invece no; la decadenza continua sia nelle pietre della città che si corrodono, che nell’esodo continuo dei veneziani della città insulare verso la terraferma, che nel chiudersi dei negozi della città e nelle vendite delle case agli americani, giapponesi e russi perché vi trascorrano un paio di settimane nella città museo. Ho fatto queste tristi melanconiche considerazioni i giorni scorsi in occasione di due incontri. Il primo con un membro della Comunità di Sant’Egidio che nella vicina Padova prospera numerosa ed efficiente, mentre da noi a Mestre è ancora una piantina stantia che stenta attecchire.
Il secondo andando per una volta ancora a visitare una mia “vecchia” parrocchiana alla Casa dei gelsi a Treviso, la splendida struttura che i trevigiani hanno costruito per chi sta terminando i suoi giorni su questa terra affinché terminino in maniera degna la vita assistiti dai loro cari, dalla scienza e dai concittadini. Confrontavo le stanze, l’ordine, il decoro, l’efficienza, gli spazi, il verde, i fiori di questa magnifica struttura con l’ospice del policlinico San Marco, un vero deposito per moribondi, e con la vita seppur coraggiosa, ma tribolata dell’Avapo mestrina, la corrispondente dell’Advar trevigiana. Pare che una volta ancora riecheggino le meste e sconsolate parole del poeta “sul ponte sventola bandiera bianca!”