Il primo centro

Dopo un’attenta valutazione sull’impresa alla quale affidare la costruzione abbiamo scelto una grossa ditta di Jesolo che aveva lavorato moltissimo per enti religiosi e che ci sembrò quanto mai seria: l’Eurocostruzioni di Sergio Menazza. I lavori procedettero tanto celermente che dopo un anno il fabbricato era già pronto.

L’architetto scelse, come schema costruttivo, la “casa romana”, cioè un cortile interno, chiuso dai quattro lati dal fabbricato. Il complesso è costituito da 57 alloggi di diversa misura per singoli e per coppie, una grande sala da pranzo, la segreteria, l’ambulatorio per il medico, una cucina capiente con relativa dispensa, una cappella da 50 posti, un locale per la parrucchiera e altre salette di disbrigo.

Il primo Centro don Vecchi, come tutti gli altri che sono stati costruiti in seguito, è strutturato con alloggi bilocali o monolocali di varie superfici, dotati di impianti e sistemi di chiamata tali da garantire ai residenti una certa sicurezza, pur nell’ambito della più assoluta autonomia e privacy, all’interno delle singole unità abitative. Sono inoltre dotate di ambienti e spazi comuni per la ristorazione, la vita di relazione, il relax fisico, le attività ricreative e culturali, in modo da assicurare una vita quanto mai vicina alla normalità, ma nello stesso tempo protetta e supportata dai servizi che suppliscono alle carenze dell’età. Ai Don Vecchi è attivato un adeguato sostegno al soddisfacimento dei bisogni primari e assistenziali dei residenti, si favoriscono la socializzazione, le relazioni interne ed esterne, l’impiego del tempo libero e il mantenimento delle capacità fisiche.

A inaugurare solennemente questo primo centro fu l’allora Patriarca, il cardinale Marco Cè, alla presenza di più di cinquecento persone. La stampa locale ne parlò tanto e tanto bene che la struttura in un battibaleno fu riempita, tanto che più di 250 domande rimasero inevase.

A questa prima impresa partecipò in maniera determinante uno dei miei ragazzi di un tempo, il ragioniere Rolando Candiani che, andato in pensione prematuramente, si dedicò corpo e anima a questa avventura, coinvolgendo pure sua moglie Graziella. Questi due intelligenti e generosi collaboratori hanno il merito di aver impostato l’impianto amministrativo e d’aver creato una bella comunità, anche perché io ero impegnato in parrocchia a tempo pieno.

Non va dimenticato che il finanziamento di ognuno dei Centri don Vecchi è sempre stata una grossa sfida. Questo primo centro lo realizzammo impiegando qualche risparmio con un contributo consistente, a titolo di sperimentazione, da parte della Regione e soprattutto “vendendo” le stelle della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio. La chiesa di Carpenedo, costruita dal Meduna in stile neogotico, ha infatti tutto il soffitto dipinto di azzurro e trapunto di stelle. Per far cassa i parrocchiani sono stati invitati a “comperare” qualcuna di queste stelle da dedicare ai loro defunti.

Confesso che le ho “vendute” tutte, anzi forse qualcuna in più di quelle che gli imbianchini erano riusciti a farci stare sul soffitto! Comunque con questo espediente riuscimmo a racimolare più di qualche decina di milioni di vecchie lire, tanto che fummo in grado di raggiungere una tale copertura economica che quando si terminò l’edificio non solo pagammo tutti, ma ci rimase persino qualche risparmio per il futuro. (6/continua)

Lettera aperta al sindaco

Esimio signor sindaco Luigi Brugnaro, ci rivolgiamo a Lei per avere un aiuto per poter portare avanti le nostre attività di beneficenza.

Siamo un’associazione – Vestire gli Ignudi Onlus – Magazzini San Martino e Gran Bazar – che da ben 18 anni opera nel campo dell’assistenza agli indigenti, venendo concretamente incontro alle nuove povertà che, sempre più numerose, bussano alle nostre porte. I nostri Magazzini solidali, dal lontano novembre del 2001, infatti portano avanti un progetto d’aiuto ai meno fortunati grazie ad una rete di volontari capillarmente organizzati che consente di far funzionare, tutti i giorni, un ipermercato solidale degli indumenti e dell’oggettistica per la casa.

Tutto ciò che viene distribuito nei Magazzini, situati all’interno del Centro don Vecchi bis in via dei Trecento Campi a Carpenedo, è offerto gratuitamente dalla cittadinanza che deposita in appositi cassonetti, posti in diverse zone della città, vestiti usati ed oggettistica varia dismessa. Tali offerte di indumenti e di arredi vengono quotidianamente distribuite ai bisognosi da ben 90 volontari sostenuti da un grande spirito di squadra che, con entusiasmo e disponibilità, mettono gratuitamente il loro tempo libero a disposizione del prossimo meno fortunato. Vestire gli Ignudi, forte di una più che decennale esperienza nel settore della beneficenza, è oggi una delle Associazioni tra le più intraprendenti, efficienti e moderne del settore: aiuta i poveri ed indirettamente crea strutture di carattere solidale.

Grazie ai proventi delle nostre attività istituzionali sono stati infatti costruiti i Centri don Vecchi che attualmente si trovano a Carpenedo, Marghera, Campalto e agli Arzeroni e moltissime persone, italiane e straniere sono state aiutate grazie alla distribuzione di indumenti e oggettistica per la casa.

Purtroppo, dalla scorsa estate, siamo stati costretti a togliere dalle strade di Mestre ben sei dei nostri cassonetti dove la cittadinanza riponeva gli indumenti da donare ai poveri, come ci impone la legge regionale del 2016 che qualifica come rifiuti i vestiti depositati nei nostri cassonetti. In questi ultimi 6 mesi abbiamo così visto diminuire drasticamente la quantità di merci da distribuire ai bisognosi e non riusciamo più a far fronte alla domanda sempre crescente di aiuto da parte delle persone povere della nostra città e straniere.

Alle luce di tutto ciò, Le chiediamo accoratamente di poterci aiutare a riposizionare i cassonetti dove si trovavano prima, senza creare nessun intralcio alla viabilità e di aiutarci così a sostenere le nostre attività benefiche.

don Armando Trevisiol
con
il presidente
suor Maria Teresa de Buffa
il direttore generale
Danilo Bagaggia
il comitato esecutivo
Ugo Bembo
Barbara Navarra

Costi e ricavi al Don Vecchi (2/2)

Dal momento che, per motivi di spazio, è stato necessario suddividere il mio intervento in due parti (questo articolo, come il precedente, proviene da L’Incontro, NdA), riprendo il tema dei costi nelle nostre strutture e, dopo aver spiegato in maniera piuttosto circostanziata perché riusciamo a contenere gli addebiti a carico dei residenti, procedo a illustrare cosa rientra nella voce “affitto”, che in realtà è una sorta di rimborso spese. Spero in tal modo di contribuire a sciogliere eventuali dubbi e di dimostrare la trasparenza dell’operato della Fondazione Carpinetum.

Come dicevo, le tre componenti sono: i costi condominiali (manutenzione, pulizie e quant’altro) che ammontano a circa sei euro al metro quadrato; le utenze (luce, gas, telefono, televisione, ecc…) che vengono addebitate a seconda dei consumi; e il contributo di solidarietà che viene stabilito in base al reddito personale. Chi percepisce la pensione sociale paga soltanto i costi condominiali e le utenze, mentre a chi dispone di una pensione più elevata viene richiesto anche il contributo di solidarietà. In questo modo è possibile permettere, anche a chi ha un reddito esiguo, di abitare nei nostri centri e di usufruire di tutti i vantaggi che offrono, sempre in nome della solidarietà. L’importo varia da un minimo di cento euro a un massimo di quattrocento, con qualche eccezione più alta per chi dispone di una superficie e di un reddito sensibilmente maggiori.

In ogni caso, abitare al Centro don Vecchi rimane una soluzione vantaggiosa, non soltanto per le ragioni che ho già illustrato, ma soprattutto perché gli spazi comuni sono molti, l’ambiente è molto signorile, i servizi parecchio efficienti: medico in casa, ristorante, bar, assistenza e vigilanza, incontri ricreativi, culturali e turistici, fornitura di generi alimentari, frutta e verdura, indumenti e mobili a prezzi pressoché simbolici, spazi verdi e altro ancora.

Queste scelte rispecchiano le convinzioni di chi ha ideato le nostre strutture e oggi le gestisce. La carità cristiana non può ridursi al pacco natalizio, ma deve concretizzarsi in aiuti tangibili in modo che chi ha meno, per le più svariate ragioni, possa vivere gli ultimi anni della sua vita in maniera dignitosa e confortevole. Concludo ricordando che è possibile richiedere in segreteria le pubblicazioni, realizzate dalla Fondazione Carpinetum, che affrontano in maniera più minuziosa l’argomento di cui mi sono occupato in queste pagine. (2/fine)

Costi e ricavi al Don Vecchi (1/2)

Capita molto spesso che alcuni anziani, o qualche familiare che sta valutando l’eventualità d’inserire un proprio congiunto in una delle nostre strutture, mi chiedano a quanto ammontano le spese a carico dei residenti e, quando vengono a sapere le cifre irrisorie che chiediamo rispetto a quanto prevede il mercato di questo specifico settore, rimangono molto perplessi. Ritengo dunque opportuno motivare per punti i costi di gestione in maniera un po’ più articolata, in due puntate:

  1. Il capitale impiegato per la costruzione e per una parte consistente dell’arredo proviene tutto da donazioni di diversa entità;
  2. Gli operatori stipendiati sono ridotti al minimo;
  3. Abbiamo la fortuna di poterci avvalere di una nutrita schiera di volontari sia per la costruzione sia per la gestione delle strutture;
  4. Per scelta, tutti gli alloggi sono piccoli; le dimensioni variano da un massimo di cinquanta metri quadrati a un minimo di venti. L’esperienza maturata ci ha dato ragione, perché l’impegno di tenere in ordine la casa diventa meno oneroso per gli anziani e poi, all’ampiezza dell’appartamento, si aggiungono gli spazi comuni di cui ciascuno può disporre;
  5. La Direzione, intelligente ed oculata, è riuscita a far comprendere ai vari enti che si tratta di un’opera veramente solidale, quindi abbiamo ottenuto sconti notevoli su gas, luce, televisione ecc.;
  6. Il Comune, pur non essendo stato particolarmente generoso, ci ha concesso il cambio d’uso delle superfici, quindi abbiamo potuto costruire su terreni che abbiamo pagato come fossero agricoli. Altre superfici, invece, ci sono state date in comodato d’uso. Inoltre, per i primi quattro centri, il Comune contribuisce con 1,90 euro per ciascun residente. Non è molto, però è meglio di niente;
  7. Le nostre strutture non sono state ideate come fonti di profitto, ma come espressione della carità cristiana che la parrocchia di Carpenedo ha scelto di compiere e molti concittadini di Mestre hanno sposato il progetto sostenendolo economicamente.

La scelta di aiutare gli anziani piuttosto che favorire altri settori, che pure avrebbero bisogno di un supporto solidale da parte della comunità, è nata dopo aver constatato che gli anziani percepiscono quasi sempre pensioni modeste, di conseguenza l’affitto diventa molto spesso un onere pressoché insostenibile. (1/continua)

La dottoressa Francesca Corsi

Il 18 gennaio di cinque anni fa è morta la dottoressa Francesca Corsi, funzionaria del Comune di Venezia per quanto riguardava gli anziani e i disabili.

Questo anniversario ci offre l’opportunità di ricordarla in maniera del tutto particolare perché ella è stata quanto mai benemerita nei riguardi dei Centri don Vecchi. Infatti non solo ottenne di evitare i gravi oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ma pure, in occasione della costruzione di tutte le nostre strutture, ci fece avere dal Comune un contributo, seppur modesto, per le prime quattro.

Morta questa intraprendente ed appassionata persona, quanto mai convinta e tenace nei riguardi di queste due categorie di persone svantaggiate, il Comune di Venezia non ha più erogato un qualsiasi contributo per i Centri don Vecchi 5 e 6.

La dottoressa seguì sempre in maniera appassionata ed intelligente le problematiche che via via si sono andate manifestando, fornendoci consigli e favorendo in ogni modo i nostri progetti, e mettendoci a disposizione la sua grande preparazione professionale.

La Fondazione Carpinetum sente il dovere di rendere onore alla memoria di questa donna quanto mai determinata e decisa nel portare avanti il suo compito a favore degli anziani e di additarla ancora una volta alla stima e alla riconoscenza della nostra Città.

Il dottor Sandro del Todesco, collega di lavoro della dottoressa Corsi, come ogni anno, in ricorrenza dell’anniversario della morte della dottoressa ha sottoscritto 3 azioni, pari a 150 euro, perché ella possa idealmente continuare a sostenere i nostri Centri don Vecchi.

La carità produce carità

Venerdì 9 novembre i cento volontari dell’associazione onlus Vestire gli ignudi, che gestisce i magazzini San Martino di via dei Trecento campi 6, a Carpenedo, hanno festeggiato il 18º anno di attività. Si sono ritrovati per una cena solidale al Seniorestaurant del Centro don vecchi di Carpenedo.

Questa associazione benefica è di certo la più importante e la più efficiente nel campo della solidarietà. I magazzini San Martino fruiscono di una superficie di 600 metri quadrati e usano pure un grande magazzino a Mogliano, che funge da deposito. La “clientela” è quanto mai numerosa: si calcola che vi siano più di sessantamila contatti all’anno di concittadini che ottengono indumenti di ogni tipo, alcuni usati e in gran parte nuovi. Infatti, Oviesse e non solo mettono a disposizione una grande quantità di indumenti in modo che tutti possano trovare gli articoli che gradiscono e di cui hanno bisogno.

Il “manager” di questo “supermercato solidale” è Danilo Bagaggia, ora pensionato, che proviene da una vita impegnata presso i grandi magazzini Coin e perciò ha organizzato i magazzini San Martino e li gestisce con gli stessi criteri con i quali vengono gestiti i magazzini di carattere commerciale. Anche i volontari operano come qualsiasi dipendente di questo settore, con puntualità, cortesia, ordine ed efficienza.

La merce viene dispensata a titolo assolutamente gratuito; si chiede solamente una modestissima offerta per coprire i costi di gestione, che sono quanto mai ingenti. Si calcola che ogni cliente “spende” normalmente da 1,50 euro a 2 euro. Tuttavia, essendo questi magazzini sempre affollatissimi, si può contare su qualche risultato un po’ significativo, ma che comunque viene speso, fino all’ultimo centesimo, in carità.

Ultimamente con queste offerte, seppur minime, si è riusciti a dimezzare, per gli anziani meno abbienti, il costo del pranzo fornito da La Serenissima Ristorazione, che garantisce il servizio mensa ai cinquecento residenti dei Centri don Vecchi. Nel contempo si è provveduto al parziale arredo dei cinquantasette nuovi appartamenti del settimo centro attualmente in costruzione, è stata comperata una cucina nuova per il punto cottura del Seniorestaurant presente presso il Centro Don Vecchi 2 ed è stata risolta la situazione pressoché disperata di qualche residente in particolare disagio economico.

Il consiglio direttivo dell’associazione, che in maniera piuttosto insolita ha come presidente una suora, suor Teresa Dal Buffa, e come consiglieri, oltre al signor Bagaggia che è vice presidente e direttore generale, Barbara Navarra, Ugo Bembo e il sottoscritto, mi ha dato il compito di dispensare gli “utili” di quest’anno.

Proprio in occasione della cena solidale ho potuto dare relazione dettagliata di come ho distribuito questa somma, che oltre all’impiego suddetto, ci ha permesso di offrire tremila euro a ognuna delle mense per i poveri di Mestre, Venezia e Mira e mille euro a ogni gruppo caritativo presente nelle comunità parrocchiali di Mestre e dell’interland. Da noi, la carità produce carità e mette in moto un volano che speriamo faccia crescere in città la cultura della solidarietà e del servizio.

Ora Vestire gli ignudi ha chiesto duemila metri di superficie nel nuovo Ipermercato solidale che la Fondazione Carpinetum sogna di realizzare in un’area, in località Arzeroni, per la quale il Comune di Venezia ha già deliberato il cambio d’uso in modo da costruire quest’opera che ha una grande importanza sociale e che diventerà il prototipo di soluzione moderna nel settore degli indumenti di tutte le città del nostro Paese.

Il progetto desta un po’ di preoccupazione perché è collocato ai margini della città; la Fondazione è stata costretta a questa scelta perché non è riuscita a ottenere dalla Società dei Trecento campi di Carpenedo la grande area prospiciente al Centro Don Vecchi 2, attualmente in stato di abbandono, che sarebbe stata ottimale per questa iniziativa di carattere solidale assolutamente innovativa.

La ricorrenza dei diciott’anni di attività dell’associazione mi offre l’occasione di ringraziare gli oltre cento volontari che con la loro generosità sono riusciti a realizzare questa eccellenza e per invitare i concittadini a unirsi numerosi per fare in modo che Mestre possa definirsi “la città della solidarietà”.

Quanto costa vivere ai Centri Don Vecchi

Sono convinto che a Mestre non ci sia più alcun cittadino che non abbia sentito parlare, fortunatamente bene, dei Centri Don Vecchi, tuttavia sono ancora troppo pochi coloro che ne hanno visitato almeno uno. Solo chi visita e si informa, anche sommariamente, di come si vive in uno dei Don Vecchi può accertare quanto sia innovativa, umana e conveniente la vita in queste strutture.

Nel passato ho pubblicato un opuscolo con alcuni esempi concreti circa i costi e i vantaggi. Qualche giorno fa, essendomi capitato di conoscere quanto paga un nuovo residente al centro di Carpenedo, m’è parso doveroso far conoscere ai concittadini di come stanno le cose.

Questo signore occupa da solo un alloggio monolocale, di circa 25 metri quadrati che è composto di: angolo cottura, soggiorno, zona notte e bagno. Ebbene il suo “affitto” che comprende costi condominiali, acqua fredda e calda, luce, gas, canone telefonico, canone tv, riscaldamento e tassa rifiuti, tutto compreso è di 161 euro al mese. Con altri 150 euro pranza pure a mezzogiorno: pane, acqua, primo piatto, secondo con contorno, purè, insalata, dessert. Il tutto in un ambiente signorile con spazi enormi interni ed esterni per la vita comune.

Dico tutto questo per far conoscere ai concittadini che i “miracoli” avvengono soprattutto dove si amministra in maniera oculata e saggia.

Centro don Vecchi 7

“L’ultimo dei sette fratelli” consterà di 57 alloggi per anziani e persone che si trovano in reali difficoltà di ordine economico. Ci saranno anche 12 stanze per persone che, pur abitando fuori Mestre, lavorano nella nostra città: avranno una camera arredata, con bagno personale e con la possibilità di cucinare, pranzare, lavare gli indumenti in locali predisposti a questo scopo e passare il tempo libero in ambienti signorili all’interno della struttura. Gli appartamenti, invece, saranno tutti bilocali: camera, soggiorno, bagno, ripostiglio e terrazzino. Tutti gli alloggi verranno consegnati forniti di angolo cottura ultramoderno, un grande armadio guardaroba e il frigorifero congelatore; per il resto dell’arredo ognuno potrà portarsi i propri mobili. La nuova struttura avrà uno stile sobrio, ma quanto mai decoroso e signorile perché tutti i nostri centri si qualificano anche per l’arredo, la pulizia e il buon gusto.

Il contratto prevede la consegna del manufatto entro maggio o giugno del prossimo anno. Il costo dell’opera finora s’aggira attorno ai quattro milioni di euro. Ben s’intende che si è partiti disponendo della metà della spesa, come abbiamo sempre fatto anche per le altre strutture. Ora però si pone il problema di recuperare l’altra metà del costo. In passato ho venduto le stelle del soffitto della chiesa di Carpenedo, un’altra volta il lastricato del sentiero che attornia l’edificio con mattoncini su cui è stato inciso il nome delle persone care da voler ricordare. Ora penso di mettere sul mercato, come ho già fatto per il Don Vecchi 5 e per il 6 delle azioni dal costo di 50 euro o euro 25. Come si può aver riscontro sulla rubrica settimanale dell’Incontro e sul sito della Fondazione Carpinetum, gli investimenti sono quanto mai numerosi anche se non troppo consistenti. Contiamo, però, come è avvenuto in passato, ci sia qualche benefattore particolare ad offrire un contributo più consistente e risolutivo.

Sarà mia premura coinvolgere la città in questa nobile impresa perché il Centro don Vecchi 7 sia, come per tutti gli altri, il risultato dell’impegno di tutti i nostri concittadini. Mestre ha oggi un ospedale nobile e degno, fra qualche mese pure un museo d’avanguardia ma il fiore all’occhiello, nel settore della solidarietà, rimangono i Centri don Vecchi della Fondazione Carpinetum e siamo decisamente impegnati a mantenere questo primato.

Un sogno da avverare

Qualche giorno fa, sfogliando un vecchio libro, ho trovato tra le pagine una piccola cartolina della Madonna di Luini. La Vergine è presentata raccolta, pudica e bella. Era l’immagine della mia consacrazione sacerdotale. Sul retro una frase di San Paolo, il mio nome e la data: 27 giugno 1964. Me ne ero dimenticato persino io e tanto più il caro mondo che mi è vicino. Solamente Cecilia, la piccola scout dei miei primi anni di sacerdozio, che aveva trovato pure lei l’immaginetta in un libro della nostra biblioteca, mi ha fatto gli auguri.

Mi capita spesso, ma mi pare naturale, di lasciarmi prendere dai ricordi della mia lunga vita di prete e di riprovare le emozioni di tempi tanto lontani, vissuti con tanta intensità, e di analizzare vecchie storie che si sono concluse con alterne vicende. Alcuni giorni fa l’Università popolare mi ha chiesto un articolo sul mio rapporto con i poveri a Mestre e perciò sono stato costretto a ripercorrere certe imprese: alcune delle quali mi sono riuscite, mentre altre restano un sogno bello tra le nuvole di un cielo che fa sognare!

Tra queste ultime rientra il progetto di mettere in rete tutte le attività benefiche della nostra città. Non lo vedrò certo realizzato nel suo insieme, ma mi è rimasta qualche speranza di vederne realizzata almeno una parte, se il Signore mi concederà ancora qualche anno di vita.

L’architetto Giovanni Zanetti, il professionista che ha progettato e realizzato il Don Vecchi tre e il Don Vecchi quattro, un giorno di una decina di anni fa, mi prospettò che avrebbe avuto la possibilità di ottenere gratis una superficie di circa 20.000 metri quadrati a Favaro Veneto per l’iniziativa della quale mi aveva sentito parlare. La proposta, un po’ interessata, dei padroni del terreno era legata al fatto che il Comune concedesse loro di realizzare un albergo su un terreno contiguo. La mia testa cominciò a ipotizzare la cittadella della solidarietà, ossia un centro in cui i poveri potessero trovare le risposte per ognuna delle loro attese, dando vita al coordinamento cittadino della solidarietà. Ebbi perfino l’avallo e l’appoggio del cardinale patriarca Angelo Scola, ma non se ne fece niente un po’ perché tramontò presto la possibilità del dono e un po’ perché ebbi tutti contro, a cominciare dalla Caritas.

Svanita questa ipotesi, trasferii idealmente il progetto, ridotto a una sede per i magazzini della carità, nel grande campo incolto della società dei 300 campi, contiguo al centro Don Vecchi di Carpenedo. Già molti anni prima, un consiglio di amministrazione aperto e illuminato di questa società mi aveva offerto l’area dove ora sorge il Don Vecchi uno. Mi parve bellissimo che la parrocchia del posto, questa antica Società benefica e il nuovo centro si accordassero per dar vita assieme a una grande iniziativa, forse la prima in Italia. Purtroppo “il diavolo ci mise la coda”, perché il vecchio parroco di allora, un gruppetto di parrocchiani preoccupati di avere nel quartiere la “poveraglia” e un consigliere della stessa società boicottarono ferocemente l’iniziativa. Così anch’essa è caduta presto rovinosamente.

Pensavo che questa vicenda fosse finita, senonché la costruzione del Don Vecchi 5, 6 e ora del 7 ci ha messo sulla strada di acquistare un terreno di circa 30.000 metri quadri attiguo a questi centri ora serviti dalla nuova strada e dagli autobus cittadini. È già stato firmato un preliminare d’acquisto e mi auguro che presto firmeremo anche il rogito e che, tra un anno, si possa pensare alla nuova sistemazione dei magazzini della carità. Non mancano difficoltà di ogni genere ma sappiamo che chi la dura la vince!

Scrivo queste vicende per la storia, perché ritengo giusto ricordare che i percorsi dei progetti di solidarietà sono particolarmente duri e difficili, ma talvolta si avverano. Spero di offrire qualche elemento in più a chi scriverà la storia di Mestre solidale.

Lo spaccio solidale

Monsignor Valentino Vecchi, con quella sua vena di paternalismo che usava spesso nei riguardi di noi suoi giovani preti, ci ripeteva abbastanza di frequente che la vera ricchezza di un paese sono i “capitani d’industria” e con questo discorso voleva indicare il ruolo determinante per il successo di un qualsiasi gruppo sociale. Servono le virtù che hanno le persone che possiedono attitudini naturali al comando, come: l’impegno, la costanza, la generosità e lo spirito di sacrificio, con i quali queste persone si dedicano a qualsiasi impresa umana.

Io sono perfettamente d’accordo, ma il guaio è che di queste persone non se ne trovano moltissime e quando si scoprono, la maggioranza delle volte esse sono impegnate per i fatti loro anche dopo la pensione. Bisogna dire però che ogni tanto capita la fortuna o meglio la grazia di incontrarne qualcuno e di ottenere la disponibilità di occuparsi delle nostre imprese solidali. Io vi confesso che sono costantemente a caccia di queste persone perché di frequente abbiamo dei “rami di impresa” molto promettenti, ma che hanno bisogno estremo di un “capo” che sappia organizzare, gratificare i volontari, mettere pace, fiutare il mercato ed essere quanto mai intraprendente nello sviluppare “l’azienda”.

Vengo a un esempio: un paio d’anni fa s’è aperta la possibilità di ottenere dai supermercati i generi alimentari in scadenza. La legge poi sta spingendo perché tutto questo ben di Dio non venga buttato, ma sia recuperato a favore dei concittadini in difficoltà di ordine economico. La cosa però non è proprio facile perché alle aziende è più comodo e meno costoso buttare le merci piuttosto che fare bolle di consegna ed altro ancora, e da parte nostra occorrono furgoni, autisti disponibili nei giorni e nelle ore fissate dai supermercati, luoghi per lo stoccaggio, celle frigorifere, personale per la distribuzione, mezzi economici per la benzina, riparazioni automezzi, guanti, sacchetti, luce ecc….

Un po’ alla volta, comunque, presso il Centro don Vecchi ha preso consistenza questa attività di raccolta e distribuzione di generi alimentari, attività che abbiamo denominato “spaccio solidale”. Ormai ci elargiscono ogni giorno i loro prodotti i sette supermercati Cadoro, quattro della catena Alì, la catena Despar di via Paccagnella, i mercati generali di frutta e verdura di Padova, Treviso e Santa Maria di sala. Abbiamo reclutato un gruppo qualificato di signore e di uomini per la selezione e distribuzione. Questi generi alimentari sono distribuiti gratuitamente, si chiede solamente un piccolo contributo per le spese di gestione.

Purtroppo i locali sono inadeguati e sempre più insufficienti. La vera fortuna poi è quella di aver assoldato a titolo gratuito il “manager” ossia “il capitano di industria” di cui ci parlava don Vecchi il quale pian piano è diventato la mente e il cuore di questa attività quanto mai promettente: il signor Alfio, ha abbandonato tutti i precedenti impegni e da più di un anno si dedica anima e corpo a questa bella impresa sociale, facendo ben sperare per il futuro. Abbiamo ancora tanti problemi soprattutto per distribuire le eccedenze, ma di questi problemi vi parlerò in un prossimo articolo.

Benefattori di grande cuore

È diventato ormai un detto popolare, specie nel mondo dei credenti, l’affermazione di uno dei protagonisti del celeberrimo romanzo di Alessandro Manzoni: “La c’è la Provvidenza!” Renzo Tramaglino tra tante disavventure tocca con mano che il buon Dio “scrive dritto anche sulle righe storte”, come afferma un proverbio spagnolo.

Chi ha trascorso una lunga vita nel mondo della solidarietà, come è accaduto a me, ha avuto modo di sperimentare la validità di questa frase che Manzoni mette in bocca al povero Renzo, il quale per molto tempo fu immerso in un mondo di disgrazie e di disavventure. Posso affermare senza timore di smentita che più di una volta, trovandomi in situazioni pressoché disperate, si è aperta improvvisamente e inaspettatamente una porta che ha risolto problemi economici che sembravano irresolubili.

Mi permetto di raccontare ai lettori l’ultima volta, che risale a questi giorni, in cui mi è capitato di esclamare con riconoscenza: “La c’è la Provvidenza!” Ho già scritto qualche giorno fa che all’inizio di luglio l’impresa Dema di Jesolo ha aperto il cantiere edile in quel degli Arzeroni per costruire il Don Vecchi 7: 57 appartamenti bilocali e 20 stanze da offrire a persone che, pur abitando lontano da Mestre, lavorano nella nostra città. Scrissi già che Mestre sembra avere un occhio di riguardo per i Centri don Vecchi, perché si può toccare con mano come attualmente mezzo migliaio di anziani, in condizioni economiche disagiate, possano trascorrere gli ultimi anni in ambienti signorili, con la possibilità di essere protagonisti delle loro scelte, senza dover dipendere dal Comune o dai figli, che spesso sono gravati anche loro da preoccupazioni di carattere finanziario.

Ebbene, l’altro giorno lo scavatore aveva appena cominciato a preparare le buche per le fondamenta, quando due bellissime notizie hanno rinfrancato e dato coraggio ai membri del consiglio di amministrazione della Fondazione Carpinetum, che si sono fatti carico di questa impresa solidale!

La prima è il dono dell’arredo per i 57 appartamenti. L’associazione di volontariato Vestire gli ignudi, che ha come presidente suor Teresa Del Buffa, vice presidente e direttore generale Danilo Bagaggia e consiglieri Ugo Bembo, Barbara Navarra e io stesso, ha racimolato tutti i risparmi degli anni scorsi e quelli dell’anno corrente per donare l’angolo cottura, un grande armadio guardaroba e il frigorifero a ognuno dei 57 alloggi, con una spesa complessiva di quasi centomila euro. Scrivo questo a onore e riconoscenza nei riguardi di questo saggio e intraprendente consiglio di amministrazione, che già veste i poveri di tutta Mestre e nel contempo riesce a raggranellare qualcosa di consistente per offrire alloggio ai concittadini più sfortunati. Dopo questa elargizione spero che molti mestrini si offrano come volontari per impegnarsi in questo servizio tanto benemerito, che è diventato ormai un protagonista della Mestre solidale.

La seconda notizia è ancora più bella: un gruppo consistente di amici mi ha messo a disposizione quattrocentomila euro per il progetto del Don Vecchi 7. Questa somma è il risultato di quella sottoscrizione di “azioni” di cui il nostro periodico informa ogni settimana. Malgrado queste splendide e meravigliose notizie, è mio dovere informare che siamo ancora ben lontani dalla totale copertura dei costi necessari per realizzare la nuova struttura. Questi benefattori spero siano gli apripista dei concittadini che ci auguriamo, vogliano partecipare al progetto, secondo le proprie risorse.

Grazie all’azienda Rubelli

Qualche giorno fa il giornalista del Gazzettino Fulvio Fenzo mi ha intervistato sul Centro don Vecchi 7 al quale l’impresa Dema di Jesolo sta lavorando. Sono previsti 57 appartamenti con cucina ed ingresso, camera da letto da una o due persone, bagno, terrazzino e ripostiglio.

Alla domanda su come la nostra Fondazione Carpinetum riesca a reperire le somme ingenti che servono per queste costruzioni, risposi che una parte era stata accantonata e una parte la stiamo reperendo facendo conto come è sempre avvenuto nel passato, che la Provvidenza ci mandi qualche benefattore insigne (in quest’ultimo periodo è già stato raccolto mezzo milione di euro). E’ sempre avvenuto cosi, perché non dovrebbe capitare anche stavolta?

A questo proposito sento il dovere di informare la città di una prima avvisaglia di uno di questi interventi “sollecitati” dalla Provvidenza. Venuti a sapere dell’inizio del Don Vecchi 7, due signori cari e vecchi amici di monsignor Valentino Vecchi, i coniugi Rubelli, ci hanno già fatto un dono. Forse non tutti sanno che la ditta Rubelli produce e distribuisce a livello internazionale i più preziosi e ricercati tessuti: arazzi, sete, soprarizzi, velluti pregiati ed altro ancora. Proprio un paio di mesi fa la stampa cittadina ha informato che questa ditta ha restaurato un antico palazzo veneziano per farne la sede di rappresentanza dell’impresa.

Ebbene questi imprenditori, saputo dell’iniziativa della Fondazione, hanno voluto onorare la memoria di monsignor Vecchi regalandoci un intero furgone di tessuti quanto mai ambiti e preziosi e ci hanno promesso un ulteriore invio ad ottobre, quando offriremo ai mestrini queste ricche e preziose stoffe.

Infatti, l’associazione “Vestire gli Ignudi” sta già studiando un progetto per una mostra che speriamo sia di gradimento al pubblico e da cui speriamo di poter ricavarne parecchie migliaia di euro. Neppure questo contributo sarà sufficiente a coprire il costo di 2.900.000 euro necessari per realizzare il Don Vecchi 7, però speriamo che a questo primo e significativo intervento ne segua almeno qualche altro.

Per ora non ci rimane che additare all’ammirazione e alla gratitudine della città questa impresa che, sensibile alle istanze degli anziani indigenti, ha promosso questa bella e tanto nobile iniziativa.

E la pista ciclopedonale?

Delle vicende del Centro don Vecchi 4 di Campalto ho già parlato più volte, ma siccome il tempo passa tanto veloce e la nostra società è sommersa da una montagna di parole, penso che non sia male che io ritorni sull’argomento. Sono ormai uno degli ultimi che può far memoria di questi fatti. Purtroppo una grossa questione che riguarda questo centro è ancora viva ed attuale!

Riassumo la storia in quattro righe. Il compianto don Franco De Pieri aveva acquistato una vecchia bicocca nata come locanda, trasformata poi in una colonia per bambini e finita come struttura per alloggiare i tossicodipendenti dei quali questo prete generoso si occupava ormai da anni. La struttura non era ormai più sufficiente né adatta allo scopo per il quale don Franco l’aveva acquistata e poi, fortunatamente, questo prete generoso e intraprendente era riuscito a farsi mettere a disposizione il dismesso forte Rossarol di Tessera. Aveva quindi urgente bisogno di soldi freschi, mentre a me serviva un altro spazio per aprire una nuova struttura per gli anziani, date le molte e pressanti domande per ottenere un alloggio presso uno dei nostri centri. L’architetto Giovanni Zanetti, che conosceva don Franco e me per motivi professionali, mi convinse ad acquistare l’immobile fatiscente per ristrutturarlo e in seguito a farne un nuovo centro per anziani. Tra due preti con gli stessi ideali, nati inoltre nello stesso paese, fu facile raggiungere un’intesa. Don Franco tamponò i suoi debiti e io cominciai a sognare il nuovo centro. La cosa però non andò così, perché il rudere sarebbe rimasto ancora, nonostante tutto, un rudere! Lo buttammo giù e costruimmo il nostro centro con i suoi 64 alloggi.

Sennonché, il giorno dopo l’inaugurazione, scoprimmo amaramente che in via Orlanda c’era un traffico infernale, che rendeva assolutamente impossibile uscire dal centro senza correre il rischio di perdere la vita. A una settimana dall’inaugurazione, l’auto della figlia di una residente, mentre tentava di uscire dal centro, fu centrata in pieno e scaraventata nel fossato prospiciente. Con infinite peripezie e rinnovate richieste all’Anas riuscimmo ad ottenere il permesso di mettere in sicurezza l’uscita, spendendo svariate decine di migliaia di euro di tasca nostra. Il problema non era però risolto per chi andava a Campalto a piedi o in bicicletta. Un vecchio residente del centro affermò un giorno: “Il don Vecchi 4 è una prigione dorata, ma sempre prigione rimane!”

Trafficammo così tanto con l’assessore precedente all’attuale, che finì per assicurarci che, quanto prima, avrebbe provveduto a far costruire una pista ciclopedonale per congiungere il don Vecchi e il cimitero a Campalto. A riprova di questa volontà, fece eseguire da “Insula” un progetto di fattibilità, poi però questo amministratore non venne più rieletto. Non ci perdemmo d’animo; non potevamo infatti permetterci di desistere, perché ne andava della vita dei nostri vecchi! Fortunatamente l’Anas, che sta costruendo una nuova strada e ci ha portato via mezzo parco del centro, ha deliberato e trasmesso al Comune mezzo milione di euro per costruire la pista pedonale.

Pensavamo che il Comune ci desse i soldi per iniziare subito i lavori. A questo scopo, abbiamo fatto fare un nuovo progetto da una dei migliori professionisti di Mestre, pagando sempre di tasca nostra. Nel frattempo, però, pare che i soldi siano passati da Renato Boraso, assessore alla viabilità, che ci aveva fatto le più lusinghiere promesse di una pronta attuazione, a Francesca Zaccariotto, ora assessore ai Lavori pubblici, chissà per quali misteri. Fatto sta che si dice che voglia far fare un altro progetto: il terzo. Nel frattempo, dopo cinque anni, gli anziani di Campalto sono ancora imprigionati. Ebbene, non vorremmo mai che il Comune li condannasse all’ergastolo da trascorrere in questa prigione, dorata, ma pur sempre prigione!

La cattedrale tra i cipressi

Lo scrittore inglese Bruce Marshall fa dire a un sacerdote, protagonista di uno dei suoi romanzi, che la sua chiesa era una “sposa bella” che amava perdutamente e a cui era sempre stato fedele. M’è sempre piaciuta questa immagine, che sottolinea il rapporto caldo, intimo e affettuoso tra il sacerdote e la chiesa in cui incontra i suoi fratelli di fede e il suo Signore e in cui vive i momenti più importanti della sua missione di ministro di Dio.

Io confesso che ne ho avuti più di uno di questi amori durante la mia lunga vita di prete. Sono stato innamorato della chiesa neoromanica di Eraclea, il mio paese natio, chiesa in cui da fanciullo ho ricevuto le prime carezze di Gesù. Ho amato con amore caldo la basilica della Madonna della Salute nella quale ho maturato la mia vocazione. Ho amato ancor di più la bella chiesa dei Gesuati nella quale ho fatto la mia prima esperienza di giovane prete, ma questo è stato un amore fuggevole perché è durato appena due anni. Quindi ho conosciuto la bella chiesa di San Lorenzo martire dove ho convissuto felicemente per quindici anni. Però l’esperienza d’amore più prolungata e matura l’ho fatta nella chiesa neogotica del Meduna a Carpenedo, chiesa che ho amato d’amore fedele ed appassionato per trentacinque anni.

Pensavo che così fosse terminata la mia storia d’amore. Invece no. Da vecchio ho preso una autentica cotta e mi sono perdutamente innamorato della giovane chiesa prefabbricata del cimitero. Questa “sposa bella” è povera, ma quanto mai “avvenente” anche se è nata in Romania ed è costata solamente duecentocinquantamila euro. è stato un colpo di fulmine, mi è parsa subito bella, dolce, intima, quieta e sorridente. Che cosa può aspettarsi di meglio un prete novantenne?

È vero, gli ho donato tutto quello che di meglio avevo ancora. L’ho vestita di ordine, pulizia e fiori, ho invitato a farle compagnia le persone più care e sante che ho conosciuto durante la mia lunga vita: la Vergine Maria, Padre Pio, Sant’Antonio, Santa Rita, Madre Teresa di Calcutta, San Francesco d’Assisi, e i miei Papi più cari: papa Luciani, papa Giovanni Paolo II, papa Roncalli, papa Paolo VI. Cosicché quando i miei fedeli entrano in chiesa sentono subito di essere accolti con affetto da questi santi così amati da tutti, tanto che ognuno di questi santi della terra e del cielo ha qualcosa da dire loro e da offrire: un sorriso, una parola di conforto e un invito a ricordarsi che quella è la casa del Signore.

La gente accende un lumino, si siede e si sente avvolta da un abbraccio di dolcezza, d’armonia e di bontà, e trova pace, tanto che vedo che da mane a sera c’è un andirivieni costante, raccolto e sereno. Qualcuno poi mi ha confidato che se anche il tetto di legno è molto basso gli sembra di sentirsi all’interno di una baita di alta montagna. Ora poi il mio piccolo scout di tempi lontani, Toni Marra, mi ha donato una via Crucis che aiuterà di certo chi ha ancora il cuore che sanguina per ferite recenti o lontane, dando consolazione e speranza mediante la ripetizione delle tappe della via dolorosa di Cristo, figlio di Dio e dell’Uomo.

Durante la settimana la mia chiesa si anima perché si celebra spesso il commiato cristiano a persone sole molto anziane, che vivevano con la badante o provengono da case di riposo, ma comunque si respira in essa conforto e speranza. Alla domenica però la mia chiesa si anima, diventa festosa per la folla che la gremisce, per i canti della corale degli anziani del Centro don Vecchi, per la calda fraternità dei tanti fratelli che vengono a trovare il Padre nella chiesa più umile della nostra città e che moltissimi ritengono, come me, la più bella e la più cara.

La “cattedrale tra i cipressi” è il mio amore, ma lo condividono e la rendono sempre più bella e più viva pure Enrico, il mio diacono ad honorem, Anna e Gianni, suor Teresa e i miei famigliari che la tengono ordinata con piante e fiori. La mia umile chiesa non ha campanile, ma prima o poi spero che concerti di campane suonino l’ora della resurrezione e della vita ai defunti che dormono nel nostro camposanto e ai concittadini che vivono nella nostra cara Mestre.

La nostra disponibilità

Lettera aperta ai parroci, alle assistenti sociali del Comune, agli enti di valenza solidale e soprattutto ai concittadini che si trovano in ristrettezze economiche.

Siamo consapevoli che questo nostro appello è purtroppo piuttosto raro e può sonare perfino strano e per questo siamo particolarmente felici di portarvi a conoscenza di una realtà che a Mestre ancora non tutti conoscono. Per grazia di Dio e per buona volontà di mezzo migliaio di volontari, in simbiosi con il Centro don Vecchi di Carpenedo è nata una agenzia di solidarietà quanto mai vasta ed efficiente, che presto speriamo possa diventare in Italia il primo supermercato di carattere solidale. Ogni giorno affluiscono in via dei Trecento campi 6 di Carpenedo, dove si trovano i nostri magazzini, centinaia e centinaia di concittadini italiani ed extracomunitari che si trovano in difficoltà economiche e che chiedono aiuto presso i nostri attuali magazzini di carattere solidale, trovando fortunatamente una risposta ai loro bisogni. Grazie alla Provvidenza siamo in grado di aiutare un numero ben consistente di persone in difficoltà. Per questo ci rivolgiamo a voi, che siete i naturali interlocutori dei poveri, perché sappiate che, qualora non siate attrezzati a dare risposta esauriente alle richieste di chi è in difficoltà, noi a nome della Chiesa mestrina possiamo aiutare voi e quindi chi viene da voi a chiedere aiuti. Cosa possiamo mettere a disposizione?

  1. Un emporio di vestiti nuovi ed usati di ogni tipo e di ogni taglia. Siamo convinti che a Mestre non ve ne sia uno di eguale neppure in quelli di carattere commerciale.
  2. Mobili e arredo per la casa; dalle stoviglie ai soprammobili, dai mobili correnti a pezzi d’epoca, dai quadri ai lampadari e ai tappeti. Disponiamo, insomma, di tutto quello che serve per arredare la casa.
  3. Frutta e verdura in grande abbondanza. Ogni giorno recuperiamo dai venti ai trenta quintali di questi generi alimentari che ci vengono regalati dai mercati generali di Padova, Treviso, Marghera, Santa Maria di Sala e dai supermercati della città: Alì, Cadoro, Coop e Despar.
  4. Generi alimentari in scadenza: di ogni qualità, compreso carne, pesce e tanto altro ancora.
  5. I generi alimentari della Agea ossia forniti dall’Europa.

Ben s’intende che talora v’è tanta abbondanza e talora questi stessi generi scarseggiano. Comunque si trova sempre qualcosa! Questa possibilità di distribuzione consistente di beni è dovuta ad un’organizzazione seria: abbiamo sei grandi furgoni, dei quali uno per la catena del freddo, la disponibilità di milleduecento metri di superficie e soprattutto un numero quanto mai consistente di volontari. Crediamo che oltre l’organizzazione, che si rifà alla dinamica di ogni magazzino di carattere commerciale, il punto di forza sia quello che questa attività vive e si rifinanzia da sola. Perché ad ogni utente viene richiesta un’offerta pressoché simbolica per sostenere la gestione e perché siamo quanto mai convinti che bisogna creare un “volano” della carità, che crei piano piano in tutti benefattori e beneficati, una mentalità solidale: motivo per cui ognuno, in rapporto alle sue possibilità, deve collaborare ed aiutare chi è più povero di lui. Gli unici prodotti per i quali non si richiede alcun contributo sono i generi alimentari della Agea che per legge devono essere totalmente gratuiti. Informiamo, infine, che l’orario estivo di apertura è dal lunedì al venerdì, dalle ore 15 alle 18, e che i magazzini sono facilmente raggiungibili perché dispongono di un ampio parcheggio e anche perché la linea 2 dell’autobus ha una fermata ad appena 50 metri di distanza.