Avendo vissuto una vita intera da prete ed essendomi occupato principalmente di cose della religione, sono portato a notare e valutare i fenomeni, anche minimi e banali, che avvengono all’interno della Chiesa e della religione. Ultimamente ho posto la mia attenzione su due fenomeni estremamente marginali che certamente non compromettono assolutamente la fede, ma che a mio parere indicano un cambiamento di tendenza.
Quando è stata aperta la nuova chiesa prefabbricata del cimitero, l’impresa Pedrocco, che lavora i marmi in via Ognissanti, con estrema gentilezza e generosità, mi ha regalato il tabernacolo e l’acquasantiera. Abbiamo collocato l’acquasantiera di marmo rosso di Verona alla porta della chiesa, ma quasi nessuno ormai, entrando, pare intinga più le dita della mano per segnarsi col segno della croce. Talvolta mi dimentico di rimettere l’acqua benedetta, ma nessuno mai si meraviglia o me lo chiede, mentre i miei parrocchiani di un tempo me l’avrebbero fatto osservare come una cosa grave.
Secondo: nella vecchia cappella sono collocate delle ceriere sia elettriche che con ceri di paraffina. Mentre un tempo ogni settimana raccoglievo 15-20 scatole di ceri usati, ora non si raggiunge neanche il dieci per cento di quella quantità.
Mi fermo qui, ma potrei continuare col digiuno del venerdì, con il “perdon d’Assisi”, le veglie, le novene, i primi nove venerdì del mese ed altro ancora.
Mi ripeto che non è minacciata la fede per questi cambiamenti. Vi sono però degli aspetti della vita religiosa molto più importanti che mi pongono dei problemi seri, ai quali penso dovremmo cercare di dare una risposta. Anche per questo voglio fare due esempi. Nei miei trentacinque anni da parroco nella comunità di Carpenedo, parrocchia di antica tradizione, ma ancora viva da un punto di vista religioso, in tempi ormai un po’ lontani celebravo una novantina di matrimoni all’anno. Ora il mio successore, che è un parroco attivo e quanto mai zelante, mi riferisce che ne celebra appena una decina.
Non mi fermo ad analisi e motivazioni che sono complesse, ma concludo che il sacramento del matrimonio, così come era concepito e realizzato, è di certo in crisi.
Vengo ad altro sacramento, quello della confessione. Nel 1956, quando sono arrivato a San Lorenzo e nella ventina di anni che ci sono rimasto, al sabato in due, tre sacerdoti andavamo in chiesa alle tre del pomeriggio e confessavamo fino alle otto. Attorno al confessionale c’erano due code di fedeli che aspettavano il proprio turno anche per un’ora. Per non parlare per Natale e Pasqua.
In questi ultimi anni mi chiamano a confessare in parrocchia per delle celebrazioni comunitarie organizzate tre quattro volte l’anno, ma mai ho confessato per più di un’ora e mezza e più di una quindicina di persone.
Circa questi due sacramenti credo che il problema sia veramente grave e che si debbano trovare soluzioni diverse per raggiungere lo stesso risultato che si raggiungeva nel passato. In proposito avrei qualche idea, ma penso di doverci riflettere in maniera più approfondita. Mi auguro che anche altri ci pensino.
07.09.2014