Il sesso degli angeli

Ormai da molti decenni o forse da secoli è di dominio pubblico la citazione che “Mentre Costantinopoli, circondata dagli Ottomani, stava per cadere, all’interno della città gli esperti di cose religiose, per nulla preoccupati della situazione a dir poco tragica, discutevano sul sesso degli angeli”.

Ancora una volta devo anche constatare la validità di un’altra massima antica “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole!”.

Oggi sono sotto gli occhi di tutti il disagio e la difficoltà che incontra la religione nel riproporre, con esito positivo, l’annuncio cristiano alla gente del nostro tempo a causa dell’evoluzione sempre più rapida della sensibilità e della cultura, motivo per cui ci è necessaria una più che mai difficile (innovazione) nella pastorale. Papa Francesco ci offre uno splendido esempio.

Il Pontefice, pur usando soluzioni ereditate dalla tradizione, sta entusiasmando vicini e lontani con l’autenticità, l’onestà e la coerenza con cui fa la sua proposta evangelica mentre qualche settimana fa mi sono imbattuto in un “documento” che offre un’impostazione radicalmente rivoluzionaria, e per me vecchio prete, strana e campata in aria, di quello che un tempo era chiamato catechismo.

E’ giusto ed opportuno fare nuove esperienze però è pure doveroso, prima di proporle agli altri, valutarne i risultati.

Nel nostro caso, a quanto mi sia dato sapere, essi sono più che deludenti.

Preti e il martirio

Una notizia particolare di qualche tempo fa ha tenuto banco per un paio di giorni sulla stampa locale. Un tossicodipendente avrebbe tentato di ricattare per estorcere denaro un giovane parroco, minacciandolo di portare a conoscenza dell’opinione pubblica cittadina presunte avances omosessuali di suddetto sacerdote. Quasi certamente si tratta di una delle solite infamie proprie di questo genere di personaggi. Molto probabilmente il giovane parroco, non conosce sufficientemente il mondo dei poveri, capaci di questo e di altro ancora ma, quello che mi ha dato da pensare, è stato il modo pavido con cui ha affrontato la cosa: il primo giorno il prete è andato a dormire fuori di casa e poi, con il consenso del Patriarca, se n’è andato lontano da chi lo aveva minacciato.

Una volta ancora mi è venuto da pensare che la nostra chiesa locale è povera, spaurita ed inerme perché ha smarrito il senso del coraggio e del martirio. Ho l’impressione che finché le comunità cristiane ed i preti delle chiese di Venezia non metteranno nel loro apostolato in conto anche il coraggio, il sacrificio e perché no anche il martirio saremo destinati ad andare di male in peggio.

Una qualche emozione!

Una parrocchiana di San Pietro Orseolo, che scrive per “L’incontro”, ha chiesto al nuovo parroco l’autorizzazione a porre nel banco della sua chiesa, riservato alle varie pubblicazioni, anche il nostro periodico.

Don Corrado, così si chiama il sacerdote, ha acconsentito di buon grado. La prima volta un nostro collaboratore ha portato una quarantina di copie mentre La settimana seguente, passando per viale don Sturzo, ho portato io il numero successivo de L’Incontro. In chiesa non c’era nessuno, ho deposto allora in bella nostra il nuovo numero lasciando pure le due copie che erano rimaste della settimana precedente. Ho provato una certa emozione nel tentare di contribuire ad aiutare questa piccola comunità cristiana a riflettere sulla pastorale e sulle vicende religiose della nostra città.

Ormai sono ben poche e certamente tra le meno importanti le parrocchie che non accettano “L’incontro” e, una volta ancora, ho pensato all’utilità di un periodico, distribuito gratuitamente, per aiutare la Chiesa mestrina a verificare e maturare la propria coscienza religiosa.

Una sopravvissuta

Al mattino mi alzo verso le cinque per dedicare l’inizio della mia giornata alla preghiera e alla riflessione. Debbo confessare che non sono un grande mistico, tanto che spesso mi “arrampico sugli specchi” tra dubbi e distrazioni, spero comunque che il buon Dio accetti almeno i miei tentativi di ringraziarlo e lodarlo come ritengo giusto e doveroso fare.

Prima della preghiera, mentre mi faccio la barba e riordino il letto, ascolto Rai Uno.

Talvolta però mi capita, forse per distrazione della signora delle pulizie, di perdere la giusta sintonizzazione e mi ritrovo ad ascoltare un programma non previsto. L’altra mattina mi è capitato di scoprire di essere sintonizzato su Radio Oreb, un’emittente di Lisiera, una parrocchietta vicino a Vicenza.

Al tempo della mia avventura con Radio Carpini, infinite volte, mi sono incontrato con il parroco di Lisiera e con altri responsabili di emittenti parrocchiali e, uniti, abbiamo lottato con tutte le nostre forze per difendere le nostre frequenze e per far crescere, sia in tecnica che nei contenuti, le nostre radio locali. Radio Oreb è sopravvissuta mentre Radio Carpini, che per spirito di corpo avevo donato al nostro Patriarcato, è ormai morta e sepolta da molto tempo. A Venezia esiste ancora “Gente Veneta”, anche per il valore della sua piccola equipe di giornalisti quanto mai impegnati, però, nel suo complesso, ho l’impressione che vi sia un’assoluta allergia per la funzione dei mass-media. Anche in questo settore pare che Venezia stia sprofondando e per quel che riguarda i mezzi di rievangelizzazione non c’è un Mose che ci permetta di sognare la salvezza.

Don Bonini

Qualche tempo fa, don Fausto Bonini, l’ex parroco del Duomo di Mestre, mi ha chiesto di potermi incontrare. Ho pensato che, poiché era stato “nominato” rettore della chiesa della Madonna della Salute e cappellano della Casa di Riposo avesse da chiedermi qualcosa per una sua nuova sistemazione pastorale all’interno della nostra Chiesa.

Ero preoccupato perché oggi io non ricopro alcun ruolo a Mestre se non quello che mi sono scelto da solo ma don Fausto, con garbo e cordialità, è venuto a ringraziarmi perché nei miei interventi l’ho sempre sostenuto ed ammirato.

Ero e sono convinto che la chiesa del Duomo, guidata da don Fausto, sia stata, fino a qualche mese fa, la mosca bianca delle parrocchie di Mestre, l’unica o quasi che sapesse dialogare con il mondo d’oggi, l’unica o quasi che fosse strutturata in maniera organica ed efficiente.

Non sono proprio riuscito a capire perché non sia stato chiesto a don Fausto di rimanere un’altra decina d’anni, non fosse altro per dargli la possibilità di testimoniare che è ancora possibile impostare, in maniera moderna, la pastorale parrocchiale.

Oggi a Mestre pare si sia optato per il passo del gambero, il ripiegamento su vecchi schemi è continuo e costante.

Non è che Venezia brilli per impegno, però è ancor più triste che, per inedia e per scelte incomprensibili, si sia lasciata spegnere la pur tenue speranza del dopo Concilio.

Possiamo vivere anche senza la porpora!

Il Gazzettino, pur consistendo di un unico fascicolo di varie pagine, idealmente è la risultante di due giornali: quello generale, che riguarda fatti di cronaca nazionale ed internazionale, e quello dedicato al Nordest con la cronaca propria di Venezia – Lido – Mestre – Marghera – Marcon – Chioggia – ecc. Rimane però, nonostante tutto, un povero giornale che dice poco a livello di informazione generale ed altrettanto poco, forse ancora meno, a livello locale. Non è poi finita perché è invalsa l’abitudine di far “salterellare” una notizia dalla prima pagina riproponendola in quelle dedicate al Nordest con poche altre informazioni specifiche a quelle della nostra città, tanto che una notizia di cronaca rischia di apparire come qualcosa di veramente serio.

Oggi tiene banco un articolo che presenta come estremamente importante la notizia che il nostro Patriarca non compare nell’elenco dei quindici nuovi Cardinali. Sono convinto che Mestre e Venezia possano vivere anche senza Cardinale e che il nostro Patriarca possa continuare a fare del bene anche se le sue tonache ufficiali continueranno ad essere di un colore rosso comune piuttosto che rosso scarlatto. Confesso che per quanto mi riguarda, questa esclusione non mi tocca più di tanto: il Patriarca è quello che è, la porpora non aggiungerebbe proprio nulla anzi così avrà più tempo libero per dedicarsi a Venezia dove di gatte da pelare ne ha finché ne vuole. Penso poi che sia ora e tempo per i veneziani di cominciare a dimostrare quel che valgono finendola, una buona volta, di montarsi la testa con le glorie del “vecchio leon”!

Come è bella la mia Chiesa!

Passati gli ottant’anni non si può scherzare neppure con l’influenza. Per una settimana abbondante mi hanno messo ai “domiciliari” nel mio alloggio di 49 metri quadrati e ho così trovato il tempo per seguire varie trasmissioni di “RAI Storia”, per ascoltare i discorsi di Papa Francesco e per contemplare, da innamorato, il volto della “mia Chiesa”: non l’avevo mai vista così bella, così libera, così carica di fascino e di dolcezza. Ora la mia Chiesa fortunatamente non ama comandare e comunque, anche se lo volesse, non avrebbe la forza per imporre alcunché ad alcuno. Si muove libera e leggera, indica orizzonti aperti e promettenti, testimonia con umiltà il messaggio di Gesù, ama gli uomini come sono, si veste come loro, si lascia coinvolgere dai drammi della loro vita, parla di bontà, di speranza e di perdono.

Ora la mia Chiesa non ha più potere né denaro, non tresca più sotto banco, non chiede di essere difesa da alcuno e mai avrei immaginato che avrei potuto anch’io dar volto ad una Chiesa così libera e così bella.

In questi giorni di ritiro e di meditazione ho pensato lungamente e con dolore a tutti quei miei fratelli di fede che, sia in tempi lontani come in anni più recenti, sono stati inquisiti dall’Inquisizione fino all’apparato ecclesiastico come quello del Santo Uffizio, con provvedimenti che dall’inizio del secolo scorso fino ai nostri giorni hanno condannato, proibito, fatto tacere le anime più belle impedendo loro di sognare e di perseguire la Chiesa di Gesù.

L’ho fatto però senza rancore perché la mia Chiesa mi pare così bella da rendere ingiusto attardarsi nel passato: quelle sono ormai cose di ieri!

Il Papa in “gabbia”

Mai e poi mai avrei immaginato che nostro Signore ci regalasse un Papa così evangelico qual è Papa Francesco, però mi accorgo che la Curia del Vaticano non perde occasione per ingabbiare anche lui nelle vecchie prassi rituali così lontane dalla sensibilità degli uomini d’oggi.

Purtroppo penso che, pur con amarezza e riluttanza, talvolta lo stesso Papa debba accondiscendere alle scelte e alle manie di quella legione di Monsignori e Liturgisti che pare non abbia altro da fare che organizzare riti variopinti e macchinosi. Può anche darsi però che il Pontefice cada nei loro trabocchetti, mi riferisco alla Messa di Natale cui ho assistito dopo cena in poltrona davanti alla televisione.

Ho visto il Papa fare sforzi disperati per non addormentarsi mentre una bella ragazza, in mezzo ad un esercito di orchestrali, emetteva dei gridolini seguendo di certo uno spartito di musica polifonica. Forse in un teatro, a persone del mestiere, potranno anche piacere quei canti ma, per la gente come me, essi sono dei potenti sonniferi che fanno addormentare o, nel migliore dei casi, certamente annoiano.

Spero che, in uno dei prossimi sinodi o delle prossime riforme, Papa Francesco allontani dai sacri riti, canti, vesti e gesti che risultano assolutamente incomprensibili alla gente come me e spero anche che in Vaticano ci sia qualche soffitta in cui collocare “liturgie” vecchie di secoli.

Quando la prima Comunione?

Ultimamente nel vicariato, il gruppetto di parrocchie che insistono sulla vecchia comunità cristiana di Carpenedo, è nata un po’ di maretta tra i preti, sulle modalità e sull’età in cui accostarsi alla prima Comunione.

La cosa non è del tutto nuova perché da molti anni l’ex parroco di viale Don Sturzo ha portato avanti, solitario, una certa “rivoluzione” nel modo di preparare i bambini ad accostarsi all’Eucarestia e soprattutto nei tempi in cui far fare la prima Comunione. Io sono sempre andato diritto per la mia strada concordando totalmente con San Pio X che aprì le porte ai bambini per incontrare il Signore in tenera età.

Ora, pur essendo quel parroco in pensione, pare voglia proporre con una certa pressione la sua tesi e che abbia trovato anche qualche nuovo adepto. Già scrissi che la validità di certe scelte si misura dai risultati e per quanto riguarda la vitalità della parrocchia di San Pietro Orseolo, i risultati.

Incontrandomi con mio fratello don Roberto, che credo sia il parroco di una delle più belle e vivaci comunità cristiane della diocesi, gli chiesi la sua opinione in merito a questo problema. Mi rispose senza esitazione: “Da me i ragazzi fanno la prima Comunione in terza elementare, a quell’età essi sono limpidi ed innocenti, chi la fa in quinta, quando i ragazzini pensano già alle “tosette”, incide ben poco sulla loro coscienza.

Ancora una volta vale la prova del nove sulla validità di questa scelta, infatti la parrocchia di Chirignago ha il più bel vivaio di ragazzi e di giovani.

Le novità non sono sempre garanzia di validità!

Adorazione perpetua

Ormai da alcuni anni, per iniziativa di don Narciso Danieli, a Santa Maria Goretti, almeno una persona ad ogni ora del giorno e della notte veglia e prega di fronte all’Eucarestia.

Da quanto ho appreso ben quattrocento fedeli si sono offerti per compiere questo servizio affinché almeno un rappresentante della nostra città incontri e parli al Cristo nell’Eucarestia dei nostri problemi e delle nostre attese.

A Venezia un tempo si faceva qualcosa di simile nella chiesa di San Giuliano poi, non so per quale motivo, l’iniziativa si spense.

Ho appreso però qualche settimana fa che qualcuno si sta dando da fare per riprendere l’adorazione perpetua in un’altra chiesa di Venezia.

Mi rende felice il sapere che qualcuno a nome di tutti possa ascoltare e parlare a Gesù di Nazareth rappresentato dall’Eucarestia e si faccia portavoce dell’intera città. Però pensando a San Giacomo e a San Giovanni Crisostomo mi farebbe ancor più piacere se ci fossero almeno altri quattrocento cristiani che, inquadrati da qualcuno, fossero in costante disponibilità a colloquiare e servire il Signore presente a Mestre e Venezia sotto il segno del povero.

Qualcosa esiste ma sarebbe opportuno che questo servizio fosse organizzato in maniera più seria ed efficiente.

La galleria degli ultimi papi

Poche settimane fa la Chiesa ha dichiarato beato Papa Paolo VI, ne sono stato particolarmente felice perché, per me, Paolo VI è stato veramente un grande Pontefice.

In verità non è stato favorito dal momento storico perché succeduto a Papa Giovanni XXIII, osannato poi da tutti i fedeli per aver dato la stura a tutte le tensioni che ribollivano dentro la chiesa ingessata da troppo tempo. A Paolo VI è toccato invece il difficile compito di incanalare nella quotidianità tutta l’irrequietezza di questa esplosione religiosa.

Non tutti hanno compreso la fatica e la difficoltà di indirizzare tante forze contrapposte, però Paolo VI ha tentato di farlo con tanta saggezza e santità e nonostante le molte incomprensioni ha sorretto “le chiavi pesanti” di Pietro.

Sul lato sinistro della mia cattedrale ho collocato i volti di Papa Giovanni XXIII, di Papa Wojtyla, di Papa Luciani, ed ora, appena potrò, vi collocherò anche quello di Papa Paolo VI perché i miei “parrocchiani” d’adozione sappiano quale grande dono il Signore ha fatto alla Chiesa del nostro tempo offrendoci uomini di Dio tanto coraggiosi, tanto saggi e soprattutto tanto santi.

Sassolini nelle scarpe

L’avvento di Papa Francesco mi ha dato finora modo di togliermi più di un “sassolino dalle scarpe”. L’intervento di qualche tempo fa del Sommo Pontefice circa le tariffe per le prestazioni religiose è stato l’ultimo, e me lo tolgo, lo confesso, con grande soddisfazione! Una quindicina di anni fa formalizzai in un articolo sul periodico della parrocchia una prassi che avevo adottato fin dal primo giorno in cui sono diventato parroco, cioè ho scritto che per quanto riguardava messe, matrimoni, funerali eccetera ogni fedele poteva fare un’offerta solamente se lo desiderava e comunque nella misura che riteneva più opportuna andando quindi contro la norma della curia che almeno per le messe aveva fissato una cosiddetta “offerta” quantificata. Evidentemente un mio caro collega ha inviato il periodico parrocchiale in curia e quindi il vicario generale, che allora era Monsignor Giuseppe Visentin, ora defunto, mi ha invitato ufficialmente e per iscritto ad ottemperare alle norme fissate dall’Ordinario. Non replicai ma ritenni che dovessi obbedire prima alla mia coscienza che alla curia. Ora l’intervento del Pontefice mi reintegra nell’obbedienza e mi gratifica con il suo discorso. Non sono diventato Monsignore ma almeno ho l’onore di aver anticipato i tempi!

Le prime croci di Papa Francesco

Ho buttato giù questa pagina il giorno dopo che è terminato il sinodo sulla famiglia lo stesso giorno in cui Papa Paolo VI è diventato Beato.

Ho letto qualche anno fa un bellissimo volume di Agasso su Papa Paolo VI dal titolo: “Le chiavi pesanti”.

Mi sono commosso ed ho letteralmente pianto apprendendo il dramma e la croce amara di questo grande Papa che ha chiuso il Concilio. La gente è manifestamente con Papa Francesco, perché tutto sommato la gente ha fiuto, possiede un sesto senso nel riconoscere i preti che vivono secondo il Vangelo, ho però la sensazione che i parrucconi, gli specialisti, quelli che hanno qualcosa da insegnare anche al buon Dio e complicano così tanto la fede da renderla assolutamente indigesta alle persone normali, non perdoneranno al nuovo Papa di aver fatto smontare i baldacchini, di essersi messo in coda al self service e di aver portato personalmente la propria borsa da viaggio. La cosa non mi dovrebbe essere assolutamente nuova perché già duemila anni fa il Sinedrio fu quello che armeggiò maggiormente per far condannare Gesù. Papa Francesco non avrà vita facile e non so cosa riuscirà a fare, ma comunque ha già fatto molto aiutandomi a sognare e sperare in una Chiesa bella e povera per la povera gente!

Discontinuità

Una decina di giorni fa il Patriarca ha insediato ufficialmente il nuovo parroco del duomo di San Lorenzo, la chiesa matrice della nostra città, monsignor Gianni Bernardi, che da qualche anno era il parroco della comunità di Santo Stefano a Venezia.

Il nuovo parroco ha fatto un passaggio da vertigini nel trasferirsi da una parrocchia di 1500 anime ad un’altra di quasi diecimila – la prima una comunità sonnacchiosa, pacifica, anziana, la nuova, quella mestrina, numerosa, dinamica, aperta al futuro e quanto mai articolata e attiva.

M’è capitata in mano, per caso, “La Borromea”, il periodico della parrocchia. La Borromea fu il primo foglietto parrocchiale che nacque da un viaggio pastorale che feci in Francia con monsignor Vecchi per esplorare le iniziative parrocchiali di quel Paese che, a quei tempi lontani era, presso l’opinione pubblica ecclesiale, il più avanzato a livello di catechesi, liturgia, animazione giovanile e per tutto il resto. Quella volta trovammo per caso, visitando una chiesa di Parigi, un primitivo prototipo di settimanale parrocchiale dal quale prendemmo spunto per dar vita al periodico di San Lorenzo a cui assegnammo, come testata – “La Borromea” – il nome di una campana che il cardinale Carlo Borromeo, tornando da Roma, ove aveva salutato lo zio Papa, aveva donato al parroco di San Lorenzo, essendo stato da lui ospitato nel viaggio di ritorno.

Questo foglio è cresciuto col tempo e da un paio di anni monsignor Bonini gli ha dato un taglio particolarmente innovativo facendolo stampare a colori in tipografia e comunicando, coi parrocchiani destinatari, quasi esclusivamente attraverso le foto, con brevissime didascalie. Don Bonini si è poi servito di un altro periodico, “Piazza maggiore”, col quale passava i contenuti del messaggio cristiano e dialogava con la parrocchia e i responsabili civili della città.

Dunque, come dicevo, alla vigilia dell’entrata del nuovo parroco, mi hanno recapitato un semplice foglio con la testata della “Borromea” contenente la lettera di saluto che monsignor Bernardi rivolge alla parrocchia e alla città. Il foglio appariva non solamente povero, ma davvero misero. Pensai subito: “Oddio, come ci siamo ridotti!” Temevo che da un foglio che da un punto di vista parrocchiale rappresentava l’eccellenza, si fosse precipitati al livello dei più miseri fogli che purtroppo a Mestre sono assai diffusi. Fortunatamente la domenica successiva ne è stato pubblicato uno con la linea del tutto uguale a quella di monsignor Bonini.

Mi auguro tanto che continui così, anzi migliori, perché rimango del parere che se, anche ufficialmente, si sia orientati ad un assoluto centralismo diocesano, per quanto riguarda la Chiesa di Mestre in concreto la parrocchia del duomo rappresenti la mosca cocchiera, magari solamente per quanto le viene dall’autorevolezza delle sue scelte pastorali. Perché, lo si voglia o meno, San Lorenzo rappresenta la Chiesa mestrina, forse poco cosciente di sé, ma da tutti ritenuta tale.

Il Patriarca al “don Vecchi 5”

A tre mesi dall’inaugurazione ufficiale il Patriarca ha fatto una breve visita al “don Vecchi 5”. In verità la presentazione della nuova struttura alla città era avvenuta a maggio in maniera frettolosa perché l’assessore alla Regione, dottor Sernagiotto, che aveva puntato a “coprire” quella zona grigia compresa tra l’auto e la non-autosufficienza, “correva” per essere eletto al Parlamento europeo.

Forse questo amministratore della Regione voleva presentare all’opinione pubblica quella sua intuizione che avrebbe permesso agli anziani di allungare la loro autonomia e, nello stesso tempo, avrebbe risparmiato all’ente pubblico l’onere pressoché impossibile delle rette per non autosufficienti.

Sernagiotto penso che abbia considerato il “don Vecchi 5” come il fiore all’occhiello del suo servizio in Regione. Con la scelta di creare questa struttura intermedia volle dimostrare che è possibile raggiungere i due obiettivi suddetti.

La Fondazione dei Centri don Vecchi, senza volerlo, aveva già fatto questa esperienza nelle sue strutture esistenti perché esse, partite per ospitare persone autosufficienti, in vent’anni avevano mantenuto la domiciliarità anche per gli anziani che avevano perso molto della loro autonomia. Il “don Vecchi 5” è diventato così non solamente un’esperienza pilota che vuole aprire una soluzione innovativa per i problemi della terza e quarta età, ma pure una sfida sulla possibilità di garantire agli anziani altro tempo di vita da uomini e donne pressoché normali.

L’uscita di scena dell’assessore alla sicurezza sociale, dottor Sernagiotto, ha almeno per ora, congelato il secondo aspetto dell’operazione, aspetto che prevedeva un contributo, pur minimo, per garantire un maggior supporto all’anziano residente. A livello personale sono stato quasi contento dell’inghippo perché, senza contributo, il “progetto sfida” diventa più radicale “costringendo” le famiglie ad essere più vicine al loro famigliare, fornendogli quell’aiuto che è postulato dalla stessa natura.

Comunque l’esperienza è partita. Infatti tutti i 65 alloggi, sono già occupati e forse per l’autunno del 2015 potremo tirare le somme e farne un bilancio.

Tornando al Patriarca, egli ha parlato agli anziani, dimostrando di essere sufficientemente informato sulla “dottrina del don Vecchi”. Ha scoperto la dedica ai benefattori insigni e visitato molto rapidamente la struttura, perché impegnato in altri servizi. Don Gianni, il parroco di Carpenedo, che è pure presidente della Fondazione, ha presentato in maniera brillante l’opera destinata agli anziani in disagiate condizioni economiche. Io, sollecitato dal Patriarca a prendere la parola, ho precisato che ero il “passato prossimo” dell’opera, ma che mi avviavo rapidamente ad essere il “passato remoto”; comunque desideravo affermare con decisione che i Centri don Vecchi vogliono essere un segno visibile, comprensibile e concreto dell’attenzione della Chiesa di Venezia nei riguardi dei fratelli in difficoltà, anche se a molti pare che la Fondazione viva ai margini della vita ecclesiale.