La fede bella di una vecchia suora

Ho pubblicato recentemente su “L’Incontro” una lettera, purtroppo insolita, di un lettore di “Famiglia Cristiana” che ringrazia le suore per tutto il bene che hanno fatto e che continuano a fare nonostante siano rimaste in poche e per lo più in età avanzata. Capita quasi sempre di accorgersi di quanto care, nobili e preziose siano certe persone il cui impegno e servizio quasi sempre li si danno per scontati ma dei quali ci si accorge quando vengono a mancare. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere anche la testimonianza di una vecchia suora che, dopo sessant’anni di vita religiosa, ne fa un bilancio e con umiltà e convinzione confida all’intervistatore i punti di forza del suo impegno religioso. Questa cara suora fa due affermazioni che mi hanno fatto riflettere e che riporto nella speranza che possano far bene anche ai miei amici tanto quanto ne hanno fatto a me.

La prima affermazione è che si è sempre fidata totalmente di Dio, abbandonandosi come una bambina tra le Sue braccia, lasciandosi condurre da Lui anche nei momenti più difficili ed intricati della sua vita, certa non solo che Egli non l’avrebbe mai abbandonata ma anzi che l’avrebbe sempre accompagnata tenendola per mano. La seconda affermazione, in linea con la prima, è che è sempre stata convinta che il luogo e la situazione in cui la sorte, o meglio la Providenza, l’avrebbe portata sarebbe stato il posto migliore e più conveniente per lei e quindi l’ha sempre accolto ed abbracciato con assoluta fiducia ed entusiasmo. Quanta santità e quanta saggezza nelle parole di questa vecchia suora! Questa testimonianza mi ha fatto ricordare tutte le suore che ho conosciuto fin dai giorni nei quali frequentavo l’asilo; quante anime belle, pulite, materne e care ho incontrato sulla mia strada! Che il Signore benedica e ricompensi queste donne di Dio e dell’umanità per la luminosità dei loro occhi e per la loro bellezza interiore!

La suora del domani

Viene talvolta a Messa nella mia “cattedrale tra i cipressi” una ragazza che vive a Milano ma che ogni due settimane viene a trovare suo padre il quale è un caro amico che incontro con una certa frequenza. Ho scoperto nel tempo che questa giovane donna laureata ed occupata all’Università Cattolica, è una religiosa che appartiene ad una congregazione fondata da don Giussani di “Comunione e Liberazione”. Quando viene a Messa con suo padre, non manca mai di venire a darmi un saluto, forse perché sua madre, morta ormai da alcuni anni, mi voleva molto bene e mi stimava. In passato non avevo notato un particolare, che invece qualche settimana fa ho colto e che mi ha fatto riflettere. Io conosco parecchie donne che sono “religiose laiche”, ossia che non vestono un abito religioso, ma uno come me, che ha una certa dimestichezza con questo genere di persone, si accorge immediatamente, dal tipo di abbigliamento dimesso e soprattutto fuori moda che indossano, di questa loro appartenenza. L’ultima volta che ho incontrato la ragazza a cui facevo cenno ho notato invece che, anche se in maniera sobria e per nulla esagerata, era vestita alla moda. Gesù ha dedicato una parabola al lievito che si confonde con la pasta ma la fa lievitare e anche nella famosissima lettera a Diogneto si afferma che i cristiani non si distinguono per nulla dagli altri se non per i loro ideali, i loro costumi di vita sobria e la loro fede. Spero che la nuova generazione di suore si rifaccia a questi schemi mentali e spero anche che la “scoperta” fatta qualche giorno fa rappresenti la primizia di una nuova stagione delle suore del nostro tempo.

Insufficienza congenita

I miei interessi primari sono di ordine religioso, in maniera più specifica di ordine cristiano ed infine il mio interesse più immediato è quello di ordine parrocchiale e soprattutto cittadino. Tutto questo mi costringe a denunciare ancora una volta una carenza pastorale che è diventata sempre più consistente in quest’ultimo ventennio. Quale parrocchia, anche se abbastanza numerosa, è attrezzata per formare universitari, maestri, dirigenti d’azienda, per essere propositiva e trainante nel promuovere lo sport, l’arte, la musica e per essere attiva nel mondo del lavoro, nelle problematiche della famiglia e nella carità?

Credo che siamo giunti al punto in cui la maggior parte delle parrocchie non riesce più a seguire nemmeno i ragazzi delle superiori. Da questa constatazione nasce l’urgenza di impostare una pastorale globale che superi gli ambiti parrocchiali. Questo problema dovrebbe essere affrontato in ambito vicariale ma, i vicariati sono anch’essi troppo piccoli per problematiche del genere, bisognerebbe quindi rifarsi ad un ambito cittadino. Purtroppo attualmente, a Mestre, non vi sono più organismi sovraparrocchiali che abbiano il mandato di occuparsi di questo tipo di pastorale. I sogni e i progetti di monsignor Vecchi a questo proposito sono naufragati ancor prima di nascere per l’insipienza del “governo”. Se non riusciamo a risolvere per tempo questo problema, nel prossimo futuro, la Chiesa mestrina non potrà più contare su una classe dirigente.

Attesa vana?

Alcuni mesi fa il nostro Patriarca ha cambiato i vertici della Caritas diocesana, l’organismo che guida uno degli aspetti principali della vita e dell’attività della comunità cristiana. Il cambiamento ha riacceso nel mio animo la speranza, cullata da una vita, che finalmente si desse vita ad un progetto globale ed aggiornato nella gestione della carità della diocesi e che si tentasse di mettere in rete i vari organismi ora operanti in maniera quasi totalmente autonoma, senza nessun tipo di collegamento e di coordinamento che stimoli la loro complementarietà e le spinga ad agire, nell’ambito del loro ruolo di servizio alla comunità, avendo come riferimento il progetto globale indicato. Il cardinale Scola, prima di essere trasferito a Milano, aveva promosso un paio di incontri con l’intento di creare forme di sinergia tra le strutture caritative però la cosa non ebbe seguito ed ora sembra abbandonata del tutto. Non appena sono venuto a conoscenza della nuova nomina, pur con qualche difficoltà, mi sono messo in contatto con il nuovo responsabile per offrire la mia disponibilità a collaborare sul fronte della solidarietà cristiana e per conoscere gli obiettivi che il nuovo responsabile si prefiggeva di raggiungere con il nuovo servizio. Il responsabile della Caritas della Chiesa veneziana mi promise che non appena avesse preso coscienza dell’esistente, mi avrebbe contattato. Io sono ben cosciente che avviare un progetto globale, iniziando con il mettere in contatto l’esistente, non è cosa di poco conto e perciò ho lasciato trascorrere giorni, settimane e mesi ma a tutt’oggi mi pare che su questo fronte di primaria importanza non ci sia nulla da segnalare, quindi spero che a questo tempo di attesa prolungato corrisponda qualcosa di veramente consistente e valido!

Meritocrazia nella Chiesa

Soltanto chi sta al vertice delle comunità cristiane ed ha maturato una conoscenza globale delle varie situazioni è in grado di fare scelte oculate, però mi rimane la sensazione che anche la Chiesa, mutuando ancora una volta dalla società e soprattutto dalla cultura promossa in questi ultimi decenni dai sindacati, adotti, nell’assegnazione dei compiti e dei servizi, criteri poco produttivi che spesso finiscono per penalizzare le comunità cristiane. Vengo al concreto: ho la percezione che piuttosto che assegnare il ruolo di parroco di una comunità, più o meno grande o più o meno importante, a sacerdoti che hanno dimostrato sul campo le loro reali capacità, si preferisca anche oggi utilizzare come criteri di scelta l’età, il titolo accademico e i ruoli ricoperti precedentemente. Con questo criterio, a mio modesto parere, si raggiungono sempre due risultati negativi: si mortificano e si spengono potenzialità che talune parrocchie, sia per i loro legami che per la loro storia, potrebbero esprimere risorse qualificate ed inoltre perché si mettono a disagio certi personaggi che non possiedono le capacità adeguate per guidare realtà significative ad esprimere il meglio di sé. La cosa poi oggi è aggravata dal fatto, che essendoci pochi preti e spesso anche con scarse risorse individuali, si finisce per appiattire e privare la diocesi di quelle “comunità guida” alle quali potrebbero rifarsi o con le quali potrebbero confrontarsi quelle meno qualificate. Il rimedio non è facile ma oggi esistono molte possibilità per consultare clero e laicato, i quali potrebbero offrire consigli quanto mai utili. Rimane comunque il fatto di fondo che oggi la Chiesa, sull’esempio di Papa Francesco, deve liberarsi dal criterio verticistico in favore di quello popolare e di base.

Noi preti siamo ancora molto “ricchi”!

La crisi che ha investito i preti è almeno duplice, il primo aspetto è quello numerico: è infatti incontrovertibile che preti, frati e suore in questi ultimi cinquant’anni siano paurosamente diminuiti. Questo tipo di crisi però, che è pur reale, mi preoccupa meno perché storicamente è dimostrato che le crisi e le persecuzioni non hanno fatto altro che purificare e migliorare la “categoria” ma soprattutto perché il Signore, che non è solito scoprire le sue carte, chissà mai cosa ha in testa di alternativo! Il secondo aspetto si riferisce ai preti che si dice siano in “crisi di identità” ossia, in parole povere, che non sanno bene come collocarsi in questo tipo di società secolarizzata. Questa motivazione mi preoccupa più della prima perché mi pare svuoti dall’interno i contenuti della proposta cristiana in chi ha il compito di donarla agli uomini del nostro tempo. Avessimo anche molti preti, però non motivati, non profondamente convinti della validità della loro proposta, si smorzerebbe il loro entusiasmo, sarebbero incapaci di giocarsi tutto e di impegnarsi fino in fondo, riducendosi così a vivere una vita scialba, scolorita, arroccata all’ombra del campanile, in continua difesa della tradizione e di un piccolo gregge timido, pauroso e incapace di misurarsi con i problemi e la gente del nostro tempo. Bernanos, il celebre autore del romanzo “Il diario di un curato di campagna”, fa dire al prete che ne è il protagonista: “Non è colpa mia se vesto da beccamorto, ma io ho la gioia e ve la darei per niente se me la chiedeste!”. Oggi il sacerdote deve essere più che mai convinto di possedere, di certo non per merito suo, i valori più alti e le risposte più convincenti per le aspettative degli uomini d’oggi. Io quando celebro i funerali provo un’immensa ebbrezza nel poter affermare con convinzione che la nostra esistenza ha un senso, che c’è una meta, che ci aspetta la pienezza di vita e che il Padre ci attende a braccia aperte e per questo vale la pena di impegnarsi, di lottare e perfino di portare la croce. Mi auguro che tutti i preti riscoprano la loro grande ricchezza ideale.

Vent’anni sono stati sufficienti per vedere qualche risultato

Torno ancora una volta sulla convinzione che noi, uomini di chiesa, dobbiamo utilizzare con maggior convinzione, con maggior competenza e con maggior frequenza i mezzi di comunicazione sociale che la società moderna ci mette a disposizione e ripeto che purtroppo preti, parrocchie e diocesi lo fanno ancora poco e male continuando ad affidarsi a sermoni spesso noiosi e soporiferi. Vengo all’intima conferma. I Centri Don Vecchi in definitiva sono un modo attuale per fare carità, però questa modalità, come purtroppo tante altre, è ancora circoscritta ad una città poco significativa quale è Mestre. Ho più volte scritto che “T.V. 2000” di Radio Vaticana ha trasmesso in diretta un bel servizio sul Centro Don Vecchi di Campalto. Il servizio è andato in onda di prima mattina e nonostante credessi che quell’emittente non fosse tra quelle più seguite, da quella trasmissione abbiamo ottenuto questi risultati:

a) Un manager milanese, di estrazione cattolica, ci ha chiesto un incontro per visitare le nostre strutture e documentarsi direttamente sulla nostra esperienza con lo scopo di trapiantarla nella realtà della Chiesa Ambrosiana.

b) Due docenti dell’Università di Padova hanno già preso contatti per programmare, nel mese di maggio, la visita di un pullman di universitari italiani e stranieri che intendono verificare la nostra esperienza, non solo alternativa alle attuali Case di Riposo ma innovativa nell’affrontare, con soluzioni più idonee e aggiornate, le problematiche della terza e quarta età.

c) Il Lions Club di Marghera Venezia ha chiesto, non solamente di visitare almeno un paio dei nostri centri ma, di pranzare assieme ad un gruppo di anziani presso il nostro “Seniores-Restaurant”.

Questi interventi sono giunti quanto mai graditi perché ripagano la nostra fatica, riconoscono valide le esperienze che stiamo portando avanti ma soprattutto testimoniano che è tempo di superare il modo di esercitare la carità cristiana basata sull’offerta di un pacco natalizio ai poveri o di qualche euro a chi bussa alla porta della canonica!

Convinzione feconda

Leggo da molti anni una rivista bimestrale delle Suore Apostoline che tratta prevalentemente di scelte vocazionali. “Se Vuoi”, così si chiama la rivista, tra le righe suggerisce le domande: “Che cosa il Signore vuole da me? Qual è il mio posto nel progetto di Dio?” e poi, neanche troppo velatamente, incoraggia la risposta radicale di dedicare l’intera vita a Dio e al prossimo. La rivista, che è di visioni larghe, non si limita a suggerire la scelta religiosa ma tenta anche di incoraggiare la scelta di una famiglia realizzata con maggiore consapevolezza ed inquadrata alla luce della fede ed infine non trascura neppure l’impegno ad aiutare tutti a comprendere che la vita è un magnifico dono da spendere sempre anche per gli altri. Nell’ultimo numero che mi è arrivato, ho trovato un bel servizio sulla testimonianza della Delbrêl, una splendida ragazza che, partita da un ateismo radicale e da una militanza di comunista convinta, folgorata dal Signore, sceglie di testimoniare la sua fede e il suo amore per l’uomo girando per i sobborghi più degradati delle periferie parigine. La sua testimonianza, in linea con la spiritualità dei nostri giorni, è discreta, silenziosa, aperta a tutti e in atteggiamento di comprensione e di accettazione del bene che può provenire anche da posizioni opposte a quella cristiana. Nel servizio mi ha colpito soprattutto un’affermazione di questa donna che interpreta, nella maniera più positiva, la proposta cristiana calata nella realtà del nostro tempo. Ella dice infatti: “La fede vince sempre e là dove pare non vinca, non è essa che perde ma è che la nostra presunta vita di fede, che non è né autentica né evangelica, che fallisce!”. Questa affermazione mi pare in linea con quella di Gandhi, la guida spirituale indù, che affermava: “L’amore vince tutto e sempre e quando pare che non vinca non dipende da esso, ma dal fatto che quello offerto non è vero amore!”. La crisi religiosa dei nostri giorni non è causata dall’incapacità di presa della proposta cristiana sulla gente d’oggi ma dal fatto che essa è impoverita e adulterata dai cristiani attuali!

Mantengo il “record” ma sono contento che esso sia insidiato

Venerdì, appena arrivato il nuovo numero di “Gente Veneta”, il periodico della nostra diocesi, ho sfogliato rapidamente il settimanale per dargli una prima occhiata esplorativa, ripromettendomi poi di leggere, con più calma, gli articoli che avrei trovato interessanti. Aperta la pagina dedicata alla riviera del Brenta sono stato subito colpito da una foto che occupava quasi mezza pagina del giornale e che ritraeva un folto gruppo di chierichetti. Pur non avendo tempo non sono riuscito ad esimermi dal leggere la breve didascalia da cui ho appreso che la parrocchia di San Nicolò di Mira, in cui è parroco don Gino Cicutto, il mio cappellano di trent’anni fa, conta su ben ottantatré chierichetti. Di primo acchito ho tirato un sospiro di sollievo constatando che la mia vecchia parrocchia di Carpenedo manteneva ancora il primato con i suoi cento chierichetti ma, immediatamente dopo, mi sono sentito enormemente felice nell’apprendere che il mio allievo di un tempo aveva imparato bene “il mestiere” ma, soprattutto, perché quel numero fa sapere, a tutte le 128 parrocchie del Patriarcato, che se c’è deserto attorno ad esse non è perché questa sia una nemesi storica ma semplicemente perché c’è mancanza di coraggio e di impegno! Questa testimonianza però non finisce qui perché quegli ottantatré ragazzi hanno tutti di certo un papà ed una mamma e quasi tutti anche un nonno e una nonna che probabilmente vanno a Messa, non fosse altro che per vedere le loro creature in tunica bianca servire sull’altare! Quei chierichetti, inoltre, hanno certamente anche compagni e compagne che si porranno la domanda: “Perché non ci vado anch’io?”. La crisi religiosa è determinata da molte cause di cui alcune indipendenti dalla nostra volontà ma, il disimpegno e il quieto vivere sono ascrivibili unicamente alla nostra responsabilità, tuttavia, se lo volessimo, sarebbero impedimenti facilmente superabili.

Investimenti

Fare i manichei nelle cose di Chiesa credo sia altrettanto sbagliato che impostare la pastorale sull’efficienza sostenuta da una finanza consistente. La vita di una parrocchia, lo si voglia o no, ha però anche delle componenti economiche che devono essere gestite con intelligenza e coerenza. Ricordo un detto latino che afferma: “Homo sine pecunia est imago mortis”, l’uomo senza soldi è l’immagine della morte. L’importante è che le risorse permettano di vivere e nel contempo diventino uno strumento pastorale.

Nella precedente riflessione ho tentato di suggerire ai colleghi e ai fedeli che la carità, nel bilancio della parrocchia, è una voce attiva e questo per incoraggiare ad un sempre maggior impegno caritativo. Ora vorrei dimostrare che lo spendere per annunciare il messaggio di Cristo mediante i mass-media, che oggi abbiamo a disposizione, non è solamente un investimento che produce a livello apostolico ma è anche un investimento che mette a disposizione ulteriori mezzi economici con cui è possibile seminare la “Buona Novella”. Monsignor Vecchi mi diceva che le spese sostenute per la stampa di apostolato sono spese sempre utili e sono sempre un investimento produttivo.

Mi sia concesso fare un esempio concreto: ogni settimana per “L’incontro” noi stampiamo trentamila fogli A4, tante sono le pagine del nostro periodico, con i costi relativi alla carta, alle matrici, all’inchiostro e alla macchina da stampa, costi quanto mai rilevanti poiché il periodico è distribuito gratuitamente. Nonostante questo, o meglio, proprio per questo, posso garantire, con prove alla mano, che questo investimento, con quello della carità, è una delle fonti di introito più redditizia per la Fondazione. Una volta ancora mi pare quanto mai valida l’esortazione di San Paolo che invita a seminare sempre e comunque con estrema generosità.

Lutero

Per molti anni ho cercato formule di preghiere, con contenuti profondi e stimolanti, da pubblicare su “L’Incontro”. Un paio di anni fa ho scoperto e pubblicato una preghiera di Martin Lutero, il famoso frate che cinque secoli fa ha promosso il grande scisma della Chiesa d’Occidente dando vita al protestantesimo. Di primo acchito rimasi un po’ titubante perché i miei catechisti e docenti di teologia mi avevano fatto conoscere un Lutero arrogante, crapulone, ambizioso, però la preghiera era così appassionata che ritenni giusto pubblicarla. Qualche sera fa poi, Rai Storia, ha dedicato un ampio servizio a Lutero e lo ha presentato come un autentico uomo di Dio. Una serie di studiosi e religiosi, che penso fossero prevalentemente protestanti, lo hanno descritto come un vero asceta, studioso, innamorato della parola di Dio e alla ricerca di una fede e di una vita religiosa veramente autentica. Alla mia bella età mi sento quasi costretto ad una revisione della mia cultura a proposito di questo personaggio che visse in tempi quanto mai deludenti ed incoerenti da parte dei Papi e dei cattolici del tempo. Confesso però che questa revisione e la conseguente riabilitazione che ho fatto di Lutero mi stanno facendo bene e mi aiutano a nutrire quello spirito ecumenico che apre alla comprensione, alla stima e all’amore di quelle moltitudini di discepoli di Gesù che lo hanno conosciuto per strade diverse da quelle che pratico io. Questa stima, verso quelli che un tempo avrei definito apostati e lontani dal Signore, mi fa bene e mi apre ad una fraternità universale sia nello spazio che nel tempo.

“Il Mughetto” e “Il San Camillo”

La settimana scorsa, facendo riferimento alla giornata per l’ammalato che si celebra in tutta Italia l’undici febbraio, festa della Madonna di Lourdes, ho ribadito con estrema franchezza che le parrocchie possono e debbono fare di più e di meglio per i propri ammalati. Pur sapendo di espormi al pericolo di essere accusato di autoreferenzialità. A supporto delle mie affermazioni, ho citato sommariamente le esperienze a cui, con l’aiuto dei miei numerosi collaboratori, ho tentato di dar vita.

Voglio ritornare brevemente su due di questi tentativi che, nonostante siano passati più di dieci anni da quando ho lasciato la parrocchia fortunatamente sono ancora attivi. Mi riferisco al “Gruppo del Mughetto” e al “Gruppo San Camillo”. Il primo è formato da alcune signore che, con la collaborazione degli scout della parrocchia, intrattengono, due pomeriggi alla settimana, alcuni disabili, più o meno gravi, dando così la possibilità alle loro famiglie di godere di un po’ di tempo libero per sbrigare i loro affari mentre il secondo è formato anch’esso da un gruppo di signore che sono impegnate, facendo frequenti visite agli infermi e agli ammalati della comunità.

Perché scrivo queste cose? Non certamente per farmi bello, ma per suggerire ai colleghi e ai cristiani impegnati che con queste iniziative si raggiungono almeno tre obiettivi: si aiuta la comunità a vivere secondo il Vangelo, si matura una cultura di solidarietà ed inoltre la parrocchia si crea una credibilità che favorisce “l’aggancio” con i non praticanti e con coloro che sono lontani. Questo non è poco ed è un’opportunità offerta a tutti!

“La tromba dello spirito Santo”

Non fa parte della raccolta dei “Fioretti di Papa Giovanni” ma il modo in cui questo grande Pontefice accolse in Vaticano, subito dopo la sua elezione, Don Primo Mazzolari corrisponde ad una pagina di storia documentata. Tutti sanno che questo sacerdote, che a tutta ragione può essere definito un “profeta” del nostro tempo, ebbe molto a soffrire dalla Chiesa.

L’apparato gli fece chiudere “Adesso”, la testata che questo prete “libero e fedele” aveva fondato, gli proibì di predicare fuori dalla sua parrocchia ma soprattutto lo accusò di poca fedeltà alla Chiesa stessa.

Appena eletto Giovanni XXIII disse: “Per prima cosa è giusto e doveroso riabilitare gli umiliati”. Invitò don Mazzolari in Vaticano e lo accolse benevolmente con queste parole ormai diventate famose: “Ecco la tromba dello Spirito Santo”, probabilmente per lodare la franchezza, il coraggio e la libertà di questo prete che nonostante tutto amò la Chiesa che lo aveva fatto soffrire. Qualche giorno fa mentre portavo “L’Incontro” al primo piano dell’Ospedale, un signore, che era intento a leggere il nostro periodico, alzò gli occhi, mi vide e pronunciò nei miei riguardi quella frase di Papa Giovanni.

È stata la seconda volta che mi è capitato di sentirmi interpellare con queste parole. Io non posso sostenere di essere stato perseguitato dalla gerarchia ma, qualche tirata d’orecchi l’ho pure avuta e soprattutto sono sempre stato relegato ai margini della Chiesa ufficiale. Ritengo però tutto questo un dono piuttosto che un castigo, dono che mi ha aiutato a rimanere “libero e fedele”.

Religiosità sofferta

Mi è capitato di incontrare, qualche settimana fa, una signora relativamente giovane della quale conoscevo solamente i suoi ottimi genitori. Nel brevissimo approccio che ebbi con lei, prima del rito funebre, mi confidò la drammatica situazione di divorziata che non poteva accostarsi all’Eucarestia, mi disse pure che la seguiva un buon prete del quale io ho molta stima.

Non conosco i particolari che la portarono alla separazione e ad un nuovo matrimonio, motivo per cui mi è difficile formulare un giudizio seppur sommario, nutro però una grande perplessità nel ritenere che “il peccato” di separarsi dal coniuge, ammesso che questa creatura abbia delle colpe, sia l’unico peccato che non possa essere perdonato, per cui chi lo ha “commesso” non può incontrare il Signore anche “fisicamente”. Sono convinto che ai nostri giorni servirebbe un Concilio Ecumenico almeno ogni dieci anni perché la religione tenga il passo con la vita reale della gente del nostro tempo! Ho l’impressione che Papa Francesco la pensi così. I suoi primi tentativi di aggiornamento dottrinale purtroppo però sono stati vani a causa di una folla di “parrucconi” avulsi dalla vita reale che sembra si sentano messi da parte se non hanno la possibilità di porre veti e rendere l’esistenza simile ad un percorso di guerra pressoché impraticabile!

Una sola Messa

Ricordo un parroco di Venezia che ha raggiunto una certa notorietà con lo slogan che ha coniato per promuovere una campagna contro l’eccessivo numero di Messe che vengono celebrate a Venezia a motivo del numero consistente di chiese, di preti che abitano nella città insulare in rapporto alla costante e progressiva diminuzione di abitanti.

Questo parroco ha scritto nel suo bollettino parrocchiale: “Più Messa e meno Messe!” volendo affermare che la celebrazione eucaristica deve essere più ricca spiritualmente, più viva e partecipe, mentre una certa esagerata ripetizione del rito sacro rischia di svilirlo e di fargli perdere, presso i fedeli, la sua ricchezza spirituale. Posso essere anche d’accordo su questa tesi di fondo, purché non la si porti alle estreme conseguenze!

Recentemente mi è capitato di leggere che in una parrocchia di duemilacinquecento anime, anche la domenica, si celebra una Messa soltanto; sarà anche una bella Messa, celebrata bene, con la partecipazione di tanti fedeli, ma credo che si sia esagerato nel puntare al “più Messa” perché una qualche attenzione per gli impegni dei fedeli del nostro tempo la si deve pur avere!