L’ecumenismo che mi piace

Fino ad una ventina di anni fa ero convinto che fosse un impegno di noi cattolici convertire alla nostra Chiesa non solamente i pagani e gli uomini che appartengono ad altre religioni quali l’Islam, il Buddhismo, il Confucianesimo ecc. ma pure i fedeli di altre confessioni cristiane come i Luterani, i Battisti, i Mormoni, i Calvinisti e l’infinito arcipelago di confessioni protestanti e di Chiese ortodosse.

Poi, a Dio piacendo, nella Chiesa Cattolica si cominciò a parlare di rispetto, di tolleranza ed infine di ecumenismo cioè della ricerca per trovare un minimo comune denominatore tra tutti i credenti nella comprensione e nel rispetto reciproco. Per molto tempo però questo discorso è rimasto confinato agli esperti e agli specialisti di teologia che, credo, se lasciati discutere sulle loro questioni di lana caprina non basterebbero i millenni a venire. Per grazia del Signore questi temi hanno cominciato a interessare dalla base il popolo di Dio iniziando a trovare comprensione, intesa e collaborazione.

In questi giorni ho toccato con mano quanta strada abbia fatto questo movimento non solamente tra i cattolici ma anche nelle altre confessioni religiose. Eccovene una prova! Accanto al don Vecchi di Campalto i cristiani copti egiziani hanno costruito una chiesa secondo i canoni della loro tradizione, edificio che alcune persone, poco esperte, scambiano per una moschea! Fin dai primi passi della nostra avventura sociale abbiamo trovato in questi fratelli di fede una collaborazione calda e fraterna tanto che ci hanno messo a disposizione l’area per il cantiere e ci hanno colmato di molte attenzioni. Qualche giorno fa è venuto a Campalto il loro “Vice Papa”, il vescovo ortodosso che presiede tutte le comunità copte d’Europa. Quest’uomo di Dio ci ha accolto con grande fraternità, ci ha fatto visitare la sua chiesa quasi pronta, ci ha proposto di recitare assieme il Padrenostro ed infine, con mio grande stupore e sorpresa, ci ha comunicato di averci riservato l’altare di destra perché potessimo celebrare la Messa festiva in un luogo degno e sacro.

Raramente ho incontrato un “confratello” tanto generoso e disponibile! Mi auguro di tutto cuore e, per quanto mi riguarda, farò l’impossibile affinché la Fondazione metta a disposizione dei cristiani copti un terreno che serve loro per creare un seminario. Sono convinto che l’incontro e la comunione si trovino in questi gesti piuttosto che nelle discussioni dei nostri teologi.

Adorazione perpetua

Sento il bisogno e il dovere di ritornare su un argomento del quale ho parlato più volte ma che però mi pare non sia ancora riuscito a penetrare nella coscienza collettiva dei cattolici della nostra diocesi. Lo faccio in occasione dell’inaugurazione dell’adorazione perpetua iniziata solennemente qualche giorno fa nella chiesa di San Silvestro a Venezia con la presenza del Patriarca, di numerosi sacerdoti e di molti fedeli.

Quello dell’adorazione all’Eucarestia, a tutte le ore del giorno e della notte, è stata una iniziativa realizzata per molti anni nella chiesa di San Giuliano che poi però, non so per quali motivi, è venuta meno. Don Narciso Danieli, parroco della comunità di Santa Maria Goretti in vicolo della Pineta, ha rilanciato questa pia pratica con successo tanto che pare che ben quattrocento persone si siano impegnate a coprire le 24 ore di tutti i giorni della settimana.

Io non posso che essere contento di questa pia pratica che si aggiunge alle novene, ai tridui, ai pellegrinaggi e alle tantissime altre iniziative che la pietà cristiana ha “inventato” lungo i secoli per manifestare a Dio Padre il ringraziamento, la richiesta di perdono e la lode. Una monaca delle Serve di Maria del Monastero di Via San Donà disse a chi criticava le monache che invece di servire i poveri e i bisognosi passavano le loro giornate in preghiera: “Noi abbiamo scelto di essere le testimoni dell’Assoluto perché vogliamo ricordare agli uomini l’altra faccia della medaglia della vita!”.

Io sono totalmente d’accordo con queste religiose. Guai se non ci fosse al mondo qualcuno che ci ricordi che dobbiamo tutto al Signore! Mi auguro di tutto cuore che la comunità di Santa Maria Goretti a cui si è aggiunta ora quella di San Silvestro siano per Mestre, per Venezia e per le relative chiese le “testimoni visibili dell’Assoluto”.

Mi auguro poi che nella Chiesa veneziana ci siano discepoli di Gesù che sia di giorno che di notte lo amino, lo servano e lo ascoltino cercandolo anche nelle realtà dei poveri. Se l’Eucarestia è un segno che Cristo Figlio di Dio è rimasto con noi, i poveri testimoniano ancora di più la presenza in mezzo a noi del nostro Redentore e Salvatore.

Gesù, San Giacomo, San Giovanni Crisostomo, i Santi di ieri e di oggi e il nostro Pontefice ci ripetono costantemente questa grande verità, nonostante questo però pare che la nostra Chiesa non abbia ancora organizzato un servizio efficiente, sia di giorno che di notte, per amare e servire il Cristo presente nei poveri.

La fioritura del vecchio tronco

Anch’io abbastanza di frequente auspico con molta convinzione un aggiornamento dell’ormai vetusto impianto pastorale delle nostre comunità cristiane. Talvolta sarei tentato di sperare in una “rivoluzione” radicale però sapendo, anche per esperienza diretta, quanto sia elevato il “costo” di queste rivoluzioni, ripiego sulla richiesta di un aggiornamento più rapido e più adeguato alla sensibilità e alle attese dell’uomo d’oggi.

Tagliare le “radici” è sempre un’operazione dagli esiti estremante aleatori; è di certo più saggio e più produttivo, per rafforzare la pianta, effettuare una bella potatura e se necessario anche una concimatura appropriata ed abbondante per darle rinnovato vigore. Recentemente ho riflettuto su questo problema riconfermando la mia conclusione sull’opportunità di un aggiornamento piuttosto che di una difficile e pericolosa rivoluzione.

Questa ulteriore riflessione è stata determinata dalla richiesta di don Gianni, il mio giovane successore nella parrocchia di Carpenedo, di un aiuto per le prime confessioni dei suoi ragazzi giunti a questa tappa del loro itinerario cristiano. Sono arrivato in chiesa in anticipo tanto che ho potuto assistere al “fioretto” del mese di maggio dei ragazzi della parrocchia. La chiesa era letteralmente gremita di ragazzi e di genitori, la preghiera e il canto partecipati con intensità e vivacità dall’intera assemblea e le parole del giovane parroco appropriate e quanto mai convincenti.

Non si può dire che il vecchio fioretto, al quale pure io ho partecipato quasi ottant’anni fa, rappresenti la punta più avanzata della pastorale della parrocchia eppure ho assistito alla sua splendida e gioiosa fioritura. Quindi mi è venuto da concludere: bisogna tagliare solamente i rami secchi, potare quelli improduttivi ma, finché il tronco produce fiori così belli e promettenti, sarebbe sciocco ed assurdo abbattere questi vecchi “tronchi” nati nella Chiesa in tempi tanto lontani.

Fiore di ortica

In una delle precedenti riflessioni ho riferito della mia passione di raccogliere “fiori”, fiori normali simili a quelli che nascono nei prati delle periferie della nostra città o perfino nei vasi sui davanzali delle finestre delle nostre case. Fuori dalla metafora confesso che mi piace quanto mai deliziarmi della scoperta e della raccolta di certi gesti semplici, gentili, espressione di calda umanità.

Un tempo, come confidavo agli amici, uscivo ogni giorno con il cestello in mano per questa raccolta, tanto che in pochi anni ho riempito due o tre volumetti con questi “fioretti” di stile francescano. Poi uscendo dalla parrocchia ho continuato a mantenere questa passione ma avevo smesso di fissarli sulla carta, come un tempo erano solite fare le ragazze che essiccavano tra le pagine dei loro diari sentimentali certi fiori semplici che ricordavano loro momenti di incontro, di ebrezza e di sogni rosa. Ho ripreso da qualche settimana questa raccolta che allieta il mio animo e lo addolcisce da tutte le brutture e le stonature che purtroppo incontro sui giornali e sullo schermo della televisione.

Confesso però che anche in questa nobile e gentile passione si possono fare degli incontri sgraditi e raccogliere “fiori” che nella sostanza non sono tali perché nascondono sorprese amare e deludenti. Quasi senza accorgermene mi capita talora di cogliere un’ortica oppure un cardo pungente. Eccovi l’ultima avventura amara. Qualche giorno fa due fidanzati controcorrente sono venuti da me per prepararsi alle loro prossime nozze da celebrarsi fortunatamente in chiesa. Durante la conversazione cordiale ed affettuosa mi è capitato di apprendere che in una parrocchia della nostra città, per la sola compilazione dell’atto di matrimonio, sono stati chiesti loro ben duecento euro nonostante lei sia disoccupata e lui un impiegatino di primo pelo. Questo fiore di ortica mi ha riempito di amarezza e di rossore pensando soprattutto a Papa Francesco impegnato in una rivoluzione difficile e piena d’insidie!

Un discorso senza parole

Le mie principali occupazioni sono la celebrazione della liturgia nella mia cara ed accogliente “cattedrale tra i cipressi”, il colloquio con i fratelli colpiti dal dolore per la perdita di un loro caro congiunto e la frequentazione pluridecennale del Camposanto della nostra città.

Ora normalmente entro in cimitero più volte al giorno passando per il grande cancello e attraverso il piazzale degli uffici ma non passa giorno che non imbocchi anche l’entrata storica che dal cancello in ferro battuto porta alla “Cappella della Santa Croce”. A metà strada tra il cancello e la cappella due angeli di bronzo, dalla tomba di don Vecchi ormai da più di vent’anni, annunciano ai passanti la splendida verità: “È risorto, non è più, lo puoi incontrare domani più avanti”. Non passa giorno quindi che non mi soffermi per qualche minuto a guardare l’immagine un po’ sbiadita ma ancora bella di Monsignore, a leggere le due date, quella dell’inizio e quella della fine della sua vita terrena, confrontandole con la mia realtà e a meditare per poi concludere l’incontro con il vecchio maestro con una preghiera.

Durante queste mie soste di riflessione non so più quante volte mi sono ritrovato a pormi le stesse domande: “Chi ricorda ancora la rivoluzione pastorale del delegato patriarcale per la terra ferma? Chi ricorda ancora il suo progetto e le sue opere di pietra e di riorganizzazione della vita ecclesiale? Chi ricorda che Monsignore ha costruito Cà Letizia, Villa Giovanna, il Palazzo delle Comunità, la grande struttura di fronte alla canonica, l’Agorà, il cinema Mignon, il rifugio San Lorenzo? Chi ricorda il progetto per una pastorale globale per Mestre, il centro culturale del Laurentianum, l’opera per i poveri, il segretariato della gioventù, la rivista e il settimanale “La Borromea”? Forse don Franco ed io siamo rimasti gli unici testimoni della grande rivoluzione di Monsignore. Morti noi due tutto sembrerà scontato e normale!

Queste riflessioni mi aiutano a capire che anche per me sarà la stessa cosa e a concludere che l’importante però è rimanere fedeli alla propria coscienza e servire la comunità cristiana senza aspettarsi nulla!

Una scelta sbagliata

L’altra sera, durante il telegiornale, la conduttrice ha letto una laconica notizia: “Civati lascia il P.D.”. Il deputato monzese è uno dei politici di spicco della minoranza o, sarebbe meglio definire, della “fronda” del partito democratico che non condivide le scelte del segretario Matteo Renzi. Premetto che io non condivido per nulla la condotta della sinistra di questo partito, reputo che la sua opposizione sia pretestuosa e preconcetta perché anche se Renzi oggi li accontentasse domani troverebbero altri pretesti per opporsi. Quasi certamente questa opposizione così accanita, tanto da arrivare perfino alla rottura e all’uscita dai ranghi, penso sia dovuta non a motivi ideali ma a “interessi di bottega”! Comunque ammiro, anche se non condivido, la scelta di Civati che abbandona.

Questo episodio abbastanza marginale nella vita del nostro Paese mi offre l’opportunità di ribadire un concetto espresso da Gandhi che ben si adatta a questo tipo di comportamenti. Uscire, sbattendo la porta, credo sia sempre svantaggioso per la causa che si crede giusto portare avanti. Uscendo da una compagine affermata si diventa un nulla ma soprattutto si priva l’organismo in cui si milita di quella dialettica interna che arricchisce sia chi la porta avanti sia chi la subisce. Il confronto, anche polemico, ma soprattutto il dialogo costruttivo fa crescere e fa emergere sempre la linea vincente.

Questo vale nella politica ma anche nella religione. Se torno indietro nel tempo, agli anni del modernismo, i pur validi sacerdoti quali Don Murri o Don Bonaiuti, che hanno rotto con la Chiesa, sono scomparsi e anche più recentemente, al tempo della contestazione del sessantotto, della purtroppo folta schiera di sacerdoti che per dissenso hanno abbandonato, non è rimasto nulla.

Credo sia una scelta saggia e produttiva impegnarsi e perfino contrapporsi rimanendo però all’interno della struttura in cui si milita. Don Mazzolari ebbe come motto “liberi e fedeli” ed ora, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto superare per l’ostilità patita nella Chiesa, pare si ventili la possibilità di introdurre la causa per la sua beatificazione. Da questa convinzione nasce la linea editoriale de L’Incontro.

Benedette parrocchie

In queste settimane, che precedono le elezioni comunali e regionali, ricevo abbastanza di frequente la visita di persone che si sono candidate a compiere questo servizio sociale. Abbiamo ripetuto che i Centri Don Vecchi sono aperti a tutti, proprio a tutti, perché tutti hanno bisogno di imparare qualcosa da essi e noi del Don Vecchi abbiamo veramente bisogno della simpatia e della collaborazione di chi, fra qualche giorno, avrà la responsabilità diretta della comunità cittadina e regionale.

In questi giorni ho avuto modo di fare due considerazioni: la prima è che non tutti i candidati sono degli opportunisti, dei furbastri e degli approfittatori come spesso l’opinione pubblica ritiene e sono sempre più convinto che ci siano dei concittadini spinti da una forte passione civile e da motivazioni ideali alte e molto nobili. Guai al cielo se non ci fossero! Queste persone è giusto, anzi doveroso sostenerle, incoraggiarle perché la società ha bisogno di chi crede nell’utopia! La seconda osservazione è un po’ più amara: in questo mese ho incontrato finora i rappresentanti dei partiti più consistenti e più affermati ma non quelli dei partiti più piccoli che normalmente hanno una carica ideale più genuina e più intensa. Spero che ciò sia avvenuto solamente a causa di un’organizzazione più fragile perché sono profondamente convinto che anche queste formazioni minori abbiano qualcosa di valido da offrire alla Città e alla Regione.

L’altro ieri è venuto il signor Ordigoni, un mio vecchio parrocchiano, che per una vita è stato impegnato nel sindacato e che negli ultimi anni ha fatto il presidente nel quartiere di Favaro Veneto. Quando visitavo i miei parrocchiani, a casa sua incontravo solo la moglie perché l’impegno civile lo ha sempre assorbito. Non vedevo questo “parrocchiano” fin dal tempo in cui ci diede una mano per le vicende del Don Vecchi di Campalto e nella conversazione calda e amichevole che ho avuto con lui mi è piaciuto quanto mai quando mi ha detto: “Don Armando, io credo nelle parrocchie, esse sono sempre disponibili e aperte ad ogni bisogno”. Mi fa piacere che uomini della politica e dell’amministrazione civica abbiano questa considerazione delle comunità parrocchiali!

Bene, Papa Francesco!

Un paio di settimane fa Papa Francesco ha affermato che, la persecuzione perpetrata dall’impero Ottomano (l’attuale Turchia) all’inizio del secolo scorso nei confronti della popolazione armena durante la quale vennero massacrati un milione di cattolici, è stato il primo genocidio. In quell’occasione forse molti benpensanti si saranno chiesti come mai questo Pontefice abbia voluto sollevare un simile vespaio suscitando reazioni facilmente prevedibili per un evento dal quale ci separa giusto un secolo.

Costoro sono certamente rimasti perplessi mentre io sono quanto mai convinto che la dichiarazione di Papa Francesco sia stata un atto di estrema onestà intellettuale. Non si devono dire le cose solamente quando ci conviene o quando si pensa che non susciteranno la reazione dei potenti. La verità va detta sempre, costi quello che costi, perché il male e le prevaricazioni vanno sempre condannate per rispetto del valore assoluto della verità e nel tentativo di creare una coscienza collettiva onesta. La Chiesa cattolica oggi può permettersi di farlo perché ha già chiesto pubblicamente perdono all’intera umanità per i suoi peccati quali: le crociate, l’inquisizione, le persecuzioni degli ebrei, dei catari, degli albigesi, le stragi degli indigeni del nuovo mondo e le condanne degli uomini di scienza come Galileo. Avendo fatto ammenda per i suoi comportamenti può legittimamente e doverosamente indicare alla coscienza del mondo la tratta dei negri, i genocidi dell’impero ottomano, di Hitler, di Stalin, dell’Uganda e del fondamentalismo islamico; purtroppo questa è una litania infinita!

Quanto mi piace questo Papa che tenta di far sì che la sua Chiesa diventi coscienza rigorosa per il mondo intero! Grazie, Papa Francesco, grazie anche per questa lezione di coraggio e di onestà morale!

Non possiamo voltarci dall’altra parte

Ogni giorno si fa sempre più angoscioso e tragico l’esodo degli infelici che, scappando da quei paesi in cui infuria una guerra senza più alcuna legge e limite di crudeltà, cerca la salvezza sulle sponde della nostra Penisola. Per queste creature, povere ed angosciate, pare che l’unica via di fuga possibile sia soltanto attraversare il Mediterraneo. Il percorso è quanto mai infido e pericoloso a causa dei vecchi barconi sui quali vengono accalcati ma soprattutto per gli aguzzini che, speculando sulla loro paura e sulla loro speranza, li traghettano spolpandoli dei pochi dollari che sono riusciti a racimolare vendendo tutto quello che possedevano. L’attuale esodo è uguale se non peggiore di quello organizzato tre secoli fa da negrieri senza scrupoli che sequestrarono un ingente numero di africani e li portarono a lavorare, come schiavi, nelle piantagioni di cotone e di canna da zucchero degli Stati del Nord, del Centro e del Sud America.

A questo dramma infinito dei profughi si aggiunge quello dei nostri compatrioti che, avendo dimenticato che anche i loro nonni, dopo la Grande Guerra, cercarono salvezza dalla fame in terra d’America, sono quanto mai preoccupati di dover ospitare e mantenere queste decine di migliaia di uomini spaesati e senza futuro. L’organizzazione statale sembra giunta al tracollo sia nel trovare stabili idonei sia nel provvedere ad una pur sommaria sistemazione.

Papa Francesco ha invitato frati, suore e preti a offrire i conventi ormai deserti però finora non mi è mai capitato di leggere che qualcuno abbia dato una risposta positiva all’invocazione del nostro Pontefice; diocesi, ordini religiosi e parrocchie pare facciano orecchie da mercante e lascino cadere nel nulla questi appelli angosciati. Credo che anche la parrocchia più piccola e più povera potrebbe pagare l’affitto di un appartamento per ospitare una famigliola e questo forse è il modo più facile per aiutarla ad inserirsi nel nostro tessuto sociale. Se poi lo stato, invece di versare a cooperative e ad enti di ogni genere, che spesso speculano sui drammi altrui, versasse direttamente agli interessati ciò che ha deciso di spendere per loro, forse questa potrebbe diventare una soluzione ottimale.

I barboni in Vaticano

Papa Francesco non molla! Ormai sono di dominio pubblico le sue scelte personali legate ad uno stile di vita sobria, coerente, evangelica che si rifà al modo di vivere e di comportarsi della povera gente.

Il concetto del “Papa re”, che era già stato intaccato dai suoi immediati predecessori, Papa Francesco lo ha letteralmente distrutto. Il mondo intero sa che si porta la borsa, usa l’utilitaria, vive in un appartamento normale a Santa Marta, usa l’autobus per spostarsi, in chiesa si siede nei banchi con tutti gli altri, si mette in fila per ritirare il vassoio alla tavola calda, adopera vesti sacre normali ed evita ogni pomposità.

Coerente con tutto questo invita gli ordini religiosi ad aprire conventi, monasteri e strutture, che sono ormai vuote, per ospitare i senza tetto e gli immigrati dell’Africa, bacchetta spesso i vescovi dagli atteggiamenti troppo principeschi, invita i preti ad usare l’utilitaria, i cristiani a frequentare le periferie, suore e frati a fare la scelta dei poveri e a condividere la loro vita. Pare che oggi abbia iniziato la terza fase della sua “rivoluzione” per rendere la Chiesa più solidale con i poveri aprendo lo stesso Vaticano all’accoglienza degli ultimi.

Ben si intende le sue sono scelte poco più che simboliche ma comunque tese allo stesso scopo, quello di dire al mondo intero che la Chiesa vuole diventare la casa dei poveri. Mi ha colpito la decisione del Papa di creare presso gli edifici adiacenti al Colonnato, cuore di Roma e della cristianità, bagni, docce e barbiere per i barboni, arrivando perfino ad invitarli a visitare i musei vaticani, non dimenticando però che essi avrebbero si gradito un invito tanto onorifico, ma forse ancor di più avrebbero gradito il rinfresco al termine della visita. Mi pare poi che non possiamo dimenticare le telefonate del Papa a persone in difficoltà, le offerte personali e la nomina di un vescovo incaricato di fare la carità a nome suo.

Papa Francesco è buono, caro, umile ma deciso e determinato a realizzare il suo progetto. Ora, cardinali, vescovi, monsignori, preti, frati, monache e cristiani normali non hanno che imboccare la strada indicata. Non ci sono più scuse per nessuno!

Gesù e la religione

Premetto che io so bene di non essere né il Papa, né un Vescovo, né un teologo e purtroppo neppure un Santo, motivo per cui le mie parole sono solamente quelle di “un povero cristiano” che cerca con ogni mezzo la verità.

Vorrei solamente confidare ai miei concittadini e fratelli di fede le piccole “scoperte” che vado facendo nella mia ricerca quotidiana.

Una delle ultime conclusioni a cui sono giunto, in questo tempo in cui ho riflettuto in modo particolare sulla Resurrezione e sul Mistero Pasquale, è stata questa: Gesù, come uomo, era profondamente religioso, il Vangelo infatti documenta abbondantemente come si rivolgesse spessissimo al Padre, pregasse di primo mattino e fino a notte inoltrata, tuttavia in chiesa entrava poche volte e i suoi rapporti con la gerarchia ecclesiastica non sono mai stati idilliaci anzi, di frequente sono stati caratterizzati più dallo scontro che dall’incontro, tanto che suddetta gerarchia lo ha contrastato in tutti i modi, riuscendo alla fine a sbarazzarsi di Lui facendolo crocifiggere.

Questo non vuol dire che sia giunto alla conclusione di scoraggiare la gente dall’andare in Chiesa, dall’osservare le norme che la religione giustamente ci suggerisce, però mi induce a concludere che è ancora più importante ascoltare la voce della propria coscienza, avere un rapporto costante e profondo con nostro Signore, interrogarlo ed ascoltarlo nelle difficoltà, avere rigore morale e soprattutto praticare in maniera seria e coerente la solidarietà.

Non vorrei lasciarmi andare ad una battuta ad effetto in cose così importanti però sono indotto a pensare che Gesù sia stato sì profondamente religioso, ma non bigotto e nemmeno troppo preoccupato di ridurre la sua religiosità alla pratica dei riti sacri.

Le attuali “parole chiave”

In ogni stagione si scoprono e si usano parole chiave che identificano i problemi più scottanti e cruciali e che, il più delle volte, si ritiene siano le chiavi per capire, affrontare e risolvere suddette criticità. Vorrei soffermarmi su alcune di queste parole che una volta si definivano “magiche”, ma che ora, in un tempo di laicismo imperante, si ritiene siano invece le ultime “scoperte” per dare soluzione a problematiche che superano le capacità dell’individuo e delle comunità, specie di quelle più piccole.

Una delle locuzioni oggi più ricorrenti è quella di: “investire nella ricerca”. Tutti affermano che le aziende che investono nella ricerca riescono a stare sul mercato e a sviluppare le proprie attività creando reddito. Se applicassi questa conclusione alle nostre parrocchie e se questo enunciato fosse valido, esse dovrebbero essere destinate al fallimento certo perché ormai, da decenni, queste realtà sono rimaste ingessate. Infatti, a livello parrocchiale, io non riesco a scoprire alcunché di nuovo per quanto riguarda la carità, i massmedia, il mondo giovanile e la presenza sul territorio; mi pare anzi che nell’ultimo mezzo secolo si debba registrare piuttosto qualche passo indietro mentre la società civile, in questo lasso di tempo, è passata dal grammofono alla televisione, dal pallottoliere al computer! Investire sull’uomo non solo è una necessità ma è soprattutto un dovere se si crede nel messaggio evangelico e se si vuole sopravvivere.

Oggi si parla poi spessissimo della necessità “di far rete”: solamente Mussolini ha predicato l’autarchia! Se le parrocchie della nostra città non si mettono assieme a progettare una pastorale comunitaria rimarranno sempre più fragili, impotenti, incapaci di far passare un messaggio ed una testimonianza recepibile dalla gente del nostro tempo.

Nel passato ho definito le parrocchie di Mestre come un arcipelago di tante isolette autonome e non comunicanti, ora, adoperando la definizione del filosofo von Leibniz nei riguardi dell’uomo, sarei tentato di parlare di “monadi senza porte e senza finestre”. Le nuove esigenze determinate dalla crescita e dallo sviluppo, che valgono per il commercio e per l’industria, purtroppo valgono anche per le comunità cristiane che vogliono stare a galla e continuare a diffondere, con risultati positivi, la loro proposta.

Ancora sulla carità

Siamo alle solite; ho affermato fin troppo spesso che ammiro come mio fratello don Roberto svolge il ruolo di parroco a Chirignago. Ritengo don Roberto molto più intelligente di me, infinitamente più bravo nel parlare e soprattutto nello scrivere. Mio fratello è un autentico trascinatore di ragazzi e di giovani. Non glielo ho mai detto ma gli rimprovero di dedicare poco tempo alla pastorale espressa da uno dei suoi fondamentali strumenti quale è il messaggio scritto. Don Roberto scrive con una spontaneità, un’immediatezza ed una presa estremamente efficace, però si limita a qualche articoletto sul suo foglio parrocchiale (pagina unica). Don Roberto ha confessato pubblicamente che ha disobbedito una sola volta a Papa Luciani, del quale era un grande ed appassionato ammiratore, quando il defunto Patriarca, che era un vero conoscitore di uomini, gli chiese di frequentare un corso di giornalismo a Milano. Probabilmente aveva qualche progetto su di lui, ma egli rispose di no: era troppo attaccato ai suoi ragazzi e ai suoi giovani. Questo, oltre all’affetto e al legame che ho nei suoi confronti, è il motivo per cui leggo sempre e volentieri “Proposta”, il periodico della sua parrocchia. Non sempre però condivido le sue scelte, specie per quanto riguarda la solidarietà e l’aiuto ai poveri. Recentemente don Roberto è intervenuto due o tre volte sull’argomento dell’elemosina in parrocchia che riassumo: prima facevano la carità ogni volta che i poveri suonavano al campanello, poi decise di fissare un solo giorno offrendo due euro, quindi ridusse l’obolo ad un euro ed infine sentite come ha pensato di risolvere il problema:

“Abbiamo trovato la soluzione”

La notte porta consiglio. E così l’altra notte mi è venuta in mente un’idea che abbiamo messo in pratica questo mercoledì con i mendicanti che suonano alla nostra porta: non più un euro a testa, ma un sacchetto con una scatola di tonno e quattro pacchetti di cracker. Il valore economico è uguale: un euro, ma, mi sono chiesto: come andrà? E’ andata, ed è andata così: dei 115 di due settimane fa, se ne sono presentati poco più di 30 (il tam-tam arriva presto ed arriva lontano) e di questi solo 19 hanno accettato il sacchetto, gli altri lo hanno tranquillamente rifiutato. Questa esperienza insegna qualcosa: che non è il cibo che manca a quelli che chiedono l’elemosina. Sbagliamo, sbagliate a dare un euro, o poco più o poco meno, a chi suona alla porta delle nostre case o ci chiede il carrello davanti ai centri commerciali o davanti ai supermercati. Il cibo è l’ultima delle loro preoccupazioni. Il fatto è dimostrato. E d’altra parte con le tante mense tenute dalla Chiesa nel nostro territorio non poteva essere che così. I mendicanti cercano la monetina: nei casi più innocenti per le sigarette o la ricarica telefonica; in altri per la dose giornaliera di sostanze.

Sono contento di come è andata a finire.

don Roberto Trevisiol

Con tutto il rispetto e la stima che ho per mio fratello ho l’impressione che il comandamento del Vangelo: “Ama il prossimo tuo come te stesso” esca piuttosto malconcio dalla sua soluzione. La “toppa” non solo non risolve ma aggrava il problema. Ritorno quindi sull’annosa questione constatando che la Caritas non solo non è riuscita ma pare neppure sia intenzionata a proporre un progetto globale sulla carità. Senza un progetto e senza mettere in rete i vari problemi si arriva purtroppo a soluzioni ben misere.

Laureato all’università della “strada”

Qualche settimana fa ho pubblicato sulla copertina de “L’Incontro” una bella foto del Patriarca assieme ai futuri sacerdoti della Chiesa veneziana, che non sono più di una ventina. Attualmente il seminario non ha più né le scuole medie né quelle superiori ma soltanto studenti che frequentano il corso teologico di sei anni e quindi i nuovi seminaristi, entrati tutti adulti, hanno frequentato corsi di studio tra i più disparati. Dovrei essere contento che il corso teologico del nostro seminario sia strutturato come i corsi universitari, per i quali vi sono sessioni di esame durante l’anno, e altrettanto contento perché queste scelte del sacerdozio sono fatte in età adulta; eppure confesso di aver l’impressione che questi futuri sacerdoti eccedano nello studio di discipline ecclesiastiche ed in frequentazioni liturgiche, perdendo il contatto con la vita reale e con una mentalità che mal si coniuga con gli studi teologici sempre sofisticati e pressoché incomprensibili per l’uomo della strada.

Mi pare di registrare, in maniera sempre più evidente, che il modo di essere religiosi oggi s’allontani sempre di più dalle elaborazioni e dagli schematismi della liturgia e della teologia tradizionale e quindi ci sia l’urgenza e la necessità di “inventare” una preparazione al sacerdozio ben diversa da quella imposta dalle Congregazioni Vaticane. Il successo dell’insegnamento e della pastorale del nostro Papa, che si è formato nel mondo delle periferie, mi pare evidenzi questa necessità di calarsi nel mondo reale frequentandolo maggiormente. Ricordo che una ventina di anni fa venne a Mestre un giovane frate, discepolo di San Francesco, che frequentava il mondo degli emarginati e che aveva grande presa sui giovani; al fraticello un giorno domandarono in quale università ecclesiastica si fosse laureato ed egli rispose franco e convinto: “Ho frequentato i corsi dell’università della strada!”. Pare che anche Gesù propendesse per questa soluzione quando disse: “Il cristiano deve essere lievito che fa un tutt’uno con la pasta e la fa lievitare all’interno con la sua presenza umile, nascosta ma vitale”. Ho la sensazione che oggi la riforma dei seminari abbia ancora molto cammino da fare!

Conosciamo bene i testimoni del Risorto

Sessant’anni fa, appena ordinato sacerdote, arrancavo più di ora per preparare il sermone della domenica. Ricordo che un sabato, Monsignor Aldo Da Villa, mio parroco a San Lorenzo, sacerdote che parlava alla gente in maniera estremamente convincente, mi chiese se avessi preparato la predica per il giorno dopo. Gli risposi di sì. Io sono sempre stato scrupoloso in questo dovere sia per rispetto alla Parola del Signore sia per le legittime aspettative dei fedeli. Ricordo però che allora soggiunsi: “Ho fatto fatica a preparare qualcosa che convincesse in primis me stesso tanto che mi viene l’angoscia al pensiero di cosa potrò dire di nuovo l’anno prossimo”. A quei tempi la liturgia non prevedeva il ciclo triennale come avviene oggi, motivo per cui ogni anno capitava di commentare lo stesso brano del Vangelo.

Monsignore mi rispose benevolo ed incoraggiante: “Non ti preoccupare, ti accorgerai da solo che ogni anno la Parola del Signore ti offrirà spunti ed interpretazioni sempre nuove, motivo per cui se ti prepari e preghi avrai sempre qualcosa di nuovo e di valido da offrire ai fedeli”. Al momento non mi convinse fino in fondo ma, col passare del tempo, ho constatato che aveva perfettamente ragione! Qualche settimana fa ne ho avuto un’ulteriore conferma leggendo “il fondo” del direttore del “Messaggero di Sant’Antonio” il quale afferma, nel suo articolo in occasione della Pasqua: “Sulla Resurrezione sappiamo poco, tanto poco; non sappiamo infatti come sia avvenuta e per di più i testi evangelici sono confusi, quasi contraddittori. Ad esempio la Maddalena che scambia Gesù risorto con l’ortolano, Pietro e Giovanni che si accontentano del fatto che nel sepolcro ci siano solamente le bende e non il corpo del Risorto ma non dicono perché questa prova così fragile li abbia convinti, ed altro ancora!” però, continua il frate di Sant’Antonio: “noi però conosciamo bene, anzi molto bene, i testimoni della Resurrezione, quanto abbiano faticato, si siano impegnati notte e giorno per annunciare questa notizia così rivoluzionaria ed esaltante e come tutti non abbiano esitato a pagare con la vita questo annuncio”. Già nel passato mi era parso di aver compreso che anche noi oggi possiamo incontrare il Cristo risorto con il suo annuncio e la sua proposta, nella vita, nelle parole, nelle scelte e nelle opere degli uomini migliori che danno un volto luminoso, bello e reale al Cristo risorto. È proprio vero che “il Signore è vicino e si fa conoscere a chi continua a cercarlo con cuore umile e sincero”.