Micro o macro parrocchie?

Ho letto con attenzione l’articolo di fondo del primo numero di “Gente Veneta” uscito dopo le vacanze estive. Si tratta come sempre di un intervento intelligente del giornalista Malavasi che mette in rilievo l’attività estiva delle parrocchie a favore soprattutto dei bambini e di cui io condivido il contenuto senza alcuna riserva.

Nel finale dell’articolo Malavasi accenna al “punto dolens” di fondo: ossia l’affanno dei parroci e la fragilità dei collaboratori giovani e spesso improvvisati. Ritengo doveroso arrivare alla sintesi del discorso: le parrocchie attuali, sia per il numero di sacerdoti che di fedeli ma soprattutto per la difficoltà nell’adeguarsi alla dinamicità della società attuale, sono sempre più impotenti, più inadeguate e sempre meno efficienti a livello pastorale. Questo dato di fatto, almeno da vent’anni, è sotto gli occhi di tutti. Il rimedio con cui si è tentato di rispondere a questa inadeguatezza ed inefficienza è stato quello di creare le “unità pastorali” accorpando le piccole parrocchie (sono però piccole anche quelle di cinque, seimila abitanti) lasciando loro una qualche autonomia. Questa soluzione demotiva ulteriormente i sacerdoti e peggiora lo “status quo” delle parrocchie.

Oggi, come avviene per i comuni, le banche e le industrie, l’unica soluzione è quella di creare macro parrocchie, cioè parrocchie con almeno venti, trentamila abitanti perché solo con queste dimensioni è possibile dare risposte esaurienti alla catechesi, alla cultura e alla formazione.

Realizzate le macro parrocchie è necessario mettere mano anche alla loro organizzazione garantendo la presenza di un parroco “manager” che abbia capacità autentiche, affiancato da una piccola comunità di tre, quattro sacerdoti che garantiscano un servizio religioso decentrato dove ognuno possa offrire le sue qualità specifiche; l’assunzione a tempo pieno di alcuni laici competenti e motivati che seguano settori specifici della parrocchia, anch’essi affiancati da volontari; l’accentramento dei servizi tecnici: segreteria, stampa, ecc. Soluzioni diverse purtroppo sono velleitarie, “fuori mercato” e socialmente superate nonostante le buone intenzioni e la generosità degli operatori pastorali.

Il bonifico

Ceno piuttosto presto perché mi alzo alle cinque del mattino e normalmente, durante la cena, seguo il telegiornale di Rai 3 e subito dopo anche il notiziario regionale. Come tutti sanno i ritmi della televisione sono quanto mai rapidi ed il tempo riservato a ciascuna notizia normalmente è un minuto o un minuto e mezzo al massimo per cui, se stai mangiando o chiacchierando, è molto facile che ti sfuggano i dettagli.

Qualche sera fa, tra le notizie di Venezia e del Veneto, ne ho colta “per i capelli” una di veramente sorprendente. Di quel servizio ho colto l’immagine di un monsignore veneziano con tanto di fascia rossa, la facciata della basilica di Torcello e una coppia di sposi in mezzo ad un gruppetto di invitati. Il cronista stava spiegando con una certa enfasi, tra il sorpreso e lo scandalizzato che, in occasione di una cerimonia nuziale, a causa di qualche coppia che a suo dire si era “dimenticata” di pagare il “dovuto”, non sarà più possibile limitarsi a fare un’offerta ma il matrimonio si potrà celebrare solo dopo aver presentato il riscontro di un bonifico bancario. Io non sono riuscito a capire se il giornalista ha parlato anche dell’importo, suor Teresa però, che è più attenta di me, mi ha riferito che le pareva avessero parlato di 200 euro. Quando ho saputo dai miei amici delle pompe funebri che il prelato che gestisce quella basilica non celebra il funerale se prima non gli viene consegnata una busta con 100 euro, ho pensato fosse lui il protagonista di questa triste vicenda ma, quando ho cercato di documentarmi, ho scoperto che “La Nuova” aveva descritto dettagliatamente questo evento spiegando anche che questa decisione era stata presa dalla Curia. La mia sorpresa e la mia indignazione sono quindi ancora maggiori! Pare che il funerale del boss della mafia romana non abbia insegnato proprio nulla alla Chiesa Veneziana!

I Miserabili

Qualcuno, quando saprà che ieri sera mi sono concesso il lusso di vedere su Rai Storia “I Miserabili”, potrebbe pensare che anche questo vecchio prete si lasci andare al divertimento o quantomeno cominci a perdere tempo. Le cose sono andate così. Dopo cena, quando come ogni sera ho acceso il televisore, il film era già cominciato ma ho capito quasi subito che si trattava della versione cinematografica del famoso romanzo di Victor Hugo “I Miserabili”.

Il film era vecchiotto, lento, spesso scontato e di maniera ma l’ho visto ugualmente fino alla fine per due motivi.

Sapevo che il romanzo del grande scrittore, esponente di punta del romanticismo francese, in un primo momento era stato messo all’indice dal Santo Uffizio e, anche se poi era stato riabilitato, mi interessava conoscere il motivo per cui la Chiesa, o meglio certi uomini di chiesa, ne avevano proibito la lettura ai cristiani. Ho seguito il film con attenzione ma non sono riuscito a capire il motivo per cui la Chiesa fosse stata tanto severa dal momento che il messaggio del romanziere francese mi è parso assolutamente positivo e perfettamente in linea con quello di Cristo. Sono arrivato alla conclusione che il protagonista, l’ex ergastolano redento, possa essere additato come un vero cristiano mentre l’ispettore di polizia, che rappresenta la moralità laica, esprime il peggio di un legalismo purtroppo ancora molto presente nella cultura laico-radicale e in certi apparati non solo dello Stato ma anche della Chiesa.

Il secondo motivo, che mi ha trattenuto davanti allo schermo fino a mezzanotte, è stato il desiderio di vedere tutto il film di cui fino a quel momento avevo visto più volte solo il primo tempo. Nella prima parte viene presentato il famosissimo episodio dell’ergastolano in fuga, braccato dalla polizia e accolto con tanta bontà dal santo Vescovo. L’ergastolano nonostante abbia incontrato un uomo di fede e di carità, durante la notte lo deruba dell’argenteria ma quando, riacciuffato dagli sgherri, viene riportato dal Vescovo con la refurtiva questi non solo non lo accusa ma arriva al punto di consegnargli anche il candelabro che a suo dire il ladro si era dimenticato di prendere. La seconda parte del film viaggia sulla stessa linea della prima e mette in luce che nella Chiesa vi sono stati e vi sono ancora “fedeli” formali che della carità cristiana non solo non hanno capito niente ma anzi sembrano perfino irritati con quei cristiani che prendono sul serio il messaggio di Gesù.

Ieri sera, mentre guardavo il film, mi è sembrato che il comportamento, da vero cristiano, dell’ergastolano redento negli ultimi anni della sua vita ben si accordi con il messaggio e con l’esempio di Papa Francesco.

Gli arti delle parrocchie

La parrocchia è la comunità di base dell’organizzazione della Chiesa Cattolica, essa ha compiti specifici e per perseguire i suoi obiettivi necessita di strumenti. Mi pare sia di dominio pubblico che la parrocchia debba provvedere al culto organizzando la preghiera pubblica e privata, debba provvedere alla catechesi sia per i bambini che degli adulti per far loro conoscere il messaggio di Gesù ed infine debba organizzare la carità al suo interno. Una parrocchia che non sia impegnata per il culto, la catechesi e la carità è una comunità monca, incompleta e carente di quegli elementi che sono essenziali per la sua stessa vita.

Per quanto riguarda il culto e la catechesi non c`è parrocchia che in qualche modo non provveda, vi sono parrocchie seriamente impegnate che mettono in atto le soluzioni più avanzate e rispondenti alle attese e alla sensibilità degli uomini d’oggi, mentre altre tirano a campare rifacendosi ad una tradizione ultra secolare con risultati evidentemente deludenti, comunque tutte le parrocchie in qualche modo sopravvivono anche se talora vegetano.

La carità invece pare che in molte di esse non desti alcuna preoccupazione, tanto da farle apparire prive di un arto e quindi squilibrate e terribilmente zoppicanti. Questa è una carenza mai sufficientemente denunciata! Una parrocchia, che non abbia un’organizzazione della carità almeno decente, dovrebbe chiudere perché priva di un arto essenziale per esercitare il suo ruolo.

Come risolvere il problema? Ci dovrebbe essere una sensibilizzazione da parte del Vescovo e della Caritas che è l’organismo istituzionale a cui è stato affidato l’incarico di promuovere la solidarietà. Purtroppo pare che anche questi organismi siano poco sensibili a questa esigenza che rimane ancora tanto marginale nella preoccupazione di Vescovi e parroci. Temo che anche le parrocchie più sensibili a questo dovere e più attrezzate per realizzarlo sbaglino quando tentano di fare supplenza. Ritengo sia doveroso stimolare le singole parrocchie ad attrezzarsi per la carità perché le supplenze favoriscono la pigrizia e l’incoerenza.

La lezione di don Fausto

Ho avuto modo di affermare molte volte che qualsiasi società ha un’estrema necessità di campioni, di santi e di martiri che facciano da capi cordata nell’aprire vie nuove verso la vetta e che dimostrino, con la loro vita e con la loro esperienza, che è possibile farlo per aiutare i meno esperti a raggiungerla. Quest’esigenza è importante in tutti i settori della vita umana e a maggior ragione lo è per la pastorale e per la vita parrocchiale. Poter disporre di questi campioni come guida e come punto di riferimento nella nostra esistenza è un dono del cielo e, grazie alle loro doti naturali, al loro impegno e grazie anche ai “maestri” che a loro volta hanno avuto la fortuna di incontrare, essi diventano “mosche cocchiere” per chi è meno dotato e per chi è talmente pigro da autogiustificarsi affermando che certe mete sono irraggiungibili.

Qualche tempo fa ho avuto l’occasione di leggere l’Annuario redatto da Monsignor Fausto Bonini che fino a pochi mesi fa, prima di diventare pensionato, era il parroco della comunità cristiana di San Lorenzo, il Duomo di Mestre. Questo testo mi ha offerto un progetto pastorale tanto innovativo, avanzato e all’avanguardia da consigliarne la lettura ai miei confratelli e da suggerire a don Fausto di inviarne copia a tutti noi sacerdoti anche se lui, probabilmente per comprensibile modestia, non ha aderito alla mia richiesta.

Partendo da questo spunto, stimolato dal contenuto della corposa busta con i bollettini parrocchiali della diocesi, oggi non posso esimermi dal sottolineare quanto questi periodici, che normalmente sono poveri di contenuti, durante l’estate lo siano ancor di più. Ricordo ancora quando don Fausto curava settimanalmente “La Borromea” che costituiva un messaggio ed una testimonianza fatta quasi esclusivamente da immagini, soluzione quanto mai coerente al modo di trasmettere messaggi dei nostri giorni. Alla Borromea affiancava, con scadenze varie, “Piazza Maggiore” un giornale-rivista nel quale offriva un dibattito condotto da giornalisti qualificati sui problemi attuali della città e della Chiesa di Mestre. Sono le soluzioni di questo genere ad essere efficaci e innovative nello stimolare un dialogo con la parrocchia e con la città.

Meglio tardi che mai!

Salvini, volgare, sfrontato e a caccia di voti a qualunque costo come sempre, all’invito di Papa Francesco di “non voltarci dall’altra parte” nei riguardi dei profughi ha detto che se al Pontefice stanno tanto a cuore questi poveri grami può portarseli in Vaticano. Penso che anche Salvini legga i giornali e guardi la televisione e quindi sappia come il nostro Papa non viva da sovrano ma si sforzi in ogni occasione di comportarsi come un servo. Ritengo opportuno evitare di ritornare sui suoi modi di essere sia perché ne ho già parlato molte volte sia perché sono convinto che tutti conoscano ed apprezzino i comportamenti del nostro amatissimo e caro Pontefice. Credo che anche Salvini abbia saputo che il Papa ha invitato i preti, le suore e le diocesi che hanno conventi, monasteri e seminari vuoti ad aprirli ai profughi. Purtroppo però non tutti i preti, i frati, le suore e i vescovi sono come il Papa.

Io, da impertinente quale sono sempre stato, ho “mandato a dire” al Papa, attraverso “L’incontro”, di non limitarsi a rivolgere inviti ma di impartire l’ordine, ad ogni parroco d’Italia, di mettere a disposizione uno o più appartamenti, in funzione della grandezza della parrocchia, per una o più famiglie di profughi. Tutti gli enti religiosi, sia grandi che piccoli, potrebbero fare un gesto come questo. La stampa finora non ha diffuso la notizia che il Papa abbia impartito questo ordine e per questo sono convinto che o il segretario di Papa Francesco si è dimenticato di passare al Pontefice quel numero de “L’incontro” oppure che i preposti degli enti religiosi, dopo aver ricevuto l’ordine, abbiano fatto orecchie da mercante ed abbiano preferito limitarsi a parlare della santa virtù della carità invece di praticarla.

Desidero però che si sappia che io non mi tiro mai indietro e in questi frangenti mi domando: “Ed io cosa posso fare?”. Pur non essendo il responsabile dei Centri Don Vecchi ho insistito affinché la Fondazione destinasse a questo scopo un piccolo appartamento che abbiamo ereditato ma, poiché è molto malmesso, la direzione ha pensato che quella sarebbe stata una carità pelosa. Il consiglio di amministrazione della Fondazione ha preferito mettere a disposizione della Protezione Civile due alloggi, in uno dei cinque centri Don Vecchi, da destinare ad anziani che abbiano avuto la casa disastrata dal tornado che ha colpito la Riviera del Brenta. L’offerta è stata un po’ tardiva ma comunque fortunatamente c’è stata e una volta ancora è valido il motto: “Meglio tardi che mai!”. Ora sto aspettando di apprendere cosa faranno Salvini e la sua Lega.

Oggi, missionari a casa nostra

Una ventina d’anni fa, non ricordo come, conobbi una vecchia suora che da una vita era missionaria in un paese africano ed ho mantenuto con lei una fitta corrispondenza. Oggi le suore sono qualificate, conseguono titoli di scuola superiore e prima di partire per le missioni si specializzano con corsi di formazione mentre un secolo fa, quando quella ragazza del nostro Veneto partì per le missioni, penso che al massino avesse conseguito l’attestato di terza elementare. Il fatto poi di essere rimasta in Africa per vari decenni aveva talmente imbastardito il suo italiano, già inquinato dal nostro dialetto, che le lettere che ci scriveva erano di una povertà assoluta sia per i vocaboli che per la grammatica e per la sintassi. Le lettere di quella santa creatura, che avevo fatto conoscere alla parrocchia come “la vecchierella di Dio”, erano però lettere che toccavano il cuore e trasmettevano la sua sconfinata passione per le anime. Questa vecchia missionaria, morta a più di novant’anni in Africa perché non si volle staccare dai suoi poveri indigeni, da un lato ci illustrava come spendeva le nostre offerte: fagioli secchi, sale e altri generi di prima necessità e dall’altro ci parlava con tenerezza delle decine e decine di adulti che si preparavano a ricevere il Battesimo ad una scuola dove l’insegnante era questa vecchia suora quasi illetterata ma con una laurea in fede e generosità conseguita con centodieci e lode.

In questi giorni sto leggendo la biografia di un’altra “suora” senza voti e senza tonaca: Madeleine Delbrêl che ha speso la vita nei sobborghi più scristianizzati di Parigi; una donna di Dio, fine intellettuale e una mistica impegnata nel sociale, quasi per nulla preoccupata di convertire e di battezzare e talora perfino in contrasto con l’apparato ecclesiastico ma attentissima al discorso politico dei responsabili dei quei quartieri dominati dal marxismo ed ancor più impegnata a testimoniare con la sua vita Gesù Cristo. L’unica sua preoccupazione fu quella di ascoltare tutti, di amare tutti, di dialogare con tutti ma soprattutto di vivere in una intimità così profonda con il Cristo affinché la sua gente, che amava più di se stessa, potesse vedere ed incontrare nella sua persona e nella sua umanità Gesù di Nazareth, il figlio di Dio. Due testimonianze da Vangelo tanto diverse però entrambe vere e autentiche e soprattutto capaci di mettersi in assonanza con gli uomini del tempo e del luogo dove hanno testimoniato Gesù. Oggi penso che la gente accetti e capisca maggiormente la Delbrêl che la “vecchierella di Dio” però ambedue sono state un ostensorio del Cristo.

Il Papa tira dritto!

Con il passare del tempo ho sempre più l’impressione che il Papa abbia le idee chiare sul modo di condurre la Chiesa, idee ben diverse da quelle a cui ci avevano abituati. Nei rapporti con la gente può apparire quasi come un vecchio parroco di campagna che si rapporta e guida la comunità cristiana con il cuore e con lo stile di un buon nonno ma in realtà mi pare sia quanto mai determinato a realizzare obiettivi che non si rifanno ad una Chiesa fatta di riti e di buone parole ma ad una Chiesa che si ispira, in maniera radicale, al Vangelo. Questa determinazione nel guidare la “barca di Pietro” si manifesta, in primo luogo, nel suo modo di vivere che esalta l’umanità e demolisce quella sacralizzazione che ha fatto del Papato, della Chiesa e della religione qualcosa di arcano e di estraneo al sentire e al vivere della gente comune. Ritengo quindi quasi superfluo ricordare, ancora una volta, alcuni dei suoi comportamenti che sono insiti nel suo modo di essere e non rappresentano un facile simbolismo: salutare con il buon giorno, la buona sera ed augurare buon pranzo; portare la sua borsa nera da viaggio; vestire una tonaca bianca che lascia intravvedere i pantaloni, le bretelle, e le scarpe da supermercato e usare l’utilitaria. Mi pare ancora più superfluo ricordare il Papa che sale in autobus con gli altri passeggeri, che prende personalmente il cibo al self service e il Papa che in ogni viaggio apostolico pretende di visitare una baraccopoli o una periferia, ecc.

Nei suoi interventi inoltre non si lascia mai andare a misticismi siderali ma è sempre concreto, basti ricordare i quindici rilievi, molto puntuali, rivolti a cardinali e vescovi; le raccomandazioni fatte ai preti, per esempio quelle di non cambiare autovettura ogni due giorni e di vivere con il “gregge” tanto da sposarne perfino l’odore. Mi sembra poi intenzionato a procedere con determinazione nei confronti dei responsabili della Banca Vaticana, dei preti pedofili, delle nomine dei cardinali, non più legate a sedi storiche quali Torino o Venezia e a conferma di questo ieri ho colto la classica ciliegina sulla torta con la nomina a vescovo di Padova di un semplice parroco di Mantova. Credo che se il Papa continuerà su questa strada non subiremo più le deformazioni causate dalle lauree delle università romane e dalle immutabili consuetudini curiali ma avremo invece pastori che hanno fatto la gavetta in parrocchia e hanno imparato il mestiere andando a “bottega”. Bravo Papa Francesco! Era ora!

Rassegna stampa

È morto più di un anno fa un signore di Viale San Marco, che di propria iniziativa, senza che qualcuno glielo avesse mai chiesto, ogni settimana prelevava, da uno dei nostri punti di distribuzione de “L’incontro”, un numero consistente di copie del periodico e lo distribuiva nelle chiese e nei conventi di Venezia. Ricordo che la Superiora del Convento delle Carmelitane Scalze di Cannareggio un giorno mi telefonò e mi espose il suo problema parlandomi come se mi conoscesse personalmente da molto tempo. Io mi stupii perché non sapevo neppure che questo convento esistesse ma poi capii quando mi disse che ogni settimana leggeva “L’incontro”.

Il signore di Viale San Marco, non solo distribuiva il nostro periodico ma mi faceva anche avere il bollettino parrocchiale delle varie parrocchie di Venezia. Con tristezza devo confessare che in merito ai periodici parrocchiali se a Mestre non si brilla a Venezia non c’è quasi nulla: una vera desolazione!

Da qualche mese, anche questa volta senza che io abbia fatto alcuna richiesta, una signora, avendo letto su “L’incontro” del mio interesse per questi “mass-media di casa nostra”, ogni settimana me ne fa pervenire un discreto malloppo e questo campione mi offre una panoramica sulle attività delle varie parrocchie veneziane.

Quando apro la grossa busta che contiene i vari periodici mi si stringe il cuore perché avverto odore di muffa, di tradizione, di conservazione e di rassegnazione. Possibile che non ci sia uno scatto d’impegno e una presa di coscienza che il novanta per cento della popolazione della nostra città incontra il Cristo solamente attraverso quello che scrivono i giornali cittadini, che oltretutto prediligono la “cronaca nera” anche per le notizie che riguardano la Chiesa e la religione? Leggendo il volume sulla Delbrêl, ho appreso che, almeno da mezzo secolo, la Chiesa francese pensava a preti missionari in patria. Quanto mi vien da sognare che una seppur piccola equipe diventi anche nella nostra diocesi un’avanguardia cristiana in grado di stimolare ad una presenza più vivace ed attiva.

Recupero della ricchezza posseduta da cristiani emarginati o espulsi

Nelle ultime settimane ho avuto l’opportunità di seguire alla televisione alcuni servizi ben fatti e ben documentati su Galileo e su Lutero. Confesso che mi hanno sconvolto e che hanno messo a soqquadro la libreria dei “Volumi ideali” dai quali ho appreso i valori e le verità su cui ho costruito piano piano la mia cultura sulla Chiesa e sul suo operato durante i suoi venti secoli di storia.

Fortunatamente questo piccolo terremoto interiore e culturale non ha interessato neppure minimamente il mio rapporto con Gesù e le verità che supportano la mia fede, però confesso che esso mi ha reso più consapevole della necessità di non accettare in maniera acritica il pensiero di tanti teologi imperanti nel mondo ecclesiale e di uomini di Chiesa che normalmente esprimono con presunta autorevolezza la sua dottrina.

Le parole e le scelte di Papa Francesco mi hanno rassicurato ed incoraggiato in questa verifica e ricerca religiosa tanto da sentire il desiderio e il bisogno di recuperare gli aspetti più validi del pensiero e della testimonianza di certi cristiani che la Chiesa ufficiale ha prima emarginato, poi condannato ed infine cacciato in malo modo. Fino a non molto tempo fa avevo giudicato i fedeli della Chiesa Valdese arroganti nei riguardi dei cattolici e li ritenevo le teste di ponte del pensiero laico. Dopo la recente visita del Papa alla Chiesa Valdese e soprattutto dopo la sua confessione umile, franca e consapevole dei torti, delle cattiverie, delle persecuzioni e delle sofferenze causate dalla Chiesa Cattolica nei secoli a questi seguaci di Gesù, che con onestà intellettuale hanno tentato di interpretare la parola di Cristo, ho cambiato radicalmente idea tanto da sentire il bisogno di recuperare la loro ricchezza spirituale e la loro ascesi religiosa.

Tornando a Galileo e a Lutero sono stato costretto a cambiare cornice alla loro vita e al loro pensiero sostituendo la loro cornice dozzinale di carta pesta con una d’argento. Contemporaneamente ho ritenuto doveroso cambiare la cornice anche a certi teologi domenicani e francescani e a certi cardinali e Papi che per molti motivi non brillarono per coerenza evangelica: da una cornice d’oro li ho declassati ad una di piombo.

Il fiuto della gente

Una volta, soprattutto nel mondo ecclesiastico, si infiorettavano i discorsi con sentenze latine. Qualche anno fa ho riletto quel bellissimo volume “Il giornale dell’anima” nel quale don Loris, o più precisamente il Cardinale Francesco Maria Capovilla, ha raccolto propositi, riflessioni, confidenze e pensieri spirituali di Papa Roncalli. Durante la lettura di quel corposo volume mi sono imbattuto mille volte nelle massime latine con le quali Papa Giovanni XXIII condensava le sue riflessioni. Ho constatato che in quel tempo la cultura ecclesiastica dei vecchi preti e soprattutto di quelli più intelligenti e più colti era veramente vasta mentre noi preti del terzo millennio abbiamo, quando va bene, una cultura da quotidiani e da telegiornali fatta di informazioni non supportate dalla sapienza del passato.

In queste ultimissime settimane, venendo a conoscenza delle folle sterminate che sono andate ad ascoltare e ad acclamare Papa Francesco, sono arrivato alla conclusione che la gente ha un fiuto particolare per valutare gli uomini di spessore e per dare loro il giusto riconoscimento. Pochissimi giorni fa un milione di persone si sono recate a Roma per ascoltare il Papa esprimersi sui problemi della famiglia, alcuni giorni prima settantamila ragazzi e giovani scout avevano partecipato, in maniera vivace, all’incontro con il sommo Pontefice e la settimana successiva settecentomila persone a Torino si sono unite a Papa Bergoglio per venerare la sacra Sindone.

Non passa settimana che alla catechesi del Papa, Piazza San Pietro non si riempia di fedeli desiderosi di ascoltare la lezione di catechismo del Pontefice e ogni domenica la stessa piazza è pressoché insufficiente per contenere la folla accorsa per l’Angelus. Non credo che ci sia personaggio in tutto il mondo che abbia il “successo” del Papa, nonostante egli sia anziano, il suo italiano non sia perfetto, le sue prediche assomiglino spesso ai sermoni dei vecchi parroci di campagna e il suo charme sia modesto. Papa Giovanni avrebbe detto a proposito di questo fenomeno: “Vox populi, vox dei”. È il Signore che si manifesta sotto le povere e logore vesti del nostro Papa e il popolo lo avverte e lo segue come pastore dell’umanità.

Su questo argomento la penso assolutamente come don Roberto

Un paio di settimane fa un giornalista della “Nuova Venezia”, che dimostra di leggere con attenzione e profitto “Proposta” – il periodico della parrocchia di Chirignago dove è parroco mio fratello don Roberto – e L’Incontro – il periodico dei Centri Don Vecchi – ha notato una qualche divergenza fra me e mio fratello circa l’assistenza ai poveri e, sfruttando questa dialettica tra i due fratelli preti, ha tratto un pezzo per il suo giornale.

Assolutamente niente di grave anzi un confronto che non può che risultare positivo. A questo riguardo tantissime volte ho scritto che io ammiro, anzi sono entusiasta della prosa di don Roberto, prosa che riconosco immediata, scorrevole ed incisiva mentre sono meno contento del mio modo di scrivere che sta diventando sempre più prolisso ed aggrovigliato. La prova della mia ammirazione per lo stile degli scritti di don Roberto sono gli articoli che spesso ritaglio dal periodico di Chirignago per riportarli su L’Incontro perché ritengo opportuno fare da cassa di risonanza coinvolgendo i nostri lettori che ormai hanno raggiunto un numero veramente considerevole.

Coerente con questo discorso, avendo appena letto un corsivo sulla famiglia concepita cristianamente e sulla “zizzania” che “l’uomo nemico” semina di soppiatto, credo opportuno pubblicare il pezzo di “Proposta” affermando che condivido totalmente il discorso in tutti i suoi passaggi anzi ne sottolineo con decisione e convinzione la tesi di fondo. Eccovi quindi l’articolo di don Roberto.

NON RINUNCEREMO
In questi giorni, a Roma, si è svolta una manifestazione per ribadire i valori della famiglia naturale come viene proposta dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dalla fede cattolica, e che ci viene continuamente ricordata da Papa Francesco.
A questo modello di famiglia non rinunceremo, e continueremo a chiamare le cose con il loro nome. Non parleremo di genitore uno e di genitore due, ma diremo Papà e Mamma, come da sempre si è fatto. E sia dall’altare che, nelle aule di catechismo riproporremo ciò che riteniamo sia giusto a prescindere da quello che si dirà attorno a noi. Come per tantissimi altri valori è inevitabile che a difenderli e a riproporli sia la Chiesa. E se per far questo dovrà subire minacce o persecuzioni, vorrà dire che anche a noi sarà chiesto e dato di soffrire qualcosa per la verità. Quanti nostri fratelli in tante parti del mondo arrischiano continuamente la vita per non abbandonare la fede. E perché noi dovremmo essere esentati da questa fatica? Ma non subiremo passivamente: occorre contestare questo modo di far politica insinuando veleni i cui risultati scopriremo (come avviene per l’inquinamento) quando sarà quasi impossibile rimediare. Faccio una proposta ai nostri vescovi: più nessun zucchetto viola o rosso alle tante manifestazioni, inaugurazioni, concerti ecc. Sarà poco, ma sarà un segno. E non è detto che il poco sia inutile. La bocciatura del dottor Casson è dovuta a molti motivi, ma più di qualcuno, che non conta niente, nell’esprimere il voto s’è ricordato di come la pensa a proposito di queste cose. E ne ha tenuto, giustamente, conto.

don Roberto Trevisiol

Le decisioni di don Roberto

Don Roberto, parroco di Chirignago e mio fratello; ha vent’anni meno di me, però ho notato, leggendo il suo settimanale, che ha iniziato un po’ troppo presto il vezzo di considerarsi anziano. La gente non lo perdona neppure a me questo vezzo, figurarsi se lo concede a lui che ha ancora davanti a sé almeno un quarto di secolo di vita in parrocchia.

Nell’ultimo numero di “Proposta”, il periodico della sua comunità, scrive che hanno chiuso l’anno pastorale e che ora sta apprestandosi a mettere in atto la pastorale estiva. Ho letto con piacere che ha mantenuto invariato l’orario delle quattro celebrazioni domenicali nonostante sia azzoppato in quanto come aiuto ha soltanto don Andrea a mezzo servizio perché inspiegabilmente i superiori lo hanno incaricato di dedicare il resto del suo tempo alla curia.

Anch’io nella mia vita di parroco mi sono sempre dovuto arrabattare celebrando oltretutto un numero quasi doppio di messe festive. Ora però leggo sui bollettini parrocchiali della nostra città che il numero delle messe viene ridotto non solo durate l’estate ma, anche d’inverno; in più di una parrocchia alla domenica se ne celebra una soltanto. Mi viene da pensare che alcuni preti attualmente siano tentati di rifarsi più ai diritti sindacali o all’opinione pubblica corrente che all’esempio di Cristo.

Un’anziana signora, che segue le nostre iniziative, mi ha quasi rimproverato perché sono molto critico con le vacanze dei preti: cosa quanto mai vera. Sono riuscito a trattenermi ma mi pizzicava la lingua per chiederle perché non si fa portare in vacanza dal suo parroco? Ho avuto quasi la sensazione che don Roberto, quando ha affermato che da decenni ha impostato la pastorale estiva sui campi in montagna, si sia sentito in obbligo di giustificarsi con i suoi parrocchiani perché non organizza in parrocchia il Grest (un paio di settimane di vacanza guidata per i ragazzi). Penso di poterlo “assolvere” affermando per esperienza diretta che vivere un paio di settimane in un campo scout, sotto le tende o in un campeggio con i ragazzi e i giovani della parrocchia, immersi nella natura e a stretto contatto con il proprio prete, è infinitamente più incisivo di quanto non lo siano le poche ore passate nello scontato ed arido ambiente cittadino! Bene il Grest ma meglio ancora i campi scuola in montagna!

L’annuario

Io faccio parte della Chiesa veneziana ma, un po’ per l’età ma soprattutto perché sono sempre stato allergico alle vicende della curia e del “palazzo”, vivo ai margini dell’attualità del patriarcato di Venezia. Le uniche notizie che lo riguardano le leggo su “Gente Veneta”, il settimanale della diocesi, e rarissime volte su “Il Gazzettino”, quotidiano locale che, a differenza di un tempo, interviene raramente sulle vicende della nostra comunità cristiana.

Questa premessa non significa che io non sia interessato e che non viva le problematiche della Chiesa a cui ho dedicato l’intera esistenza perchè talvolta il mio coinvolgimento è così profondo da farmi preoccupare e soffrire, nonostante ormai non abbia più alcuna responsabilità diretta in queste vicende. A testimonianza di questo, quando posso o riesco, in maniera attiva o passiva tento di mandare messaggi al “governo” della nostra comunità.

Ho fatto questa premessa perché questa mattina mi è giunto per posta “L’Annuario” della diocesi, un volume che informa minuziosamente su tutta “l’architettura “della nostra diocesi, tanto che una volta letto questo volume, la cui compilazione ha certamente richiesto tempo, fatica e denaro a chi lo ha compilato, si può avere una visione esauriente, dettagliata e pignola sull’organizzazione e sulla realtà della nostra diocesi. Confesso di aver speso più di un’oretta per trovare una risposta alla mia curiosità un pochino morbosa e confesso anche le conclusioni o meglio quali sono state le mie reazioni a caldo.

Primo: per dirla con Occhetto, che la nostra è una magnifica e perfetta “macchina da guerra”, un’organizzazione così perfetta con la quale sembrerebbe possibile convertire non solo il nostro pezzettino di Veneto ma il mondo intero!

Secondo: ho anche constatato con piacere che sono ricomparsi i titoli onorifici di Monsignore e simili, nonostante la passata burraschetta in cui sembrava fossero stati aboliti, burraschetta che evidentemente si è dissolta come una bolla di sapone. Sono comunque contento perché così sono ritornato ad essere uno dei pochi “soldati semplici” senza titoli e senza galloni e questo non è cosa da poco!

La minestra dei frati

Dagli “Atti degli Apostoli” si apprende che fin dagli albori della comunità cristiana si diede vita alle mense per i poveri. Questa iniziativa continuò ininterrottamente durante i venti secoli di storia cristiana e fu sempre una prerogativa dei “figli” di San Francesco aprire alla carità i loro conventi. Credo che non ci sia comunità francescana che non gestisca una qualche attività caritativa.

A Mestre i padri conventuali, il cui convento è situato in via Aleardi, gestiscono da molti anni la “Casa Taliercio” che ospita da almeno vent’anni le donne dell’Europa dell’Est che approdano disorientate e in cerca di lavoro nella nostra città. Nella stessa comunità si è dato vita ad una associazione di volontari che si occupa dei poveri ed in particolare assiste i senza tetto che passano le notti nella stazione ferroviaria. A Marghera i frati Francescani assistono con pacchi viveri un numero notevole di poveri ed attualmente collaborano con la nuova mensa promossa dalla Caritas nella ex scuola Edison. A Mestre poi i padri Cappuccini, fin dal loro insediamento avvenuto all’inizio del 1600, hanno aperto le porte del loro convento per donare il pane, frutto della cerca, ai poveri.

Attualmente la mensa dei padri Cappuccini di Via Andrea Costa è leader nel settore con i suoi duecento pasti al giorno, con i settanta volontari e con una cucina e una sala da pranzo all’avanguardia! A Mestre c’è anche la mensa di Cà Letizia gestita dalla San Vincenzo cittadina e quella più modesta dei padri Somaschi di Altobello.

In questi giorni è uscito un opuscolo a firma del cappuccino padre Ubaldo Badan con il titolo “La minestra dei frati”, opuscolo pubblicato in occasione dei settant’anni di servizio della mensa per i poveri presso il convento dei Cappuccini di Mestre. Ho letto con estremo piacere le pagine con le quali padre Ubaldo ha narrato la bella storia dei nostri frati Cappuccini. Mentre i politici lanciano programmi e promettono “il sole dell’avvenire” i nostri poveri frati, con umiltà e generosità, continuano imperterriti a servire gli “ultimi”!