Pensieri guardando oltre il campo…

Ho sognato e tentato di far rassomigliare il don Vecchi ad un paese.
L’organizzazione della vita comunitaria, i servizi, l’amministrazione e perfino la toponomastica si rifanno alla tipologia di un piccolo borgo.

Un tempo ho perfino pensato di riferirmi ad essa chiamandola “la seniorcity di Mestre” una specie di “città dei ragazzi” diventati anziani, ma tutto sommato mi sono accorto che pur rimanendo una realtà a sé stante, risulta sempre come un qualcosa di artificiale, manca quell’amalgama di elementi che fanno di un gruppo di uomini e donne un qualcosa di composito e di complementare che faccia del gruppo una comunità vera che interagisce, opera, produce e vive una vita piena.

Perciò quando mi affaccio al mio terrazzino e guardo oltre il grande campo che separa dalle ultime propaggini della città, ho la sensazione che là cominci il mondo vero con le sue problematiche e m’accorgo di esserne separato quasi escluso, impotente ad intervenire partecipando ai consessi in cui si discute, si cerca e si decide.

Dalla mia riva, guardo, mi preoccupo, mi indigno, talvolta progetto e sogno ma avverto di non esserne più parte viva, con la possibilità di influenzare le soluzioni da prendere.

Sono i momenti in cui avverto più che mai un senso di impotenza ed in cui sento i limiti della vecchiaia, sento che il cuore va al di là della trincea, ma che la condizione e le forze non mi permettono di fare il balzo.

Ora ho tutto il tempo, forse troppo tempo per sognare come impostare affrontare il problema dei giovani, del mondo del lavoro, quello dell’informazione e di rodermi nel constatare che quella chiesa giovane, vivace, intraprendente che sogno è invece lenta, pigra, sonnacchiosa e rassegnata!

Apprezzare le differenze fra le persone

Il mio “direttore” ha dovuto farsi ricoverare in ospedale.

Da un paio di settimane al don Vecchi è venuta meno una figura che è parte integrante del paesaggio di questa atipica struttura per anziani.

Chi ha conosciuto il ragionier Rolando Candiani, il figlio del notissimo pittore Gigi Candiani, ha impresso nella memoria la sua tipica persona da gentleman inglese; asciutto, con due baffetti corti, passo lesto e braccia da direttore d’orchestra, sempre in movimento.

Il ragionier Candiani pare uscito fresco da un manuale di buone maniere: “per cortesia”, “Grazie”, “lei sa meglio di me”, mille convenevoli di questo genere fanno parte integrante del suo stile rispettoso, talvolta da sembrare perfino servile, ma che in realtà non lo è assolutamente perché egli sa quello che vuole e persegue il suo obiettivo con determinazione.

Conosco il mio direttore fin da ragazzino ai tempi dell’azione cattolica. Poi le nostre strade hanno preso direzioni diverse, lui si è sposato, ha fatto carriera al Consorzio Agrario e si è fatto una villetta nell’interland di Mestre. Io ho continuato a fare il cappellano, raggiungendo la carica di arciprete di Carpenedo e là mi sono fermato. Il pensionamento prematuro di Candiani per i guai del Consorzio e la mia avventura con i vecchi, ci hanno ricongiunto.

Assieme abbiamo sognato e realizzato il don Vecchi. Come riusciamo a stare e lavorare assieme è per me un miracolo ed un mistero!

Io, sognatore incallito, senza alcuna dimestichezza coi conti, disordinato assoluto nell’amministrazione, nemico di ogni pratica burocratica; lui ragioniere, adoratore delle carte, devoto delle sante leggi dello Stato, pignolo fino all’inverosimile nel far quadrare i bilanci. Eppure stiamo assieme da quasi vent’anni e non abbiano alcuna voglia di dividerci!

Talvolta pensando al nostro rapporto lo paragono a certe copie: lei piccola e grassottella, lui asciutto e spilungone, eppure sono una coppia riuscita!

Ora che non c’è, spero ancora per poco tempo, mi sento a disagio, mi pare di essere sbilanciato non avendo più il contrappeso.

Sto capendo in questo frangente la grande valenza delle diversità, guai se ci assomigliassimo di più, come talvolta sogniamo.

Il Signore fa bene il suo mestiere e bisogna proprio che ammettiamo che senza la sua sapienza il mondo l’avremmo distrutto da un milione di anni. Bisogna convenire che l’accetarci diversi è l’unica cosa da fare!

Esser consapevoli della propria età

Un giornalista de “Il Gazzettino”, ancora una volta, mi ha dato una mano e per di più l’ha fatto senza una mia richiesta.

Il cortese e generoso collega ha ripresentato all’attenzione della città, il progetto del don Vecchi quater da costruire adiacente alla famigerata via Orlanda in quel di Campalto.

Il giornalista, con la complicità benevola ed un po’ interessata del progettista, ha illustrato il progetto, ne ha pubblicato la foto e, usando i segreti del mestiere, ha pure ironizzato con l’inezia del Comune, con l’ente che doveva costruire l’albergo per i lavoratori, concedendosi una battuta finale a mio vantaggio e terminando con una notizia ad effetto: “E dire che don Armando non ha che appena ottant’anni”, quasi fossi nell’età d’oro per progettare e realizzare dei sogni di carattere sociale.

Io sono ben conscio di avere ottant’anni, anche se talvolta, soprattutto quando sono seduto alla scrivania, non me li sento, ma conservo fortunatamente la lucidità mentale per conoscere i limiti.

Il Cardinale Urbani ripeteva, talvolta, una battuta, che gli era cara: “Se tutti ti dicono che sei ubriaco, va a casa e mettiti a letto, anche se tu sai di non aver bevuto neanche un’ombra!”

Quando ho compiuto 75 anni mi sono battuto per andare in pensione, anche se mi piaceva il mio mestiere, e i miei capi insistevano che rimanessi. Avevo paura di non saper leggere e gestire i tempi nuovi!

Fortunatamente me ne sono andato lasciando la parrocchia in piedi. Ora ho 80 anni, la Fondazione è ben più modesta e meno impegnativa che una comunità di cristiani, ma comunque, questo è il tempo per pensare alla vita eterna e permettere che anche i preti più giovani abbiano il privilegio di servire Dio nei poveri!

Un percorso tortuoso e complesso

Ho appena terminato una riunione con l’assistente sociale del Comune che si occupa degli anziani residenti al Centro.

Dopo una conversazione quanto mai intensa sono riuscito a capire la filosofia con cui il Comune si muove nei riguardi degli anziani “in perdita di autonomia” cioè degli anziani che stanno in bilico tra auto e non autosufficienza.

Condivido le motivazione di carattere sociale ed economico, per i quali l’ente pubblico, giustamente, tenta che gli anziani in questa condizione rimangano in un alloggio protetto (finalmente anche l’ente pubblico ha compreso che c’è uno stadio intermedio prima della perdita di autonomia che può trovare risposta in una struttura di domiciliarità protetta quale può offrire il don Vecchi).

Però ciò è possibile solamente potendo utilizzare supporti e servizi che fungono da stampelle per la traballante autosufficienza.

Ho capito ancora la macchinosa organizzazione che il Comune ha scelto, per fornire questi supporti sanitari e di ausilio familiare.

Coniugare queste tessere, tese a raggiungere lo scopo che l’anziano viva da uomo libero e capace di decidere della sua sorte, risulta particolarmente impegnativo. Il risultato raggiunto può sembrare piuttosto modesto: l’assistente sociale ha compreso la peculiarità in cui si muove l’anziano al don Vecchi, ed io ho compreso gli sbarramenti e il percorso di guerra che l’operatrice sociale deve tener conto per far sì che le norme del Comune raggiungano in maniera efficace gli obiettivi per cui sono state emanate.

Io però non ho tempo nè carattere per portare avanti un’operazione così tortuosa e complessa.

Dovrò cercare e pregare per reperire un volontario o due che sappiano muoversi con una certa disinvoltura e destrezza in questo campo minato.

Spero che il buon Dio abbia pietà di me e mi dia, ancora una volta, una mano!

Arriveranno anche le elezioni comunali

So che le elezioni comunali non sono molto lontane e col Comune ho rapporti frequenti, difficili e talvolta deludenti.

Ho parlato più volte della vicenda del Samaritano per cui avevo avuto promesse ed impegni precisi e in maniera disinvolta elusi senza spiegazione alcuna. Non voglio neppur parlare della situazione della cappella del cimitero e della nuova chiesa.

Ho in atto i problemi inerenti ai trecento anziani residenti nei Centri don Vecchi, che il Comune auspica che non vadano in casa di riposo per motivi umanitari ma, confessiamolo pure, anche per motivi economici perchè il mantenimento in casa di riposo di un anziano non autosufficiente costa un occhio della testa.

Anche in questo campo nonostante la buona volontà di qualche funzionario, tutto sommato, l’assessorato competente, risulta latitante. Ho pendente il problema del recupero dei generi alimentari in scadenza, che taluni grossi comuni hanno risolto da un decennio, mentre il nostro Comune sta bagolando tra le nebbie della laguna.

Mancanza di personale?
Mi risulta da fonte certa che il Comune di Venezia ha 4600 dipendenti e ne dovrebbe assumere altri 400 che ora sono precari e che il problema maggiore, per chi si occupa del personale, è quello di fare passare il tempo senza che si annoino e vadano in depressione per mancanza di compiti precisi.

L’organizzazione del Comune di Venezia è sempre stata sgangherata, ma ora poi con Brunetta ministro veneziano e la crisi economica in atto, la cosa risulta vergognosa.

Spero che assessori e consiglieri che oggi sono al potere girino al largo in tempi di elezione, perché li metterei alla porta a suon di legnate.

Il Centro don Vecchi quattro

Si è concluso il lungo e tormentoso travaglio che darà alla luce il don Vecchi quattro.

Un anno fa, dopo che l’Ulss si era offerta di costruire, a proprie spese e in tempi brevi, la struttura per accogliere i familiari dei malati che giungono da luoghi lontani, nel nostro prestigioso ospedale dell’Angelo, abbiamo acquistato, col denaro destinato al Samaritano, il terreno e la struttura dell’ex Centro don Milani di Campalto.

Dapprima pareva che con pochi soldi si sarebbe potuto ristrutturare, ma quasi subito si è capito che bisognava prima demolire l’esistente.

Poi, dopo doverose ed opportune indagini, era velleitario e pericoloso avventurarsi nelle sabbie mobili di un complesso per extracomunitari come precedentemente si era sognato. Abbiamo abbandonato questo progetto perché era apparso sui muri che i sindacati avrebbero costruito presto l’albergo per i lavoratori stranieri, secondo perché abbiamo compreso che non avevamo nè esperienza, nè cultura, nè forze, soprattutto, per gestire una realtà tanta insidiosa ed impegnativa e terzo perché le richieste degli anziani non abbienti in cerca di un alloggio solidale stavano aumentando piuttosto che diminuire!

Pian piano è maturata la scelta di proseguire su un terreno noto e collaudato. Infine risolti i problemi di cubature, di permessi, di convenzioni col Comune, abbiamo affrontato ed impostato il problema finanziario.

Banca Prossima ci mette a disposizione la somma necessaria e noi ci impegniamo a restituirla al massimo entro 10 anni a tassi sopportabili!

Ora il dado è tratto. Da ora non possiamo che andare avanti!

Una strada buona per aiutare i più deboli

La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.

La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.

In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!

Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.

Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.

A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.

Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!

Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.

Le graduatorie della Ulss e i poveri

Al don Vecchi gli anziani dicono di stare bene, non c’è alcuno che sia rimasto deluso o si sia stancato cercando una soluzione diversa o migliore.

Tutto questo, assieme alle continue ed insistenti domande d’ingresso, non può che farmi felice. La formula è stata indovinata, molti la stanno copiando ed anche questo mi fa contento.

Purtroppo però neanche al don Vecchi si è scoperta la ricetta per bloccare l’avanzare del tempo con i suoi rovinosi effetti sul corpo e sullo spirito. Ormai l’età media dei 300 residenti presso i Centri don Vecchi si aggira intorno agli 84 anni; di giorno in giorno aumentano i bastoni da passeggio e soprattutto i deambulatori cioè “i spassisi” per vecchi! Tanto che, se continuiamo di questo passo, dovremo installare semafori sui corridoi principali ed assumere vigili per regolare il traffico!

Il problema attualmente si è tentato di risolverlo con l’aiuto del Comune, delle famiglie e dell’amministrazione del Centro creando supporti infermieristici e familiari per supplire alle aumentate deficienze fisiche, aumentando così un’autosufficienza con una componente “artificiale”.

Stiamo attuando un progetto ambizioso di prolungamento dell’autosufficienza, che per ora tiene, ma non mi illudo che potrà reggere a lungo. D’altra parte oggi vi sono 600 concittadini in attesa di poter entrare in quei tristemente famosi “paradisi terrestri”, che per il costo dovrebbero essere tali, ma in realtà non lo sono. Molti di essi non vi entreranno mai, anche perché le graduatorie della Ulss fanno acqua!

Ho scoperto in questi giorni che basta essere accolti in una casa di riposo per non autosufficienti, pagando 5-6 milioni di vecchie lire al mese, per avere l’aumento di 30 punti e poter così passare in testa alla graduatoria, lasciando così i vecchi poveri in eterna lista d’attesa!

Si apre un altro fronte per chi vuole aiutare gli ultimi!

Altri problemi, altre battaglie!

A volte manca il rispetto!

Purtroppo pare che a questo mondo non ci sia più nulla di totalmente pulito e sano. Le realtà umane, anche quelle gestite dalla chiesa e destinate ai poveri, sono quasi sempre contrassegnate da qualche magagna truffaldina che talvolta le impoverisce e che scandalizza tutti quelli che le vorrebbero pure ed immacolate.

Quando scopro qualcosa del genere sto male, mi arrabbio, ma finisco col constatare che ci sono certe convinzioni, talmente consolidate, che neanche se si bombardassero con una atomica si riuscirebbe a farle saltare.

E vengo alla causa di questo sfogo.

Abbiamo proclamato ai quattro venti che il don Vecchi è destinato agli anziani più poveri. Ma non ci siamo limitati ai proclami, infatti, a suo tempo, chiedemmo ad una piccola commissione, di persone per bene, di valutare le domande di ingresso al Centro, di accertarsi sulla condizione economica facendo portare ai richiedenti anche una documentazione perché è giusto che le offerte dei concittadini, per gli anziani poveri, vadano per i poveri!

Qualche giorno fa mi è stato riferito che una certa persona, residente al don Vecchi, accolta nonostante avesse una pensione più che discreta perchè obiettivamente aveva bisogno di una struttura protetta, ha offerto, prima di entrare, ai tre nipoti un appartamento ciascuno per poi beneficiare di un alloggio al Centro destinato ad un anziano di condizioni economiche disagiate.

Purtroppo questo non è l’unico caso di cui, nonostante le nostre attenzioni, è passato tra le griglie della selezione.

La gente si confessa se ha perduto una messa, ma non sente alcun pentimento se ha rubato un appartamento destinato ai poveri per donarlo ai giovani nipoti ai quali avrebbe fatto più che bene far fare sacrifici per acquistarselo l’alloggio!

A tutto si aggiunge pure che queste cose non le vengono a sapere soltanto i responsabili della struttura, ma prima ancora la gente che pensa a privilegi e critica a ruota libera.

Una speranza per il domani degli anziani del Centro don Vecchi

In questo ultimo tempo ci ha fatto visita, al don Vecchi, la dottoressa Francesca Corsi, alto funzionario dell’assessorato della sicurezza sociale. Sono stato io a sollecitare questo incontro perché, di mese in mese, aumenta la fragilità dei residenti a causa dell’incalzare ineluttabile del tempo.

La struttura è stata pensata per anziani totalmente autosufficienti con lievissimi supporti sociali, prevedeva che quando fosse venuta meno l’autosufficienza l’anziano avrebbe abbandonato il suo alloggio per entrare in una casa di riposo.

Al momento dell’accettazione della richiesta di ingresso, ogni residente ha sottoscritto questa clausola ed è stata controfirmata dai familiari.

Ora però le cose non stanno andando come erano state previste: la gente si trova così bene al Centro e si affeziona talmente a questo piccolo borgo, popolato da 300 cittadini, che non vorrebbe più uscirne anche se le gambe non reggono più.

Il costo di una casa di riposo per non autosufficienti è poi talmente superiore di quello praticato al don Vecchi tanto che ospiti e familiari pensano di non poterlo sopportare.

Il Comune promette aiuti che suppliscono il più possibile alla mancata autosufficienza, ma l’ordinamento sociale stenta ancora a recepire l’idea di questi alloggi protetti così ché finisce a mettere in crisi l’impostazione data fino dall’apertura del Centro. Credo che se in questa fase la società ci elargisse anche solo un decimo di quanto spende per una retta in casa di riposo, noi potremmo garantire una assistenza più che confortevole.

La dottoressa Corsi ha affermato che è preferibile mille volte la vita al don Vecchi a quella della migliore casa di riposo.

Mi auguro che un po’ alla volta possiamo trovare soluzioni possibili e migliorative senza allontanamenti traumatici per alcuno.

Il Centro don Vecchi evolve ma ha bisogno della città

Quando, insieme a Rolando Candiani, attuale direttore generale dei Centri don Vecchi, abbiamo messo a punto la dottrina, ancora assolutamente innovativa, di una struttura protetta per anziani autosufficienti di infime condizioni economiche e ne abbiamo stilato una relativa carta dei servizi, ritenevamo di aver definito una situazione ed aperto una nuova strada da percorrere con coraggio e fiducia.

Non sono passati ancora vent’anni e ci accorgiamo che la soluzione si riferiva ad un momento della società, ma che questo momento non è per nulla fisso, ma anzi è in costante e rapida evoluzione.

Noi che abbiamo rifiutato la dottrina delle vecchie case di riposo, che si rifanno ad una impostazione ottocentesca e che le abbiamo ritenute superate anche quando si imbellettano, come vecchie signore, di ammodernamenti e di nuovi arredi, ci accorgiamo però che in meno di una ventina di anni anche l’ipotesi che avevamo fatto si dimostra superata e che perciò si deve costantemente tener conto di una evoluzione quanto mai veloce!

Se dovessimo applicare alla lettera la scelta, che chi non è totalmente autosufficiente, secondo un concetto statico di autosufficienza, dovremmo mettere alla porta almeno una metà dei residenti.

Ora stiamo impegnandoci per trovare contrappesi al deficit di autosufficienza fisica, trovando supporti che non facilitino il suo progredire, non siano onerosi per l’interessato e per la struttura in maniera tale per cui pur usando “stampelle” l’anziano possa continuare a gestire la propria vita. Fortunatamente ora è l’ente pubblico che, finalmente, pare essersi accorto che la soluzione casa di riposo e spesso “disumana” è sempre insopportabile per l’economia del cittadino anziano bisognoso di aiuto, della relativa famiglia e dello Stato. Mentre la struttura di alloggi protetti rappresenta una sponda sensibile e provvidenziale per soluzioni più avanzate e socialmente possibili.

Questa ricerca però non può essere lasciata sulle spalle fragili di un vecchio prete, ma deve trovare l’appoggio solidale della città.

Rimboccarsi le maniche per il benessere comune

I criteri con cui tentiamo di inserire nel generalmente ritenuto “Paradiso Terrestre” del don Vecchi, sono quelli tante volte dichiarati: pensioni minime, sfratto, situazioni di assoluto disagio con la nuora, case malsane, solitudine abitativa, salute malferma, mancanza di familiari.

La signora Graziella, moglie di Rolando Candiani, il proverbiale direttore di stile gentleman inglese, asciutto come un’acciuga, con baffetti corti, cerimonioso nella parola e nel movimento delle braccia, tanto da assomigliare ad un direttore d’orchestra, è fin troppo rigorosa nel pescare, dalla lista infinita, gli anziani da immettere.

La signora Graziella, di nome e di fatto, ha però il rigore di un gendarme prussiano nell’usare questi criteri, mentre io sono più garibaldino, sono portato a privilegiare l’ultimo arrivato e a dar fede a tutte le credenziali presentate e non ultimo di tener conto del possibile aiuto che il richiedente potrebbe offrire alla nostra struttura che ha bisogno di tutti per permettere a tutti, compreso chi è al di sotto del minimo vitale, di dimorare al don Vecchi.

Sei, sette mesi fa si è presentata, in sagrestia del cimitero, una specie di amazzone a perorare la causa del padre, insistendo soprattutto che si sarebbe reso utile in tutti i modi. Tanto feci che gli ottenni un castello di 16-17 metri quadrati, compreso bagno ed entrata.

Giorgio si è presentato, lungo, dinoccolato come certi attori di Hollywood. Giorgio è un “giovane” anziano, con alle spalle tante peripezie che però non l’hanno ammansito ancora completamente; ogni tanto ha qualche guizzo selvaggio.

Nella sostanza è disponibile, pur assomigliando al secondo figlio della parabola evangelica che dice di no al Padre, ma che poi finisce per andare a lavorare nella vigna! Mi par che sia in cammino di “conversione”, ma procede lentamente e talora con battute di arresto.

Per ora lavora ai magazzini dei mobili, ma la sua occupazione principale è quella del frate questuante frutta e verdura ai magazzini generali di via Torino. Ma non disdegna i mercati di frutta e verdura di Padova e Treviso.

Ora viene a messa ed ha un rapporto caldo ed affettuoso con questo vecchio prete.

Spero proprio che diventi un cittadino modello del don Vecchi, così da invogliare anche tanti altri a rimboccarsi le maniche e a collaborare maggiormente per il benessere comune.

Volontariato nel borgo degli anziani

Mi è voluta una vita intera per capire che le persone rendono di più se si sentono gratificate e provano senso di benessere se si richiede loro quello per cui sono naturalmente portate, mentre se, anche con le migliori intenzioni, s’impone loro qualcosa che non è congeniale con la loro indole, faticano di più, rendono meno e soprattutto lo fanno malvolentieri.

Non è facile però in una comunità scoprire per ognuno il posto giusto!

Entrato al don Vecchi, per convinzione e per necessità, ho cominciato a predicare e a premere perché ognuno collaborasse per il bene comune.

Al don Vecchi si può continuare ad accettare anche le persone con pensioni irrisorie solamente se si può avvalersi della collaborazione volontaria dei residenti e dei, non moltissimi, volontari esterni.

Mosso da questa convinzione ho cominciato a premere in ogni modo perché nascesse questo coinvolgimento e questa collaborazione, ottenendo però risultati più che modesti. E questo era diventato per me incomprensibile tanto da avvertire un sentimento di frustrazione e di impotenza. Poi, venendo a conoscere pian piano l’indole e le propensioni di ognuno, vedo che lentamente ma felicemente le diverse e variopinte tessere del puzzle vanno al loro posto.

Di primo mattino c’è chi porta in casa i pacchi di “Leggo” e de “il Mestre”, c’è chi dispensa i volumi per gli ipovedenti, chi organizza i prelievi del sangue, chi bagna le piante, chi carica gli orologi, chi distribuisce per tutta Mestre “L’incontro”, chi pota le rose, chi prepara le tavole, chi si impegna ai magazzini S. Martino, chi piega i giornali, chi serve al bar, chi va a fare gli acquisti ecc….

Il borgo degli anziani si sta dando un’organizzazione puntuale ed efficace, però con calma, rispetto, pazienza e comprensione.

L’avessi scoperto prima, le cose sarebbero andate meglio anche in parrocchia!

Un doveroso riconoscimento

Per Natale è venuto a farmi gli auguri Tobia Zordan, uno degli adolescenti che don Gino ha lasciato in eredità alla parrocchia, quando il Patriarca l’ha mandato a Mira a fare il parroco.

La notizia del trasferimento mi giunse inaspettata ed amara mentre il mio giovane cappellano era alla Malga dei Faggi con uno splendido gruppo di una quarantina di adolescenti, tra cui c’era anche Tobia, il ragazzo che ha mantenuto anche dopo vent’anni quel suo volto innocente e sempre trasognato.

Il tutto mi pare cosa dell’altro ieri, mentre in realtà Tobia ha fatto in tempo a laurearsi in architettura, crearsi uno studio in cui lavorano una quindicina d’architetti, vincere un concorso perciò ogni mese insegna una settimana nell’Università cinese di Shangay. Sposare una gentile collega e mettere al mondo un angioletto di bimba che porta un nome da amazzone, troppo impegnativo per una bimba fragile e bella: Camilla.

Tobia come sempre è stato caro e gentile con quel suo parlare accattivante, dal tono caldo e sommesso.

L’incontro si svolse nella hall del don Vecchi, ma durante tutto il tempo un pensiero mi frullava insistente in testa, tanto insistente che dovetti dargli voce: “Tobia, ringrazia tuo padre per non avermi dato il permesso di fare la trentina di stanze progettate nell’interrato sottostante alla hall”. A quel tempo l’architetto Zordan era assessore ai lavori pubblici e, per quanto avesse voluto aiutarmi, le norme erano decisamente contrarie. Avrei costruito una polveriera sotto ai piedi dei 250 anziani del don Vecchi. A quel tempo ci rimasi male, ora finalmente ho capito che facendo il proprio dovere si aiuta il prossimo!

Il riconoscimento della dirittura professionale dell’assessore è giunto tardi, ma era doveroso riconoscerlo!

L’acqua alta, il MOSE e la debolezza dei governanti

Ai primi di dicembrem se per caso mi fosse venuta la voglia di andare a pregare nella basilica di S. Marco, di certo non avrei potuto andarci, perché nonostante gli stivaloni avrei avuto bisogno di un periscopio o della bombola da sommozzatore per affrontare i 165 cm. di acqua che c’era in Piazza S. Marco. Dopo un sentimento di pena nei riguardi della povera gente che vive a Venezia a pianoterra e dei negozi sommersi dall’acqua con la merce rovinata, il mio pensiero è andato immediatamente ai “disobbedienti di Casarini” ai no-globals, all’estrema sinistra, ai verdi, al Partito Democratico nelle sue componenti rosa e bianco e a tutti coloro che nutrono complessi di sudditanza verso questa gente sballata che in tutti questi anni ha messo in atto mille farse per bloccare il Mòse.

Io non so se questa struttura  impedirebbe un’acqua alta del genere, comunque essa sarebbe un tentativo per verificare la sua efficacia.

In questa tragedia cittadina, che dimostra quanto siano stupidi e faziosi certi individui che tengono banco nella ribalta dell’opinione pubblica e quanto siano imbecilli quelli che si fanno incantare dalla loro demagogia e anzi sono perfino preoccupati di qualificare in maniera adeguata gli attentatori della sopravvivenza della nostra bella e cara città.

Il formaggio sui maccheroni poi l’hanno messo i sindacati con lo sciopero dei vaporetti, sciopero che certamente ha salvato i lavoratori dal naufragio! Oggi come veneziano di adozione, mi sono sentito veramente disperato pensando alla città sommersa dall’acqua sì dell’Adriatico, ma prima ancora dalla demagogia degli stolti e dalla debolezza dei governanti.