La dottoressa Corsi

Attendevo da un paio di settimane con trepidazione questa telefonata, e purtroppo ora mi è giunta: la dottoressa Francesca Corsi, funzionario di alto livello del Comune di Venezia, è morta.

A motivo dei Centri don Vecchi in questi ultimi vent’anni il rapporto con questa donna è stato frequente, stretto e quanto mai collaborativo. Ho sognato e mi sono battuto con fatica e molta determinazione per la soluzione che col tempo è stata identificata nel Centro don Vecchi a favore degli anziani, ma ero sprovvisto di esperienza e conoscenza degli ingranaggi degli enti pubblici, mentre lei, che ha speso una vita all’interno di queste realtà, intelligente e determinata com’era, ha condiviso con me e mi ha offerto frequentemente soluzioni determinanti a livello legale e burocratico che da solo non sarei mai stato in grado di risolvere.

La dottoressa Corsi in questi ultimi vent’anni, all’interno dell’assessorato alle politiche sociali del Comune di Venezia, ha ricoperto ruoli di alto livello nel settore che riguarda gli anziani e i disabili, io l’ho conosciuta sui banchi della scuola quando insegnavo alle magistrali e lei era ancora una ragazzina.

Nacque, fin da allora, un rapporto di simpatia e di condivisione. Forse sono stato un docente anomalo, perché ho sempre tentato di passare valori piuttosto che aride nozioni dottrinali. Onestamente penso che i miei alunni abbiano colto e condiviso il messaggio di solidarietà in cui ho sempre creduto e che rappresenta il cuore del messaggio evangelico.

Francesca, da quanto ho potuto riscontrare, fu una delle alunne che recepì in maniera più seria e sostanziale questa proposta e l’attuò in maniera del tutto personale attraverso un suo itinerario spesso sofferto, ma sempre coerente.

Sulla testimonianza umana e sociale della dottoressa Corsi spero di ritornare con più calma e serenità. Ora la notizia della sua scomparsa mi turba troppo, anche perché sento rimorso per non averle detto più spesso e più apertamente il mio affetto, la mia ammirazione e la mia riconoscenza. Un sentimento di pudore e di rispetto reciproco ha sempre caratterizzato il nostro rapporto, tanto che io stupidamente le ho sempre dato del lei, nonostante le volessi tanto bene e condividessi tanto a fondo il suo modo di operare e la sua reale dedizione al prossimo, dedizione che superava in maniera abissale il suo dovere professionale.

Chi mi ha annunciato la morte della dottoressa Corsi, mi ha riferito che lei ha chiesto ad un suo collega a cui era legata da sentimenti di stima e di condivisione, che fossi io a celebrare il suo funerale. Questo mi assicura che l’intesa fu vera e profonda, nonostante il diaframma di un pudore che, soprattutto da parte mia, ha impedito un rapporto più caldo ed affettuoso.

Ora la piango, ma sono certo che la comunione di ideali con questa bella creatura mi aiuterà nel mio impegno a favore degli anziani e che assieme potremo fare ancora qualcosa di buono per i fratelli più fragili.

17.01.2014

Solamente il privato sociale…

Mercoledì (a fine novembre, NdR) ho partecipato al consiglio di amministrazione della Fondazione che gestisce i Centri don Vecchi.

Don Gianni, il giovane presidente, e i consiglieri, mi usano la gradita attenzione di rendermi partecipe dei problemi di questo ente che pian piano sta imponendosi in città nel settore dell’assistenza sociale. La cosa mi fa piacere perché mi sono sempre interessato ai problemi che riguardano la solidarietà, però mi capita talvolta di lasciarmi coinvolgere in maniera viscerale dai problemi trattati, cosa che da un lato mi fa star male. Dall’altro lato talvolta arrischio di finire per esagerare nel portare avanti le soluzioni che io ritengo più giuste.

Il tema principale dell’ordine del giorno dell’incontro era quello della gestione del nuovo Centro dedicato agli anziani in perdita di autonomia. Un paio di anni fa l’assessore regionale Sernagiotto ci affidò il compito di approntare un progetto pilota per una soluzione più attenta alla dignità e all’autonomia dell’anziano in perdita di autonomia, che fosse pure meno onerosa per gli utenti e per la società. Accettammo di buon grado questa sfida.

Dopo infinite peripezie, abbiamo ottenuto un’area ottimale, abbiamo messo a punto il progetto ad hoc con tre giovani architetti intelligenti e sensibili a queste problematiche, tanto che ormai la struttura è al tetto e ad aprile, maggio, sarà pronta.

Purtroppo a questo punto salta fuori la solita burocrazia che vorrebbe imporci un organigramma e delle modalità di gestione che si rifanno ai vecchi schemi che – almeno io – giudico superati, onerosi ed accettabili solamente dall’ente pubblico, abituato a spendacchiare, o dalle aziende commerciali invece, tutte tese a guadagnare comunque.

A questo punto è nata la mia ribellione: “Lasciateci far da noi, controllateci pure, ma soltanto fra un paio d’anni formulate pure un giudizio e, solamente se troverete assolutamente positiva l’esperienza, assumetela come un modello sul quale far riferimento per l’assistenza di questa tipologia particolare di anziani.

Ho la convinzione assoluta che il “pubblico” debba rifarsi al cosiddetto “privato sociale” per le sperimentazioni che sono assolutamente necessarie per approntare norme e per concedere finanziamenti. Solamente il “privato sociale”, ossia quella realtà che ha forti motivazioni sociali e non persegue fini di lucro, può aprire strade nuove e proporre soluzioni più attente all’anziano e meno gravose economicamente sia per le famiglie che per la società.

Ma per carità, lasciateci le mani libere, non intromettetevi con richieste formali che nascono da una mentalità burocratica che non può avere per l’uomo quella passione che normalmente ha solamente chi è mosso da ideali e che, pur senza stipendio, è disposto a sacrificarsi per il bene del suo prossimo!

28.11.2013

Un’Italia da scoprire

La signora Mariuccia, la nota voce solista del “coro Santa Cecilia”, che anima tutte le feste l’Eucarestia al “don Vecchi” e nella “cattedrale fra i cipressi” e che inoltre si esibisce spesso, durante l’anno, nei vari Centri con dei programmi di musica lirica e romanze, ha convinto lo staff che organizza i “pomeriggi turistici” per i nostri anziani, di puntare, come meta dell’ultima uscita, su Arzerello, suo paese natìo.

Ho fatto fare una ricerca su Internet per avere qualche notizia su questo paese della nostra soprano. In verità ho trovato tanto poco: un paesino della bassa padovana, che in una minuscola frazione offre una chiesa denominata “del Cristo”. Le foto relative, del paese e di questo piccolo santuario, mi sono sembrate ben meschinelle, tanto che subito mi è venuto da pensare che avremmo fatto cilecca per questa uscita mensile che noi, con un po’ di retorica, chiamiamo “gita-pellegrinaggio”. Il fatto poi che i giorni precedenti ci avessero inflitto la coda del “ciclone Cleopatra”, che ha messo in ginocchio la Sardegna e che ci aveva offerto pioggia a volontà, mi avevano creato ancor maggiore apprensione e pessimismo.

Invece il buon Dio ci ha regalato una giornata primaverile, un cielo terso ed un sole proprio ammiccante ed affettuoso. Lungo il viaggio abbiamo potuto ammirare l’autunno nel suo fulgore, mentre tutta la catena del Grappa, ben visibile a motivo della pioggia che aveva ripulito l’atmosfera, ci ammoniva, con le sue cime innevate, che l’inverno è ormai alle porte.

Arrivammo verso le 15,30 al piccolo sagrato della Chiesa del Cristo, una chiesetta di campagna con una facciata insignificante. Ci accolse un signore in blue jeans che pensai fosse un contadino del posto, ma ben presto scoprii che era il parroco e “che parroco!”, ben cosciente della sua autorità! Prese in mano, fin da subito, la regia del nostro pellegrinaggio, spiegandoci alla buona la storia del santuario e del Cristo che vi era custodito. La storia risultò uno dei tanti racconti che, se non sono leggenda, di certo ne sono un parente prossimo. Quando ci permise di entrare, dopo il racconto-predica, scoprii subito che la cappella a destra, con il Cristo, era la parte antica alla quale, all’inizio del secolo scorso, avevano accostato una chiesa alquanto modesta ma ben curata ed accogliente.

La visione del Cristo, dipinto su tavola dal Donatello, o da qualcuno della sua scuola, da solo meritava veramente il viaggio: una splendida e dolce figura di squisita armonia e di calda umanità.

Poi, da anfitrione deciso, il parroco ci impose la recita del rosario ed una messa condita abbondantemente con canti vecchi e nuovi. Comunque ho notato che i miei vecchi hanno gradito quanto mai quella liturgia popolare e interventista e hanno seguito seriamente il rito ben più lungo, nonostante io abbia rinunciato, per motivi di tempo, al mio sermone sul dovere di cogliere la vita come un bel dono.

La seconda parte dell’uscita, con la consueta merenda – che per una persona un po’ parca basterebbe per colazione, pranzo e cena – s’è svolta nel bellissimo patronato della parrocchia vicina di Campagnola.

Penso che se avessimo portato la nostra allegra brigata di un centinaio di anziani del “don Vecchi” e di Mestre a Parigi o a Londra, non li avremmo fatti più felici!

Recentemente ho sentito che il petrolio è la ricchezza di una nazione e che noi italiani ne abbiamo giacimenti quasi infiniti: non di petrolio, ma delle nostre opere d’arte! Il guaio è che non sappiamo di averli e perciò siamo costretti a vivere da poveri.

23.11.2013

Quando e perché?

Ho la sensazione, anzi quasi la certezza, che molti miei colleghi e forse anche il mio “governo” non capiscano e non condividano il mio impegno a favore degli anziani poveri. Le insinuazioni che furtivamente mi giungono all’orecchio sono diverse e quasi mai benevole. Qualcuno mi accusa di mania di protagonismo, “mal della pietra”, voglia di emergere ed altro ancora. Qualche altro accampa motivazioni vetero-comuniste, arcaiche, irrazionali e superate, ma ancora superstiti in qualche nostalgico del passato, affermando che a queste cose ci deve pensare lo Stato o il Comune o, comunque, l’ente pubblico, perché questi compiti non sono di pertinenza della Chiesa.

Per le prime insinuazioni neanche tento una difesa: è giusto che anch’io porti la mia croce. Ma per questi ultimi mi è sempre venuto da domandarmi: “Ma che ci sta a fare la carità cristiana e, meglio ancora, il comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”, se poi non si realizza un qualcosa di concreto?

Qualcuno che mi vuol bene pensa che questi giudizi malevoli siano un modo volgare per nascondere il proprio menefreghismo, il proprio desiderio di quieto vivere che viene turbato dall’impegno altrui. Qualche altro pensa che si tratti di invidia o di una reazione per giustificare il proprio disimpegno. Comunque la pensino gli uni e gli altri, è mia convinzione profonda che il comandamento dell’amore reciproco debba essere calato giù dalle nuvole e concretizzarsi in strutture o servizi, anche se questa operazione di concretizzare le scelte e gli ideali sempre si impoveriscono a motivo dei nostri limiti. Io, in questa stagione della mia vita, fra tutto il possibile e il necessario, mi sono ritagliato una piccola fetta: la residenza per gli anziani poveri, pur sapendo che il campo della carità è semplicemente immenso.

Voglio aggiungere che quando un uomo di Chiesa fa una scelta di questo genere, essa debba avere delle caratteristiche ben definite che la qualificano come autentica carità cristiana. Perciò ho eliminato fin da subito i settori che sono già abbondantemente presidiati o dall’ente pubblico o dagli enti di commercio. Ritengo invece che la Chiesa debba intervenire in presenza di queste condizioni:

  1. Quando apre una strada nuova con delle soluzioni innovative e quando, risultando questa sperimentazione collaudata e positiva, lasci pure che altri si occupino del progetto e lo portino avanti in scala più vasta.
  2. Quando l’opera è offerta alle classi più povere e quindi possono accedere a questa struttura o a questo servizio anche i soggetti meno abbienti che non potrebbero mai permettersi di fruire di realtà costose e superiori alla portata delle sue possibilità.
  3. Quando l’opera offre delle soluzioni rispondenti alle attese della povera gente, è rispettosa della persona e permette agli utenti di realizzarsi in maniera compiuta e pure rispondente agli standard del nostro tempo.

Da queste premesse credo che un prete non debba mai fare concorrenza alle strutture esistenti, non debba mai impegnarsi per le classi agiate, non debba puntare al lucro ed offrire soluzioni sgangherate, fuori tempo e non degne di essere destinate ai figli di Dio.

Questa è la mia dottrina e spero di essermi sempre attenuto ad essa nei miei impegni di ordine sociale.

16.11.2013

Sesto al Regana

Nelle stagioni buone, primavera ed autunno, è ormai diventata tradizione una uscita mensile in una qualche località del nostro Veneto raggiungibile facilmente e che offra qualcosa di interessante sia dal punto di vista paesaggistico che da quello storico o religioso. Queste uscite le definiamo “gite pellegrinaggi” perché tentiamo di coniugare l’utile col dilettevole, ossia sono l’occasione per chiacchierare piacevolmente lungo il viaggio di trasferta, per una celebrazione religiosa più intensa e preparata del solito, per una ricca merenda e per conoscere uno dei tantissimi angoli del nostro meraviglioso Paese.

Giovedì scorso, grazie all’intraprendenza e allo spirito di sacrificio che anima il piccolo staff che organizza le uscite mensili degli anziani del “don Vecchi” e di Mestre, siamo andati a visitare il piccolo borgo medioevale di Sesto al Regana ai confini della nostra provincia

Pranzo anticipato alle 12 e alle 14 partenza da Carpenedo, raccogliendo lungo il percorso i residenti del Centri di Campalto e di Marghera. Viaggio comodo in pullman extralusso attraverso la stupenda campagna veneta vestita dei toni caldi dell’autunno: il rosso, il giallo e il verde stanco per la lunga estate. Accoglienza da parte di una gentile e colta ragazza della comunità che ci ha illustrato la storia dell’antica abbazia benedettina che nel lontano passato dominava tutto il basso Friuli (fu un piacere ascoltarla perché aveva le movenze di un maestro d’orchestra ebbro di offrire le sue melodie).

Quindi la messa. La signora Laura ha letto il tema dell’eucarestia: il corpo umano e le sue membra, dono inestimabile di Dio. Don Armando ha tenuto la meditazione sull’argomento, poi la liturgia con gli anziani che hanno espresso la preghiera dei fedeli. Quindi la lunga fila dei cento “pellegrini” che si sono presentati a ricevere il pane consacrato.

A seguire, in una sala messa a disposizione del parroco, la meritata merenda: tre panini alla soppressa, al salame e al formaggio, il dolce e una banana offerta dall’associazione “La buona terra”, vino, bibite e acqua minerale. Infine la passeggiata lungo il fiume Reghena che scorre sornione attorno al borgo, piccolo ma ricco di edifici stupendi del quattro-cinquecento.

Alle 18 partenza per il ritorno. Costo dell’uscita: 10 euro, tutto compreso. Compreso perfino il buonumore e la cordialità. Credo che se avessimo organizzato un ritiro spirituale non avremmo ottenuto gli stessi effetti positivi.

Una volta ancora mi sono convinto che Gesù non è venuto perché vivessimo una spiritualità musona e mesta, ma perché “avessimo la gioia ed una gioia piena” e con un po’ di buona volontà e 10 euro la cosa è assolutamente ancora possibile. Informo i parroci di Mestre che sono disposto a cedere gratuitamente la ricetta.

21.10.2013

Il “don Vecchi celeste”

Questa mattina, assieme ad un gruppetto di famigliari ed uno un po’ più numeroso di residenti al Centro don Vecchi di Mestre, nell’umile chiesa tra i cipressi del nostro cimitero, abbiamo preso commiato da Gino.

Negli ultimi tempi questo caro amico, che per anni abbiamo visto nel nostro Centro accompagnare in ospedale la sorella ed assisterla con attenzione ed un amore veramente ammirevole, aveva un volto sempre più pallido e perdeva, a vista d’occhio, sempre più peso. La signora Cervellin, che per una vita ha lavorato tra i pazienti del nostro ospedale e che ora funge da consulente sanitario presso i nostri Centri, ha consigliato al nostro coinquilino, prima di fare degli accertamenti e poi il ricovero in ospedale. Il nostro amico, pur controvoglia, perché preoccupato dell’assistenza alla sorella con la quale ha lavorato e poi vissuto l’intera vita, aveva accettato e quando il chirurgo gli ha prospettato un intervento, ha detto subito di si per la preoccupazione di tornare presto a casa ad assistere questa sorella più anziana ed apparentemente più acciaccata di salute. L’intervento è stato tardivo ed inutile, tanto che in qualche giorno se n’è andato in pace.

Nell’omelia di commiato, pensando alla sua età e alla nostra – al “don Vecchi” infatti l’età media è di 84 anni – dissi ai presenti, come fanno gli alpini con i loro commilitoni che tornano alla Casa del Padre: «Gino è andato avanti!» per aggiungere subito «noi camminiamo però sulla stessa strada verso la stessa méta!».

Mentre pronunciavo queste parole, pensavo che ora per fortuna abbiamo un gruppo numeroso di “colleghi” pronti a darci il benvenuto quando arriveremo anche noi alla Casa del Padre: sono infatti più di cento i concittadini che dalla dimora del “don Vecchi” hanno traslocato lassù. Allora queste parole della pagina del Vangelo appena letto diventarono una immagine viva e sorridente: “Vado a prepararvi un posto, e quando ve lo avrò preparato, verrò a voi perché siate anche voi dove Io sono!”.

Se la nostra città è riuscita ad offrire una piccola dimora a mezzo migliaio di anziani in difficoltà – alloggio che tutti ci invidiano, e che stanno offrendo serenità ed una vecchiaia tranquilla – quanto più bella e gradevole sarà la dimora che Cristo ci ha preparato perché vi dimoriamo per l’eternità!

L’ultimo trasloco tra il Don Vecchi e la Casa del Padre sarà di certo un passaggio felice, migliore e pieno di piacevoli sorprese, tanto che sarà quanto mai opportuno che fin da subito facciamo la domanda per essere accolti. Per ora disponiamoci ad aspettare pazientemente, senza fretta.

29.09.2013

La scommessa

Ieri mattina (varie settimane fa, NdR, prima della messa, sono andato presso il futuro “Villaggio solidale degli Arzeroni” per visitare il cantiere, assieme al presidente della Fondazione, don Gianni, e al suo manager Andrea, per vedere come procedono i lavori.

Pensavo, quando Andrea mi invitò, che si trattasse solamente di vedere la distribuzione degli spazi, dato il fatto che io non riesco bene a leggere i disegni e ad immaginarmi come essi si traducano nella realtà delle pietre. Ma ben presto scoprii che c’era un motivo ulteriore. Andrea aveva invitato i responsabili del pool di imprese che stanno realizzando la struttura: una quindicina di specialisti – dai muratori al responsabile della sicurezza, dagli idraulici agli elettricisti, dai progettisti (che poi sono tutte donne) agli addetti ai pavimenti – per fare una proposta che mi ha fatto quanto mai felice. Proponeva di anticipare la consegna del manufatto ad aprile del prossimo anno piuttosto che a novembre come è previsto dal contratto, riconoscendo, ben s’intende, un’aggiunta al prezzo fissato per i maggiori oneri che questa anticipazione arreca ai costruttori.

Per me, che vedo il calendario che gira i giorni sempre più velocemente, la proposta non può che far piacere, perché mi piacerebbe vedere la conclusione del “don Vecchi 5” e l’inizio del “don Vecchi 6”, struttura che avrebbe una diversa destinazione, ma sempre di tipo sociale.

Quando vent’anni fa abbiamo progettato il primo “don Vecchi”, siamo partiti con estrema preoccupazione, scommettendo sulla validità del progetto, assolutamente innovativo sulla domiciliarità degli anziani di modestissime risorse economiche, mediante gli “alloggi protetti”, con spazi comuni per la socializzazione e costi economici alla portata di tutti, perfino di chi “gode” (in realtà poco) della pensione sociale. La scommessa è stata vinta, tanto che la nostra soluzione è diventata mosca cocchiera per tanti Comuni ed organizzazioni sociali.

In questi giorni abbiamo fatto una seconda sfida nei riguardi degli anziani poveri, ancora del tutto coscienti ma con disabilità fisiche più o meno gravi. Siamo ai primi passi di questa scommessa, e li stiamo giocando con oculatezza, ma pure con una certa preoccupazione. Sogniamo il vecchio che rimane il padrone di casa sua, potendo godere di un aiuto che la società gli assegna e con la presenza di persone che lo supporteranno con un sentimento di profonda e calda solidarietà.

Collaudata questa fase intermedia di uomini verso il tramonto, rimarrebbe la terza scommessa, alla quale altri hanno dato risposta, taluno per fare business e talaltro appoggiandosi all’apparato burocratico degli enti pubblici che tutti conoscono per la poca efficienza e per il costo elevato.

Per ora mettiamo questa sfida come obiettivo remoto, ma sarebbe esaltante poterla fare con il nostro stile e la nostra mentalità che è ben differente da quella degli operatori del settore. Chi vivrà vedrà!

20.09.2013

Perseverare

Il nostro vecchio patriarca, il cardinal Roncalli, parlava abbastanza di frequente della “santa perseveranza”, la virtù che accompagna l’uomo fino all’ultimo passo.

Qualche settimana fa “L’avvenire” ha pubblicato un bel servizio su Emilia Zucchetti, in occasione del compimento dei suoi centodieci anni di età. Questa anziana signora parlava con entusiasmo della sua terra, della sua famiglia, del suo lavoro, ma soprattutto della sua fede nel buon Dio.

I vecchi che mantengono entusiasmo, che rimangono attivi ed ottimisti e che continuano ad amare la vita, sono veramente delle persone belle e dei testimoni autentici del grande dono ricevuto dal Signore. Io conservo nel mio cuore delle bellissime immagini di vecchi. Ricordo di aver visto alla televisione Emma Gramatica recitare a novant’anni di età, ed era veramente meravigliosa e piena di fascino. Ricordo il cardinal Bevilacqua che tanti anni fa è venuto a parlare in seminario e conservo di questo vecchio prete, che parlava con fatica ma con grande entusiasmo e freschezza, un ricordo bellissimo e stimolante.

Io attualmente vivo tra tanti vecchi che vanno da un minimo di settant’anni ad un massimo di quasi cento. C’è, si, qualche bella persona, ma non troppe. Sono arrivato a pensare che i valori, gli ideali, i sogni, l’ottimismo e la bontà vanno curati con infinita pazienza e passione perché quando essi s’appannano fa veramente sera.

Mi confidava una cara signora di Firenze che aveva avuto una vita intensa, ma pure con tanti drammi: «Sapesse, don Armando, quanto faticoso sia vivere quando gli ideali non brillano più!». Per questo sono giunto alla conclusione che nella vita non bisogna sedersi, mettersi in pantofole ed in poltrona, ma sognare, progettare, reagire, partecipare, impegnarsi, perfino ribellarsi ma vivere!

Parecchi anni fa organizzai un incontro con i miei ragazzi di un tempo, ragazzi con i quali avevo percorso gli alti sentieri della montagna, bivaccato in tenda, discusso in maniera animata sui vari problemi della vita. Ormai tutti s’erano fatti una famiglia e avevano una professione. Posi loro questa domanda: «Ragazzi, che ne è dei sogni e dei progetti che mi avete confidato nella vostra adolescenza?». Era una domanda impegnativa e ognuno era un po’ imbarazzato nel rispondere. Qualcuno mi disse, deluso, che la vita reale è ben diversa da quella sognata, ma qualche altro aveva continuato a servire, in politica, nel sindacato o nel volontariato. Mi accorsi che avendo continuato a coltivare gli ideali questi erano ancora ricchi, ma soprattutto vivi, presenti e partecipi.

La perseveranza fa tagliare il traguardo ancora in piedi.

05.09.2013

La legge!

Finalmente si è conclusa la vicenda della custodia delle biciclette dei trecento anziani ospiti nel “don Vecchi” di Carpenedo. La storia è lunga e quanto mai amara e merita di essere raccontata per constatare che i romani avevano ragione quando già duemila anni fa hanno sentenziato “Summa jus, summa iniuria” (traduco alla buona: “anche la legge più perfetta, fatta per il bene della comunità, talvolta si rivela una ingiustizia clamorosa”).

Una decina di anni fa chiesi ad un architetto di fare un progetto ed ottenere il permesso per creare un deposito per riparare le biciclette. Il “don Vecchi” di Carpenedo è composto da 192 alloggi ed ospita circa 300 anziani. Di questi residenti una decina o poco più, posseggono ancora l’automobile, 150 circa vanno a piedi o in autobus e tutti gli altri posseggono ancora una bicicletta. M’è parso giusto che questo “prezioso patrimonio” fosse difeso dalle intemperie. Il motivo per cui le cose non sono andate per il giusto verso non l’ho ancora capito. Forse c’è stato uno sbaglio, forse gli operai hanno interpretato male i disegni. Quello che purtroppo ho capito bene è stato il fatto che un “parrocchiano fedele” che non c’entrava nulla nella questione, ha fatto ben tra denunce per quella che egli, esperto di queste cose, ha ritenuto una irregolarità ed ha pensato che un prete prepotente dovesse essere punito.

Per questa vicenda, prima c’è stata erogata una multa di cinquemila euro, poi ci han fatto togliere le pareti di questa custodia, dopo per mesi siamo andati avanti con visite di vigili, con suggerimenti vari che dicevano potessero sanare l’illecito; infine, per non danneggiare il professionista che aveva firmato il progetto, abbiamo dovuto togliere anche la copertura perché il “gabbiotto” diventasse legale, mentre quello che è stato fatto in piazza San Marco sotto il campanile, forse sarà fatto togliere solamente per motivi di carattere estetico e di convenienza.

Ora le biciclette dei nonni sono sotto il cielo “riparate” da tre profilati in ferro larghi qualche centimetro, ma comunque “giustizia è stata fatta!”. Abbiamo possibilità di collocare la struttura in altri luoghi, ma con il cantiere per il “don Vecchi 5” appena aperto, distrarre soldi da questa partita sarà ben difficile.

Credo che sia doveroso che i cittadini sappiano quale compenso riceve chi si occupa degli anziani più poveri ed altrettanto conoscano lo zelo per la legge di certi cittadini, di certi vigili, di certi funzionari comunali e di certi magistrati!

La delegazione di Torino

Un paio di settimane fa mi ha telefonato un signore da Torino, il quale mi disse che aveva scoperto in internet la nostra esperienza dei Centri don Vecchi e che desiderava visitare le nostre strutture, informarsi sulle “dottrine”, sui criteri di costruzione, di accoglienza e di gestione con i quali stiamo conducendo avanti l’iniziativa di un nuovo tipo di domiciliarità per gli anziani, soprattutto per quelli di minori possibilità economiche.

L’altro ieri questo signore mi ha ritelefonato dicendomi che sarebbe venuto con due architetti ed un membro del consiglio regionale del Piemonte, che è pure membro del consiglio di amministrazione della fondazione di cui lui stesso è presidente.

Stamattina ho accolto al “don Vecchi” la delegazione piemontese chiedendo che fossero con me due membri della Fondazione Carpinetum, il ragionier Giorgio Franz per quanto riguarda l’aspetto finanziario e il geomentra Andrea Groppo per quello che concerne gli aspetti tecnici. Durante l’incontro venni a sapere che il signore di Torino aveva acquistato un intero piccolo paese in val di Susa, attualmente pressoché disabitato, nel quale sogna di costruire una megastruttura impostata sulla dottrina e sui criteri abitativi che noi stiamo sperimentando.

Confesso che in fondo all’animo si è affacciata l’illusione di essere quasi un innovatore, un padre fondatore di un nuovo mondo per gli anziani, ma questa tentazione si è dissolta presto, consapevole dei limiti della mia senilità.

L’incontro è stato cordiale e quanto mai costruttivo, i piemontesi sono stati ammirati e riconoscenti affermando che avrebbero fatto tesoro della nostra esperienza e chiedendomi consulenza anche per l’avvenire. Noi invece abbiamo capito che il loro dialogo con la Regione Piemonte, la ULSS e il Comune era estremamente collaborativo e che questi enti con cui collaboravano si sentivano riconoscenti per gli apporti del privato sociale e disponibili a finanziare sia la costruzione che la gestione di chi li aiutava a risolvere in maniera nuova, più economica e più rispettosa degli anziani, mentre i nostri referenti locali ci considerano dei noiosi questuanti, o peggio dei “rompiscatole”, piuttosto che dei provvidenziali collaboratori.

A conclusione della visita, mentre facevo il bilancio sull’aspetto positivo che ci riguardava, mi venne in mente l’affermazione di Gesù: «Nessuno è profeta nella propria patria!» I riconoscimenti che finora ci sono pervenuti, fortunatamente molti e calorosi, ci sono giunti da fuori piuttosto che dai nostri “governanti”.

Basta poco!

Mio padre, già anziano, mi fece una confidenza che spesso mi si rende presente, vivendo io in un ambiente popolato, quasi esclusivamente, da persone anziane. «Sai Armando – mi disse – a noi anziani basta poco per sentirsi sereni e basta pure poco per sentirsi soli e trascurati». Mio padre aveva ragione.

Al “don Vecchi” s’è creata una piccola équipe che organizza, pressappoco ogni mese, in tutti tre i Centri, un incontro culturale; normalmente si tratta di un concerto di musica varia e di una minigita-pellegrinaggio. Di solito ambedue le soluzioni riscuotono un notevole successo sia da un punto di vista numerico che da quello di gradimento.

Un paio di settimane fa la proposta turistico-religiosa ci ha portato a Padova, prima per una liturgia nella chiesa di Padre Leopoldo e poi per una visita al Santo. L’articolazione dell’uscita è stata abbastanza semplice. Partenza in moderni autobus dai tre Centri, chiacchierata a volontà durante il tragitto e celebrazione particolarmente curata della Santa messa nella chiesa ove l’umile frate cappuccino ha amministrato il sacramento del perdono per una vita intera.

Siamo partiti alle 14.00 in centodieci “pellegrini”; per la messa, dopo la presentazione che ha motivato il pellegrinaggio, l’omelia è stata incentrata sulla necessità di controllare costantemente la nostra coscienza in modo da offrire l’immagine migliore di noi stessi. Poi canti e l’intervento di un frate che ci ha parlato del confratello santo. Il tutto in un clima molto devoto e fraterno, con accensione di lumini e comunione generale.

L’aspetto profano non è stato meno felice: abbondante merenda casereccia con tre panini al salame, formaggio e mortadella, supplemento di dolce, vino e bibite: il tutto consumato con entusiasmo ed appetito (forse l’aria di Padova ha reso più appetitosi i panini imbottiti).

Per l’aspetto turistico: passeggiata al Pra della Valle e visita al Santo. Costo dell’uscita – dieci euro, tutto compreso – ha reso più facile l’adesione perché anche gli anziani con una pensione di soli 500 euro al mese han potuto permettersi il lusso di questa “gita-pellegrinaggio”.

Al ritorno tutti non han fatto che ringraziarmi per il bellissimo pomeriggio. Allora mi sono ricordato della confidenza di mio padre e nello stesso tempo mi è venuto da pensare che con dieci euro forse ho reso migliori e più felici 110 anziani, risultato che non moltissimi preti riescono ad ottenere così a buon mercato.

I partiti e il “don Vecchi”

Uno dei miei meravigliosi “ragazzi”, ora manager affermato ed “in servizio” presso la Fondazione, mi ha riferito com’è andata la seduta della municipalità che aveva il compito di dare il suo parere in merito alla concessione edilizia per il “don Vecchi 5”. La struttura, che come ormai tutti sanno, sarà destinata agli anziani in perdita di autonomia, sarà un’esperienza pilota che farà risparmiare un sacco di soldi alla amministrazione pubblica, ma che, soprattutto, garantirà dignità umana anche all’anziano in condizioni di notevole fragilità. Il mio amico ne era rimasto semplicemente esterefatto. I passaggi, il tempo, le documentazioni richieste e gli ostacoli affrontati per far del bene alla collettività creando una nuova struttura di carattere sociale, sono stati assolutamente inimmaginabili. Se tutta la gente conoscesse il percorso di guerra che stiamo affrontando ormai da quasi tre anni per offrire ad una sessantina di anziani più poveri un domani sereno, dignitoso, è possibile, credo, che assalterebbe gli uffici della pubblica amministrazione e metterebbe alla gogna un apparato in cui spesso si rifugiano i peggiori perditempo.

Sono innumerevoli i Comuni e gli enti pubblici e privati che sono venuti in questi anni a documentarsi su questa nostra iniziativa che ha avuto tanto successo. Proprio l’altro ieri mi ha telefonato da Torino un manager del privato sociale che, scoperto il “don Vecchi” in internet, ci ha chiesto una consulenza volendo trasformare un intero borgo in una colossale struttura impostata sulla falsariga del nostro Centro.

In questi giorni ho avuto modo di leggere il verbale di questa seduta della municipalità di Mestre-Carpenedo, nella quale s’è trattato dell’erigendo “don Vecchi” degli Arzeroni, verbale da cui ho appreso che dei 25 consiglieri presenti, 6 si sono astenuti, 12 sono stati favorevoli e 7 contrari (Cossaro, Zennaro, Brunello, Pasqualetto, Penzo, Peretti, Buiatti). Mi piacerebbe sapere il partito e l’indirizzo di suddetti signori per segnalare alla città il loro operato, la loro sensibilità sociale e la capacità di rispondere ai drammi dei nostri vecchi, per chiedere loro i motivi della loro astensione e soprattutto della loro opposizione ed infine per dire cosa penso di loro!

Quando si è trattato della seduta del Consiglio comunale in cui si è deliberato per il “don Vecchi” di Campalto, l’ho fatto, ottenendo le scuse della Lega e il silenzio del rappresentante di Rifondazione comunista. Comunque ritengo opportuno che la gente sappia come agiscono coloro che hanno eletto. Ringrazio infine chi ha dimostrato di avere a cuore nostri vecchi, che sono i cittadini più fragili ma ai quali dobbiamo molto.

Caffè da dodici euro

Ogni tanto, pur non domandandomelo direttamente, avverto che qualcuno, leggendo i miei scritti, si chiede se sono di destra o di sinistra. A questa domanda purtroppo non riesco a rispondere nemmeno io. Bisogna quindi che faccia io la domanda a chi interessano i miei orientamenti politici: “Che cosa significa destra e sinistra?”.

Quando io ero bambino e le cose in politica erano molto più semplici di oggi, si diceva che i liberali erano di destra, quindi a favore dei ricchi, e i comunisti di sinistra, a favore dei poveri. Rimaneva in mezzo la Democrazia Cristiana che i primi dicevano che fosse di sinistra, mentre i secondi dicevano essere di destra. Io non sono mai riuscito a risolvere questo problema, tanto che ero arrivato a votare per la sinistra della Democrazia Cristiana perché, a quel tempo, c’erano le preferenze.

Adesso la confusione è somma; per ora scelgo di impegnarmi con tutti i mezzi che ho a disposizione per i più poveri, per gli ultimi. Vorrei tanto che qualcuno mi dicesse come si fa, “a livello politico”, ad aiutare chi ha più bisogno. Se fosse vero quello che si diceva un tempo, dovrei votare per D’Alema che, fin dalla prima infanzia, è comunista, ma mi dicono che lui, come i più sinistri della sinistra, prendono tranquillamente da sempre circa 20.000 euro al mese, quindi 660 euro al giorno, mentre al “don Vecchi” più di una trentina di anziani ha una pensione di 512 euro al mese e quindi 17 euro al giorno.

Qualche tempo fa ho incontrato “un giovane” che ho sposato tanti anni fa e che fa il cameriere al Quadri a Venezia. Gli chiesi, per curiosità, quanto costa un caffè al Quadri e lui mi ha risposto che, seduti al tavolo, mentre suona la musica, un caffè costa 12 euro – quasi il reddito giornaliero di uno dei miei anziani. Il mio amico ha poi soggiunto che “lavorano sempre bene”, ossia il locale, e il relativo plateatico, sono sempre affollati.

Io quindi vorrei votare per chi non costringe gli anziani a sopravvivere con un caffè e mezzo al giorno, ma non conosco sigle di partito che mi garantisca questo.

Alla luce di questi dati, se qualcuno ne conosce uno che aiuta davvero i più poveri, me lo dica, che mi iscriverò subito a quel partito. Per ora rimango un libero battitore solitario.

Per i ricchi non c’è problema

Potrà sembrare un’affermazione assurda, ma invece è vero che il problema dei vecchi è ancora tanto “giovane”, ossia un problema ancora poco esplorato, in rapidissima evoluzione ed ancora poco risolto.

Fino ad una sessantina di anni fa gli anziani continuavano a vivere nella vecchia casa assieme all’ultimo figlio che quasi sempre li doveva accompagnare fino alla fine. Poi sono nate le case di riposo, perché l’evoluzione della società non rendeva più possibile la permanenza in casa.

Quando io ero giovane prete a San Lorenzo, in casa di riposo di via Spalti più di una metà dei “ricoverati” era del tutto autosufficiente, tanto che con i miei ragazzi, soprattutto con la San Vincenzo, tentavamo di ravvivare la loro vita e spesso li portavamo in gita. Poi le case di riposo si ridussero ad accogliere solamente anziani assolutamente non autosufficienti, mentre chi era ancora autonomo rimaneva relegato in solitudine nei grandi condomini, dovendo affrontare difficoltà di ordine finanziario e soprattutto di ordine esistenziale.

Vent’anni fa la soluzione del “don Vecchi” ha fatto fare un passo avanti alla soluzione del problema della domiciliarità per una massa di membri della terza età sempre più numerosa. Lo ha fatto con i suoi alloggi protetti, offrendo autonomia e, nello stesso tempo, inserimento in strutture articolate dove, tutto sommato, l’anziano si sente come in un piccolo borgo. Qui è più facile il rapporto umano con gli altri e, nello stesso tempo, l’anziano può fruire di servizi si a portata di mano, ma soprattutto alla portata delle sue possibilità economiche.

Ora però è diventata urgente una soluzione ulteriormente avanzata per tutti gli anziani ancora vivi a livello intellettuale, ma con una salute assai precaria. Ci si augura che il tentativo del “don vecchi 5” per anziani in perdita di autonomia possa dare una risposta adeguata a questo problema. Nella filiera s’avverte però già l’esigenza di aggiungere l’ultimo stadio, sempre nello spirito che l’anziano rimanga il più possibile e il più a lungo autonomo, ossia nella possibilità di decidere il suo stile di vita.

Il mondo imprenditoriale si è buttato a capofitto in questo “mercato”. Qualche giorno fa, infatti, ho avuto modo di leggere l’elenco delle centinaia e centinaia di strutture che appartengono agli “Anni azzurri”, i cui imprenditori hanno però sempre come scopo principale il profitto. Le strutture per anziani stanno diventando sempre più aggiornate e sempre più confortevoli, ma anche sempre più costose. Per gli anziani ricchi non c’è problema alcuno, ma degli anziani poveri, che sono la stragrande maggioranza, solamente i Comuni e la Chiesa possono e devono farsi carico. Noi della Fondazione a Mestre siamo decisi a fare la nostra parte, ma il Comune?

Un obiettivo tanto difficile da sembrare impossibile

Sono sempre stato convinto che il bene vada fatto bene perché, se non fosse così, non sarebbe neppure bene.

Non c’è persona che entrando in uno dei Centri don Vecchi non si meravigli per la pulizia, il buon gusto e la signorilità dell’ambiente. La reazione più comune si traduce quasi sempre con questa affermazione: “Questa non è una casa di riposo, ma un albergo a cinque stelle!”. In verità le cose non stanno realmente così, però è una nostra convinzione che sia importante offrire a chi ne ha bisogno non solamente un qualsiasi alloggio, ma un alloggio dignitoso ove vi possa dimorare senza sentirsi avvilito il “figlio prediletto di Dio”.

Però, per poter praticare questa solidarietà d’alto rango, serve denaro, tanto denaro e quand’anche esso ci fosse, bisogna poter contare sulla collaborazione degli utenti. Purtroppo questo non avviene sempre e per tutti. Per entrare al “don Vecchi” tutti promettono mari e monti; una volta entrati però, tutti o quasi tutti sono prontissimi ad accorgersi e ad approfittare di ogni vantaggio; molto meno purtroppo sono altrettanto pronti a rendersi disponibili. Solamente con l’aiuto di tutti si possono abbattere i costi in modo che anche le persone meno abbienti possano vivere in un ambiente dignitoso.

Qualche giorno fa sono stato costretto a lanciare un appello per trovare un pensionato disposto ad annaffiare e curare i fiori e le piante del nostro parco, perché non si riduca allo stato selvatico dell’orto di Renzo Tramaglino, il celebre protagonista dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

Mentre calibravo le parole nella speranza che qualcuno potesse rispondere positivamente al mio appello, mi venne in mente che al “don Vecchi” di Carpenedo abitano almeno duecentocinquanta persone, ma quasi tutti, alle richieste di collaborazione, rispondono come i protagonisti della parabola evangelica dell’invito a nozze: “Ho nipoti da badare, abbimi per iscusato; ho l’artrite, abbimi per iscusato; vado all’università della terza età, abbimi per iscusato; non ho pratica….”

Mi piacerebbe scrivere che tutti gli anziani sono compartecipi, impegnati e coinvolti, cosicché il bene di tutti nasca dall’impegno di tutti; purtroppo non è ancora così, non rinuncio però a sperare per il futuro.