Pellegrini di una Madonna che non fa miracoli

L’uscita della fine del mese di aprile degli anziani del Don Vecchi e dei loro colleghi della città ha avuto come meta il piccolo santuario di Pralongo, minuscola frazione di Monastier. I lettori de L’Incontro sanno che il Don Vecchi non offre solamente un alloggio ad un prezzo modesto in una struttura elegante ma crea mensilmente, per i residenti, anche occasioni di incontro e di svago come il concerto e la gitarella pomeridiana.

Questa volta ho scelto di riferire sulla gitarella, che siamo soliti chiamare “mini pellegrinaggio” perché, essendo stata “inventata” da questo vecchio prete che non si dimentica mai del suo “mestiere”, tenta di unire al dilettevole anche l’utile. A scegliere la meta, che solitamente è costituita da un santuario abbastanza vicino a Mestre, sono i coniugi Ida e Fernando Ferrari assieme ad un piccolo staff di collaboratori. Questa volta il santuario scelto è stato quello di Pralongo. Insolitamente ci è toccato un pomeriggio piovoso ma per chiacchierare in pullman neppure la pioggia disturba più di tanto!

Il santuario neogotico dell’inizio del secolo scorso è una struttura pulita e ben tenuta in aperta campagna che costudisce una piccola Madonna Nera, forse affumicata dal fumo di un incendio. La ricerca su internet mi ha informato che quella Madonna non è nota per miracoli particolari ma è comunque amata dalla gente dei paesi vicini. Questa annotazione mi ha permesso di sviluppare il discorso sull’affermazione di Bonhoeffer, il pastore luterano fatto impiccare da Hitler, che disse: “Dio non vuole essere il tappabuchi dei desideri dell’uomo, perché Egli gli ha già dato tutto quello che è necessario per vivere una vita bella e positiva”. L’atmosfera calda e familiare mi ha dato la sensazione che i miei vecchi abbiano colto questa verità tanto importante! Dopo la Messa c’è stata la merenda ed una rapida sosta a Casier, il borgo bagnato dal Sile.

I “militi ignoti” dei Centri don Vecchi

Fortunato me che molto spesso ricevo complimenti ed elogi ammirati per le strutture che col tempo “sono” riuscito a realizzare per gli anziani di modeste condizioni economiche. Sempre e ripeto sempre, quando mi capita di sentire queste attestazioni di simpatia e di ammirazione le dedico a quel piccolo mondo di persone che hanno abbracciato la mia proposta e che con il loro impegno, la loro generosità e spirito di sacrificio le hanno dato volto e tutt’ora la mantengono in vita. Ogni volta che ho avuto l’occasione di prendere la parola ho ricordato che la vera protagonista è stata la città e in particolare la mia cara comunità parrocchiale e più ancora quella pattuglia di collaboratori con i quali ho condiviso la mia avventura solidale. Moltissimi anni fa lessi una frase di una bella commedia di Bertolt Brecht in cui, commentando un passo del “De bello gallico” in cui si afferma che Cesare conquistò la Gallia, questo autore, un po’ sarcastico, si domanda: “Ma Cesare non aveva con sé neppure uno scudiero, uno stalliere o semplicemente un cuoco?” affermando così che ogni impresa non è mai attribuibile ad un solo uomo ma ad una comunità che condivide il suo ideale e il suo impegno.

Ho scritto che Rolando e Graziella Candiani lasciano dopo vent’anni di dedizione assoluta nei riguardi dei Centri Don Vecchi. Senza i loro cuori, la loro intelligenza e il loro impegno questi Centri non avrebbero di certo il volto che hanno! Il Centro Don Vecchi di Marghera non sarebbe così elegante e funzionale senza l’anima e il cuore di Teresa e Luciano. Il Centro di Campalto poggia poi sulla saggezza e sulla generosità del vecchio Lino e sull’intraprendenza del giovane Stefano mentre agli Arzeroni, si sperava di aver trovato una soluzione valida, ma poi è improvvisamente sfumata, quindi rimane ancora un problema aperto per il nuovo Centro! Infine Rosanna e Gianni stanno iniziando la loro avventura per ringiovanire e mantenere vitali tutte le nostre strutture. Oggi sento il bisogno di additare all’ammirazione e alla riconoscenza della città questi “Militi Ignoti del Bene” e i tanti altri ignoti senza i quali Mestre non avrebbe questo bel fiore all’occhiello rappresentato dai Centri Don Vecchi.

Non tutto vien per nuocere

Quello di cui oggi vorrei parlare ai miei amici è un argomento che ho trattato tante volte però sento il bisogno di “rileggerlo” da un punto di vista diverso. È ormai risaputo a Mestre, “anche dai sassi”, che la mia comunità ha tentato, fortunatamente con successo, di inventare una soluzione assolutamente innovativa per gli anziani autosufficienti che “godono” di modeste risorse economiche. Questa “invenzione” consiste negli alloggi protetti dei Centri Don Vecchi. L’obiettivo è quello di favorire, fino all’ultimo, la loro autonomia, impegnandoli a provvedere a se stessi, offrendo loro un alloggio alla portata delle loro tasche e aiutandoli dando loro modo di vivere in una struttura che, sia a livello architettonico che a livello sociale, facilitasse loro la vita. Fortunatamente abbiamo fatto centro cosicché la stragrande maggioranza dei cinquecento residenti nei 483 alloggi dei Centri Don Vecchi affermano di essere fortunati e contenti.

L’assessore alla Sicurezza Sociale della Regione, dott. Sernagiotto, è venuto casualmente a conoscenza della nostra iniziativa e ci ha proposto di ampliare il nostro progetto accogliendo in un centro anche gli anziani della quarta età, ossia quegli anziani che stanno tra gli ottanta e i cento anni, cioè in quella zona grigia tra l’autosufficienza e la mancanza di autosufficienza e che abbiamo definito, per comodità, “anziani in perdita di autonomia”. Sernagiotto ci ha promesso che avrebbe indetto un bando in cui la Regione avrebbe messo a disposizione 25 euro al giorno per l’assistenza di suddetti anziani. In quattro e quattr’otto abbiamo costruito agli Arzeroni una struttura di 65 alloggi e l’abbiamo riempita con persone anche ultranovantenni.

Sennonché Sernagiotto è stato eletto al Parlamento Europeo e il funzionario incaricato di “costruire” il bando del concorso ha trovato più comodo starsene tranquillo sulla sua poltrona sicuro che a fine mese il suo stipendio sarebbe arrivato ugualmente. Questa purtroppo è una storia assai frequente nella burocrazia della pubblica amministrazione! Inizialmente mi venne da disperarmi: 65 anziani traballanti, senza i soldi necessari per la loro assistenza: un problema apparentemente senza soluzione. La disgrazia però si è rivelata ben presto una “fortuna” perché i vecchi hanno fatto ricorso a tutte le loro forze residue, i familiari si sono sentiti moralmente costretti a non abbandonarli alla loro sorte e un gruppetto di volontari, che sta vieppiù crescendo, ha offerto la sua disponibilità, tanto che tutto va per il meglio. Una volta ancora si è dimostrato fortunatamente vero e calzante il detto spagnolo: “Il Signore scrive dritto anche quando le righe sono storte!”.

Vent’anni sono stati sufficienti per vedere qualche risultato

Torno ancora una volta sulla convinzione che noi, uomini di chiesa, dobbiamo utilizzare con maggior convinzione, con maggior competenza e con maggior frequenza i mezzi di comunicazione sociale che la società moderna ci mette a disposizione e ripeto che purtroppo preti, parrocchie e diocesi lo fanno ancora poco e male continuando ad affidarsi a sermoni spesso noiosi e soporiferi. Vengo all’intima conferma. I Centri Don Vecchi in definitiva sono un modo attuale per fare carità, però questa modalità, come purtroppo tante altre, è ancora circoscritta ad una città poco significativa quale è Mestre. Ho più volte scritto che “T.V. 2000” di Radio Vaticana ha trasmesso in diretta un bel servizio sul Centro Don Vecchi di Campalto. Il servizio è andato in onda di prima mattina e nonostante credessi che quell’emittente non fosse tra quelle più seguite, da quella trasmissione abbiamo ottenuto questi risultati:

a) Un manager milanese, di estrazione cattolica, ci ha chiesto un incontro per visitare le nostre strutture e documentarsi direttamente sulla nostra esperienza con lo scopo di trapiantarla nella realtà della Chiesa Ambrosiana.

b) Due docenti dell’Università di Padova hanno già preso contatti per programmare, nel mese di maggio, la visita di un pullman di universitari italiani e stranieri che intendono verificare la nostra esperienza, non solo alternativa alle attuali Case di Riposo ma innovativa nell’affrontare, con soluzioni più idonee e aggiornate, le problematiche della terza e quarta età.

c) Il Lions Club di Marghera Venezia ha chiesto, non solamente di visitare almeno un paio dei nostri centri ma, di pranzare assieme ad un gruppo di anziani presso il nostro “Seniores-Restaurant”.

Questi interventi sono giunti quanto mai graditi perché ripagano la nostra fatica, riconoscono valide le esperienze che stiamo portando avanti ma soprattutto testimoniano che è tempo di superare il modo di esercitare la carità cristiana basata sull’offerta di un pacco natalizio ai poveri o di qualche euro a chi bussa alla porta della canonica!

Radio Vaticana al Don Vecchi di Campalto

Qualche settimana fa mi è giunta una telefonata che, sia perché sono duro di orecchi, sia perché non conoscevo l’interlocutore, non ho capito subito la richiesta poi, piano piano, ho compreso che un reporter dell’emittente del Vaticano mi chiedeva di fare una trasmissione in diretta da uno dei nostri Centri. Abbiamo optato, per praticità, per quello di Campalto perché sia il giornalista che la troupe per la ripresa erano di Venezia, quindi a due passi dal Don Vecchi di Campalto. La mia adesione è stata subito entusiasta perché mille volte ho dichiarato che purtroppo i nostri Centri, sia quelli già realizzati, che quelli che riusciremo a costruire in futuro non rappresenteranno una risposta esaustiva alle centinaia di migliaia di anziani che si trovano in condizione di disagio, quindi la cosa più importante è offrire una testimonianza, creare cultura affinché Comuni, Regioni, e perché no, Diocesi e Parrocchie prendano a cuore questa realtà “degli anziani” che rappresenta una delle nuove povertà. Chi meglio della televisione a livello nazionale può promuovere questo progetto? Ci siano incontrati con i vecchi e i nuovi direttori dei nostri Centri di buon mattino sul piazzale del Don Vecchi e mentre il cameraman filmava gli esterni noi ci siamo preparati all’interno dell’edificio. La trasmissione, di una decina di minuti, che non è proprio poco per una trasmissione televisiva, è stata impostata su due momenti diversi. La prima parte è consistita nella visita ad un alloggio abitato da due coniugi entrati da poco tempo. L’appartamento era lindo ed arredato con estremo buon gusto e i due residenti pareva si fossero laureati a Cinecittà tanto sono stati bravi. Credo che gli utenti di “TV 2000”, così si chiama l’emittente del Vaticano, abbiano pensato che il Don Vecchi sia l’anticamera del Paradiso o almeno una suite di lusso di un albergo cinque stelle. La seconda parte della trasmissione si è svolta invece nel salone del Centro che è immenso e molto bello. Mi sono tolto la soddisfazione di ripetere ai miei colleghi preti e ai vescovi miei superiori che le nostre strutture sono nate dalla convinzione che la fede senza le opere è “aria fritta” e che esse vogliono essere un segno concreto del comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso!”.

La radio vaticana

Alcune settimane fa, con tanta sorpresa, mi è giunta dall’emittente del Vaticano la richiesta di un servizio sull’esperienza dei nostri Centri Don Vecchi. L’operatore che mi ha interpellato mi ha informato che il servizio avrebbe avuto una durata di dieci minuti, un tempo notevole per una trasmissione del genere, e che sarebbe andato in onda, in diretta, durante una catechesi che Papa Francesco avrebbe tenuto sul tema degli anziani. La cosa non poteva che farmi un enorme piacere perché il nostro progetto, che ormai data vent’anni, non tende tanto a risolvere il problema della domiciliarità degli anziani poveri della nostra città, anche se l’offerta di quattrocento alloggi protetti non è proprio cosa di poco conto, ma tende piuttosto a creare cultura a questo proposito, proponendosi come alternativa alle Case di Riposo che, in moltissimi casi, si riducono ad un operazione commerciale con l’unico scopo di fare business. I nostri Centri rappresentano certamente una soluzione alternativa, migliore e più economica. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere che un gruppo industriale gestisce in Italia centinaia di Case di Riposo le cui rette sono elevatissime ma, nonostante un certo smalto esteriore, non sono realtà più di tanto migliori dei vecchi ricoveri per anziani. Per questo motivo sento il bisogno di difendere, con le unghie e con i denti, il nostro progetto che rende l’anziano protagonista anche negli ultimi anni della sua esistenza offrendogli il vantaggio di abitare in ambienti signorili, in un alloggio di cui ha il possesso a pieno titolo e soprattutto che gli dà l’orgoglio di vivere senza pesare, non solo sull’ente pubblico ma pure sui propri figli. Spero di tutto cuore che anche questa trasmissione televisiva faccia da cassa di risonanza al nostro progetto!

Scommessa ormai quasi certamente vinta

L’avventura del Don Vecchi 5, la struttura sperimentale pensata come soluzione economicamente ed umanamente più sostenibile nel dare una risposta innovativa e positiva agli anziani in perdita di autonomia, è partita in quarta: il prestito di quasi tre milioni a tasso zero da parte della Regione e la promessa di un finanziamento di venticinque euro per ogni residente ci ha indotto, con grande coraggio, a rendere operativa la nuova struttura con la scommessa di offrire una prospettiva di vita serena agli anziani ultraottantenni. L’impresa costruttrice, avendo la garanzia di pagamenti sicuri e regolari, ha lavorato sodo impegnando un numero consistente di operai e in meno di un anno ha consegnato il grande edificio. I guai sono iniziati subito dopo perché, l’elezione al Parlamento Europeo del dott. Sernagiotto, assessore alla Sicurezza Sociale della Regione Veneto e partner di questa coraggiosa sperimentazione sociale, che tra l’altro farà risparmiare all’Ente Regionale una somma enorme, ha messo in grande difficoltà questa esperienza pilota perché la Regione non ha mantenuto tutte le sue promesse e la Fondazione è stata costretta a riempire, il più rapidamente possibile, il nuovo Centro per coprire le spese correnti. La Fondazione non ha potuto fare altro che ridimensionare il suo intervento limitandosi a garantire, con personale proprio, solo il monitoraggio sia di giorno che di notte, e pur offrendo un alloggio di tutto rispetto con un’infinità di spazi comuni, ha dovuto chiedere alle famiglie di farsi carico direttamente, o mediante assistenti, della cura dei loro cari accolti nella struttura. Pian piano c’è stato chi si è fatto carico della gestione della vita quotidiana, chi di guidare il personale, chi di gestire, a titolo di volontariato, i vari servizi, cosicché, anche se ancora con qualche difficoltà, la nuova struttura è a regime e la “missione impossibile” ha avuto un esito positivo.

A futura memoria

Di certo non mi attribuisco il merito di essere “il padre fondatore” dei Centri Don Vecchi, però mi pare onesto ed innegabile riconoscermi una certa “paternità”, non solamente sulla costruzione ma soprattutto, sulla “dottrina” cardine di questa iniziativa di carattere sociale.

Come ho scritto più volte l’input mi è venuto da molto lontano. Un parroco di Carpenedo, don Lorenzo Piavento, ai tempi della scoperta dell’America, fece un lascito di un appezzamento di terreno e di una casupola di quattro stanze a favore di “quattro donzelle povere e di buoni costumi”. La struttura, nonostante la vendita del terreno circostante e varie ristrutturazioni effettuate nei secoli passati, è giunta fino ai giorni nostri.

La spinta a sviluppare questo germe mi venne al tempo dell’abolizione dell’equo canone quando gli anziani, che vivevano con pensioni misere, vennero a trovarsi in condizioni di estremo disagio. L’antica “Società dei Trecento Campi” donò un terreno alla parrocchia e, dopo infinite vicissitudini, vent’anni fa fu costruito il primo Centro di cinquantasette alloggi che dedicai al mio maestro Monsignor Valentino Vecchi, il quale, primo tra i preti di Mestre, prese a cuore le sorti della Chiesa mestrina elaborando una visione ed un progetto di pastorale globale.

L’idea era di offrire agli anziani più poveri, ancora autosufficienti, un piccolo alloggio funzionale e dignitoso ma soprattutto alla portata delle loro modeste risorse economiche in alternativa e in contrapposizione alle case di riposo. In questa logica mi preoccupai di offrire un alloggio, il più rispondente possibile ai bisogni degli anziani, con spazi interni ed esterni atti alla socializzazione. In questo progetto ho escluso ogni forma di assistenza particolare tendendo a far sì che i residenti si avvalessero dei servizi del Comune e della ULSS previsti per ogni cittadino e incentivando i familiari a farsi carico dei loro anziani.

I Centri Don Vecchi prevedono solo un assistente con il compito di fare da collegamento con le famiglie o di fare intervenire chi di dovere nelle urgenze. Mi auguro che questa impostazione leggera e quasi esclusivamente autogestita faccia di ogni centro un piccolo borgo piuttosto che un ricovero per vecchi. Queste sono le mie intenzioni anche se prevedo che prima o poi l’apparato burocratico ed assistenziale, sempre in agguato, si approprierà di questo progetto innovativo e lo stravolgerà.

La pastorale più attuale è quella più antica

Da qualche tempo abbiamo dovuto far ricoverare a Villa Salus suor Michela, l’anziana superiora di suor Teresa. Qualche giorno fa, quando sono andato a far visita a questa cara suora che da una trentina di anni è stata impegnata prima nella parrocchia di Carpenedo e poi al Don Vecchi, ho conosciuto l’anziana signora che è ricoverata nella stessa camera. Con sorpresa appena sono entrato nella stanza mi ha salutato con un “don Armando” tanto affettuoso che pareva fossimo amici d’infanzia, poi ha cominciato a sciorinare tutti i motivi per i quali mi conosceva bene. Fra l’altro mi disse di essere una fedelissima lettrice de “L’Incontro” informandomi inoltre che ogni settimana aspetta con impazienza che la figlia le porti il periodico del quale legge dalla prima all’ultima parola.

Quello che però mi sorprese più di tutto fu il suo desiderio di sapere se l’Enrico Carnio, che scrive ogni settimana su “L’incontro”, sia il padre di Giovanni, quel giovanotto che andava a trovare gli anziani in casa di riposo e che lei aveva conosciuto perché suo marito, a quel tempo, vi era ricoverato. Una volta saputo che quel giovane, già avvocato, che un paio di anni fa ha deciso di entrare in seminario per farsi prete, era proprio il figlio di quell’Enrico che scrive su “L’incontro”, non cessava più di tessere le lodi di quel giovane che trattava con infinita amabilità gli anziani. Una volta in più si è rafforzata in me la convinzione che il metodo più aggiornato e più efficace per gli operatori pastorali non è quello che si rifà agli aggiornamenti fatti dagli specialisti, ma quello che persegue l’attenzione e la cura di chi è vecchio, indifeso o ammalato! Questa è una bella scoperta in questo tempo in cui non si sa cosa fare per evitare che le pecorelle continuino a fuggire dall’ovile!

La tarda conferma

La società civile si è accorta per tempo dei Centri Don Vecchi, la soluzione che affronta in maniera realistica, rispettosa degli anziani ed economica il problema del domicilio assistito.

Sono veramente innumerevoli i comuni che si sono interessati alla nostra esperienza con i Centri Don Vecchi. In realtà, nonostante gli apprezzamenti e i consensi, non c’è stato molto seguito.

I comuni purtroppo sono imbrigliati in un’esasperata burocrazia che rende praticamente impossibile ogni iniziativa. Il mondo ecclesiale pareva invece che non avvertisse questo problema e che non avesse colto la nostra sperimentazione come qualcosa di estremamente valido. In questi giorni però sono venuto a conoscenza che la Conferenza Episcopale Italiana, l’Arcidiocesi di Firenze e la relativa Cassa di Risparmio hanno deciso di realizzare entro il 2016 un “condominio solidale” a Novoli, periferia di Firenze.

Si tratta in pratica di un mini Don Vecchi per cinquanta anziani e, anche se tutto sommato “la montagna ha partorito il topolino”, siamo felici che realtà così significative della Chiesa Italiana, pur con vent’anni di ritardo, praticamente sanciscano la validità del nostro progetto.

Villa Flangini

Qualche settimana fa quattro pullman di anziani sono saliti ad Asolo per festeggiare San Martino a Villa Flangini, la bellissima villa veneta che acquistai nel 1978 con i soldi dell’anziana Dolores Albavera, del dottor Adriano Rossetto e di Luciano Busatto. In un paio d’anni, dopo un restauro radicale, la villa veneta della metà del settecento è diventata un’autentica dimora principesca ove per un quarto di secolo ogni anno quasi cinquecento anziani hanno passato due settimane da sogno.

Don Gianni, il giovane parroco di Carpenedo, che pare abbia i piedi per terra ed imposti la pastorale non lasciandosi condizionare da certi discorsi fumosi e bizantini sembra voler rilanciare la splendida esperienza del recente passato per gli anziani e per la comunità.

Per reclamizzare l’uscita autunnale, don Gianni ha ricordato il mio impegno per Villa Flangini e ha riportato a galla gli anni felici della mia vita da parroco.

Centenaria

Il due gennaio la signora Gianna Gardenal, da vent’anni residente al Centro Don Vecchi, ha celebrato i suoi cento anni di vita. Alla signora Gianna voglio molto bene perché è una donna buona ed intelligente, vive una vita serena, amata dalle figlie e dai numerosi nipoti, affettuosamente assistita da Tania. Nonna Gianna passa le sue giornate pregando, ascoltando la televisione, perché è quasi cieca, e riposando quando è stanca.

Infinite volte mi ha ringraziato per averle dato il suo “quartierino” in cui vive felice, accarezzando i suoi fiori e, ad ogni nostro incontro, mi ripete che questi ultimi vent’anni, vissuti al Don Vecchi, sono stati i più belli della sua vita. Con fare sornione poi mi ripete che sta aspettando la chiamata al cielo, ma lei è una donna paziente perciò aspetta volentieri anche se il Signore è in ritardo.

Non è che al Don Vecchi tutto scorra liscio e tranquillo, i problemi di cinquecento anziani e delle relative famiglie sono molti ma, se non ricevessi altre attestazioni d’affetto e di riconoscenza all’infuori di quelle della cara nonna, queste sarebbero più che sufficienti per gratificarmi e aiutarmi ad andare avanti.

La scommessa difficile

Le vicende della nascita dell’ultimo Don Vecchi ci hanno offerto una medaglia con due volti estremamente diversi.

La prima faccia si è presentata quasi trionfale, mano a mano che il progetto maturava mi sembrava fosse avvolto dall’inno alla gioia del finale della nona sinfonia di Beethoven: prestito a tasso zero di quasi tre milioni di euro, offerta di trentamila metri quadrati di superficie da parte del Comune, un prezzo estremamente conveniente praticato dell’impresa appaltatrice per una struttura che in soli dieci mesi fu ben bella sfornata.

L’altra faccia della medaglia è stata totalmente diversa: la fretta di riempire i sessantacinque alloggi, l’accettazione di anziani al limite estremo dell’autosufficienza e forse un po’ più in là, il venir meno della diaria promessa dalla Regione e per finire il timore che la struttura possa poi rivelarsi assai dispendiosa per i costi di gestione. Motivo per cui è stato gioco forza correre ai ripari offrendo solamente un monitoraggio e riducendo all’osso il personale, anche perché l’ubicazione ai margini della città rende quanto mai difficile reperire volontari.

Comunque come Cesare quando passò il Rubicone pronunciando la famosa frase: “Il dado è tratto!” anche noi non abbiamo che una possibilità: “Vincere la scommessa”.

Il cuore mi dice che la vinceremo comunque!

“Là c’è la provvidenza!”

Ho avuto l’opportunità di toccare con mano quanto sia vera l’affermazione che il Manzoni mette in bocca allo sfortunato Lorenzo Tramaglino, il protagonista dei “Promessi Sposi”.

Sento il bisogno di raccontare ad amici e colleghi due episodi tra i più significativi che mi siano capitati mentre ero attanagliato dalla preoccupazione per come saldare i conti delle strutture mediante le quali speravo di tradurre concretamente il comandamento di Gesù: “Ama il prossimo tuo”.

Una mattina, mentre mi dibattevo tra le difficoltà economiche ed i conti da saldare relativi al Don Vecchi Due, un’anziana signora, dopo aver atteso tre quarti d’ora perché mi liberassi dagli impegni, entrò in ufficio e senza tanti preamboli mi disse: “Don Armando ho deciso di donarle un miliardo di lire per la sua opera”.

La somma mi arrivò per un cammino un po’ tortuoso perché lei morì improvvisamente e qualcuno dei parenti tentò di approfittarne, comunque poi la somma mi arrivò fino all’ultimo centesimo ed ora 142 anziani beneficiano di un alloggio presso la struttura pagata in notevole parte da questa benefattrice. Pensavo che nella mia vita un “miracolo” del genere non mi sarebbe più capitato, invece mi sbagliavo. Un’altra donna, che sta elargendo l’eredità di una sorella defunta, qualche giorno fa mi ha promesso settecentomila euro (l’equivalente di un miliardo e mezzo di vecchie lire) che supera di un bel po’ l’offerta precedente!

Se gli obiettivi sono validi e disinteressati al Buon Dio non mancano proprio “gli amici” per farci pervenire ciò che ci occorre.

Provare per credere!

Il paradiso terrestre

Dopo aver chiesto senza risultato per quattro anni al giovane parroco di visitare, conoscere e benedire la settantina di residenti in uno dei cinque Centri Don Vecchi, sollecitato dagli interessati, ho perso la pazienza e ho “varcato in armi” i confini del territorio altrui. L’invasione è durata appena quattro pomeriggi, ma il risultato è stato veramente splendido. La dimora, più che signorile mi è parsa principesca. I castellani Teresa e Luciano, anfitrioni insuperabili, e soprattutto gli anziani ospiti mi hanno letteralmente riempito il cuore di tenerezza, simpatia e riconoscenza, tanto che più volte mi sono sentito perfino a disagio, perché mai mi era capitato di ritenermi un benefattore dell’umanità. L’accoglienza è stata quanto mai cordiale, anzi spessissimo, affettuosa e materna e più di uno mi ha confidato che per lui è stata una grazia l’aver scoperto il “paradiso terrestre”! Oltretutto poi mi hanno consegnato ben cinquecento euro da destinare alla costruzione del Don Vecchi 6. Spesso sento parlare di una pastorale complicata e macchinosa mentre ne abbiamo una offertaci dalla tradizione così semplice e vantaggiosa!