Una strada buona per aiutare i più deboli

La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.

La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.

In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!

Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.

Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.

A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.

Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!

Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.

Le graduatorie della Ulss e i poveri

Al don Vecchi gli anziani dicono di stare bene, non c’è alcuno che sia rimasto deluso o si sia stancato cercando una soluzione diversa o migliore.

Tutto questo, assieme alle continue ed insistenti domande d’ingresso, non può che farmi felice. La formula è stata indovinata, molti la stanno copiando ed anche questo mi fa contento.

Purtroppo però neanche al don Vecchi si è scoperta la ricetta per bloccare l’avanzare del tempo con i suoi rovinosi effetti sul corpo e sullo spirito. Ormai l’età media dei 300 residenti presso i Centri don Vecchi si aggira intorno agli 84 anni; di giorno in giorno aumentano i bastoni da passeggio e soprattutto i deambulatori cioè “i spassisi” per vecchi! Tanto che, se continuiamo di questo passo, dovremo installare semafori sui corridoi principali ed assumere vigili per regolare il traffico!

Il problema attualmente si è tentato di risolverlo con l’aiuto del Comune, delle famiglie e dell’amministrazione del Centro creando supporti infermieristici e familiari per supplire alle aumentate deficienze fisiche, aumentando così un’autosufficienza con una componente “artificiale”.

Stiamo attuando un progetto ambizioso di prolungamento dell’autosufficienza, che per ora tiene, ma non mi illudo che potrà reggere a lungo. D’altra parte oggi vi sono 600 concittadini in attesa di poter entrare in quei tristemente famosi “paradisi terrestri”, che per il costo dovrebbero essere tali, ma in realtà non lo sono. Molti di essi non vi entreranno mai, anche perché le graduatorie della Ulss fanno acqua!

Ho scoperto in questi giorni che basta essere accolti in una casa di riposo per non autosufficienti, pagando 5-6 milioni di vecchie lire al mese, per avere l’aumento di 30 punti e poter così passare in testa alla graduatoria, lasciando così i vecchi poveri in eterna lista d’attesa!

Si apre un altro fronte per chi vuole aiutare gli ultimi!

Altri problemi, altre battaglie!

Una speranza per il domani degli anziani del Centro don Vecchi

In questo ultimo tempo ci ha fatto visita, al don Vecchi, la dottoressa Francesca Corsi, alto funzionario dell’assessorato della sicurezza sociale. Sono stato io a sollecitare questo incontro perché, di mese in mese, aumenta la fragilità dei residenti a causa dell’incalzare ineluttabile del tempo.

La struttura è stata pensata per anziani totalmente autosufficienti con lievissimi supporti sociali, prevedeva che quando fosse venuta meno l’autosufficienza l’anziano avrebbe abbandonato il suo alloggio per entrare in una casa di riposo.

Al momento dell’accettazione della richiesta di ingresso, ogni residente ha sottoscritto questa clausola ed è stata controfirmata dai familiari.

Ora però le cose non stanno andando come erano state previste: la gente si trova così bene al Centro e si affeziona talmente a questo piccolo borgo, popolato da 300 cittadini, che non vorrebbe più uscirne anche se le gambe non reggono più.

Il costo di una casa di riposo per non autosufficienti è poi talmente superiore di quello praticato al don Vecchi tanto che ospiti e familiari pensano di non poterlo sopportare.

Il Comune promette aiuti che suppliscono il più possibile alla mancata autosufficienza, ma l’ordinamento sociale stenta ancora a recepire l’idea di questi alloggi protetti così ché finisce a mettere in crisi l’impostazione data fino dall’apertura del Centro. Credo che se in questa fase la società ci elargisse anche solo un decimo di quanto spende per una retta in casa di riposo, noi potremmo garantire una assistenza più che confortevole.

La dottoressa Corsi ha affermato che è preferibile mille volte la vita al don Vecchi a quella della migliore casa di riposo.

Mi auguro che un po’ alla volta possiamo trovare soluzioni possibili e migliorative senza allontanamenti traumatici per alcuno.

Il Centro don Vecchi evolve ma ha bisogno della città

Quando, insieme a Rolando Candiani, attuale direttore generale dei Centri don Vecchi, abbiamo messo a punto la dottrina, ancora assolutamente innovativa, di una struttura protetta per anziani autosufficienti di infime condizioni economiche e ne abbiamo stilato una relativa carta dei servizi, ritenevamo di aver definito una situazione ed aperto una nuova strada da percorrere con coraggio e fiducia.

Non sono passati ancora vent’anni e ci accorgiamo che la soluzione si riferiva ad un momento della società, ma che questo momento non è per nulla fisso, ma anzi è in costante e rapida evoluzione.

Noi che abbiamo rifiutato la dottrina delle vecchie case di riposo, che si rifanno ad una impostazione ottocentesca e che le abbiamo ritenute superate anche quando si imbellettano, come vecchie signore, di ammodernamenti e di nuovi arredi, ci accorgiamo però che in meno di una ventina di anni anche l’ipotesi che avevamo fatto si dimostra superata e che perciò si deve costantemente tener conto di una evoluzione quanto mai veloce!

Se dovessimo applicare alla lettera la scelta, che chi non è totalmente autosufficiente, secondo un concetto statico di autosufficienza, dovremmo mettere alla porta almeno una metà dei residenti.

Ora stiamo impegnandoci per trovare contrappesi al deficit di autosufficienza fisica, trovando supporti che non facilitino il suo progredire, non siano onerosi per l’interessato e per la struttura in maniera tale per cui pur usando “stampelle” l’anziano possa continuare a gestire la propria vita. Fortunatamente ora è l’ente pubblico che, finalmente, pare essersi accorto che la soluzione casa di riposo e spesso “disumana” è sempre insopportabile per l’economia del cittadino anziano bisognoso di aiuto, della relativa famiglia e dello Stato. Mentre la struttura di alloggi protetti rappresenta una sponda sensibile e provvidenziale per soluzioni più avanzate e socialmente possibili.

Questa ricerca però non può essere lasciata sulle spalle fragili di un vecchio prete, ma deve trovare l’appoggio solidale della città.

Volontariato nel borgo degli anziani

Mi è voluta una vita intera per capire che le persone rendono di più se si sentono gratificate e provano senso di benessere se si richiede loro quello per cui sono naturalmente portate, mentre se, anche con le migliori intenzioni, s’impone loro qualcosa che non è congeniale con la loro indole, faticano di più, rendono meno e soprattutto lo fanno malvolentieri.

Non è facile però in una comunità scoprire per ognuno il posto giusto!

Entrato al don Vecchi, per convinzione e per necessità, ho cominciato a predicare e a premere perché ognuno collaborasse per il bene comune.

Al don Vecchi si può continuare ad accettare anche le persone con pensioni irrisorie solamente se si può avvalersi della collaborazione volontaria dei residenti e dei, non moltissimi, volontari esterni.

Mosso da questa convinzione ho cominciato a premere in ogni modo perché nascesse questo coinvolgimento e questa collaborazione, ottenendo però risultati più che modesti. E questo era diventato per me incomprensibile tanto da avvertire un sentimento di frustrazione e di impotenza. Poi, venendo a conoscere pian piano l’indole e le propensioni di ognuno, vedo che lentamente ma felicemente le diverse e variopinte tessere del puzzle vanno al loro posto.

Di primo mattino c’è chi porta in casa i pacchi di “Leggo” e de “il Mestre”, c’è chi dispensa i volumi per gli ipovedenti, chi organizza i prelievi del sangue, chi bagna le piante, chi carica gli orologi, chi distribuisce per tutta Mestre “L’incontro”, chi pota le rose, chi prepara le tavole, chi si impegna ai magazzini S. Martino, chi piega i giornali, chi serve al bar, chi va a fare gli acquisti ecc….

Il borgo degli anziani si sta dando un’organizzazione puntuale ed efficace, però con calma, rispetto, pazienza e comprensione.

L’avessi scoperto prima, le cose sarebbero andate meglio anche in parrocchia!

Un bellissimo esempio di solidarietà!

Talvolta capita che un fotografo faccia un’istantanea, senza studiare troppo la luce o la posizione delle persone da ritrarre e gli risulti una foto viva, armoniosa, capace di forti emozioni.

Così è capitato anche a me una mattina al don Vecchi.

Incontrai nella hall del Centro una giovane donna; sembrava una ragazzina, un bel volto armonioso, una voce calda e due occhi luminosi; stava arrabattandosi con due marmocchietti che sgusciavano da tutte le parti. La sala grande, i divani, gli anziani che andavano e venivano li eccitava e la mamma faceva una gran fatica a tenerli a “guinzaglio”.

Appena mi vide, mi salutò come se fossimo due vecchi amici; Dio solo lo sa dove l’ho incontrata e come mi conoscesse. Senza tanti preamboli, mi chiese se potevo indicarle due anziani bisognosi perché, quando sarebbe andata a fare la spesa per la sua famiglia, desiderava farla anche almeno per due di loro, poi gliela avrebbe portata a casa per abituare i suoi piccoli (avranno avuto tre e cinque anni) fin dall’infanzia a pensare anche a chi è meno fortunato di loro. Chissà chi ha cresciuto questa giovane donna (appariva perfino più giovane di quanto credo lo fosse) a questo senso di solidarietà? Se ne andò dicendomi che si sarebbe fatta viva dopo il periodo delle vacanze.

Mi ritelefonò trovandomi impreparato perché avevo rimandato per imbarazzo la scelta; tanti sono gli anziani al don Vecchi con la pensione minima! Le ritelefonai dandogli due nominativi di due anziane; gli sarebbe piaciuto anche un uomo, ma al don Vecchi gli uomini sono in assoluta minoranza.

Questa è la prima adozione! Speriamo che l’esempio trascini!

lo ora però mi sento pure beneficato perché conservo nel cuore questa bellissima istantanea!

Fare queste esperienze, conservare queste belle immagini è una vera ricchezza anche per un vecchio prete!

Oltre il don Vecchi

Ho visitato, su sua richiesta, un’anziana signora, che a livello di linguaggio tecnico appartiene alla quarta età, vive sola perché vedova da alcuni anni di un valente e stimato pedagogo mestrino. La mia interlocutrice possiede una mente lucidissima, un parlare sciolto, informato, una buona conoscenza dei sacerdoti e delle comunità parrocchiali di Mestre e soprattutto è credente e coerentemente praticante.

Vive sola, con una governante straniera in una casa non di lusso, ma grande, bene arredata e situata in una zona centrale di Mestre. Il suo problema? La solitudine e la preoccupazione per il domani incombente, dato che ormai ha messo piede nella quarta età! Qualcuno le ha fatto il mio nome e le ha suggerito di parlarmi e di chiedermi un consiglio e possibilmente un aiuto.

Un tempo le persone che si trovavano in queste condizioni facevano un vitalizio con una casa di riposo per garantirsi una sicurezza ed una protezione nel tempo difficile della vecchiaia.

Ora nessuna persona autosufficiente accetta la soluzione della casa di riposo, soluzione ottocentesca superata perché mortifica la persona e non garantisce minimamente una vita autonoma, in cui uno possa scegliere e vivere da persona. Ho capito subito che questa signora praticamente era disponibile a destinare tutti i suoi averi purché la nostra fondazione le garantisse un alloggio ed una assistenza adeguata. La cosa potrebbe essere anche appetibile purché la fondazione sia in grado di creare pian piano una rete di strutture rispondenti alle varie attese di un mondo che sarà sempre variegato.

L’attuale don Vecchi è certamente una valida, forse la più valida, risposta agli anziani autosufficienti di condizione povera, dovremo però creare una struttura migliore per chi è abituato ad un regime di vita superiore e soprattutto dovremo avere una risposta degna per i non più autosufficienti. Tutto questo potrà essere un programma ed un progetto per chi oggi è ancora adolescente!

Nuovi e diversi tipi di povertà

Ormai da quasi un ventennio ho compreso appieno il discorso portato avanti da eminenti sociologi circa la vecchia e la nuova povertà; le povertà elementari e condivise, quali la carenza di mezzi di sussistenza, a quelle nuove e più complesse, quali la solitudine, la mancanza di valori, ecc.

Il discorso era rimasto, per me, solamente a livello teorico, ben altra cosa è però trovarsi di fronte e fare esperienze di questa seconda situazione.

lo, nel passato, avevo fatto la scelta di occuparmi delle povertà primordiali, quelle storiche, ormai fatte proprie dalla cultura corrente, perché le seconde non mi sembravano così gravi, così urgenti, ma tutto sommato un po’ artificiali e sofisticate.

Da queste scelte è nata l’attenzione e la ricerca, a livello abitativo, di dare risposta agli anziani poveri economicamente e ciò mi ha portato al don Vecchi, che tutto sommato, mi pare oggi una soluzione adeguata e rispondente ai tempi. Ora però tocco sempre più con mano che ci sono in città anziani, che possiamo chiamare benestanti, che vivono, pur dentro a questa città così convulsa ed affollata, il dramma amaro della solitudine, della precarietà esistenziale e della paura del domani. Per costoro, abituati però ed un certo livello di vita economico e culturale “la soluzione don Vecchi” non è appetibile, né idonea.

Bisognerebbe quindi pensare ad una formula di un livello superiore come struttura e come servizi e forse così queste persone potrebbero avere una risposta che li appaga e nel contempo essi potrebbero destinare i loro beni perché in città si moltiplichino queste strutture di valenza sociale.

Per me è tardi pensare alla soluzione di problemi del genere, ma parlarne e rifletterci matura una cultura dalla quale poi nascono soluzioni coerenti.

“Il cristianesimo se non diventa solidarietà si riduce ad aria fritta!”

Il dottor Marco Doria, docente universitario a Ca’ Foscari e consigliere di amministrazione della Fondazione Carpinetum, che attualmente gestisce i centri don Vecchi e i progetti solidali in fase di realizzazione, oggi mi ha presentato lo studente di Economia e Commercio che ha vinto una borsa di studio per una tesi di laurea sulla dottrina sociale ed economica che sottintende questa struttura residenziale per la terza età.

Il laureando, residente a Marghera, figlio o nipote di esuli Giuliano Dalmati, è un giovane sveglio ed intelligente che ha colto la palla al balzo di aver subito una tesi, un tutor nel dottor Doria che lo guiderà, un argomento attuale ed interessante, ed infine una gratificazione economica che gli permetterà di sostenere le spese e di aver pure un introito economico con cui affrontare i primi tempi per cercare un lavoro.

Io sono felice che l’università studi e dia un supporto scientifico a quella che per me è stata un’intuizione nata dal condividere le esperienze e i drammi amari degli anziani.

Abbiamo passato assieme a questo studente e al dottor Doria un’oretta di conversazione cordiale in cui ho tentato di puntualizzare le motivazioni di fondo, che attingono a principi di fede e quindi ho illustrato le mediazioni intermedie che hanno tradotto gradatamente in scelte sociali, strutturali ed organizzative il progetto nato da questi principi religiosi.

Mi pareva di essere tornato ai tempi di scuola in cui il professore di storia monsignor Altan, tipo intelligente, ma originale, quando incominciò a parlarci della riforma protestante distinse le cause remote da quelle prossime. Le cause remote della riforma, secondo lui, risalivano al peccato di Adamo ed Eva!

Credo che avesse ragione.

Traducendo, nel caso del don Vecchi, sono convinto che la causa remota sia la mia profonda ed assoluta convinzione che il cristianesimo se non diventa solidarietà si riduce ad aria fritta!

Da questa convinzione con infinite mediazioni si è arrivati pian piano al don Vecchi. Quindi se togli questo principio crolla tutto!

Sono stato raggirato!

Dopo parecchie esperienze negative mi ritenevo ormai un esperto che non correva più il pericolo di essere abbindolato dai furfanti che con gli espedienti più diversi spillano denaro ai cittadini e soprattutto agli anziani.

A questo proposito avrei da raccontare un vasto repertorio di fatti accadutimi durante la mia lunga vita di prete, vita in cui questa gente che campa di espedienti, mi ha spillato denari, ma soprattutto mi ha fatto correre il pericolo di negare l’aiuto a chi ne aveva veramente bisogno.

L’essere ora al don Vecchi, in questa isola fuori dal mondo, mi rendeva più sicuro che mai, invece, ci sono cascato come un perognocco!

Fortuna ha voluto che il lestofante si sia accontentato di poco, appena 120 euro, ma se avesse voluto credo che avrei pagato molto di più per la mia dabbenaggine.

Faccio un appunto sull’evento per ricordarmi che l’aiuto ai poveri lo debbo dare per scelta, non per raggiro!

La vigilia dell’Assunta mi telefonano dalla segreteria che il signor tal dei tali mi voleva dare un saluto. Non ricordavo il nome, ma per me sono molti di più i nomi di amici che non ricordo che quelli che ricordo.

Mi accolse nella hall con tanta familiarità, disse che stava andando in vacanza e che lavorando come ingegnere alla Sony aveva dei televisori, dei computers, stampanti ed un sacco di altre cose da regalare perché in sede tenevano solo gli ultimi modelli.

Volle gli estremi della Fondazione, per preparare la ricevuta, lo portai in segreteria dove chiese i programmi da inserire. Una vera manna per i collaboratori de “L’incontro” che adoperano macchine vecchie e sorpassate!

Tutto bene se non che mi disse quasi con imbarazzo, che certi cavi li doveva comprare anche lui perché le macchine potessero funzionare, cose che lui avrebbe pagato a prezzo scontato.

Chiesi: “Dica quanto ha bisogno? “Centoventi euro”
Mi venne un dubbiolino, perché chi mi offre roba non fa mai questi discorsi.
Fugai il dubbio e gli diedi il denaro.
“Alle venti, prima di partire, le porto tutto”

Probabilmente alludeva alle venti dell’anno 3000!