La mia prima esperienza di giovane prete l’ho fatta nella parrocchia dei Gesuati, quel cuneo di case che partendo dall’Accademia finisce con la punta della dogana.
La mia prima parrocchia era abitata da due categorie di persone; le case che si affacciavano sul Canal Grande e quelle poste nella fondamenta del Canale della Giudecca. Palazzi di pregio e spaziosi quelli sul Canal Grande, erano proprietà di signori e di patrizi veneziani, mentre le case dell’interno del cuneo erano misere ed abitate da povera gente; case umide con poche finestre e talvolta perfino con stanze cieche.
In questo settore della parrocchia c’era un antico edificio che tutti chiamavano “Le pizzocchere”, immagino, pensando da chi era abitato, che la traduzione italiana sia: “la casa delle poveracce”!
Proveniva da un antico lascito ai tempi della Repubblica, mediante cui un qualche patrizio danaroso aveva donato per donne sole, vedove o nubili e senza reddito, lascito che doveva essere amministrato dal parroco. Si trattava di una vera topaia.
Fu restaurato una prima volta ai tempi in cui ero cappellano ai Gesuati, recentemente fu nuovamente ripreso in mano così da ricavarne dei minialloggi sul tipo del don Vecchi.
A Venezia sono moltissimi i lasciti destinati ai poveri, che attraverso mille vicissitudini sono giunti fino a noi.
Ora anch’io ho tentato di inserirmi in questa tradizione e da questo tentativo sono nate: Ca’ Dolores, Ca’ Teresa, Ca’ Elisa, Ca’ Elisabetta, i Centri don Vecchi e sono in gestazione altre strutture!
Peccato che l’arco di una vita sia tanto breve da non poter ottenere quello che a Venezia è avvenuto nell’arco di secoli, comunque credo che questa sia una strada buona per dare soluzione ai drammi dei più deboli. Credo che se fossero più di uno i preti che pensano in questa maniera, pian piano anche la nostra città avrebbe più strutture destinate a questo scopo.