Un educatore alla solidarietà fallito

Io sono vissuto con gli scout e per gli scout almeno una trentina di anni.

Pur svolgendo il servizio di assistente ecclesiastico mi “hanno costretto” a partecipare ad un campo scuola per avere la qualifica di capo e prima ancora mi hanno chiesto di fare la “promessa scout”.

Comunque quella degli scout è stata una delle mie più belle esperienze nel campo giovanile come educatore; il metodo è certamente valido ed ha ancora presa sull’animo dei ragazzi.

Una delle mete che gli scout passano a chi aderisce al movimento, è certamente quella “di lasciare il mondo un po’ più bello e più buono di quello che hanno trovato”.

Io, onestamente ci ho provato! Non so però se ci sono riuscito almeno in minima parte! Questo m’addolora alquanto e soprattutto non so a che o a chi imputare questo probabile insuccesso.

Di natura sono uno stacanovista e perciò credo proprio che la causa non sia uno scarso impegno!

Ho fatto queste considerazioni proprio in questi giorni. Al don Vecchi capita che, essendo tutti vecchi, qualcuno sia costretto a causa dei propri acciacchi ad andare, pur a malincuore, in casa di riposo, qualche altro invece è costretto, suo malgrado, a trasferirsi in Cielo, ma che ci sia uno fra i tanti che lasci le sue poche cose all’organizzazione che l’ha salvato dalla solitudine, dalla miseria e da mille altre preoccupazioni, non c’è verso di trovarlo!

La quasi totalità approfitta volentieri del trattamento di favore, dei vestiti a prezzi simbolici, dei generi alimentari donati, della frutta e verdura distribuiti gratuitamente, ma è ben raro, se non rarissimo, che si trovi qualcuno che si ponga la domanda: “Hanno aiutato me, senza che io potessi accampare alcuno diritto, quindi anch’io voglio aiutare altri che si trovano nella triste situazione in cui mi trovavo!” tutti sono pronti a beneficiare di ogni provvidenza, come fosse un diritto sancito da non so quale legge, ma ben pochi pare che comprendano la lezione che ogni giorno è loro proposta, e da noi non si tratta di chiacchiere ma di fatti.

Non so quindi se sia neppure più vero l’antico detto: “Le parole volano, mentre gli esempi trascinano”
Ma chi e dove trascinano?

Come educatore alla solidarietà, debbo ammetterlo, sono fallito! Peccato!

Sarebbe così importante far crescere la solidarietà nel nostro mondo!

“Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

Qualche settimana fa siamo stati con i residenti del don Vecchi, e qualche altro anziano di Mestre, in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza.

Non potrei assicurare che le motivazioni, del centinaio e più di anziani che vi hanno aderito, siano state esclusivamente o prevalentemente di ordine religioso.

Un pomeriggio diverso, l’occasione di far quattro chiacchiere con gente amica, la merenda casereccia e soprattutto il costo contenuto: 10 euro tutto compreso, può darsi che abbiano decisamente concorso a far diventare “pellegrine” persone di abitudini abbastanza stanziali.

Io ho partecipato volentieri, il vedere delle persone contente fa sempre piacere, ma soprattutto il riandare a ricordi della mia infanzia, perché la Madonna dei Miracoli di Motta è per il mio paese natio il santuario più vicino e i miei compaesani di un tempo, ma anche gli attuali, da quanto mi risulta, ci sono sempre andati e ci vanno ancora volentieri quando hanno qualche grossa preoccupazione.

Uno dei momenti forte del pellegrinaggio, almeno ufficialmente, consiste nella messa e nella predica relativa.

Il tutto è stato fatto con molta attenzione e dignità, e dato che io ne ero il regista, ho tentato di aiutare i miei coetanei a ringraziare per tutti i “miracoli” che il buon Dio e la Madre di Gesù, ci hanno fatto e continuano a fare, piuttosto che andare a presentarci con la lista delle richieste.

Ho avuto la sensazione che i vecchi mi abbiano seguito, comunque le riflessioni hanno giovato particolarmente a me.

Mi pare che sia stato Leon Blois, Pelni o Bernanos, ad affermare che “Tutto e grazia!”

E’ vero, se ci pensassimo veramente dovremmo, da mattina a sera, ringraziare senza pausa il buon Dio per quanto, nonostante tutto, continua a donarci.

Una volta tanto mi unisco ai membri del Rinnovamento dello Spirito per dire con entusiasmo e convinzione: “Grazie, grazie, Signore, alleluia!”

L’inno di san Paolo “Ubi caritas, ibi Deus” e il don Vecchi

Non avrei mai pensato che il don Vecchi, che qualche concittadino si ostina ancora a ritenere una casa di riposo, in poco tempo sarebbe diventato un vivaio in cui si muove tanta gente, si fanno tante cose e soprattutto in cui pulsa rigogliosa la vita.

Era quello che volevo ma non avrei mai pensato che sarebbe avvenuto tanto presto e con tanta intensità.

Il sogno iniziale era quello di offrire agli anziani, senza tanti mezzi economici, una dimora in cui essi potessero rimanere uomini, donne e soprattutto persone fino all’ultima goccia di vita.

Questo è avvenuto! Al don Vecchi c’è un campionario del mondo, magari non con volti e comportamenti all’ultima moda, e con stili di vita all’ultimo grido, ma comunque ci sono uomini e donne liberi, che fanno le scelte che vogliono, che vivono, amano e si comportano come ognuno crede.

Talvolta amerei che rientrassero un po’ di più nel clichè della comunità dei cristiani, li sollecito a questo, ma mi impegno e garantisco loro la libertà di praticare e di vivere come credono.

La costituzione del don Vecchi, ha pochi paragrafi: solidarietà, rispetto, libertà, per il resto ognuno si arrangia.

Quello che però mi esalta è l’interrato, la parte meno nobile dell’edificio, la è sbocciata la vita: i magazzini dei mobili, dell’oggettistica, dei supporti per gli ammalati, del banco dei generi alimentari, dei vestiti.

Credo che non ci sia angolo o istituzioni di Mestre in cui si incontri in maniera così intensa e numerosa e diversificata la solidarietà.

Dire che ne sono orgoglioso non è giusto, perché non è opera mia, ma espressione corale di un volontariato tanto diversificato per età, sesso, cultura, lingua, religione.

Il denominatore comune di questo formicaio di volontari, nato quasi per caso, è la solidarietà, espressa in mille modi e con stili diversi, ma comunque è sempre solidarietà.

Il don Vecchi è sempre vivo perché non cessa mai l’andirivieni di anziani, figli, nipoti, badanti, amici e fornitori, ma il pomeriggio il popolo dei piani alti e di quello dei piani bassi, si mescolano e tutti insieme cantano l’inno di san Paolo “Ubi caritas, ibi Deus” dove c’è la solidarietà la c’è Dio, forse per questo il don Vecchi è così vivo e così nuovo!

Che amarezza il grande egoismo di tanti verso chi li aiuta!

Il mese di settembre è diventato un tempo drammatico per molti estracomunitari presenti in Italia, moltissimi sentono da un lato incombente la spada di Damocle del reato di clandestinità e dall’altro la prospettiva di dover tornare nel paese di provenienza nel quale, essendo fortunati di trovare un lavoro, avrebbero uno stipendio di cento – centocinquanta euro al mese.

I tempi per approfittare di un’ultima via di salvezza sono veramente brevi, e questa volta poi i salvatori non sono più i benestanti, ma la povera gente, a sua volta bisognosa di aiuto.

Io pensavo che i poveri fossero solidali tra loro, che un tipo di povertà comprendesse l’altro tipo di povertà, che ci fosse uno scambio in natura.

Tu mi offri la tua disponibilità, tenendo conto anche delle mie poche risorse economiche, ed io ti ricambio con quello che le leggi patrie mi permettono di offrirti, permettendoti così di arrabattarti pur continuando in lavori umili e precari per evitare la miseria e la fame.

Paura, prevenzione, egoismo, disinteresse stanno caratterizzando un momento amaramente triste e deludente del comportamento verso i nuovi poveri! Sto costatando come troppi vorrebbero beneficare a buon mercato della disponibilità di tante donne straniere, alle quali è richiesta una vita al limite della sopportazione, senza voler contraccambiare, non dico con violazioni della legge o con rischi di reato, ma solamente approfittando della possibilità che la stessa legge offre per rendere legale la presenza di chi li aiuta! Sto scoprendo che la catechesi sulla carità è estremamente manchevole, inefficace, puramente formale. Mentre si può essere certi, che non esisterà mai una carità che non abbia prezzo, anzi più essa è vera e autentica più costa.

Una volta ancora mi si ripresenta il problema che troppi cristiani si illudono d’essere tali solamente assolvendo a qualche pratica di culto, non avendo ancora capito che saremo invece giudicati sull’amore al prossimo!

Il Don Vecchi che sorprende

C’è una sorpresa per chi entra al don Vecchi per la prima volta che sorprende anche me quanto mai!

La gran parte dei nostri concittadini han sentito parlare del don Vecchi, da un lato perché stampa e televisione ne parlano di frequente per un motivo o per un altro, d’altra parte noi che vi abitiamo siamo più di trecento e ognuno di noi abbiamo parenti, amici e conoscenti, motivo per cui la fama è assai diffusa, però non bene e fedelmente diffusa. Tutti più o meno, purtroppo, la ritengono una casa di riposo, magari particolare, ma sempre una casa di riposo!

I pochi concittadini che varcano la soglia del Centro si sorprendono per la signorilità, i quadri, i mobili, l’ordine, la pulizia ecc.

E’ triste dirlo, ma il clichè delle case di riposo è abbastanza squallido, mentre noi abbiamo scelto per convinzione profonda che “i poveri sono i nostri padroni”, come diceva San Vincenzo De Paoli, perciò anche la loro dimora deve essere nobile e signorile, tutto questo è possibile!

Abbiamo appena presentato in Comune la richiesta di concessione edilizia per Campalto, ma già da tempo stiamo raccogliendo quadri e mobili perché anche a Campalto ci sia, per i futuri residenti dei quali non conosciamo ancora i nomi ed i volti, un ambiente accogliente signorile del quale non solamente non abbiano da vergognarsi, ma invece andarne orgogliosi. Mi pare sia un apostolo o comunque è certamente un personaggio autorevole che afferma che il bene va fatto bene!

Finchè avrò forza e respiro non sono disposto a tollerare, sciatteria, disordine, cattivo gusto né nell’ambiente né in chi vi abita, anche se ha cent’anni e mille acciacchi!

Quante storie sarebbe importante conoscere!

Al don Vecchi vive più di un bel pezzo da novanta ed oltre. Non tutti sono ugualmente efficienti, ma qualcuno brilla veramente per lucidità e saggezza.

In quest’ultimo tempo ho avuto modo di approfondire maggiormente la conoscenza e la stima verso un mio coinquilino, con cui non avevo avuto finora un rapporto approfondito. E’ stata veramente una bella sorpresa apprendere ciò che ci stava sotto il comportamento corretto e riservato di questo vecchio signore d’altri tempi.

Il suo ricovero in ospedale, prima per un incidente d’auto e la visita in casa sua, dopo i postumi dell’incidente, mi dettero modo di conoscere in maniera più approfondita non solamente la calda umanità, la lucidissima intelligenza, che lo sorregge ottimamente, ma anche le vicissitudini che hanno caratterizzato il suo lungo passato.

Il signor Manzella, che all’apparenza sembra un tranquillo e nobile signore del Centro sud, ha un passato vivace ed intenso, infatti ha partecipato, da protagonista, alla guerra sui mari dell’ultimo conflitto mondiale.

Ufficiale di complemento ha conosciuto direttamente le vicende epiche delle squadriglie di sommergibilisti che hanno operato nell’Adriatico, nell’Oceano Atlantico e perfino nel lontanissimo Oceano Pacifico.

E’ stato per me interessante ascoltare il racconto appassionato di questo vecchio lupo di mare che narrava con sapienza e distacco vicende così tragiche e disumane.

In questi ultimi tempi, tante volte mi è venuto da pensare: “Noi vediamo spesso volti stanchi e logori, ma dietro quei volti quante vicende, quanti drammi e quante storie che rimangono coperte da un velo di riservatezza, se si permettesse che venissero a galla scopriremmo la calda umanità di uomini e donne che hanno rischiato, sofferto e lottato e che meritano tutta l’attenzione, la stima e la riconoscenza dell’intera comunità.

Bisogna avere più fiducia nella testa e nel cuore che nelle carte!

Ho avuto un lungo colloquio col responsabile di “obiettivo lavoro” l’ente che, a nome del Comune, fornisce ore di assistenza agli anziani poveri e in difficoltà, in rapporto al loro deficit e ai mezzi economici di cui dispongono loro e il Comune.

Mi rendo perfettamente conto che è ben difficile fornire un’assistente familiare proprio nel momento più necessario per i barcollanti residenti al don Vecchi.

Fatalmente “Obbiettivo lavoro” seguendo i protocolli distribuisce un’ora o due di assistenza fissando il giorno e l’ora in rapporto ad una infinità di elementi.

Capita quindi che l’assistente inviata impieghi mezz’ora per il trasferimento ed arrivi proprio nel momento che l’anziano dorme o non sa proprio cosa farsene dell’aiuto offerto.

La fatica quindi nello spiegare che se potessimo noi, pur usando del tempo fissato dall’assistente sociale del Comune, gestire direttamente l’operatrice familiare, abbatteremmo così i tempi morti, faremmo fare gli interventi nel tempo debito.

Si tratterebbe quindi di non modificare sostanzialmente il contributo del Comune, ma di gestirlo in maniera intelligente ed opportuna.

Pare che ci siamo capiti ed abbiamo concordato sulla linea dell’intervento. Ora si tratta di adottare o meglio ancora di interpretare ed applicare le norme che sono state studiate in maniera valida, ma vanno applicate con intelligenza nelle situazioni concrete.

Pensavo stamattina a San Paolo, quando duemila anni fa ha affermato che “la lettera uccide, mentre lo spirito vivifica”

Solamente la disponibilità al discorso dell’altro, il coraggio di assumersi una qualche responsabilità, l’amore all’uomo reale, risolvono i problemi, ma allora ci vuole più fiducia nella testa e nel cuore piuttosto che il garantirsi dietro le carte che spesso documentano stupidità e disinteresse!

Resto fedele alle mie origini!

Io da sempre mi sono schierato per la povera gente, non per vezzo, per moda o per vantaggio. Sono schierato con i poveri più che per motivi ideali, perché vengo da quel mondo, mi sento della stessa pasta e voglio condividere la stessa sorte.

Qualcuno pensa che abbia scelto di trascorrere la mia vecchiaia al don Vecchi perché è stata una mia opera, perché vi sono affezionato?

No! Ho scelto di terminare al don Vecchi perché voglio vivere come “loro”, come i vecchi poveri della città in cui sono vissuto. Le mie ribellioni, contro i ricchi, contro chi comanda, contro chi si è emancipato e s’è scrollato dalle spalle le ansie e le abitudini dei poveri è certo una nobiltà fittizia pagandola al prezzo di voltar praticamente loro le spalle, nasce appunto da questo voler rimanere con i paria della società e volerne condividere le condizioni esistenziali.

Nel mio alloggio incontro mille volte le foto di papà e mamma e il loro sguardo mi ricorda mille volte al giorno le mie origini, i drammi e le difficoltà della mia gente e del mio passato.

La mia solidarietà ai poveri abbia come motivo: le vacanze passate in bottega di mio padre a scaldare la colla e a raddrizzare i chiodi per poterli riutilizzare, le interminabili giornate passate con i fratelli e i bambini vicini di casa, a raccogliere fagioli, a zappare il granoturco, a togliere le patate dai solchi della bonifica, dopo aver fatto una decina di chilometri di strada in due sulla stessa vecchia bicicletta, il mangiare seduti per terra sotto le piante di granoturco, poi quando era terminato il raccolto, tre parti erano per il padrone e un terzo per noi!

Pensavo a queste vecchie storie qualche giorno fa vedendo gli operai che posavano il porfido davanti all’ingresso del cimitero. Il sole scottava ed erano già là curvi a posare questo rozzo mosaico, arrivò il temporale e rimasero sotto la pioggia. Non potevano permettersi di perdere una giornata! Perché a fine mese dei 1200 euro avrebbero tolto l’equivalente di una giornata di lavoro!

La mia famiglia è sempre vissuta così! Come potrei tradire questa gente perché ho studiato un po’ e la mia categoria socialmente mi tratta meglio?

L’Italietta che ci danno i nostri politici

Una delle tante utopie che sto inseguendo è quella ambiziosa e quanto mai ardua di permettere agli anziani che godono della pensione minima (516 euro mensili), e non sono pochi gli anziani al don Vecchi in queste condizioni, di poter vivere decorosamente senza mendicare presso i loro figli quel denaro necessario ad arrivare a fine mese.

Già scrissi di un’anziana signora, mia coinquilina da qualche mese, che andò a servizio presso una signora di Venezia a otto anni di età ed ha continuato a servire fino agli ottantatre anni, tempo in cui è stata accolta al don Vecchi; ebbene questa anziana signora per i suoi 75 anni di lavoro percepisce 710 euro.

Come volete che io abbia rispetto per il nostro Stato, per il Senato, per il Parlamento e per l’intera classe politica e sindacale quando avvengono cose del genere?

Tornando all’utopia, mettendo in atto tutti gli stratagemmi possibili e inimmaginabili (lo spaccio della frutta e verdura, il banco alimentare, e l’attenzione che non avvengano sprechi anche minimi), faccio pagare affitti che talvolta non raggiungono neanche i 100 euro, finora pare che i nostri anziani ce la facciano!

Certamente non possono andare in vacanza a Cortina e debbono vestire ai magazzini S. Martino! Se non che ogni tanto a qualcuno capita la “grandinata” allora sono guai!

L’altro giorno sempre una mia compagna di ventura, dovette farsi levare un dente, non ne poteva più dai dolori. Mi confessò, pur riconoscente quanto mai al nostro dentista che fa sconti impossibili e poi dona al don Vecchi quel poco che percepisce, togliere un dente le è costato 200 euro, se avesse applicato la tariffa sarebbe costato 300-350 euro. Allora da cittadino informato le dissi: “perché non è andata alla ULSS?”.

E lei prontissima: “Avrei dovuto portarmi il mio mal di denti per sei mesi!”

Questa è l’Italietta che i politici, che qualche giorno fa abbiamo votato, ricambiano per la fiducia che abbiamo riposto in loro.

Finché le cose non cambiano non sarò certamente fiero nè per le ville di Berlusconi nè per il veliero di D’Alema ed altrettanto per gli stipendi dell’intero apparato dello Stato Italiano!

I lavori nel piazzale del cimitero

Il cantiere per il nuovo piazzale del cimitero ha messo in crisi la mia “parrocchietta”. Da un anno le ruspe e i “mostri” della tecnologia moderna, che scavano, ripianano con quegli enormi e poderosi bracci d’acciaio, hanno messo a soqquadro tutto lo spazio antistante al cimitero.

Hanno spostato il “monumento” all’obbrobrio e alla bruttezza dell’enorme antenna dei telefoni, e questo non è stato male, ma hanno pure messo a repentaglio l’accesso dei vivi e dei morti al nostro camposanto.

Non c’era più posto per le automobili e perciò i fedeli, in maggioranza anziani, una volta arrivati in prossimità del cimitero, non sapevano dove scendere e se venivano a piedi avevano tutte le trincee col filo spinato da superare.

A Dio piacendo, anche se in ritardo, pare che ci avviamo verso la fine e tutto possa ritornare alla normalità.

Mi auguro che quel popolo che si è disperso durante i lavori ritrovi la strada per accendere un lumino, per unirsi alla preghiera di suffragio per i loro cari del cielo.

Ora poi che l’intero piazzale è stato trasformato in un giardino fiorito e pare che vi siano anche le panchine, mi auguro che una volta salutati i propri morti e pregato per la loro pace, i nostri anziani si siedano per fare quattro chiacchiere prima di imboccare la strada del ritorno.

Spero poi tanto che nel budget per il riordino dell’intero piazzale, ci sia anche una voce per la manutenzione delle aiuole e per la pulizia, che non avvenga come all’interno del cimitero che, una volta piantate le begoniette, non gli hanno più dato una goccia di acqua e non c’è stato un minimo di custodia tanto che quelle che non sono morte per l’arsura, non solamente le buone signore le hanno rubate, ma ne hanno perfino asportato la terra dalle vasche!

I doveri di un capo

Un tempo mi è capitato di leggere uno di quei pezzi brillanti, mediante cui, con un dosaggio attento ed appropriato di parole, si definisce un problema o una persona.

Sono pezzi che poi cominciano a girare specie tra i periodici di ispirazione religiosa e vengono ripresi da una rivista ad un’altra, tanto da diventare abbastanza noti.

Chi, a proposito, non ha mai letto il pezzo, ormai famoso sul “sorriso” o quello di quell’autore, dell’America latina, in cui il protagonista descritto si lagna con Dio perché nel momento del maggior bisogno non ha scorto le tracce di Cristo accanto alle sue e la risposta di Gesù: “le tracce che hai visto erano quelle dei miei piedi, le tue non c’erano perché in quel momento ti portavo in braccio!”.

Un tempo ho letto uno di questi pezzi sulle qualità del capo. Era un pezzo un po’ ironico: “il capo non dorme, ma pensa, il capo si sacrifica sempre per gli altri, il capo non cura i suoi interessi, ma quelli dei dipendenti e via di questo genere!” Fosse vero!

Mi piacerebbe essere capace di scrivere qualcosa di questo genere, sui doveri del capo: “Il capo deve decidere, il capo deve assumersi sempre la responsabilità, il capo non deve nascondersi dietro la decisione del consiglio. Il capo deve chiamare fannullone chi è tale, il capo deve combattere decisamente l’egoismo, l’arroganza, le azioni dei furbetti. Il capo deve impedire agli ingordi di approfittare delle situazioni favorevoli, il capo non deve favorire i privilegi, il capo deve avere il coraggio di essere impopolare, di ricordare a chi è favorito dalla società di ricordarsi di chi sfortunatamente non gode di suddetti privilegi. Il capo deve tener conto di non favorire alcuni a scapito di altri, ecc..”

Mi piacerebbe saper scrivere bene cose del genere per ricordarmi dei miei doveri, e per ricordare a quel piccolo popolo di privilegiati, tra cui vivo, che anche gli altri vecchi hanno diritto d’essere aiutati e non soltanto loro! Purtroppo anche il don Vecchi non è composto soltanto di anziani santi, ma ci sono anche i peccatori che il capo ha il dovere di mettere in riga!

L’autogestione al don Vecchi Marghera

Il dottor Piergiorgio Coin era un grande amico di monsignor Vecchi, spesso lo veniva a trovare e talvolta si fermava a mangiare con noi. Monsignore non aveva complessi, anche se per pranzo avessimo avuto aringhe lesse, invitava come se si fosse preparato un pranzo di gala per l’illustre ospite. Al dottor Coin, che in quel momento era al massimo della sua azienda, piaceva offrire lezioni nel settore di cui si occupava.

Ricordo una di queste lezioni, che nel tempo ho verificato quanto saggia fosse. Ci disse che quando un’azienda ha più di un certo numero di addetti ai servizi, finiscono di darsi lavoro uno con l’altro e perciò di pesare piuttosto che rendere.

Io ho sviluppato ulteriormente questa teoria, arrivando alla conclusione che se una azienda non ha alcun dipendente, lavora meglio e costa meno.

Al Centro don Vecchi di Marghera, ho applicato integralmente la teoria che il dottor Coin ha appreso in America e che io ho sviluppato in Italia.

I residenti a Marghera, sono circa una settantina, e sono quasi tutti coinvolti nella gestione.

Al mattino tengono la portineria ed il telefono gli uomini, al pomeriggio le donne, il taglio dell’erba è fatto in proprio, la cura delle rose e delle piante interne ed esterne è curata dai residenti, la preparazione per il pranzo, la sparecchiatura avviene sempre in autogestione.
In una parola solamente gli invalidi sono dispensati dal servizio.

Il lavoro fa bene, aguzza l’ingegno, tiene viva l’intelligenza e in allenamento il corpo, rende corresponsabili e costa niente. Allora perché spendere per prendere bili, per vedere le cose mal fatte e per sprecare denaro?

Credo che siamo già un passo più avanti di Brunetta!

Una riunione di condominio costruttiva

In questi giorni abbiamo fatto, al don Vecchi, la riunione di condominio, riunione in cui l’amministratore ha presentato il bilancio e in cui si sono discusse le varie questioni riguardanti “la vita condominiale”.

Ricordo che da parroco prestavo le sale del patronato per suddette riunioni per le quali, quasi sempre, si facevano le ore piccole, e spesso si terminava con gran baruffe.

Da noi le cose sono molto più veloci e soprattutto molto più civili, ma non mancano anche da noi le difficoltà. Alcuni residenti hanno pensioni così risicate motivo per cui anche un modesto conguaglio crea problemi, altri sono così attaccati ai soldi (questa è una tipica tentazioni da vecchi), motivo per cui tutto sembra tanto anche se infinitamente inferiore di quanto pagherebbero in qualsiasi altro alloggio. Altri inquilini sono talmente pressati dalle richieste dei figli tanto che sono sempre a corto di soldi. Purtroppo a questo mondo non mancano mai problemi, difficoltà ed incomprensioni, anche nelle migliori famiglie.

In questa occasione mi sono ricordato che un giorno fui fermato da un vigile perché aveva constatato che ero passato per il centro del Paese ad una velocità superiore al consentito. Suddetto vigile mi fermò e mi disse: “Reverendo ho un problema di convenienza su cui vorrei sentire il suo parere. Dovrei secondo lei, multare o no, un autista che ha infranto la legge correndo troppo veloce?”
Evidentemente si riferiva a me.

Io chiesi perciò all’assemblea degli anziani: “Datemi un parere, ci sono cento anziani che mi chiedono di aiutarli per avere un alloggio a prezzi accessibili per le loro magre finanze. Secondo voi è opportuno che suddetti alloggi, a condizioni estremamente favorevoli li dia solamente a cinquanta lasciando a bocca asciutta gli altri cinquanta, o è più giusto che aiuti tutti i cento però ponendo una pigione superiore di quanto potrei fare aiutandone solo cinquanta?”

Dapprima parve che non capissero o peggio che non volessero capire! Conclusi: “Ricordatevi che voi appartenete ai cinquanta super aiutati, mentre gli altri cinquanta che rimangono sono fuori che aspettano!”

Spero che il discorsetto abbia posto un paletto al peccato di egoismo da cui non vanno esenti neppure gli anziani del don Vecchi!

Anche i vecchi cambiano, a volte in peggio

Ogni tanto mi capita di leggere dei pezzi particolarmente felici, scritti da autori più vari, pezzi talmente incidenti e fortunati che si imprimono nella memoria molto di più che una fotografia.

Lo stesso scrittore riesce a suscitare emozioni che si coniugano talmente bene con la fantasia cosicché rimangono quasi ricordo indelebile. Ricordo di aver letto una mezza paginetta di Piero Bargellini che parlava delle “vecchine”, termine proprio del suo bel fiorentino, che frequentano la chiesa, quasi ci vivono dentro facendo un tutt’uno con il luogo sacro, le funzioni liturgiche e la pietà popolare.

Da quella lettura conservo nella memoria immagine di figurine piccole, asciutte, vestite di nero, che pregano raccolte tra i banchi, riordinano i lumi, sistemano i fiori, tanto da fare un tutt’uno con l’arte, il silenzio e il mistero del sacro tempio.

Ora però non so se le cose stiano proprio così anche in quel di Firenze e nelle chiese toscane.
Da noi certamente no!

Io credo di essere un esperto di donne anziane; al don Vecchi ne abbiamo un campionario infinito.

Da noi abbiamo anziane che vestono come arlecchino, altre che si innamorano come ragazzine quindicenni e non si vergognano di farlo, altre che si atteggiano come vamp indistruttibili, altre ancora che non vengono a messa neanche “per morte morire”, altre che hanno un linguaggio da porto o da marittima, altre ancora che in cimitero rubano i fiori che la Vesta, una volta o due all’anno, pianta nei luoghi più in vista e poi abbandona alla loro sorte, che può essere morte di sete o per furto da parte di quelle che Bargellini chiamava “vecchiette” con un dolce ed affettuoso appellativo, ma io non disturberei un termine tanto gentile, per gente dal cuore meschino, senza scrupoli e senza poesia. Purtroppo oggi non cambia solo la gioventù ma anche i vecchi si adeguano alla nuova moda di vivere!

Un percorso tortuoso e complesso

Ho appena terminato una riunione con l’assistente sociale del Comune che si occupa degli anziani residenti al Centro.

Dopo una conversazione quanto mai intensa sono riuscito a capire la filosofia con cui il Comune si muove nei riguardi degli anziani “in perdita di autonomia” cioè degli anziani che stanno in bilico tra auto e non autosufficienza.

Condivido le motivazione di carattere sociale ed economico, per i quali l’ente pubblico, giustamente, tenta che gli anziani in questa condizione rimangano in un alloggio protetto (finalmente anche l’ente pubblico ha compreso che c’è uno stadio intermedio prima della perdita di autonomia che può trovare risposta in una struttura di domiciliarità protetta quale può offrire il don Vecchi).

Però ciò è possibile solamente potendo utilizzare supporti e servizi che fungono da stampelle per la traballante autosufficienza.

Ho capito ancora la macchinosa organizzazione che il Comune ha scelto, per fornire questi supporti sanitari e di ausilio familiare.

Coniugare queste tessere, tese a raggiungere lo scopo che l’anziano viva da uomo libero e capace di decidere della sua sorte, risulta particolarmente impegnativo. Il risultato raggiunto può sembrare piuttosto modesto: l’assistente sociale ha compreso la peculiarità in cui si muove l’anziano al don Vecchi, ed io ho compreso gli sbarramenti e il percorso di guerra che l’operatrice sociale deve tener conto per far sì che le norme del Comune raggiungano in maniera efficace gli obiettivi per cui sono state emanate.

Io però non ho tempo nè carattere per portare avanti un’operazione così tortuosa e complessa.

Dovrò cercare e pregare per reperire un volontario o due che sappiano muoversi con una certa disinvoltura e destrezza in questo campo minato.

Spero che il buon Dio abbia pietà di me e mi dia, ancora una volta, una mano!