La burocrazia comunale contro le biciclette dei residenti al don Vecchi

Il riparo per le biciclette dei 230 residenti al Centro don Vecchi ha una storia complicata, aggrovigliata e soprattutto tribolata. La riassumo in poche parole. Gli anziani residenti più che le automobili usano le biciclette. Attualmente penso che ne abbiano cento-centoventi, e gli anziani sono quanto mai gelosi di questi veicoli, forse ricordandosi che nella loro giovinezza possedere una bicicletta era segno di agiatezza.

Abbiamo commissionato ad un architetto noto in città la progettazione di questa “custodia” e abbiamo pagato per il progetto e fatto costruire da un’impresa quanto mai seria. Non so cosa sia successo, di chi sia la colpa, sennonché un “cristiano” del quartiere per ben tre volte ha sporto denuncia ritenendo l’opera abusiva.

Sono arrivati i vigili, hanno riscontrato delle irregolarità. Noi siamo ricorsi al progettista che ci ha rassicurato della validità dell’opera. Però ci è arrivata una contravvenzione di ben cinquemila euro, ben dieci milioni di vecchie lire.

Una volta pagata la multa pensavo di essere finalmente a posto anche se a caro prezzo. “Illusione, dolce chimera sei tu!” Nuovo ricorso al professionista, nuove assicurazioni, tanto che ad un certo momento m’è stato perfino detto che quello che prima era negato ora è imposto dal Comune: la custodia per le bici.

Non sto a ripetere il numero di telefonate, di proposte e controproposte. L’ultima soluzione prevedeva d’attaccare la “baracca” delle biciclette alla facciata principale con un tunnel per girare attorno al fabbricato. «Ferma tutto!» ordinai, «il Comune venga pure a demolire. Troveranno 230 anziani con un prete ottantunenne a guidare la rivolta sulle barricate».

Per ora ho allertato la stampa e la televisione perché informino l’opinione pubblica nazionale della stupidità della burocrazia veneziana: Mi sono detto: «Mi metteranno dentro!» Quella della galera è un’esperienza che finora non ho mai fatto, né desidero in verità farla! Se però è necessario, mi mettano pure dentro, perché ho tentato di tenere al riparo dalla ruggine le “fuori serie” dei nostri vecchi!

Ci sono tante difficoltà ma sono ben determinato a superarle!

Confesso che sto incontrando più di una difficoltà nel portare avanti i progetti che attualmente mi stanno a cuore.

Per il “don Vecchi” di Campalto ormai ho firmato il contratto con l’Eurocostruzioni. 2.870.000 euro, somma a cui si deve pure aggiungere l’IVA; non ci si meravigli che lo Stato tassi anche chi lavora per esso, anzi si sostituisce ad esso. Le tasse sono sacrosante e si devono pagare, anche se poi ci si accorge che chi le evade può concedersi il lusso di regalare appartamenti del costo di milioni e milioni di euro a parlamentari e ministri!

Per quanto riguarda la “struttura pilota” per prolungare l’autosufficienza, con qualche soluzione architettonica migliorativa o qualche persona di servizio in aggiunta, siamo appena all’inizio dell’impresa e prevedo ostacoli, imboscate burocratiche ed inghippi di ogni genere, ma questa è la regola in vigore, guai a fermarsi al primo ostacolo!

Un architetto, a cui manifestavo la mia sorpresa e la mia indignazione per chi non solo non favorisce, ma pare che remi contro, anche quando si tratta di opere benefiche, mi disse con salomonica saggezza: «Don Armando, non c’è da meravigliarsi quando si incontrano ostacoli, il vero motivo di meraviglia è quando non si incontrano gli ostacoli!”

Per quanto riguarda “la cittadella della solidarietà”, opera che è ancora nella fase del sogno e della utopia, finora ci sono giunte più prese di posizione negative di quelle positive. Questo però non mi spaventa. In questi giorni, sentendo che il nostro assessore alla viabilità ha proposto un nuovo progetto per il tracciato del tram, mi sono ricordato di un episodio di cui mi ero dimenticato. Non riuscendo ad ottenere la concessione edilizia dal sindaco che vent’anni fa era appunto l’avvocato Ugo Bergamo (i nostri amministratori sono eterni) per il “don Vecchi uno” avevo minacciato su “Lettera aperta”, il periodico della parrocchia, che se entro una data fissata il Comune non mi avesse dato suddetta licenza, alle 12 di ogni giorno avrei fatto suonare le campane a morto.

Qualcuno, evidentemente, si incaricò di mandare alla vecchia madre del sindaco il periodico con la notizia funebre, al che mi riferirono che questa cara donna si sarebbe rivolta all’illustre figlio supplicandolo: «Ughetto mio, non permetterai mica che quel parroco suoni le campane a morto!»

Mi arrivò la concessione edilizia! Ora mi è motivo di molto conforto il sapere che io sono ancora io, quello di vent’anni fa!

Un pellegrinaggio con pancetta

Siamo andati in pellegrinaggio con due pullman di anziani del “don Vecchi” al santuario della Madonna dell’Olmo, vicino a Thiene.

I nostri pellegrinaggi sarebbe più giusto chiamarli “brevi uscite” dalla monotonia del quotidiano. La meta è un pretesto e la storia del miracolo lontano cinque secoli è meno ancora di un pretesto per incontrare il Signore.

Io ero stato alla Madonna dell’Olmo una ventina di anni fa, sempre con gli anziani, anche se diversi dagli attuali, e ricordavo un ambiente un po’ romantico (i ricordi di esperienze lontane nel tempo giocano sempre brutti scherzi).

La struttura della chiesa, del convento e delle adiacenze si rifanno agli schemi consolidati dei frati cappuccini, che obbediscono ad un cliché ben determinato, sempre funzionale, con un’impostazione sobria, di gusto mediocre, ma di gradimento popolare.

Buona ed efficiente l’organizzazione, anche se il tutto manifesta la vita di un santuario di “seconda classe” che i frati promuovono con tanta buona volontà, ma che non offre quell’aria mistica e diversa che è possibile trovare altrove in ambienti più suggestivi da un punto di vista naturalistico.

Ho celebrato messa con un po’ di disagio perché non avevo previsto l’assenza di chi normalmente sceglie ed intona i canti e perché c’è stato più di un inceppo nelle preghiere dei fedeli e nella “presentazione” che è finita per diventare la “conclusione”. Pazienza! Non tutte le ciambelle riescono col buco!

La merenda invece è andata per il meglio: un prato verde, ombreggiato da alberi secolari, un’arietta fresca e tanti panini alla pancetta, al salame e alla mortadella. Questa parte della “liturgia” dei nostri pellegrini è sempre attesa e vissuta con vera intensità “spirituale”. Soprattutto le signore han cominciato a chiacchierare con tanta intensità e piacere e quando qualcuno fece osservare ch’era prevista anche la visita ad un antico convento di Schio, a stragrande maggioranza si optò per terminare in pace la merenda e continuare i lieti conversari.

La vita riserva anche queste sorprese a livello ascetico!

Quella spina che punge

Al “don Vecchi” mi trovo bene, vivo una vita serena, però ogni luogo ed ogni situazione hanno la loro spina, che talvolta punge e fa sanguinare.

Per entrare al “don Vecchi” non serve, come avveniva un secolo fa, che i richiedenti esibiscano un certificato che attesti l’avvenuto adempimento al precetto pasquale o la partecipazione alla vita religiosa, però non si nasconde neanche che la parrocchia ha dato vita a questa struttura per farne un luogo in cui nasca e viva una comunità cristiana.

Al momento della domanda di ingresso tutti, pur non richiesti, snocciolano una serie di motivi veri o presunti che a loro avviso darebbero diritto di entrare in questa struttura voluta dalla comunità per i suoi membri. Quasi tutti si offrono a quella necessaria collaborazione che, sola, può abbattere i costi e rendere possibile la vita anche ai meno abbienti.

L’idillio religioso e di volontariato però dura poco, molto poco, per alcuni neanche inizia. La stragrande maggioranza è immediatamente disponibile e talora perfino avida di accaparrare ogni vantaggio possibile, non solo per sé, ma anche per i figli i quali, in maniera più o meno elegante, li hanno messi fuori di casa perché erano diventati un peso ed un ingombro.

A livello religioso poi, dichiarandosi tutti credenti e cristiani, pur avendo tutte le agevolazioni possibili ed immaginabili, al massimo una metà dei 230 residenti al “don Vecchi” di Carpenedo partecipa al precetto festivo che è celebrato ogni settimana in casa e che si può raggiungere senza alcuna difficoltà.

L’amarezza di questo rifiuto “alle nozze”, con i pretesti più banali, mi ha fatto balenare l’idea, che ancora non ho messo in pratica – ma che prima o poi finirò per attuare – di scrivere: “don Armando oggi celebra l’Eucaristia per i cristiani che abitano in questa struttura”. Non credo però che neanche così metterò in crisi molti soggetti.

Voglio spendere tutte le mie energie per dare una vita migliore agli anziani non del tutto autosufficienti

Sto vivendo giorni molto impegnativi, di una ricerca faticosa, perché sto mettendo a punto un progetto affinché i residenti al “don Vecchi” possano vivere fino alla fine dei loro giorni e non siano sepolti anzitempo in una casa di riposo per anziani non più autosufficienti.

La messa a punto del progetto, su cui poi dovrò confrontarmi col Comune, perché lo finanzi, mi sta letteralmente logorando; aprire nuove piste, “scoprire” modi nuovi di impostare la vita, è faticoso quanto lo fu la scoperta dell’America per Colombo. Ti trovi solo, pur avendo delle intuizioni, delle linee di ricerca, spesso sorgono dubbi, perplessità e paure dalle quali è ben difficile liberarti completamente.

In quest’impegno m’aiutano due immagini, belle e nello stesso tempo tragiche. Quella di una nonnetta che vive vicino a “casa mia” e che ha compiuto 94 anni; di lei ho riferito qualche tempo fa quando rimase male perché il giorno del suo compleanno, quando ero andato a farle gli auguri, aveva ancora i bigodini in testa e perciò non era ancora pronta. Qualche giorno fa disse alla figlia: «Portatemi in casa di riposo, perché qui non mi aiutano sufficientemente!» L’accontentarono. Dopo tre o quattro giorni, con la grinta che le è propria, disse: «Riportatemi a casa, questa è una tomba, un cimitero, non una casa per vivere!»

L’altra immagine è quella di un mio amico che incontrai nel suo emporio di Favaro, ed essendosi accorto della mia malcelata sorpresa perché aveva due occhi grandi, infossati e lucidi per un tumore all’ultimo stadio, mi disse: «Don Armando, voglio che la morte mi incontri vivo, in piedi!»

Quando penso che sto lavorando per uomini e donne, fratelli e sorelle che si trovano in queste condizioni, non posso badare alla fatica, alla stanchezza; per creature in queste situazioni vale la pena di spendere anche l’ultima goccia di forza.

La bella sorpresa che riserva sempre il Don Vecchi a chi lo visita

Qualche giorno fa, con un gesto di squisita gentilezza, un mio “compagno di sventura” m’ha fatto visita al don Vecchi assieme alla moglie, il cognato e due altre cognate.

La sorte ci ha assegnato la stessa camera e per una decina di giorni siamo convissuti nello stesso luogo, lui per la prostata ed io per il rene. Il “nemico” oggi non dà tregua e continua a “sparare sul mucchio”, a chi tocca tocca!

Durante le ore infinite, perché in ospedale le ore non durano solamente sessanta minuti, ma eternità, abbiamo avuto modo di scambiarci qualche confidenza e di parlare del mondo da cui provenivano e del quale ci occupiamo. Usciti ambedue un po’ malconci, qualche telefonata ha mantenuto aperto il dialogo tanto da spingere questo “amico di sventura” a farmi una visita assieme ai suoi famigliari al don Vecchi.

L’incontro è iniziato con la partecipazione alla messa in cimitero, con la visita al Centro e all’indotto dei magazzini per gli indumenti e dei mobili e col pranzo assieme ai miei colleghi anziani.

Io sono ormai abituato alla vita negli ambienti del don Vecchi, sono orgoglioso della struttura che è certamente leader nel settore degli alloggi protetti, do per scontata la galleria di quadri, i mobili in stile, ma mi ha particolarmente reso felice il senso di sorpresa e di ammirazione di chi viene pensando di trovare una casa di riposo maleodorante, sciatta e convenzionale, scoprendo invece un “albergo di qualità”. È stato così anche per i miei amici padovani, ma spero e voglio che sia così almeno fin che io avrò respiro per imporlo! I nostri vecchi meritano questo e altro!

“Ad arrabbiarsi non è bene ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”

Ho incontrato questa mattina i due funzionari del comune più importanti per quanto concerne l’assistenza agli anziani.

L’incontro aveva tutte le premesse per essere burrascoso, però finimmo per capirci. Io ho compreso che l’amministrazione comunale non è duttile quanto io vorrei, in quanto deve attenersi a delle norme che altri hanno stabilito e molto poco è lasciato all’iniziativa del singolo funzionario. Loro hanno compreso che le mie impennate non sono determinate da capricci e meno ancora da interessi, ma dal desiderio di un servizio quanto mai puntuale nei riguardi degli anziani in difficoltà.

Convenimmo che solamente il dialogo costante e fiducioso e lo sforzo di tradurlo in scelte concrete può risolvere i problemi sempre nuovi in cui ci imbattiamo in una navigazione che avviene quasi sempre a vista.

Il motivo del contendere è sempre quello: quando l’anziano s’avvia sempre più verso la non autosufficienza tanto più la nostra struttura si rivela fragile ed inadeguata perché improntata sulla quasi totale autosufficienza.

Come fare a risolvere questo problema che spesso diventa un dramma umano?
Da un lato le case di riposo per non autosufficienti non dispongono di posti letto adeguati, infatti ben seicento anziani sono in fila per poter essere accolti, da un altro lato gli alloggi protetti quali il don Vecchi sono un’invenzione troppo recente perché le pachidermiche amministrazioni della Regione e del comune possano dotarli di soluzioni adeguate.

La conclusione è stata che il comune ci fornirà personale in aggiunta che la fondazione gestirà in maniera più autonoma perché questo intervento possa essere efficace. Ora si studieranno le modalità per aggirare gli ostacoli burocratici e raggiungere lo scopo.

Andreotti, da quella volpe che è sempre stato, diceva: “A pensar male è sbagliato ma spesso si indovina!” Io parafraserei che: “Ad arrabbiarsi non è bene, ma forse è l’unico modo per venire a capo di ciò che sembra impossibile altrimenti!”

Una lettera che spero aiuti a darci una mano e a crescere in umanità

Ieri ho raccontato a questo “diario” che è diventato il confidente dei miei pensieri, delle cose che mi capitano ogni giorno e delle miei reazioni; la vicenda del furto della carrozzella che avevamo offerto ad una cara persona che sta diventando progressivamente disabile.

Il “diario” poi sommessamente, in maniera discreta, racconta a sua volta, a chi gli interessa, ciò che questo vecchio prete confida al “diario”.

Non tutto e non sempre riesco ad inserire nelle pagine bianche quello che mi passa nella mente e nel cuore. Mi sono accorto che finisco per confidare più spesso reazioni amare, precisazioni angolose e prese di posizione aspre, anche se convinte.

Nella mia vita di vecchio prete, però sono anche molte le gioie, i momenti di soddisfazione che mi ripagano di tante battaglie aspre e talvolta perdute. Qualche giorno fa ho ricevuto dalla signora della carrozzella questa lettera che trascrivo; non spero che converta i ladri ma spero che invece ci aiuti a darci una mano e a crescere in umanità.

Mestre 22.04.2010
Questo è un mondo di lupi.
Non voglio più vivere in questo mondo di lupi.
Caro don Armando, non so che m’è preso l’altro giorno quando le ho telefonato per comunicarle il furto della carrozzina, una delle vostre presa a prestito. O meglio, lo so. Ero in preda ad una collera tremenda, quella che mi faceva pensare: se li prendo li strapazzo (gli ignoti ladri).
Io stessa in quel momento ero lupo, me ne sono resa conto poi.
Lei è stato proprio gentile e largo di manica, mi ha riportato alla ragione.
Da un po’ di tempo mi sono accorta che quando ho più bisogno di pensieri positivi, mi arrivano, una conversazione, un libro (giusto al momento giusto). Ieri sono entrata nella chiesa dell’ospedale e ho preso L’incontro e il Coraggio. A casa ho trovato l’autobiografia di don Andrea Gallo (fuori catalogo, richiesto e ricevuto. Non ci speravo)
Ho letto il suo diario don Armando, forte forse più di sempre tanto che persino la carta su cui è stampato scricchiola di più. Schietto e sincero. Riconosce che non era un lupo vicino a lui ma non lo ha guardato con malanimo.
Poi ho letto il libro di don Gallo, ha a che fare con lupi, di altro genere magari, e nemmeno lui vuole strapazzarli.
Per grazia di Dio, c’è lei, c’è don Andrea c’era don Mazzolari.
Vi voglio bene (a lei di più)
Lettera firmata.

L’aiuto reciproco deve diventare un codice di comportamento scontato!

Nel tardo pomeriggio mi ha raggiunto una telefonata, a dir poco sdegnata.

Una signora, neanche troppo anziana, non riesce più a deambulare, un po’ perché eccessivamente obesa a causa di qualche disfunzione ed un po’ perchè un progressivo indebolimento delle gambe non le permette d’essere totalmente autonoma. Assidua lettrice de “L’incontro”, sapeva che tra tante altre iniziative al don Vecchi, raccogliamo e distribuiamo supporti per le infermità. A dire il vero questo nostro magazzino non è sempre gran che fornito, perché quando abbiamo dato una carrozzella per infermi ad un moldavo o ad una ucraina, l’attrezzo non ritorna più da noi per essere riutilizzato. Chi ne ha bisogno, dato che nel lontano paese ha un congiunto che ne ha bisogno e l’organizzazione sanitaria e le risorse economiche non gli consentono di avere l’attrezzo.

Comunque avevamo avuto la possibilità di offrire la carrozzella a suddetta signora, senonché durante la notte gliela hanno rubata nonostante fosse posizionata sul pianerottolo del primo piano.

Da questo furto “macabro e sacrilego” nasceva l’indignazione di chi m’aveva chiamato al telefono. Io condivisi l’indignazione, ma le dissi che ne avremmo messa a disposizione un’altra, non siamo infatti né una bottega né una banca, ma la nostra attività poggia sul concetto del servizio e della solidarietà.

Mi parve rasserenata e poi mi scrisse una bella lettera di ringraziamento, facendomi delle lodi che non merito.
Dovrebbe a mio modesto parere essere finito il tempo, per cui si dia per scontata la prassi della solidarietà e non si ritenga più un merito di chi la pone in atto.

L’aiuto reciproco deve diventare un codice scontato di comportamento, anche se purtroppo siamo ancora lontani da questa meta che dovrebbe essere ovvia per noi cristiani!

Nubi sulla Giunta

Nota della redazione: questo appunto è stato scritto prima dell’incontro avuto lunedì 10 maggio al don Vecchi tra il presidente e direttore della Fondazione, il dottor Gislon e la dottoressa Corsi per il Comune dell’assessorato della sicurezza sociale. In tale incontro sono state date le più ampie promesse che l’amministrazione comunale fornirà il personale sufficiente per rispondere al grave problema dell’autonomia limitata dei nostri anziani. Un buon inizio!
Sono passate ormai alcune settimane dalle ultime elezioni. Ogni mattina sono andato a verificare nelle pagine de “Il Gazzettino” dedicate alla città, se il sindaco Orsoni avesse scelto gli assessori della nuova giunta.

Nei primi giorni i giornalisti insistevano sulla determinazione di Orsoni di dare segnali di discontinuità, e sulla volontà di essere lui a decidere. Poi pian piano il giornale ha cominciato a riferire sulle beghe dei partiti che si disputavano i posti da far occupare ai loro aderenti. Il discorso della discontinuità e degli uomini nuovi è totalmente scomparso. Se non che sabato 17 aprile sono usciti dal cilindro del prestigiatore, i nomi di personaggi vecchi come il cucco, che da decenni hanno costretto la città a vivacchiare in qualche modo!

Io ero e sono interessato in maniera particolare all’assessore delle politiche sociali. Sempre “Il Gazzettino” informa che sarà il prof. Sandro Simionato, già presidente del quartiere Carpenedo Bissuola e nell’ultima giunta Cacciari assessore alle politiche sociali. Onestamente debbo confessare che sono preoccupato, a meno che non abbia avuto “una folgorazione sulla via di Damasco” nel passato per quanto almeno riguarda il recupero dei generi alimentari in scadenza e il don Vecchi, la sua azione è stata ben poco soddisfacente! M’è parso che non solamente non fosse disposto a spendersi per la soluzione di questi problemi, ma ne provasse perfino nausea a sentirli rammentare.

Quanto prima chiederò un incontro e qualora non si passasse dalle chiacchiere ai fatti, farò le scelte che conseguono a chi è in difficoltà.

Non sono assolutamente disposto a tollerare disinteresse ed inefficienza!

Il testamento spirituale

Prima che io entrassi in ospedale è venuto a farmi visita, nel mio piccolo alloggio al “Don Vecchi”, don Roberto, mio fratello minore, parroco di Chirignago. Io sono il primo e lui è l’ultimo di sette fratelli che, tutto sommato, si vogliono bene e condividono i valori fondamentali della vita che i nostri genitori ci hanno trasmesso.

Più volte ho confessato la mia stima e la mia profonda ammirazione per questo mio fratello parroco. Don Roberto è intelligente, generoso, seriamente impegnato a condurre la sua parrocchia e credo che stia ottenendo degli splendidi risultati, soprattutto a livello dei ragazzi e della gioventù. Tanto che credo che egli abbia una comunità cristiana così bella come poche parrocchie, o forse nessuna, in questo momento così difficile nella vita pastorale del nostro patriarcato e della Chiesa che in genere possiede!

Don Roberto è un idolo a livello parrocchiale, ma per scelta e per indole, dialoga poco, forse troppo poco, con la città e la Chiesa veneziana, mentre io sono convinto che oggi anche nell’ambito della Chiesa, dobbiamo assumere una mentalità ed uno stile globale che parli ad ogni ceto e ad ogni componente della vita cristiana.

Chiacchierando con don Roberto, gli accennai al testamento, che in altro momento cruciale gli ho affidato, dicendogli che i tempi passano veloci, le situazioni mutano e perciò si senta totalmente libero di disporre come crede delle mie pochissime cose.

Mi ricordai che nelle mie ultime volontà non ho neppure accennato a quello che tanti chiamano ancora il “testamento spirituale”. La mia vita rappresenta in maniera fedele ciò in cui credo e che ritengo importante, se ho qualcosa da dire al mondo in cui sono vissuto, lascio a ciò che ho fatto, che ho sognato, e a ciò per cui mi sono battuto di dirlo. Se dovessi però scendere al concreto, confesso che avrei veramente delle difficoltà ad indicare il nome di un prete a cui riterrei opportuno lasciare in eredità il mio amore per i poveri, per gli ultimi, per quelli che non contano, per gli anziani. Tutto questo però non mi amareggia più di tanto perché al buon Dio non manca la capacità e la volontà di trovare gli uomini giusti per le cause giuste.

Ho dispensato quindi don Roberto dal preoccuparsi del “Don Vecchi” e del polo della solidarietà che vive in simbiosi con esso.

Ho raccontato i semi del mio sogno per gli anziani quasi-autosufficienti

Un giornalista, a motivo della sua struttura mentale e soprattutto della sua professione, è sempre più informato su ciò che sta maturando nella vita odierna. Confidavo, nell’incontro avuto con il dott. Dianese, a cui sono legato da stima ed amicizia, che una volta nominata la nuova giunta comunale, avrei tentato di organizzare un incontro coll’assessore alla sicurezza sociale e i massimi funzionari del Comune che si interessano alle problematiche sociali, ossia il dottor Gislon e la dottoressa Francesca Corsi. Vorremmo spiegare che i due progetti avrebbero solo dei fondamenti di carattere sociale ma soprattutto rappresenterebbero un “affare” per il Comune, facendogli essi risparmiare una barca di soldi. Al “Don Vecchi” abbiamo certamente più di una ventina di anziani ancora consapevoli e capaci di autogestire la propria vita, ma con forti disabilità fisiche, anziani che dovrebbero essere trasferiti in casa di riposo per non autosufficienti, dato che nella nostra società non ci sono strutture che rispondono alle esigenze dello stadio intermedio tra l’autosufficienza e la non autosufficienza, mentre questo spazio esiste nella realtà.

La soluzione che noi proponiamo oltre agli immensi vantaggi per la qualità di vita di questi anziani, farebbe risparmiare all’amministrazione comunale circa quarantamila euro al mese e alla Regione almeno ventimila, ossia 720.000 euro all’anno. Ciò significa che in tre, quattro anni il Comune e la Regione coprirebbero i costi di una struttura che poi continuerebbe l’assistenza a venti anziani con autosufficienza precaria a costo zero.

Mi auguro che queste motivazioni di ordine economico possano convincere gli amministratori che stanno entrando in carica.

Il dottor Danese mi ha confidato che Orsoni vorrebbe assegnare al dottor Bettin l’assessorato alla sicurezza sociale e al dottor Micelli l’urbanistica. Se le cose andranno così penso che avremo già ottime premesse perché i nostri sogni possano realizzarsi.

L’intervista al Gazzettino

Una mattina prima mi ha telefonato e poi mi ha fatto visita al “don Vecchi” il dott. Maurizio Dianese, una delle penne più appuntite e più graffianti de “Il Gazzettino”.

Gli interventi di Dianese sul quotidiano cittadino non passano mai inosservati perché non rappresentano mai una cronaca distaccata, asettica, che informa la cittadinanza su qualche avvenimento, ma quasi sempre suonano a denuncia, propongono problematiche presenti e vive, o mettono il dito su qualche piaga.

Il giornalista mi telefonò spiegandomi che gli erano giunte all’orecchio due cose che lo interessavano e che riteneva interessanti per l’opinione pubblica. Quasi certamente aveva letto su “L’incontro” i due progetti che attualmente mi stanno appassionando, nonostante l’età e le vicissitudini della mia salute.

Fui ben felice di incontrarlo, da un lato perché avverto che c’è in ambedue una certa assonanza di idee e una certa repulsione per una vita paciosa e senza sbocchi ideali, e dall’altro lato perché sono ancora più convinto che se non si matura l’opinione pubblica a certi valori, ben difficilmente si riescono a portare avanti certe iniziative, specialmente da parte di persone che non hanno soldi come me.

Gli ho parlato del progetto di una struttura per rispondere ai problemi degli anziani che sono in una fase di perdita di autosufficienza e che, pur idonei a rimanere ancora in una struttura di persone libere ed autonome, hanno bisogno di una struttura che essa sia ancor maggiormente protetta, per rimanere ancora padroni di casa ed autonomi nelle loro decisioni.

Gli ho parlato infine della “Nomadelfia” mestrina, ossia di una cattedrale della solidarietà in cui i cittadini in disagio economico possano trovare una risposta dignitosa ed esaustiva alle loro difficoltà.

M’è parso entusiasta sia dell’una che dell’altra cosa. Molto probabilmente almeno centocinquantamila lettori de “Il Gazzettino” sapranno che tra loro c’è chi sta sognando e lavorando per due soluzioni che faranno fare a Mestre e Venezia un passo avanti nel campo della solidarietà.

Gran parte dei confratelli forse penserà che sono un illuso o un prete con mania di protagonismo, spero però che gli uomini di buona volontà inizino a condividere questi due nuovi obiettivi.

Un nuovo sogno: la cittadella della solidarietà!

Sognare non costa niente ed io che di soldi ne ho sempre troppo pochi per fare ciò che riterrei necessario per il prossimo al quale ho scelto di dedicarmi, mi consolo sognando.

Poi capita che finisco di innamorarmi pazzamente dei miei sogni, ne rimango così contagiato dall’opportunità di concretizzarli tanto da finire a confidarli prima ai vicini e poi anche ai lontani.

Forse mi ha indirizzato in questo processo, una confidenza ricevuta personalmente dallo stesso Papa Giovanni, quando era nostro Patriarca a Venezia.

Diceva l’allora Patriarca: “Quando hai un progetto che ti sta particolarmente a cuore, parlane a destra e a manca, perché così è più facile che tu incontri qualcuno che ti possa dare una mano!”
Spero che questo sant’uomo abbia ragione.

Ogni giorno vengono al don Vecchi centinaia di persone italiane e straniere che cercano indumenti, mobili, arredo per la casa, generi alimentari ed altro ancora. Io sono orgoglioso e felice della carità che “profuma” il don Vecchi, ma sono anche preoccupo perché tutto è tanto inadeguato. E’ nato quasi per caso, sulla falsariga del progetto di don Zeno “Nomadelfia la città dei fratelli” il sogno di costruire sul grande campo in abbandono “la cittadella della solidarietà” un ristorante al prezzo fisso di 3 euro al pranzo, un ostello a 5 euro la notte, un grande outlet per indumenti, un’Ikea per i mobili, un banco alimentare, un gran bazar ed altro ancora.

Sognare queste cose alla vigilia dell’ottantunesimo compleanno e con un nemico in corpo può essere etichettarsi, come “illusione, dolce chimera!” o utopia!

Vi prego lasciatemi sognare, mi fa bene anche alla salute!

Politici al Don Vecchi

Il mio diario è sì un diario di incontro, di sensazioni e di riflessioni che nascono nel mio animo in un giorno ben determinato, con l’impatto con fatti e situazioni, ma questo giorno è solamente un giorno anonimo non contrassegnato da una data precisa. Motivo per cui a chi capitasse di leggerne il contenuto, ben difficilmente può far riferimento ad un giorno in particolare. Può darsi quindi che qualcuno possa scoprire che il riferimento ai fatti non coincida al momento in cui il periodico esce fresco di stampa, può quindi verificarsi che quando vedrà la luce questa pagina, ciò di cui parla sia totalmente superato.

In queste ultime settimane, il don Vecchi è stato visitato da tantissimi aspiranti ad amministrare la municipalità, il Comune o la Regione, forse spinti anche dalla mia pubblica dichiarazione che la nostra struttura rimaneva aperta ed accogliente a qualsiasi cittadino che intendeva candidarsi alla guida di suddette realtà.

A tutti io ho tentato di fornire informazioni adeguate dei bisogni e delle attese della categoria di cittadini che abitano al Centro: anziani autosufficienti o quasi, di condizioni economiche ultramodeste.

E’ mia viva speranza che chi ha preso coscienza diretta della situazione se ne ricordi quando sarà al governo della città. In questa occasione ho avuto anche modo di confrontare le campagne elettorali alle quali ho partecipato nella mia giovinezza a quella attuale.

Un tempo c’erano grandi tensioni sociali, proposte, ideali , orientamenti, scelte di fondo, grandi utopie!

Ora invece qualche progetto concreto, qualche soluzione di problemi esistenti, ma nulla più.

Mi è parso di avvertire un grande grigiore in cui tutti i colori, le proposte e i progetti si stemperavano tanto da non riuscire più a comprendere la matrice.