L’annuncio del Signore al don Vecchi

Ho terminato da pochi giorni la visita alle famiglie della mia “parrocchietta” del “don Vecchi” o, per adoperare il linguaggio della tradizione,”ho finito di benedire le case” della mia comunità cristiana. La mia parrocchia è piccola – 192 famiglie con 230 anime. Il “don Vecchi” però non è la più piccola comunità cristiana della diocesi di Venezia. Infatti Ca’ Corniani ha 147 anime, Marango 52, Brussa 88, Altino 116, per giungere a Torcello che non supera i 16 (sedici) parrocchiani, divisi in due chiese!

Nella mia visita ho tentato di aprire la porta ed introdurre Gesù nella speranza che la parola e la presenza di Cristo operi lo stesso effetto di quando entrò nella casa di Zaccheo. In quell’occasione la luce del Figlio di Dio fece esplodere tutte le contraddizioni e le incongruenze, tanto che “il banchiere” disse: «Darò quattro volte quanto ho frodato e offrirò metà dei miei beni ai poveri!»

Finora non è avvenuto questo “miracolo”, infatti il “don Vecchi” è un campione esatto della nostra società e, a livello religioso, si parte da qualcuno che non desidera la visita del prete, di qualche altro che si fa trovare regolarmente assente, a chi ti accoglie con cortesia, a chi invece ti abbraccia come il padre atteso e l’inviato del Signore.

Io ho già detto che immaginavo che il “don Vecchi” fosse quasi un convento di frati e suore, perché a nessuno abbiamo nascosto il nostro sogno e il nostro tentativo di dar vita ad una comunità di fratelli e di cristiani. Al momento dell’accettazione sembrava che tutti abbracciassero questo sogno, in realtà dopo poche settimane ognuno riprende le vecchie abitudini e lo stile di vita proprio delle nostre parrocchie che annoverano dal bigotto, al praticante, all’apostolo, ma scendono poi all’ateo, all’indifferente, al praticante in certe occasioni, al presente a Pasqua e Natale, al cristiano nominale, per arrivare perfino a chi ha cercato di sbattezzarsi.

Io poi in questa realtà mi ritrovo nell’ambigua situazione del Papa-re nello Stato Pontificio: presidente del consiglio di amministrazione e nello stesso tempo sacerdote che, come invita san Paolo, dovrebbe “parlare, insistere a tempo e fuori tempo con ogni argomentazione ed ogni sforzo, per far accettare la Parola del Signore”.

Mi auguro che allo scadere di questo consiglio di amministrazione ci sia un presidente laico a dirigere ed un prete ad annunciare il Regno, due compiti ben distinti, in modo che ognuno possa sviluppare al meglio la sua funzione.

Lo sguardo al futuro e la gratitudine per chi ha lavorato con noi fin qui

Qualche giorno fa, dopo la messa prefestiva alla quale partecipano molti residenti del Centro “don Vecchi”, la direzione ha organizzato un rinfresco in occasione del pensionamento del responsabile della sorveglianza, il signor Paolo Silvestro. I residenti si sono ritrovati nella hall, illuminata a festa, per ringraziare e porgere un piccolo dono per il decennio di servizio prestato dal signor Paolo, il cui lavoro è iniziato con l’apertura del “don Vecchi 2”. Il direttore, ragionier Rolando Candiani e il presidente della Fondazione, don Armando, hanno rivolto parole di circostanza e di ringraziamento a questo funzionario collaboratore dei responsabili dei Centri “don Vecchi”, i quali hanno elaborato e perfezionato poi sul campo la “dottrina” per questa struttura residenziale, che costituisce un progetto pilota nei riguardi di una fetta sempre più vasta di cittadini, compresi tra il pensionamento e la vecchiaia.

Al progetto, studiato a tavolino, si stanno apportando modifiche, in rapporto ad una sperimentazione in atto, che suggerisce soluzioni sempre più adeguate.

Allo stato delle cose si sta attualmente puntando, da un lato, ad una sempre più completa autogestione da parte dei residenti, eliminando il personale di servizio. Questo orientamento si sta mostrando vincente a Marghera ed è, oltre che motivo di un sempre più completo coinvolgimento dei residenti, motivo di risparmio, in quanto gli aspetti amministrativi e gestionali vengono sempre più demandati ai residenti e al volontariato.

Dall’altro lato si sta puntando a disporre di un piccolo nucleo di collaboratrici familiari, valide e residenti al “don Vecchi”, che accudiscano, sotto ogni aspetto, le persone in perdita di autosufficienza e che non dispongono di risorse economiche per pagarsi questi servizi.

La Provvidenza ci ha “messo a disposizione” la signora Rosanna Cervellin, estremamente esperta del settore, che attuerà e gestirà questo servizio.

Ci auguriamo che queste sperimentazioni possano offrire al Comune e alla Regione un modello adeguato per regolamentare questo settore di assistenza sociale.

La Befana è andata anche da un vecchio prete in pensione!

Quest’anno ho fatto più che mai fatica per cogliere, come nei tempi lontani, la poesia e l’incanto del Natale. Per scelta, da tanti anni rifiuto il Natale-magico che, come per incanto, dovrebbe creare nel mondo una situazione idilliaca: ciò perché esso è evasione dalla realtà e mistificazione del “mistero” evangelico e perciò ad esso preferisco l’annuncio che Dio continua a colloquiare con le sue creature, ci è vicino e non disdegna di camminare con noi. Con ciò non rinuncio, anzi desidero vivere ancora l’incanto del presepio, dell’albero di Natale, della Befana e delle pastorali delle zampogne.

Forse la mia è fatica sprecata, perché certe sensazioni sono legate all’infanzia, al candore dell’anima, realtà per me lontane e difficilmente recuperabili. Però, anche senza troppa speranza, ci ho tentato. Anche quest’anno mi sono soffermato con curiosità e nostalgia a guardare le carrellate dei telegiornali, per vedere i magazzini ove le befane del terzo millennio si sono rifornite per riempire le calze dei nostri bambini, meravigliandomi e quasi protestando perché la befana della mia infanzia aveva poca fantasia e soprattutto era tanto parsimoniosa!

Anche quest’anno ho attaccato, fuori della porta – perché il mio piccolo alloggio del “don Vecchi” non ha camino, la calza, per poter vedere quanti dolci e quanto carbone le “befane del don Vecchi” m’avrebbero portato. Ebbene, la befana s’è fatta viva, nonostante la mia veneranda età: mi ha messo una busta bianca sotto la porta con cento euro, firmandosi “La befana”. Mentre aprivo questa piccola busta bianca, recuperando per un momento l’incanto e la sorpresa di tempi ormai tanto lontani, ho compreso che essa era stata con me più cara e più generosa di sempre, perché durante il duemilaedieci m’ha messo nella calza più di mezzo milione di euro!

Dopo questa esperienza mi sono detto che la mia fede nella befana non verrà mai meno, anche se vivessi mille anni.

“Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!”

San Pietro, in occasione della pesca miracolosa, dopo l’abbondante pescagione, si buttò ai piedi di Cristo e disse: «Allontanati da me perché sono un peccatore!»

Credo che tutti sappiano come sono andate le cose. Pietro e la sua cooperativa avevano pescato a lungo nel lago, ma senza alcun risultato, per cui lui e i suoi compagni erano stanchi e delusi. Sennonché Gesù disse a Pietro, capobarca: «Butta le reti in mare per la pesca». Pietro era pescatore di professione ed anche i suoi amici erano esperti in questo mestiere, mentre era certamente loro noto che Gesù per trent’anni aveva fatto il falegname, motivo per cui non poteva intendersi di pesca.

Pietro allora fece osservare: «Abbiamo tentato tutta la notte di buttare le reti, ma inutilmente». Poi, forse per soggezione o per affetto e per dimostrare al Maestro l’inutilità di quella ulteriore fatica, controvoglia e di malumore, aggiunse: «Ma sì, sulla tua parola, per accontentarti, butterò la rete». Non è però improbabile che in cuor suo abbia anche mandato Cristo a quel paese! Di certo non fu entusiasta e poco rassegnato ad una ulteriore delusione. Ma quando tirarono su le reti, Pietro fu sorpreso e provò un senso di colpa per aver dubitato; da questo, di certo, è nata la sua confessione.

A me sta capitando la stessa cosa. Ho chiesto accoratamente aiuto per il “don Vecchi” di Campalto al Comune, alla Regione, alla Provincia, alla Fondazione Carive, alle banche Antonveneta, Cassa di Risparmio, Banco di San Marco, Banca popolare, alla Associazione Industriali. Risposta: niente!

Allora ho tentato con la sottoscrizione dei “Bond del Paradiso”, come un giovane amico giornalista ha definito la sottoscrizione di azioni della Fondazione di cinquanta euro l’una. Infine mi sono “messo sulle spalle la bisaccia da frate da cerca” e ho suonato a 400 campanelli della città. La risposta a questa iniziativa è stata tra il modesto e il discreto, però non ha mai raggiunto l’adeguatezza ai bisogni.

Stavo per sconfortarmi, sentendomi abbandonato dagli uomini e da Dio, quando improvvisamente ed inaspettatamente s’è fatto vivo il buon Dio, battendomi una mano sulla spalla e dicendomi: «Prete di poca fede!», facendomi balenare una prospettiva, di cui non oso ancora parlare, ma che potrebbe tirarmi fuori dalle angustie. Sulla proposta del Signore, anche se stanco e deluso, ho ributtato le reti in mare, confessando in anticipo: «Allontanati da me, o Signore, perché sono un uomo di poca fede!»

Ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

Per temperamento sono poco o nulla indulgente verso chi non è di parola, rimanda o tira le cose per le lunghe. Non credo di sbagliarmi, ma pur essendo cosciente che aver a che fare (come è costretto l’architetto che ha progettato e cura la costruzione di Campalto) con la burocrazia comunale, non sia proprio una cosa facile e sbrigativa.

Un giorno questo architetto, che io incalzavo più di sempre, avvertendo la mia impazienza per nulla disposta a subire lungaggini e ritardi, a sua discolpa e per giustificare la sua mancanza del rispetto dei tempi stabiliti, mi disse: «Sa, don Armando, lei ha tanta gente che le vuole bene, ma anche della gente che non è troppo propensa ad assecondare i suoi progetti!»

Sono ben convinto che le cose stiano così, non per questo cesserò di pretendere che ognuno faccia il suo mestiere e lo faccia bene, anche se ha la possibilità di insabbiare l’iter burocratico di certi percorsi ad ostacoli ai quali i poveri cittadini sono costretti dalla burocrazia comunale.

Io non ho mai preteso o ambìto di avere il consenso di tutti, perché questo esigerebbe compromessi con la mia coscienza, avallerebbe la pigrizia di certuni, ma soprattutto perché sono convinto che i poveri debbano avere percorsi agevolati e privilegiati.

Io, alla mia età, non domando più nulla per me, ma credo di dovermi fare portavoce dei più indifesi.

Da qualche anno, vedendo la condizione miserrima in cui vivono gli extracomunitari a Mestre, avevo sognato un ostello ove fossero ospitati civilmente. Non appena la stampa diede notizia del progetto, c’è stato qualcuno che abita vicino al luogo ove doveva nascere la struttura, che s’è opposto con decisione e caparbietà. Inizialmente tentai di rassicurare che avrei vigilato perché non avesse fastidi di sorta, ma più tentavo di far presente che anche questa povera gente che viene dalla miseria ha diritto a ricevere una mano da gente civile e cristiana, più costui dimostrava rifiuto ed opposizione, tanto che ad un certo momento la diga della mia pazienza non resse più e sbottai: «A casa mia e con i soldi miei faccio quello che ritengo giusto!»

Poi, per una serie di considerazioni, ripiegai sulla scelta di una struttura per anziani poveri, ritenendomi non preparato per l’altro progetto. Però il mio contestatore se la legò ad un dito e ha tentato con ogni mezzo di ostacolare il progetto del “don Vecchi 4”.

Scrivo questo senza malanimo o rancore di sorta, ma ripeto ai miei concittadini e soprattutto ai fratelli di fede: «La carità ha sempre un prezzo, ed è un prezzo che è doveroso paghino anche i preti, ma non è giusto pretendere che lo paghino solamente loro, e che la loro carità non scalfisca neppure le fisime di chi è solamente preoccupato del proprio tornaconto. E perché tutti sappiano come la penso, mi sento di dover affermare pubblicamente che ostacolare in qualche modo un’opera di carità è sacrilegio!

La benedizione annuale delle case, da sempre per me un momento di gioia!

A tutt’oggi non ho ancora perduto il vecchio “vizio” di andare a “benedire le case”.

Il mio carissimo amico, già direttore della Banca Cattolica del Veneto e membro della Conferenza della San Vincenzo, a cui partecipavo ogni settimana, era solito dire in maniera scherzosa e quasi come un vezzo: «Io, don Armando, sono così affezionato a certi peccatucci che proprio non ho alcuna intenzione di abbandonarli!» In realtà alludeva a qualche convinzione o pratica personale, non universalmente condivisa, a cui egli credeva e che, pur controcorrente, egli intendeva mantenere.

Così anch’io, pur essendo rimasto fino alla pensione uno dei pochissimi parroci della città a visitare ogni anno tutte le duemilaquattrocento famiglie della parrocchia per la “benedizione annuale”, ho continuato a farlo ogni anno e per tutti i 35 anni che ho fatto il parroco.

Ora che sono “parroco” per modo di dire della borgatella delle 194 famigliole del “don Vecchi” 1° e 2°, continuo a “benedire le case” dei miei nuovi parrocchiani, ricevendo le confidenze ed ascoltando i problemi della mia gente. Ogni giorno “benedico” una decina di “case” e mi si allarga ogni giorno il cuore sentire quanto i miei parrocchiani si sentano contenti di vivere in un ambiente protetto, al caldo, senza preoccupazioni di ricevere uno sfratto e con la serenità di poter arrivare alla fine del mese senza debiti e pensieri.

Quest’anno poi, alla consolazione di sempre, mi si aggiunge il fatto che tutti, proprio tutti indistintamente, mi stanno porgendo la loro offerta, pur non richiesta, magari di soltanto cinque euro, per il “don Vecchi” di Campalto.

Questa calda ed affettuosa solidarietà mi lenisce la ferita del constatare che tanta gente piena di denaro, e tanti amministratori pubblici, così amanti dei poveri durante la campagna elettorale, continuano a lasciar cadere nel vuoto le mie accorate richieste d’aiuto.

Una rassicurazione per gli amici!

Avverto gli amici e i lettori, che mi stanno passando i momenti della “grande paura” di non farcela!
Sento che la Città è con me; non passa infatti giorno ed occasione che chi incontro non mi porga il suo aiuto!
Ormai sono convinto, che assieme alla povera gente, per il prossimo anno 1° settembre inaugureremo il don Vecchi 4° di Campalto.
A tutti grazie di cuore!

Silenzi, ritardi e rifiuti!

Purtroppo sono ben cosciente di non tener conto di un saggio consiglio che Papa Roncalli ha ripetuto più volte quando era Patriarca a Venezia: «Quando sei turbato da una notizia, dormici sopra almeno una notte prima di reagire». Non ci riesco proprio. Sarà per un’altra volta che metterò in pratica il consiglio del Papa buono!

Ho appena aperto la lettera della Regione nella quale, dopo tre mesi dalla mia richiesta di un contributo economico per finanziare il “don Vecchi” di Campalto, mi si risponde che “La Regione finanzia le strutture per anziani non autosufficienti, mentre gli alloggi protetti, quali sono quelli del “don Vecchi” – in quanto del settore sociale – sono a carico del Comune. Distinti saluti”.

Nella stessa data, cioè in agosto, avevo inviato una richiesta simile al Comune, ma a tutt’oggi non mi è arrivata alcuna risposta.

Questo ritardo, da parte del Comune, lo posso anche ben comprendere, perché avendo esso solamente quattromilaseicento dipendenti, fa fatica ad essere tempestivo nelle risposte. Probabilmente la Regione ha qualche migliaio di dipendenti in più e perciò riesce in soli tre mesi a dare una risposta!

Alla Regione voglio dire: «Perché allora non accogliete gli anziani non autosufficienti attualmente residenti al “don Vecchi” che da anni vi supplico di accogliere e che sono a posto con tutte le schede SWAM che voi richiedete? D’altronde penso che voi vi sentiate con la coscienza tranquilla sapendo che il Comune ci passa euro 1,25 per anziano. Voi pensate di fare un affare risparmiando, mentre voi e il Comune dovreste spendere cento euro per ogni anziano che dovesse venire nelle strutture per non autosufficienti che voi finanziate!»

Il Comune poi, penso che non abbia scrupoli del genere, perché per averli bisogna avere una coscienza, ma temo proprio che esso non l’abbia affatto, vedendo come si comporta!

In “guerra” a ottantanni per gli anziani

Sono sempre più convinto che la rivoluzione che può salvare l’uomo dall’egoismo, da una vita fatua inconsistente e disordinata, sia quella della solidarietà. Sia a livello civile che religioso l’unico rimedio per uscire dal degrado morale in cui stiamo affondando, è per me la solidarietà.

In questa “guerra” io svolgo il ruolo di un povero fante, senza gradi e senza potere, però sento il dovere di fare la mia parte fino alla fine. Non so quanto la testimonianza di un vecchio prete, senza gradi e senza grandi risorse umane e spirituali, possa incidere sull’esito di questa “rivoluzione”, ma mi è ben chiaro che l’esser fedele alla mia coscienza e ai miei convincimenti è l’unica cosa che posso fare e che possa salvarmi dalla desolazione.

Il mio posto di combattimento è collocato sul versante della terza età; portare avanti l’idea che dobbiamo dar voce e soluzioni adeguate alle istanze di questi nuovi poveri.

La Provvidenza mi ha assegnato il presidio di un piccolo avamposto che voglio difendere ad ogni costo: dimostrare che è possibile permettere agli anziani, seppur poveri e fragili, vivere una vita dignitosa e serena, indipendente dalla elemosina dei figli o degli enti pubblici, nonostante le pensioni miserevoli delle quali moltissimi fruiscono.

Purtroppo la crisi economica in atto, le avversità atmosferiche, i tagli di bilancio e gli sperperi degli enti pubblici, mi rendono particolarmente difficile tenere la posizione. Nonostante ciò ho deciso di giocarmi tutto; non mi importa cosa possano pensare confratelli o concittadini, pur facendo fatica ed arrossendo, sto costringendomi a tender la mano e a mendicare i mezzi economici per realizzare l’impresa della costruzione di ulteriori 64 alloggi a Campalto. Non so ancora con quale risultato, mi pare e mi auguro che sia positivo, comunque spero che possa testimoniare che la solidarietà non può ridursi ad un sogno fumoso, ma è un qualcosa che va perseguìto anche se costa e ti toglie la possibilità di vivere una vecchiaia in pantofole, leggendo “Il Gazzettino”.

Generosità e…

Le vicende della vita sono sempre per me varie e sorprendenti, ma credo che lo siano un po’ per tutti.

Qualche settimana fa, dopo avermi lungamente cercato, su e giù per i meandri del “don Vecchi”, mi ha finalmente scoperto nella hall un parroco di mezza età della nostra città.

La parrocchia di questo “collega” non è mai stata nota per navigare nell’oro, anzi; pure questo prete non è riconosciuto come molto abbiente. Io lo conosco da molti anni, il nostro rapporto è sempre stato corretto, ma mai particolarmente intimo, un po’ perché lui è riservato ed io ancora di più, e un po’ perché solamente per un po’ di tempo abbiamo “lavorato” assieme in una delle tante commissioni, pressoché inutili della diocesi; ma nulla più!

Comunque là nella hall, su due piedi, presso il “tavolo della cortesia”, mi consegnò un assegno di cinquemila euro. Rimasi di stucco, non mi capita di frequente che uno, senza averlo pregato, mi consegni dieci milioni delle vecchie lire e non m’è quasi mai capitato che l’abbia fatto un parroco!

Il contributo del confratello m’ha fatto più felice di quanto lo sarei stato se avessi vinto i centosettanta milioni dell’Enalotto!

Versai subito l’assegno al Banco San Marco per paura di perderlo, sennonché tre o quattro settimane dopo, la direttrice del Banco mi avvertì che la filiale di viale San Marco della Cassa di Risparmio aveva fatto una segnalazione alla Banca d’Italia, per motivi di antimafia, perché l’assegno superava di un centesimo quelli permessi senza la scrittura “non trasferibile”!

Persi la pazienza e la grazia di Dio, constatando che in questo povero mondo non ci sono solamente parroci generosi, ma anche bancari cretini.

I giorni della cerca

Non so proprio come i frati di una volta si comportassero quando ritornavano dalla cerca; suppongo che si presentassero dal padre abate deponendo, talvolta con gioia, il frutto del loro mendicare, quando esso era stato abbondante e con un po’ di delusione e tristezza, quando invece il loro bussare alla porte dei loro concittadini fosse stato con risultati deludenti.

Io sono in grado solamente di riferire al mio “Padre Celeste” che sta in alto, le mie prime esperienze. Dopo pochissimi giorni, dall’inizio del mio “questuare” per raccogliere il denaro per pagare il “don Vecchi” di Campalto, mi è venuta a trovare, nella mia “chiesa – baita tra i cipressi”, una vecchierella un po’ in malarnese con le lacrime agli occhi: «Don Armando, mi spiace tanto, ma non posso darle niente, non ce la faccio veramente con la mia pensione».

La sua era certamente una campanella da non suonare, comunque, avendo bussato alla sua porta per stendere la mano per i vecchi della città, la rassicurai: «Sono invece io in grado di aiutarla, fornendo viveri, vestiti o qualcos’altro se le serve per la sua casa!» E lei prontamente: «Ma, don Armando, mi dà già da mangiare; vengo infatti al banco degli alimentari del “don Vecchi”!» «Bene, continui, vedrà che non verrà mai meno la Provvidenza, né per lei, né per me!»
Se ne andò rasserenata.

Spero che il “Padre abate” sia rimasto comunque contento del mio primo giorno di cerca! Ma spero pure che dietro i campanelli delle venti famiglie che ho “visitato” ogni giorno, ci sia anche chi non ha bisogno, ma che invece possa dare “un pane per amor di Dio”.

Mendicante a ottant’anni

La mia è stata una decisione sofferta ma necessaria. Dopo essermi lambiccato il cervello, vedendo che le istituzioni pubbliche e le banche, quasi tutte, non si sono neppure degnate di rispondere alla mia richiesta di contributi per il “don Vecchi” di Campalto e vedendo che le sottoscrizioni delle azioni della Fondazione Carpinetum andavano a rilento e risultavano insufficienti a completare ciò che mi mancava per coprire le spese per la costruzione del “don Vecchi” di Campalto, come Cesare ho “gettato il dado” e mi sono deciso per la soluzione estrema: mendicare!

L’idea mia è venuta qualche mese fa quando, essendo andato con i miei anziani in pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Olmo, ho appreso da un confratello laico che i Cappuccini mantenevano la mensa dei poveri andando alla cerca, come i vecchi frati di un tempo. In verità avevano adottato qualche aggiornamento, sostituendo la vecchia e tradizionale bisaccia con l'”Ape”, il motocarro leggero della Fiat a suonare la campanella delle case, con l’uso di un “portafoglio clienti” costruito pian piano nel tempo. Per queste varianti operate dal convento dei “frati mendicanti” mi sono sentito autorizzato anch’io ad apportare qualche variazione alla cerca tradizionale.

Ho scritto una lettera, scegliendo di giocarmi in prima persona, mettendo nel foglio una mia foto, chiedendo l’elemosina mediante il conto corrente accluso alla lettera e prendendo gli indirizzi dei mestrini dall’elenco telefonico.

Ho cominciato il primo giorno con i primi 20 nomi della lettera A, il secondo della B e così via. Perché fosse un vero sacrificio anche per me, ho scelto di fare questa operazione dopo cena, nel tempo che di solito dedicavo alla televisione.

Questa cerca mi ha riportato al tempo in cui, da parroco, ho suonato alla porta per 35 anni ad ognuna delle duemila quattrocento famiglie della parrocchia. Là era più difficile ancora perché, non solo non sapevo chi trovavo, ma vedevo dall’accoglienza anche i sentimenti di chi mi accoglieva: talora cortesia fredda, talora atteggiamento di sopportazione, talvolta perfino la sensazione che mi considerassero lo stregone del villaggio!

Scrivendo ogni sera i 20 indirizzi, spesso il rossore mi sale dal cuore al volto, preoccupato della reazione di chi aprirà la mia lettera.

Spero solo che il Signore mi addebiti a credito anche questo mio sacrificio fatto per chi ha bisogno. Altro che “mania della pietra” o vanagloria!

Confido nella provvidenza… per l’assistenza notturna agli anziani

Con il progetto degli alloggi protetti facciamo passetti da formica e andiamo avanti come le lumache nel dialogo con il Comune per mettere a fuoco un progetto pilota che permetta agli anziani in perdita di autonomia di rimanere più a lungo possibile nel nostro “Centro” e così vivere una vita dignitosa e possibile anche per chi ha pensioni minime.

Abbiamo ribadito più volte che il Comune attualmente spende un euro e venti centesimi per ognuno dei trecento e più anziani che vivono nei duecentocinquanta alloggi che il “don Vecchi” mette a disposizione. Un po’ pochino, no?

Abbiamo presentato un progetto di una struttura pensata per chi è in veloce perdita di autonomia, ma quella della struttura rappresenta solamente una componente per una soluzione, l’altra componente è rappresentata dal personale di servizio da mettere a disposizione per chi ha pensioni irrisorie e al “don Vecchi” la stragrande maggioranza non arriva ai settecento-ottocento euro mensili.

Chi ha soldi, e al “don Vecchi” è una minoranza assoluta, si prende la badante, ma il problema rimane scottante per chi non ha, e la Fondazione, per scelta, accoglie le richieste di alloggi dando l’assoluta preferenza ai meno abbienti.

Ora stiamo trattando per l’assistenza notturna, perché non è purtroppo raro che qualche anziano sia trovato solamente nella tarda mattinata per terra a causa di uno scivolone o di qualche malore. Il problema è grave perché per avere due persone per notte a vigilare su duecentocinquanta alloggi, serve l’assunzione di sei soggetti, date le ferie, i permessi, le festività e mille altre voci, favorevoli per chi lavora, ma costose in assoluto per chi deve tirar fuori i soldi.

Solamente per uno “straccio” di assistenza notturna serve un contributo di centocinquantamila euro! Con l’aria di crisi che tira, temo che ci vorrà mezzo miracolo, ma penso che non sarebbe sprecato perché aprirebbe la strada ad una soluzione veramente provvidenziale per gli anziani con scarsa autonomia.

Quella massima che devo ricordare!

Qualche settimana fa ho ricevuto la notizia che un nostro coinquilino ultranovantenne è morto in una struttura per anziani non autosufficienti al Lido di Venezia. L’annuncio di una morte è sempre una brutta notizia, ma quella del vecchio Toni è stata per me ancora più brutta.

I coniugi Fornasier sono vissuti al “don Vecchi” una decina d’anni fa. Non so a che titolo siano entrati, perché lui era stato un bravissimo capomastro e godeva di una pensione discreta, specie se confrontata a quelle magrissime dei residenti al “don Vecchi”. I primi anni trascorsero quanto mai sereni; credo senza vanto di sorta, che la soluzione di vita offerta al “don Vecchi” sia quella più auspicabile e confortevole per gli anziani: autonomia assoluta, supporto sociale ed organizzativo, struttura accogliente che tiene conto del bisogno di vivere in un clima quasi paesano, senza responsabilità dirette, in un ambiente strutturato con molti spazi comuni per facilitare le relazioni umane e supportare la fragilità dell’anziano.

Passati i primi anni, insorsero però gravi acciacchi per la moglie, tanto che dovette essere ricoverata in una struttura per non autosufficienti ove, dopo poco tempo, è morta. Toni rimase solo, e ben presto s’accorse che pure il litigare con la moglie aiuta a vivere! La mente del nostro ospite cominciò ad annebbiarsi e poi a smarrirsi, tanto che neanche l’ausilio della badante riusciva a fargli vivere una vita passabile.

Noi della direzione, prima suggerimmo il ricovero in una casa di riposo e poi ci parve di doverlo imporre, perché la situazione diveniva di giorno in giorno non più sostenibile. Con immensa fatica il figlio trovò il posto al Lido, località quanto mai scomoda per i famigliari. Pur avendo una forte fibra, dopo pochissime settimane il nostro amico ci lasciò per sempre. Se avessimo pazientato ancora un po’, sarebbe morto nel luogo dove visse stagioni serene della sua vecchiaia.

Questa partenza mi ha posto, ancora una volta, il problema del dovermi fidare di Dio e della sua Provvidenza.

Ricordo, ma devo averla sempre più presente, una massima di Gandhi: “La carità risolve ogni problema, ma quando a noi pare che non lo risolva, non è che l’amore diventi impotente, ma che il nostro amore non è autentico!”

La preghiera dei vecchi

Qualche tempo fa sono andato a far visita ad un mio vecchio parrocchiano che il Parkinson ha relegato in casa come un povero esiliato.

L’amico, solamente più vecchio di me di qualche anno, è sempre stato una persona attiva, prima nella politica come giovane democristiano della sinistra, poi impegnato con risultati veramente eccellenti a livello sociale e umanitario; scrittore caldo e dalla battuta ricca di humor, è vissuto da protagonista per molti anni a livello non solamente della comunità parrocchiale, ma soprattutto a livello cittadino. Poi la sorte cominciò ad essergli avversa, come tocca a quasi tutti noi anziani. Prima la morte di sua moglie, donna particolarmente ricca di umanità, intelligente, dolce, profondamente materna e dallo spirito gentile e garbato. Poi la malattia insidiosa e progressiva che gli ha rallentato il passo e reso più faticoso il linguaggio, pur lasciandogli lucida la mente per accorgersi del declino inesorabile che lentamente gli ha rubato brio, vivacità di parola, entusiasmo e speranza.

Desiderava vedermi, forse spinto dalla nostalgia di tempi migliori e di battaglie ideali combattute ambedue con coraggio per il bene della nostra città.

L’incontro però si risolse nel sommare tristemente le due vecchiaie minate da mali diversi, ma non migliori. I miei guai sono ancora in prospettiva, ma ogni giorno li vedo vieppiù nell’orizzonte sempre più vicini. Ci siamo scambiati reciprocamente una solidarietà nella nostra vecchiaia, ancora fortunatamente supportata dalla fede di un tempo, ma anch’essa meno bella e luminosa di quella dei tempi del vigore fisico e spirituale.

Iddio abbia pietà di noi, poveri vecchi e ci faccia l’ultimo dono: che non si spenga la speranza e la sicurezza di aver impiegato bene gli anni migliori.