Da “L’INCONTRO” – 25 febbraio 2018
settimanale della Fondazione Carpinetum
Il periodico è nato a carattere monografico, ma non sempre rispetta questa scelta; in questo numero è più fedele di sempre e l’argomento è “viaggiare”. A questo argomento si sono dedicati i seguenti giornalisti: Sperandio, don Bonini, don Gianni, Borghi, Rossi, Mazzer e Bagnoli. Tema ed argomentazioni sono gli stessi adoperati dalla stampa cittadina.
Interessante, a proposito di cultura popolare, l’articolo di Sandro Vigani che tratta dei “cibi di quaresima” che nel passato si usava scegliere.
La signora Cercato, che è solita parlare dei personaggi del nostro tempo, in questo numero parla di Gorbaciov il quale, pur non essendo un benefattore dell’umanità, collaborò alla fine della guerra fredda e questo non è poco.
Segnalo pure l’articolo del dottor Barizza che parla della “Mestre fedele” che ora tenta per la quarta volta il divorzio.
don Armando
Il punto di vista
Turismo religioso
di don Fausto Bonini
Le chiese costituiscono un patrimonio di cultura spesso non adeguatamente valorizzato Grazie alla tecnologia si possono percorrere vie nuove come la catechesi attraverso l’arte
Turismo religioso a Napoli e a Venezia
Scrivo da Napoli dove sono in visita a un carissimo amico. Naturalmente ho approfittato dell’occasione per visitare questa città straordinaria che, per molti versi, assomiglia a Venezia. A Napoli manca l’acqua dentro la città, ma ci sono chiese ogni due passi. Come a Venezia. Anzi molto di più di Venezia. E tutte molto belle e ricche di tesori d’arte. Come a Venezia. La grande differenza è che Napoli è vissuta dai suoi abitanti, mentre Venezia è “invasa” dai turisti. A Napoli incontri i napoletani, a Venezia non incontri i veneziani. Turisti dappertutto, che a Napoli fatichi a incontrare perché sono mescolati a una folla di napoletani. Vi voglio raccontare un’esperienza particolare che ho vissuto in questi giorni napoletani. Accanto al Duomo ci sono due grandi chiese con annessi i rispettivi monasteri. I fedeli sono pochi, i monaci e le monache non ci sono più, come a Venezia, e allora hanno trasformato le due chiese in un vasto museo diocesano. Fin qui tutto normale. Quello che mi ha colpito è la trasformazione di questi luoghi in un meraviglioso percorso artistico ben illustrato e illuminato. Dei segni ben visibili per terra ti accompagnano e a mano a mano che avanzi si accendono le luci che illustrano un percorso pittorico sulla storia della presenza cristiana in particolare nel napoletano. Una “catechesi” straordinaria. Poi il percorso continua nell’illustrazione degli aspetti architettonici e dei numerosissimi affreschi presenti sui muri degli edifici. Altra “catechesi” straordinaria per i turisti in visita.
Un modo nuovo di raccontare la nostra fede
Poi sono andato al Museo Archeologico di Napoli. C’è tutta la storia di Napoli raccontata con scritte illustrative e con numerosi reperti. Fin qui niente di straordinario. All’ingresso viene offerto al turista il collegamento a una rete Wi-Fi dedicata che permette l’accesso a un servizio di guida diversificato per adulti e per bambini. Praticamente sostituisce il vecchio servizio di audio guide. Ognuno ascolta le spiegazioni nel suo cellulare o nel suo tablet. Soluzioni abbastanza normali comunque, ma non ancora utilizzate nelle nostre chiese che ormai vedono la presenza di pochi fedeli e di molti turisti. In questo caso la formula “chiesa in uscita” la possiamo vivere in casa nostra e ritengo che noi cristiani, religiosi e laici, abbiamo a portata di mano un’ottima occasione di catechesi e una grande responsabilità di raccontare la nostra fede attraverso le opere d’arte che i turisti vengono a visitare. Almeno le chiese più visitate dovrebbero garantire questo servizio di catechesi attraverso l’arte. Ottimo il servizio di apertura di alcune chiese di Venezia gestito da Chorus, ma un passo avanti si potrebbe fare. Sarebbe quanto mai interessante e utile che Chorus si facesse portatore di questa facile e utile innovazione. In ambito diverso, mi dicono che alla Fenice, per esempio, esiste già questo sistema di visita. Mi auguro che qualche parroco o laico illuminato provi a percorrere questa strada. Si arricchirebbe il cosiddetto turismo religioso di una nuova dimensione, quella della catechesi indiretta attraverso le opere d’arte. Da non trascurare anche la possibilità di veicolare queste informazioni attraverso le numerose strutture ricettive religiose.
Tradizioni popolari
I cibi della Quaresima
di don Sandro Vigani
In Quaresima si mangiava rigorosamente di magro nei giorni di digiuno e astinenza: solo ai malati era permesso di mangiare carne. Durante il regno di Carlo Magno la trasgressione era punita con la pena di morte, e spesso la vendita di carne, il venerdì, era addirittura vietata. In tutta la cristianità il periodo di Quaresima ha ispirato la “cucina di magro”, che comprendeva verdure e pesci poveri. Carnevale è rappresentato da un uomo tarchiato dal grande ventre, siede a cavalcioni di una botte e si reca alla battaglia con uno spiedo sul quale troneggia una testa di maiale. Di fronte a lui la Quaresima, scarna, vestita di un povero saio. Non era difficile per la gente di campagna mortificare il corpo con cibi poveri, giacché il cibo non abbondava mai. Ma, rappresentazioni a parte, quali sono i cibi “di magro” della tradizione gastronomica italiana? Spiccano pane, polenta, zuppe o minestre di ortaggi, tortelli ripieni di erbe, pesce fresco o conservato. Vero “companatico” della povera gente era l’umilissima aringa: arida e secca, ma forte di sapore ed economica. È il mercore grot, il mercoledì triste, oggi l’occasione per un’imperdibile sagra dea renga, la sagra dell’aringa.
Nel Trevigiano l’aringa essiccata o sotto sale arrivava dal mare del nord via Venezia, diffondendosi poi nell’entroterra. Le famiglie più povere l’appendevano con uno spago a una trave della cucina accontentarsi di insaporirvi, a turno, una fetta di polenta strofinandola ripetutamente sul pesce. La “polenta e renga” veneta si prepara dissalando ie aringhe, mettendola sulla brace e quindi togliendo la testa e le lische. Si pongono i filetti su un piatto e si ricopre con olio, aglio e alloro: le aringhe, in questo modo, si possono conservare per diverse settimane, nonché utilizzare per condire la polenta. In alternativa le aringhe si possono anche bollire per un minuto e ripassare in padella, prima di essere messe sottolio. Non solo: la povera “renga” è ottima anche con i bigoli, talmente tanto che potrebbe apparire “peccaminosa”… Il pesce, in Quaresima, era generalmente di canale: allora l’acqua del canale era limpida, tanto che spesso veniva anche bevuta.
La pesca con la canna, la schiraetta (il retino da pesca), el bartorel (una particolare rete da pesca fatta ad imbuto e fissata sul fondo o sulle rive del canale), la fiocina o la bilancia aperta tra le due rive del Piave e dei grandi canali procurava alla famiglia pesce gatti, tinche, lucci, ziègol (cefali) ed altro pesce povero, che veniva cotto nei modi più differenti a seconda della taglia. E poi risi col latte, risotto con patate, brodo con gnocchi di semolino, minestroni con verdure di stagione, verze sofegae, cavoli lessi. Anche le patate lesse costituivano un piatto unico, purché condite con aglio, cipolla, prezzemolo, abbondante pepe e un po’ di olio e aceto. Con le patate si preparava il purè, aromatizzato con noce moscata.
Ma il modo più semplice per mangiare le patate era quello a scotadeo (lett. a scottadito): le patate venivano cotte sotto la brace della cucina economica, spellate, cosparse di sale e mangiate passandosele da una mano all’altra perché, appunto, scottavano. Cibo delizioso nel freddo delle giornate invernali. Le uova nelle case contadine non mancavano mai. La frittata con erbette di campo e cipolla era molto gradita. Ma anche te uova al funghetto: lessate, tagliate a metà e fatte cuocere in padella con conserva di pomodoro. E pure le uova strapazzate con un po’ di cipolla e prezzemolo, o qualche fetta di pancetta. Il baccalà che un tempo costava molto meno di oggi, veniva servito nei giorni di festa e in Veneto era cucinato in umido con salsa di pomodoro. Altro piatto povero, da servire fuori dai giorni di digiuno, soprattutto la domenica, era costituito dalle frattaglie del pollame tagliate a pezzetti e lessate e ripassate in padella con cipolla e un po’ di conserva di pomodoro. 1 durelli del pollame a volte costituivano un piatto unico, lessati e poi cotti in umido con conserva di pomodoro e altre verdure e così anche i figadini (fegato). Alcuni dolci accompagnano il tempo della Quaresima: si tratta di biscotti dall’aspetto generalmente austero, creati con ricette differenti nelle varie regioni d’Italia, che sembrano avere in comune l’ingrediente della mandorle.