Può capitare di dare una mano anche a chi non ne avrebbe bisogno. La carità va fatta con testa, ma il timore delle truffe non deve frenare la generosità e le opere di bene.
Mi è stato chiesto dalla redazione se potevo offrire un qualche giudizio personale e soprattutto qualche esperienza su quella categoria di persone che non amano il lavoro e che perciò tentano con ogni mezzo di vivere sulle spalle degli altri mediante mezzi truffaldini.
Nel nostro Paese sempre, ma specie in questo ultimo tempo, s’è dibattuto alquanto su tale argomento: vedi sul risultato del reddito di cittadinanza, dei certificati medici accomodanti ecc.. Io debbo confessare che le mie sono esperienze e considerazioni di piccolo cabotaggio, legate alla mia vita di prete e di responsabilità di comunità parrocchiale, quindi mi è più facile parlare dei raggiri, molto frequenti, con i quali ci si rivolge ad un sacerdote per ottenere denaro dicendosi in gravi difficoltà.
Da cittadino qualunque mi pare però che sia il reddito di cittadinanza, che pure la proposta del nostro Papa di “lavorare meno, ma lavorare tutti” siano delle splendide utopie. Utopie che, per raggiungere lo scopo, dovrebbero presuppore che in questo nostro povero mondo ci fossero soltanto uomini e donne senza peccato originale, ossia perfetti ed onesti; la realtà però non è cosi! Le utopie, poi, che scendono dai sogni, si impoveriscono e spesso producono anche danni, e questo avviene soprattutto perché sono i politici, che sempre hanno il problema di essere rieletti, a realizzare queste operazioni!
Detto questo sono pure convinto che il rifiuto del lavoro e l’espediente dell’imbroglio facciano parte della patologia umana, quali la cleptomania, l’autocommiserazione, l’abulia ed altro ancora, perciò chi chiede aiuto piuttosto che lavorare deve considerarsi ammalato e bisognoso di comprensione. Gesù a questo riguardo ci ha insegnato ad “essere semplici come le colombe e prudenti come i serpenti”, però mi pare che preferisca le colombe ai serpenti!
Tutto sommato ritengo che sempre dobbiamo ascoltare le richieste e quasi sempre se è possibile dare risposte positive. Ricordo una signora che in una circostanza in cui si doveva decidere di dare o non dare, dare di più o dare di meno ad un povero, perse la pazienza e dando un pugno sul tavolo disse “vi sfido ad affermare che nostro Signore, nel giudizio finale, condanni chi è stato più generoso e premi chi invece ha chiuso il cuore alle richieste di un povero, vero o no”! Non credo però che non sia da tener conto anche del monito di Cristo di essere prudenti come i serpenti e che perciò che non sia richiesto di non adoperare la testa quando si fa la carità.
Monsignor Vecchi, che dovette pure lui affrontare e risolvere questo problema, mi diceva: «Don Armando, se fai l’elemosina fai bene però sappi se tu crei una struttura per chi ha bisogno, essa darà una risposta più seria e soprattutto durerà per cent’anni». Da questo saggio insegnamento nacquero i Centri don Vecchi, e sono contento nonostante di raggiri ce ne siano capitati tanti. Sono pure contento di offrire ogni domenica una paghetta di un paio di euro ai poveri di professione. Qualcuno mi dice che se li vanno a bere, ma neanche questo mi convince di non offrire questo obolo. Una piccola sorella di Gesù, alla quale un giorno chiesi di darmi un parere su questo argomento, mi disse umile ma convinta che anche un piccolo segno di solidarietà fa veramente bene! Ascoltai anche lei e vi confesso che, nonostante altrettanti raggiri che ho subito, sono contento e convinto di continuare a farlo!