L’apparato della chiesa è veramente elefantiaco. Le rare volte che partecipo a qualche celebrazione liturgica, organizzata dai responsabili diocesani e mi ritrovo fra cento duecento colleghi nel presbitero e poi volgendo lo sguardo verso la navata scorgo suore di tutte le fogge e cristiani impegnati a centinaia e centinaia, mi chiedo come mai, a dirla come l’ex segretario del PCI, funziona così poco e non sfonda questa “magnifica macchina da guerra!”
La chiesa dispone ancora di tanti preti, frati, suore, strutture di ogni tipo, ricchezze economiche e di una tradizione splendida, di una cultura sopraffina, di verità e di ideali, ma nonostante tutto questo è lenta, amorfa, pesante, pare quasi che impieghi tutte le sue forze residue per sopravvivere.
Io non ho quasi mai negato la validità della chiesa come istituzione, ma anche ho sempre desiderato la chiesa della profezia che sventola le sue bandiere, che balza fuori dalla trincea, guarda al domani e crede nell’uomo.
Ho sempre amato e cercato la chiesa che sposta i paletti di confine in avanti, che progetta e si impegna in missioni impossibili, perché convinta che il passato è un bagaglio talora pesante e spesso ingombrante, mentre nel domani c’è la vita.
Mi convinco sempre di più che combina di più un profeta che mille parrocchiani e cento ordini religiosi, motivo per cui il cristiano d’oggi deve stare con gli occhi spalancati e le orecchie tese per scoprire il volto e la voce dei profeti e coglierne il messaggio.
Ancora una volta debbo confessare che Madre Teresa di Calcutta, don Tonino Bello, don Milani, don Mazzolari, La Pira, De Gasperi, Papa Giovanni e Papa Woityla valgono mille encicliche, diecimila lettere pastorali ed una infinità di canoniche e conventi. Oggi c’è assolutamente bisogno di profezia, di libertà, di coraggio e di carità. Questa è la chiesa amata e cercata perfino dai senza Dio!