L’ipermercato della carità

Don Gianni, il presidente della Fondazione che gestisce i Centri don Vecchi, insiste da tempo perché, almeno qualche volta, intervenga su L’incontro, periodico che è il portavoce di suddetta Fondazione, per offrire un qualche contributo di pensiero. Finora ho fatto qualche resistenza, perché fin troppo convinto delle mie idee e polemico come sono sempre stato, temo di non trovarmi perfettamente in linea con la “politica” della Fondazione. Però il motivo di fondo è certamente e soprattutto quello dell’età; io con i miei 91 anni, appartengo al passato, anche se sono quanto mai curioso ed interessato al mondo che cresce. C’è poi un po’ di amor proprio perché, consapevole dei miei limiti, arrossisco quando rileggo i miei interventi di decenni fa, non ritrovando ora la freschezza, il brio e l’audacia del passato!

Questa settimana però ho finalmente accettato l’invito perché la Fondazione s’è impegnata in un progetto veramente grande che io ho sognato per l’intera vita senza riuscire ad attuarlo. Proprio in questi giorni s’è aperto il cantiere dell’ipermercato della Carità in quei degli Arzeroni. Fallito, per la miopia della società dei trecento campi, che da anni mantiene un’area incolta vicino al Centro don Vecchi di Carpenedo, e quello dell’impresa Perale preoccupata più del profitto che di quella della solidarietà, la Fondazione, con un’operazione intelligente e coraggiosa, ha acquistato un’area di circa trenta mila metri in quel degli Arzeroni vicino agli attuali Centri don Vecchi 5-6-7 per costruirvi quello che sarà di certo la prima struttura del genere non solo d’Italia ma d’Europa.

Sento un profondo orgoglio che una piccola comunità, com’è la parrocchia di Carpenedo, abbia messo le premesse e poi osato di dar vita ad una struttura che nel campo della solidarietà si può paragonare alla “scoperta dell’America!” Finalmente dei cristiani si presentano all’opinione pubblica con una soluzione, in linea con i tempi, per dare una risposta coerente, moderna, efficiente, all’imperversare delle nuove povertà. Finalmente s’è superato il concetto dell’elemosina con qualcosa di socialmente valido che rispetta chi è in difficoltà, lo coinvolge in questa esperienza di solidarietà e l’aiuta in maniera rispettosa della propria dignità.

L’apertura di questo cantiere è per me un fatto di enorme importanza e dimostra ancora una volta che “il privato sociale” può offrire un contributo estremamente significativo al problema della solidarietà, e dimostrando l’insipienza dell’amministrazione civile che non sempre incoraggia ed aiuta questo mondo del volontariato, che esprime meglio di ogni organismo burocratico la capacità di aprire nuove strade. Mi auguro che la nuova struttura, che sta nascendo, faccia prendere coscienza che l’amministrazione pubblica deve avvalersi maggiormente di questo terzo settore, lo debba promuovere, e favorire in ogni modo, abbandonando la pretesa di dar vita e di voler gestire in proprio, con costi enormi ed in maniera burocratica e poco efficiente, tutto ciò che esprime la solidarietà. La scelta della Fondazione di aprire questo “nuovo fronte” e di impegnarsi in questa “operazione impossibile” spero aiuti i politici a cambiare mentalità, non pensando più di fare un favore permettendo queste soluzioni, ma a ringraziare invece per la loro preziosa collaborazione a livello sociale.

Penso di ritornare su questi argomenti perché sono assolutamente convinto che è finito il tempo, che il volontariato non debba più presentarsi col cappello in mano per ottenere il permesso di impegnarsi per gli ultimi, ma che invece è giusto quello che siano i responsabili della pubblica amministrazione a chiedere questo aiuto e a favorire sia a livello burocratico che a quello economico ciò che i cittadini si impegnano a fare in tutti gli aspetti della solidarietà. Ho l’intenzione di ritornare a riflettere e dare voce alla finalità di questo “supermercato” sui generis, però sento il bisogno di ribadire con forza che questa realizzazione, prima del servizio prezioso che possiamo offrire al prossimo, ha il merito di svecchiare, di sburocratizzare, una gestione pubblica ormai superata, lenta e costosa.

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