La diocesi di Venezia ha deciso di creare una struttura per i preti non più autosufficienti. Un luogo che si occupi di chi già ha speso la propria vita per il bene delle nostre parrocchie
“Ora mi puoi lasciare andare in pace, Signore!”
Non so se il santo vecchio Simeone, che abbiamo incontrato qualche giorno fa in occasione della festa della presentazione di Gesù al tempio, fosse più o meno anziano di me. Penso fosse più giovane, visto che io a giorni compio 91 anni! La sua affermazione “Ora Signore, che ti ho finalmente incontrato, posso morire in pace” mi ha particolarmente colpito. Di recente ho ricevuto una buona notizia che aspettavo da una vita e sono davvero felice: finalmente la diocesi di Venezia ha deciso di creare una struttura per i preti non più autosufficienti e ha nominato una commissione che si occuperà di realizzarla. Di certo, il vecchio Simeone aveva motivi più validi del mio, comunque le buone notizie fanno sempre bene!
Sono lieto che ci si occupi dei preti che hanno speso la loro vita per il bene delle nostre parrocchie e che hanno il diritto di terminare la loro esistenza con dignità, accolti ed aiutati, in una struttura adeguata al loro passato e alla loro attuale condizione di fragilità.
Permettetemi di spendere qualche parola per spiegare meglio il motivo della mia soddisfazione. Molti, forse per incoraggiarmi, mi dicono che a 91 anni sono ancora una “roccia”, mentre io avverto tutta la mia fragilità fisica e psicologica. Non passa settimana senza che qualcuno dei miei coinquilini al don Vecchi sia costretto ad andare in casa di riposo per l’aggravarsi dei suoi acciacchi e porti con sé il patema di pesare sui figli, viste le rette impossibili richieste dalle strutture della nostra città.
Io, che posso contare soltanto su fratelli anziani, ognuno dei quali ha le proprie difficoltà, ho sempre vissuto il problema degli anziani con grande preoccupazione. E infatti, quando 25 anni fa ho costruito il primo centro don Vecchi, ho messo a disposizione della diocesi sei appartamenti, strutturati in modo che il sacerdote potesse portare con sé la sua perpetua per essere accudito adeguatamente. Con il passare del tempo, ho capito che chi non è più autosufficiente ha bisogno anche di un presidio medico ed infermieristico che non avrei mai potuto fornire disponendo soltanto di sei alloggi, per quanto confortevoli fossero.
In questi anni mi sono trovato spesso a confrontare la mia pensione con le rette applicate dalle case di riposo della nostra città e, con amarezza, ho dovuto concludere, non senza preoccupazione, che mi sarei potuto permettere al massimo 15 giorni al mese. Un mese fa un sacerdote di Treviso, che ha diretto la Casa del clero della sua diocesi per una quindicina di anni, mi ha assicurato che, a Treviso, basterebbe anche la mia pensione. Pur essendomi rasserenato, mi è rimasto nel cuore il desiderio di “morire in patria” assieme ai miei colleghi di sacerdozio!
Don Marino Gallina, mio vecchio cappellano, che oggi ricopre un ruolo di responsabilità presso l’ufficio per il mantenimento del clero, mi ha assicurato che la diocesi non abbandona i suoi vecchi preti, tuttavia, viste le soluzioni proposte a quelli ospitati al centro Nazareth a Zelarino e al Contarini alla Gazzera, non c’è molto di cui essere allegri!
Ripeto quindi che mi ha fatto particolarmente piacere sentire che il Patriarca e il consiglio presbiterale abbiano affrontato e stiano risolvendo questo annoso problema. Spero che lo facciano presto, perché a 91 anni non ho di certo molto tempo! Mi riservo quindi di intervenire ancora sull’argomento per coinvolgere la città e, qualora sia gradito, offrire idee e soluzioni alle quali sono giunto in questi ultimi tempi. Metto inoltre a disposizione la nostra organizzazione e un aiuto economico.