La “mia” Ca’ Letizia

La stampa cittadina in questi ultimi tempi ha riportato le mie opinioni riguardo alla mensa dei poveri di Ca’ Letizia. Forse per imperizia nell’illustrare il mio pensiero (ricordo a tutti che ho quasi 91 anni), non mi sono sempre ritrovato in quello che è stato scritto, quindi tento di precisare le mie idee.

A proposito dell’ubicazione attuale della mensa, a tutti coloro che hanno protestato fin dall’apertura, ho citato le parole che il diacono San Lorenzo, amministratore della carità della Chiesa, pronunciò duemila anni fa al prefetto romano che voleva vedere le ricchezze della Chiesa. Presentando i poveri che aiutava, disse: “Questa è la ricchezza della Chiesa!” Anch’io la penso così. I poveri che aiutiamo sono il distintivo e la gloria per noi cristiani! Di conseguenza, non esiste alcun motivo al mondo per allontanarli o renderli invisibili agli occhi della nostra città anzi è un dovere che la città conosca questa situazione. E a quei cittadini del centro che pretendono di avere qualche riguardo in più rispetto di chi vive in periferia vorrei dire che i poveri sono prodotti dalla città, ed essa deve pertanto farsene carico, aiutandoli in maniera civile e corretta. Questo vale sia per la Chiesa sia per la comunità civile.

Vengo poi alla mensa che ho conosciuto e per la quale mi sono impegnato: essa è una realtà più articolata e più ricca di quanto non riveli il termine “mensa dei poveri”. Ai miei tempi, e spero anche oggi, offriva la cena e poi anche la colazione, aveva aperto una rivista mensile “Il Prossimo” che tentava di creare una cultura solidale, gestiva un magazzino di indumenti, offriva un servizio di docce e di parrucchiere, mandava in vacanza ogni estate decine e decine di anziani poveri e di adolescenti di “Macallé” e di “Ca’ Emiliani”. Inoltre organizzava il caldo Natale con gli scout per regalare un po’ di calore nella stagione invernale, invitava al Laurentianum per parlare di solidarietà oratori qualificati come padre David Maria Turoldo, Oliviero dal Sermig di Torino, monsignor Povoni, assistente della San Vincenzo nazionale e tanti altri.

Ca’ Letizia incontrava ogni mese i responsabili della carità di tutte le parrocchie di Mestre per studiare e organizzare insieme piani di intervento a favore degli indigenti. Ogni anno, in collaborazione con i maestri delle scuole elementari di Mestre, organizzava un concorso per educare i cittadini di domani alla solidarietà. La San Vincenzo ha promosso una campagna per la costruzione di asili nido, che all’epoca erano quasi inesistenti. Nel contempo si è battuta per ridurre la retta dei degenti in casa di riposo ed è arrivata a chiedere alla Regione una verifica amministrativa dei costi! E come dimenticare i gruppi di assistenza che operavano all’ospedale all’Angelo, al Policlinico e nelle case di riposo?

Non dobbiamo infine sottovalutare il volontariato di adulti che svolgeva il servizio in mensa o le centinaia e centinaia di studenti delle superiori che hanno avuto modo di conoscere da vicino il mondo della povertà servendo a tavola il centinaio di poveri che ogni sera si ritrovavano a Ca’ Letizia per la cena.

Chiudere Ca’ Letizia significa turbare i difficili equilibri di una realtà grande ma fragile, che è vissuta in maniera del tutto autonoma, senza ricevere alcun contributo da parte del Comune e pochissimi aiuti dalla diocesi. Non è certamente un dogma di fede non spostare la sede di un ente così complesso e nel contempo così importante per la solidarietà cittadina. Mi auguro che in questa operazione venga salvaguardato il passato e soprattutto che si approfitti per rilanciare strutture e iniziative solidali nella nostra città.

In passato questa associazione benefica ha avuto presidenti di valore e prestigio come l’ingegner Lui, direttore dell’aeroporto, il ragionier Enzo Bianchi, amministratore delegato della Coin, il direttore della Crea, società delle acque, dell’attuale dottor Dottor Bozzi e di tanti altri eminenti cittadini di grande sensibilità sociale. E come non menzionare la signorina Aprilia Semenzato, vicepresidente fin dalla nascita di Ca’ Letizia, che ha donato i migliori anni della sua giovinezza e della sua maturità alla causa dei poveri di Mestre.

Mi permetto di terminare con un consiglio che ho già espresso alla stampa cittadina: monsignor Vecchi ha costruito un asilo attiguo alla casa di riposo di via Spalti, previo accordo con il suddetto ente, una struttura che è rimasta in funzione fino ad alcuni anni fa. Alla scadenza dei 25 o 30 anni concordati, l’edificio è stato riconsegnato alla casa di riposo e da cinque o sei anni è in stato di completo abbandono. L’ubicazione e la vicinanza con l’asilo notturno rappresenta, a mio avviso, una soluzione davvero ottimale. Un accordo tra Comune e diocesi accontenterebbe i cittadini di via Querini, il sindaco e il Patriarca e salverebbe l’associazione San Vincenzo che è stata, ed è bene che rimanga, la “coscienza” vigile e operativa della nostra città a livello di solidarietà.

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