Ho già riferito che nel 1971 tutta la dottrina riguardante la vita parrocchiale era messa in discussione. Il tempo dagli anni Settanta agli Ottanta fu un tempo assai difficile a motivo della contestazione, soprattutto per me che dovetti affrontare in prima persona, e per la prima volta, i complessi problemi di una parrocchia di periferia di 6.500 anime.
Fin dall’inizio di questo mio servizio cominciai ad elaborare un mio progetto di ordine pastorale, partendo da convinzioni già acquisite sia da un punto di vista concettuale che pratico. Fin da allora ero già profondamente convinto che la religione voluta da Gesù è segnata da due dimensioni ugualmente importanti e derivanti dal comandamento “ama Dio con tutte le tue potenzialità e il prossimo come te stesso”. La dimensione verticale riguarda la fede e l’annuncio evangelico che si esplicano attraverso la catechesi e la liturgia; mentre quella orizzontale si esprime mediante la carità. Quindi il problema della carità, che molto spesso era ed è purtroppo marginale negli interessi e nei progetti dei parroci e dei cristiani impegnati, è invece, almeno per me, a pari grado con quello della evangelizzazione, della catechesi, del culto e della preghiera. Pertanto, fin dall’inizio del mio ministero, cominciai a pensare come impostare e realizzare questa componente così essenziale per una vita realmente cristiana e il problema si presentò subito di difficile soluzione perché in questo campo c’erano poche e fragili esperienze alle quali rifarsi.
I primi passi li spesi per rafforzare e rendere più efficienti le associazioni caritative già esistenti: la conferenza della San Vincenzo maschile e quella femminile, alle quali aggiunsi in seguito anche una per i giovani. Nacquero poi, il gruppo “Il Mughetto” per l’assistenza ai disabili, il “Gruppo San Camillo” per l’assistenza agli ammalati e alle persone sole e in difficoltà, “Il Ritrovo” per gli anziani, Villa Flangini ad Asolo (foto) per le vacanze dei vecchi, il restauro radicale dell’opera “Piavento”, la casa che accoglieva otto anziane in difficoltà abitative. E via via ho aperto le residenze “Ca’ Dolores”, “Ca’ Elisa”, “Ca’ Teresa” e “Ca’ Elisabetta” sempre per anziane in difficoltà, il “Foyer San Benedetto” per l’accoglienza dei parenti dei degenti nei nostri ospedali che abitavano lontani da Mestre.
Man mano che si realizzavano questi obiettivi, notavo da un lato che aumentava il consenso tra i concittadini e dall’altro andavo scoprendo che c’era molto, molto ancora da fare per dare volto reale alla carità, ma soprattutto darle un volto comprensibile alla sensibilità dei nostri tempi. (2/continua)