Da “SEGNO DI UNITÀ” – 18 marzo 2018
periodico della parrocchia Santa Maria della Pace di Bissuola
Il settimanale riporta appuntamenti ed iniziative che si rifanno alle celebrazioni della Settimana santa come da prassi in tutte le parrocchie.
Nel “foglio” trovo di particolare alcuni stralci di una lettera stupenda che una ragazza di colore di Ca’ Foscari rivolge ad un suo coetaneo che ha scritto sui muri dell’università frasi ingiuriose ed incivili nei riguardi di tutti gli stranieri che, per i motivi più diversi, e sempre tragici, sono approdati nella nostra città.
don Armando
LETTERA DI UNA RAGAZZA NEGRA AD UN COETANEO RAZZISTA
Non ci si stupisca o scandalizzi addirittura se ho scelto la parola “negra”, così politicamente scorretto, ma è la stessa interessata, autrice della lettera, ad usarlo. E siamo d’accordo: quanta ipocrisia nel “distinguo” che accompagna la scelta di non usare una parola che non è altro che la realtà. Forse non vogliamo usare la parola “negra/o” perché vogliamo esorcizzare tutte le volte in cui quella parola è stata accompagnata da aggettivi come “sporco” oppure associata alle nostre deiezioni… Dire o scrivere nero non individua una razza, ma un colore ed è qui l’ipocrisia perché sembra che ci vogliamo dimenticare a tutti i costi che in effetti esiste una razza diversa dalla nostra, è come non riconoscere la loro dignità, il loro diritto all’esistenza.
Mi ha colpito quindi questa lettera di una ragazza di vent’anni, negra, che studia lingue a Venezia Ca Foscari, e vive nel Collegio Internazionale (ed è molto selettiva la prova per poter esservi ammessi….). Lavora nella Biblioteca delle Zattere, ed è lì, nei bagni di questo luogo di cultura, che ha trovato la scritta “W il Duce! onore a Luca Traini. Uccidiamoli tutti sti negri”. Questo fatto l’ha spinta a scrivere la lettera postata sul blog “Linea 20”, degli studenti del Collegio e che è stata ripresa da un quotidiano locale e da molti altri siti. Poiché il collegio è internazionale, va da sé che ha varcato i confini nazionali.
Non possiamo, per evidenti ragioni di spazio, riportare integralmente il testo, ma tutti possono rintracciarlo sul blog Linea 20.
Laeticia è di Bergamo, dove vive la famiglia ed un fratellino di otto anni che sente spesso per telefono. Il bambino chiede alla sorella il significato di “negher”, la parola con cui è stato apostrofato da alcuni compagni di scuola. Spiegato che vuol dire “negro”, Laeticia fa notare al fratellino che non è altro che quello che è in realtà e di cui deve andare fiero e lo invita a dirlo chiaro ai suoi compagni. Scrive Laeticia:
«In otto anni della sua vita (del fratellino), non ho mai pensato che avrei dovuto un giorno spiegargli il razzismo. Sono stata molto ingenua perché, dall’alto dei miei vent’anni, di episodi di razzismo ne ho vissuti. I primi si sono verificati quando avevo all’in-circa dodici anni. Ma ero già grande e sapevo difendermi con le sole parole. Ma a otto anni, come si rielabora il razzismo? E io, da sorella maggiore, come lo semplifico il razzismo per un bambino ingenuo? Ancora non lo so. Ma devo trovare un modo di rendere mio fratello immune al razzismo. Proprio come sua sorella. Sì, perché io mi ritengo immune al razzismo: non sono razzista e i razzisti non mi fanno paura, non mi fanno arrabbiare, non li detesto. E oltretutto, ho sviluppato una sottile arma per combattere il razzismo a modo mio. lo rispondo con l’ironia, anzi, il sarcasmo. Faccio fiumi di battute auto-razziste alle quali in generale la gente rimane di stucco. Non sa se ridere o meno. Perché verrebbe da ridere, ma ridere sarebbe politicamente scorretto. Quando la gente comincia a conoscermi, si abitua alle mie battute e comincia a ridere. Quando la gente ride e soprattutto quando la gente riesce a fare battute razziste, ritengo che il mio lavoro abbia avuto successo, semplicemente perché portando in superficie l’ignoranza e ridendone, la si demistifica»
Laeticia è convinta di avere sconfitto il razzismo (imperdonabile ingenuità – la definisce lei stessa) finché non si imbatte in quella scritta. «Wow. Un momento di profondo respiro. Rileggo la frase di nuovo. Per un bianco, o comunque un non negro, credo che questa affermazione possa suscitare ribrezzo, tristezza, rabbia, in verità non so cosa possa provare un bianco, e non so perché debba essere diverso da quello che può provare una negra quale sono io. Da negra, non mi sento offesa. Sono profondamente confusa che queste scritte si ritrovino in un luogo così culturale, e confusa soprattutto perché probabilmente l’autore è un mio coetaneo»
Laeticia vorrebbe parlare con chi ha scritto quelle frasi, «capire perché mi voglia uccidere, visto che sono negra. Sono impaurita, non perché io abbia paura di essere uccisa, ma mi spaventano le ragioni per cui verrei uccisa. Come puoi pensare di uccidere qualcuno solo per il colore della sua pelle?
Cosa ti può distorcere così tanto da volere uccidere qualcuno perché non è bianco? Ho le vertigini solo a pensarci. Cosa otterresti dalla mia morte? lo vorrei solo capire. Vienimi a parlare.
Voglio essere guardata dritto negli occhi e voglio sentire cosa ti affligge.
Perché mi odi? Come mi uccideresti? Come ti sentiresti dopo la mia morte? Saresti felice?
Voglio capire i tuoi sentimenti. Vienimi a parlare prima di uccidermi, cosicché io ti possa abbracciare e mostrare un po’ di umanità, Io non ti odio, non perché io sia gentile. È perché sono profondamente triste per te, provo pietà perché non so come tu sia giunto a questo punto. Mi dispiace per i fallimenti che ci sono stati nella tua educazione. Mi dispiace che qualcuno sia riuscito a manipolarti a tal punto e a convincerti di queste cose.
Ti hanno avvelenato la mente e il cuore con questo odio insensato e questo suprematismo bianco»
Andatevi a leggere il resto, vi prego, e fatelo leggere ai vostri ragazzi, ai vostri studenti, ai giovani dei gruppi
Virgilio