Nel nostro territorio, praticamente i concittadini deputano sempre il sacerdote a celebrare il commiato dei fratelli che ci precedono in Cielo.
Lo stesso sacerdote in tale occasione guida la preghiera della minuscola comunità che si riunisce in chiesa per onorare la memoria del caro estinto, si sforza di inquadrarne la morte alla luce della speranza cristiana, ma avverte che, sostanzialmente, i congiunti del defunto s’aspettano che il prete “dia l’ultimo saluto” ossia praticamente esprima i loro sentimenti, avvertendo il forte bisogno di manifestare a chi li lascia le parole di stima, d’affetto e di riconoscenza che forse non gli hanno mai detto o glielo hanno detto raramente e non con quel calore con cui nel momento del distacco, quasi sentendosi in colpa, amerebbero aver fatto mentre era in vita.
Io senza fatica, anzi con molta partecipazione umana e spirituale, mi accollo questo compito e mi accorgo assai di frequente, dai ringraziamenti che ricevo, che non mi riesce difficile accontentare il mio prossimo colpito dal mistero della morte. Però, confesso, che ogni volta penso nel mio animo quanto sarebbero state felici le mamme, le spose, i figli se si fossero sentite dire le parole, che io dico loro nel sermone, dai loro congiunti mentre erano in vita!
Da parte mia ho fatto questo proposito, per quanto mi riguarda. Pur continuando ad essere quello scontroso e quell’introverso che sono, quando ci riesco, vedo quanta gioia con nessuna fatica, dono al mio prossimo.
Ad ottant’anni è tardi, ma spero di avere ancora qualche opportunità di farlo!