Da “COMUNITÀ PARROCCHIALE SS.TRINITA” – 14 gennaio
settimanale della parrocchia omonima di via Terraglio
Don Angelo, il direttore già preside del liceo classico di Mestre, nell’articolo di fondo si dice letteralmente sdegnato, o meglio ancora schifato, dalle promesse dei candidati al Parlamento, soprattutto per le promesse che sanno – e che tutti sappiamo – essere impossibili da realizzare se non creando nuovi debiti. Chi può mai dissentire da questa affermazione? Io, al riguardo, mi sento umiliato da simile comportamento che solo chi ha animo truffaldino e amorale può assumere.
Sempre nell’articolo don Angelo depreca, oltre che per motivi civili e sociali, l’abbandono dell’approvazione dello “jus soli”. Infine auspica che finalmente si progetti il servizio politico come vocazione e non come grimaldello per arraffare e depredare,
Sugli interventi dei lettori, che non mancano mai, nel primo – “caro don Angelo” – c’è una bellissima riflessione di Roby Coco sulla vita.
Infine c’è una bellissima poesia di don Luigi Trevisiol quanto mai delicata e allo stesso tempo profonda.
don Armando
QUESTO NOSTRO TEMPO
Ha preso avvio la sagra delle promesse elettorali: il nobel italiano andrà a chi le spara più grosse. Tutti parlano e sparlano e sproloquiano spesso senza rendersi conto di quello che dicono e noi, come allocchi, li stiamo ad ascoltare e talora, se non esercitiamo l’intelligenza critica, ci lasciamo convincere. La cosa su cui tutti tornano è quell’aumento delle pensioni e la riduzione delle tasse.
Non sono un economista ma un minimo di calcoli li so realizzare: per fare queste operazioni diteci da dove prendete i soldi; se in concreto aumentate il debito pubblico portate l’Italia allo sfacelo: già soffriamo per un debito sproporzionato tanto che si dice fino ad oggi che quel debito sarà pagato dai figli della generazione attuale, se però vanno in pratica le promesse degli attuali candidati il debito pubblico dovrà essere saldato non solo dai figli ma anche dai nipoti e dai pronipoti. E nella nuova legislatura si avrà la forza e il coraggio di riprendere temi lasciati in sospeso tra i quali primeggia quello dello jus soli o culturae (il latino viene ancora usato fortunatamente per evidenziare temi che appartengono alla civiltà umana)?
Si tratta di dare riconoscimento civile e giuridico, in buona sostanza profondamente umano, a quei bambini che sono nati nel nostro Paese da genitori che da tempo abitano e lavorano presso di noi; sono bambini che frequentano le nostre scuole e sono già perfettamente integrati con i bambini italiani. L’Italia è un Paese che sta rapidamente invecchiando per l’allungamento della vita ma nel contempo diminuiscono paurosamente le nascite; a tale proposito occorrerebbe una politica molto più favorevole alle famiglie per assicurare gli strumenti opportuni al fine di incentivare i genitori a mettere al mondo più di un figlio, come oggi capita allorquando l’Istat ci avvisa che ad una coppia di sposi corrisponde uno virgola tre figli. In questa situazione lo jus soli (o culturae) non solo risponderebbe ad un appello di civiltà ma darebbe anche un discreto incremento per abbassare la media di età della nostra popolazione.
Purtroppo siamo quotidianamente di fronte ad uno spettacolo miserevole: c’è una spasmodica ricerca, un arrampicamento umiliante per cercare di possedere in ogni modo quella sedia parlamentare che assicura per almeno cinque anni un ottimo stipendio contornato da innumerevoli privilegi.
E quello che appare ancor più miserevole è il fatto che quella spasmodica ricerca del posto è ammantata dalla motivazione di voler servire la gente, di offrire servizi ai cittadini e cose del genere infarcite di tante bugie consapevoli. Per parte mia mi piace sognare che quanti si dedicano all’impegno politico possano intendere tale ruolo come una vocazione, una chiamata ad un servizio.
La teologia calvinista, a seguito delle riflessioni luterane (siamo nella metà del ‘500; può essere utile a tal fine leggere l’interessante testo di Max Weber “Etica protestante e spirito del capitalismo”) vedeva in ogni professione un Beruf, una chiamata dall’alto al fine di compiere attraverso il lavoro un servizio di miglioramento della situazione del prossimo.
Questa visione etica della vita e del lavoro, visto come un impegno vocazionale, si è sposato negli ultimi secoli con lo spirito di sviluppo del benessere del mondo occidentale. Non so se Calvino abbia visto giusto e se la sua visione del lavoro come Beruf sia corretta; so che mi piacerebbe molto se coloro che intendono impegnarsi nel lavoro politico fossero veramente disinteressati in rapporto ai propri interessi personali e dedicassero la propria vita ad un autentico servizio del prossimo.
Purtroppo una mens clericale ha ristretto il concetto di vocazione all’ambito puramente religioso, ma quanto sarebbe esaltante umanamente pensare che ogni professione corrisponde ad una vocazione; il mondo sarebbe pieno di persone che prima dell’interesse personale, anche economico, pensano al servizio nei confronti del prossimo che ha bisogno di precisi aiuti; il discorso vale per i genitori, per l’insegnante, per il medico, per il manager, per l’idraulico, per l’operatore ecologico.
Forse sto parlando del mondo dell’utopia.
don Angelo Favero
Caro don Angelo,
ovviamente anch’ io non saprei come definire il tempo, se non pensare che sia una convenzione tutta umana per delimitare l’esistenza e ciò che ne consegue. Perché abbiamo bisogno di fissare un prima e un dopo e ci viene difficile rappresentarci un continuum. Credo anche che sia un grande regalo che Dio ci ha fatto per permetterci di vivere questa splendida avventura che (può) essere, solo che lo si voglia, la nostra vita. Credere dunque alla Provvidenza è credere che in modo assolutamente misterioso Dio sia presente nella nostra vita e in ogni istante. Tutto ciò che dunque accade, non accade invano. Il senso lo si scoprirà o col tempo o “nell’altra vita”.
Avere fede per me significa fidarmi di questo, della volontà di Dio per me, Lui che essendo Amore non può che volere il meglio per me e per ciascuno. E qualora questa certezza non ci fosse, chiedo la Grazia di fidarmi comunque, pur senza capire. Auguro a lei e ai suoi parrocchiani tutto ciò che Dio ha pensato per ognuno e che si abbia sempre il cuore e la mente aperta per capirlo!
Roby Coco
Forse un giorno
forse un giorno saliremo
con piedi scalzi oppure
su ali di farfalla per vedere
l’altro versante tutto in fiore
forse un giorno scopriremo
d’essere quasi vissuti
quando non più verrà
il passero sul davanzale
forse un giorno ci desteremo
in un’alba tutta per noi
se mai il sole busserà
con buffi d’aria alle cortine
forse un giorno rivivremo
finalmente appagati
quando ognuno cesserà
di rincorrere i propri miraggi.
(Torre di Fine 1971, Luigi Trevisiol, l’ultima poesia di un poeta estinto)