Una quarantina di anni fa una signora di una buona famiglia di Mestre, notoriamente cattolica, mi confidò un suo profondo turbamento perché un suo congiunto aveva invitato ad una festa di famiglia una signora che era sposata solo civilmente con chi la presentava come sua moglie.
Non ricordo bene ma mi pare che per questo motivo suddetta signora si sentì in dovere di abbandonare la festa di famiglia per non avallare un rapporto che la chiesa non poteva ritenere valido non essendoci stato il sacramento.
Sono passati neanche cinquant’anni e il costume civile e religioso è mutato in maniera radicale. Ora per le convivenze c’è perlomeno il pudore o forse una forma di presunta professione di fede laica nel chiamare compagno o compagna il partner, ma per il matrimonio civile ormai non si avverte alcuna differenza dal matrimonio religioso, mentre i rapporti sentimentali non dichiarati sono coperti dalla foglia di fico chiamata amicizia.
Questo vale negli ambienti estranei alla chiesa, ma sono pure pratiche e comportamenti usati anche negli ambienti di carattere religioso.
Un tempo le deroghe al matrimonio religioso erano eccezioni, ora sono diventate prassi consolidate ed accettate sia dalla gente lontana dalla chiesa, ma anche dai praticanti.
Questa mentalità è stata certamente determinata da un secolarismo diffuso, ma anche favorita da una esasperata pretesa del clero di corsi di preparazione spesso inconcludenti ed artificiosi, che si rifanno ad un clericalismo che la gente normale non sopporta più.
C’è da augurarsi che pian piano si arrivi ad un equilibrio di rispetto, e a pretese sacerdotali meno rigide e più duttili e comprensive della sensibilità personale di ogni individuo.