Da molti anni sono stato costretto dall’esperienza fatta tante volte personalmente a modificare l’interpretazione tradizionale della prima beatitudine proclamata da Gesù: “Beati i poveri di spirito perché di loro sarà il Regno dei Cieli”.
Di certo non mi permetterei mai di obiettare alcunché a quanto ha giustamente affermato il Figlio di Dio ma credo che si debba sottolineare decisamente che la seconda parte dell’affermazione di Gesù non intende beatificare tout court chi è povero a livello economico. Quasi certamente Gesù voleva affermare che può aspirare alla beatitudine chi vive una vita semplice ed umile, chi si accontenta di quello che può avere, chi non si lascia lusingare dalla ricchezza, chi non è arrogante, avaro e avido di benessere a qualsiasi costo.
Il discorso invece è ben diverso quando ci si riferisce a gente oziosa e refrattaria al lavoro che si riduce volontariamente in miseria, che vive di espedienti e di mendicità. Io penso che ci si debba far carico in qualche modo anche di queste persone però non credo proprio che la loro condizione, molto spesso voluta, sia un titolo valido per accedere al Regno e aspirare alla beatitudine promessa da Cristo.
La Chiesa della nostra città tenta di provvedere in qualche modo a chi si trova in condizioni economiche disagiate e provvede all’essenziale per chi si è ridotto in miseria per mancanza di buona volontà e a questo scopo ha approntato mense, magazzini per l’abbigliamento senza però incoraggiare questa scelta di vita o additare ad esempio questa categoria di poveri né tantomeno mettere loro l’aureola. La beatitudine evangelica è tutt’altra cosa! Anzi l’occasione mi è propizia per affermare che chi si occupa di questo tipo di poveri deve ancorare il suo servizio, non tanto all’indigenza di costoro ma, a dei valori più alti perché i poveri per indolenza costituiscono un problema di difficile soluzione a livello ideale e sociale e spesso mettono a dura prova chi sceglie di porsi a servizio degli ultimi.