Un mio vecchio cappellano, che ha fatto una rapida carriera tanto da diventare titolare di due parrocchie, oltre ad avere altri incarichi in diocesi, mi ha usato la cortesia di invitarmi a celebrare la Santa Messa in occasione della festa del titolare di una di queste due comunità.
Sono stato felice dell’invito, un po’ perché per me rappresentava un’attenzione per l’attività di un vecchio prete che ora vive ai margini della vita pastorale della diocesi e di cui quasi nessuno si ricorda, un po’ perché rimango ancora curioso di come oggi il giovane clero conduce la comunità dei cristiani del nostro tempo.
Per me, uscito dall’ingranaggio pastorale diretto da più di tre anni, fa veramente piacere confrontare i progetti che ho coltivato per tanti anni, con le soluzioni che ora vanno per la maggiore.
Don Paolo, così si chiama il mio ex collaboratore, naturalmente mi ha chiesto di dire due parole al Vangelo.
Sempre rifletto sul testo sacro per attualizzarlo, affinché esso diventi chiave per leggere la vita lo stimolo perché la comunità si sforzi di entrare nella logica del Vangelo.
In questa occasione la riflessione è stata più prolungata e più attenta del solito.
La pagina del Vangelo che la liturgia assegna alla festa di S. Nicola, santo protettore di una delle parrocchiette di don Paolo, e denominata appunto “S. Nicolò dei mendicoli”, è quella denominata comunemente la “parabola della pecora smarrita”, mi ha offerto l’opportunità di mettere a fuoco: il volto, il compito, lo stile di vita di una comunità cristiana in tempo in cui i cristiani convinti e coerenti rappresentano una piccola minoranza tra gli abitanti all’interno dei confini canonici della parrocchia.
Sono proprio convinto che oggi dobbiamo essere tutti fortemente impegnati per disegnare il volto nuovo di una comunità cristiana nel terzo millennio e in una società sempre più secolarizzata.
Sarei molto felice se fossi riuscito ad offrire qualche buona idea!