Più volte mi sono sorpreso, durante i giorni più freddi ed uggiosi dell’inverno che stiamo lasciandoci alle spalle, a chiedere quasi inconsciamente al Signore: “Vengo quando vuoi perché di anni me ne hai donati molti e belli, però mi piacerebbe vedere, una volta ancora, la primavera”. Un paio di volte al giorno, quando percorro Viale Garibaldi e scorgo quei rami scheletrici dei tigli che lo fiancheggiano e che alzano tristi le loro lunghe e scarne dita verso il cielo grigio e nuvoloso, mi vien da sognare e desiderare di ammirarli almeno ancora una volta coperti di foglie di un bel verde tenero e sentire il profumo dolce e delicato dei loro fiori. Quando passeggio per i viottoli del parco del Don Vecchi e scorgo le prime e più coraggiose margherite che sorridono felici al sole, mi viene la nostalgia di quel prato verde trapuntato di fiori di vari colori ancor più bello dei vecchi e preziosi arazzi dei palazzi nobiliari. Quando il mio sguardo si allarga e vedo il lungo filare di oleandri verdi sì, ma di un verde spento e sporco, mi vien da sognare quella barriera bianca, rosa e rossa che da giugno in poi fa invidia al Paradiso Terrestre, allora la lode al Dio del Creato si mescola alla nostalgia e al desiderio di provare, almeno ancora una volta, la dolcezza e l’incanto della primavera. In questi giorni ho condiviso più che mai l’affermazione di una mia coinquilina, più che centenaria, che mi ha confidato cosa dice spesso al Signore: “Sono pronta a venire però, Signore, sappi che ho pazienza, tanta pazienza e sono disposta ad attendere ancora un po’ che Tu mi chiami!”.