L’ambiguità del termine: “lavorare”

Al Don Vecchi ci è capitata la notevole fortuna che il catering, che ci fornisce i pasti a mezzogiorno, si sia trovato in difficoltà nel poter disporre di un centro di cottura a Mestre e abbia accettato di utilizzare la nostra cucina. Un tempo al Don Vecchi cucinavano dei volontari ma, con sorpresa, abbiamo constatato che, tutto sommato, questa soluzione era più costosa e meno appetibile di quella che oggi è comunemente adottata, cioè che un catering porti i pasti già confezionati.

Dopo un’attenta ricerca di mercato abbiamo scelto “Serenissima Ristorazione” perché è risultata la meno costosa, la più capace nel fornire pasti buoni e tanto abbondanti che i nostri vecchi si sono muniti di scatolette e pentolini con i quali fanno approvvigionamento anche per la sera pagando solamente il pranzo di mezzogiorno.

In questo frangente ho scoperto che Vania, la cuoca, donna squisita, capace e generosa, con l’aiuto di una giovane collaboratrice, prepara ogni giorno cento pasti, molti dei quali confezionati e messi in contenitori termici per chi non può venire in sala da pranzo, oltre a quelli destinati ai Centri Don Vecchi di Campalto, di Marghera e degli Arzeroni. Il menù spesso prevede: antipasto, primo piatto, secondo con contorno, purè, insalata mista e dessert. Io non conosco lo stipendio di questa donna, di certo penso dovrebbe essere quanto mai consistente perché il suo si può veramente definire “lavoro” mentre per tanti, forse troppi altri, dovrebbe definirsi “passatempo”.

Temo però che, a motivo della pianificazione sindacale, non percepisca più dei vigili di Roma, degli spazzini di Napoli o degli impiegati del Comune di Venezia. Anche in questo caso la nostra società zoppica, zoppica troppo!

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