Io dovrei essere uno specialista su tutto quello che riguarda i funerali perché nella chiesa in cui oggi svolgo il mio ministero non posso che celebrare il rito del commiato. Fino ad una trentina di anni fa nel nostro Veneto era scontato che tutti scegliessero il rito religioso. È vero che nel primo dopoguerra si sono celebrati anche funerali con le bandiere rosse, con tanto di falce e martello, ma è stata una stagione quella che è durata poco; ben presto si è tornati alla normalità. Ogni tanto ho sentito dire di funerali di Testimoni di Geova celebrati nelle relative “Sale del Regno”, ma mi pare che l’intenso proselitismo di questa congregazione stia incontrando pure esso il muro di gomma di questa società secolarizzata. I funerali con rito civile sono ormai pochi e desolanti, motivo per cui anche agnostici e non praticanti preferiscono, nonostante le loro posizioni ideali, il rito religioso.
Io sono felice di queste scelte perché, quando mi si presenta una di queste opportunità, ne approfitto per fare una catechesi sulla bellezza della nostra fede. Oggi purtroppo pare stia invece nascendo una “moda” in linea con i nostri tempi poveri, o meglio, sprovvisti di qualsiasi valore positivo, ossia: mettere il defunto in una bara da pochi soldi e portarlo direttamente al forno crematorio. In questo modo tutto diventa più sbrigativo!
Qualche settimana fa invece mi è capitato di vedere il funerale di un maomettano svoltosi nel giardinetto del nostro cimitero, ove solitamente si disperdono le ceneri. Sono rimasto edificato: vi partecipavano un centinaio di persone, tutti maschi, composti, corretti, allineati, un Imam ha recitato alcune preghiere e ha fatto un discorso, comunque un rito breve, dignitoso, coinvolgente ed edificante. Peccato che la cerimonia abbia messo ancora una volta in luce uno dei limiti dell’Islam: l’esclusione della donna! Quel defunto avrà pur avuto una mamma, una sposa, una figlia a cui sarebbe stato giusto concedere di piangere e pregare per la morte del suo congiunto?