Ormai da più di trent’anni si sta parlando delle nuove povertà.
Quando ero ragazzino nel mio paese di campagna i soli poveri che ho conosciuto erano quelli che venivano col sacchetto a mendicare un pugno di farina.
Ora, col progresso, le povertà si sono diversificate e moltiplicate a dismisura: droga, emarginazione, solitudine, consumismo e via dicendo.
Da quando però ho letto il romanzo “Il mondo piccolo” di Guareschi ho appreso amaramente che c’è pure un altro settore di nuove povertà.
Don Camillo, in una delle sue birbonate, fa recitare al bambino di Peppone una poesia di Natale.
Il sindaco comunista reagisce in maniera plateale perché il prete, così facendo, avrebbe attentato al domani proletario del figlio, ma poi, finita la recita, porta il figlio in mezzo alla vigna e gli fa recitare nuovamente quella poesia concludendo che pure quando avrebbe vinto il proletariato si sarebbe dovuto coltivare la poesia!
Oggi c’è una massa di poveri di poesia, di incanto, di meraviglia, di gentilezza, di armonia, di bellezza e di sogni. La gente che ha perduto queste dimensioni della vita, è povera gente che sa solo stordirsi, sporcarsi, cercare emozioni forti anche se nocive.
Le persone di questo tipo sono, almeno per me, più povere dei mendicanti ai crocicchi delle strade.