Domenica scorsa la predica si incentrava sul racconto dei due figli invitati dal padre a lavorare nella sua vigna. Il primo si rifiutò ma poi, avendoci pensato sopra, andò a lavorare; il secondo invece, disse di si, ma poi, svogliato, finì per non andare.
Mi collegai alla domenica precedente la cui parabola verteva sulla storia del padrone che dal primo mattino fino al vespero inoltrato uscì per ingaggiare operai per la sua vigna. Mi venne immediata l’applicazione, per nulla tirata, che il Signore vuole coinvolgere gli uomini di ogni tempo per realizzare il Regno, cioè creare un mondo nuovo nel quale ogni essere possa vivere in pace, felice, rispettato e ad ognuno non manchi il necessario sia per la sua vita materiale che per quella spirituale.
Mi tornò facile ribadire che ognuno deve ritenersi onorato di collaborare con Dio per creare una società migliore. Dal modo in cui l’assemblea ha ascoltato il messaggio, m’è parso che l’impatto con le parole di Dio fosse positivo e che ognuno avesse capito che non possiamo pretendere una società nuova e migliore se non aderisce all’invito di Dio ad impegnarsi personalmente.
La domenica successiva, ossia la scorsa, m’è parso che questo invito si rivolgesse ad ognuno in particolare e che soprattutto Gesù chiarisse chi in realtà può ritenere che la sua adesione sia reale, e non formale come quella del secondo figlio, cioè quello che disse di sì e poi non andò alla vigna. M’è parso che il discorso di Gesù sia stato tradotto in maniera molto esplicita da sant’Agostino quando afferma che ci sono figli che Dio possiede e la Chiesa non possiede ed altri che la Chiesa possiede (perché tantissime volte, durante la loro vita religiosa hanno fatto chiare e lucide professioni di fede che in realtà non hanno praticamente mantenuto) e quindi “che Dio non possiede”.
Sentii di dover ribadire ancora una volta che i riti, le preghiere e le pratiche di pietà sono un mezzo per diventare operai del Regno e perciò non possono essere fini a se stessi e di conseguenza non possiamo illuderci che essi possano diventare la risposta che Dio ritiene valida per essere considerati “operai del Regno”.
Fin dal primo momento in cui cominciai a riflettere sulla parabola di Gesù per preparare il sermone della domenica, mi venne in mente un esempio fin troppo evidente. Dissi: «Marco Pannella, il leader dei radicali che da sempre va ribadendo il suo ateismo e il suo anticlericalismo viscerale, nella sua vita s’è battuto da leone ed ha digiunato, mettendo in pericolo la sua esistenza, perché ad ogni popolo sia garantita la libertà politica e religiosa, perché sia abolita la condanna a morte, perché i Paesi occidentali versino di più per i Paesi in via di sviluppo, perché ai carcerati sia garantita una vita più civile. Pannella è di certo il figlio del “no”. Mentre in contrapposto il figlio del “si”, qual’è il vescovo polacco, nunzio apostolico in un Paese povero, è stato incarcerato da Papa Francesco perché pederasta e perché trovato in possesso di un arsenale di foto pornografiche.
Questi sono due esempi limite, però la parabola si riferisce anche alle posizioni intermedie, quali sono le nostre, figli del “si”.
Credo che nell’aldilà saranno tante le sorprese!