“Felicissima”

Già ho scritto che quando mi libererò da certi impegni – e a questo proposito mi sono già fatto un cronoprogramma presiso – ho in animo di dedicare mezza giornata alla mia chiesa del cimitero, rimanendovi dal primo mattino fino a mezzogiorno: pregando, studiando, ricevendo chi volesse incontrarmi e svolgendo quelle mansioni religiose proprie di questo luogo particolare.

Mentre il pomeriggio voglio dedicarlo interamente ai quasi cinquecento residenti presso i cinque Centri don Vecchi, cosa che in quest’ultimo tempo non ho fatto perché troppo impegnato in altre faccende.

In queste ultime settimane però mi sono recato almeno due o tre volte la settimana al Centro degli Arzeroni. Dare l’avvio ad una comunità di una settantina di residenti al limite, o appena oltrepassato il limite dell’autosufficienza, credetemi, non è proprio la cosa più facile di questo mondo.

L’intesa tra chi ha progettato la struttura e chi ha un suo progetto molto preciso e sofferto che abbia a funzionare offrendo agli anziani un ambiente caldo ed efficiente, spesso lascia a desiderare alquanto perché in genere per l’architetto l’obiettivo più importante e pressoché assoluto è l’estetica, mentre per chi deve organizzare la vita, specie di persone anziane, che sono poco duttili per le loro condizioni fisiche e mentali, gli obiettivi sono ben altri: la funzionalità, la rispondenza alle abitudini e agli stili di vita degli anziani e, non ultimo, l’economicità, perché i soggetti che abbiamo scelto di accogliere sono i più poveri della nostra città. Una volta che questi due progetti si mettono a confronto e si devono assolutamente coniugare, spesso nascono notevoli difficoltà. Al don Vecchi degli Arzeroni le cose non sono andate molto diversamente. A questa difficoltà s’aggiunge il fatto che la Fondazione non può permettersi se non il personale strettamente essenziale e complica ulteriormente la cosa che la catena di comando sia composta esclusivamente da volontari – perciò ognuno vi porta le sue idee che non può imporre ed uno si deve coordinare con quelle degli altri. Confesso che spesso i miei sonni sono stati turbati da incubi notturni suscitati da queste problematiche.

Questo pomeriggio, dopo aver chiuso la mia “cattedrale”, ho fatto una capatina all’ultima struttura per gratificare i volontari, per oleare i rapporti e portare avanti la soluzione che io credo ottimale. Temevo, perché c’era la prima prova del nove per l’efficienza del pranzo. Devo felicemente confessare che ho trovato l’ambiente migliore di quanto sperassi: volontari motivati e disponibili e soprattutto i primi ospiti felici.

Temevo che avvenisse al “don Vecchi” quello che mi capitava di vedere ogni anno al “Germoglio”, la scuola materna della parrocchia nella quale per le prime due o tre settimane mi pareva di trovarmi in una “valle di lacrime”, motivo per cui l’inserimento dei bambini doveva essere graduale e progressivo.

La prima anziana che ho incontrato mi ha subito detto, forse per farmi contento: «Sono felicissima, mi trovo tanto bene!». Un’altra poi mi ha portato a vedere la sua suite che s’apre sul giardino di villa Angeloni: un appartamentino arredato con estremo buon gusto, ordinato e pulito. I responsabili poi mi han detto che in tre settimane sono stati ormai assegnati ben 50 dei 65 alloggi disponibili.

Se “il buon tempo si vede dal mattino”, ho di che consolarmi.

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