Quando è uscito il volume di Paolo Fusco sulla vita e le opere di monsignor Valentino Vecchi e qualcuno me ne ha regalato una copia, vi diedi un’occhiata assai sfuggevole pensando “con lui sono vissuto così tanti anni, prima da studente e poi da cappellano, che non dovrei avere proprio nulla da scoprire di nuovo”. Così misi da parte il volume riproponendomi di leggerlo quando fossi stato un po’ più libero.
Il volume è uscito nel 2001, era il tempo in cui avevo presentato le dimissioni da parroco come esige il codice di diritto canonico. Poi ci fu un tiramolla perché il Patriarca e il suo vicario insistevano perché rimanessi ancora qualche anno avendo difficoltà a sostituirmi. Io allora ero pressato da due pensieri altrettanto gravi e angosciosi. Da una parte temevo che una comunità così complessa ed articolata finisse per implodere ed io dover assistere allo sfascio di una realtà che avevo tanto amato e per la quale mi ero veramente spremuto tutto. Dall’altra parte, essendo sempre stato un prete estremamente attento all’evoluzione così rapida del nostro tempo, temevo pure di non aver più la lucidità per interpretare i tempi nuovi e quindi di darne una risposta adeguata.
Comunque, nel trasloco da una “villa veneta” di parecchie centinaia di metri quadri, ad un quartierino di appena 49 metri, dovetti liberarmi di tutto quello che non mi era essenziale. Per i libri non potevo disporre che di un modesto armadio e perciò dovetti liberarmi di una biblioteca raccolta in cinquant’anni di vita e tra i tanti volumi ci fu anche quello sul mio vecchio maestro.
Me ne dispiacque, ma fortunatamente, proprio in questo ultimo tempo, me n’è stata donata un’altra copia che sto leggendo avidamente e con estremo interesse. In questi giorni sto rivedendo e pure scoprendo una documentazione di cui non ero in possesso e di cui non ero a conoscenza, circa il progetto pastorale cittadino che monsignor Vecchi propose al patriarca Urbani. Allora non se ne fece nulla perché Venezia, in tutte le sue articolazioni, ha sempre considerato Mestre come “una città di campagna” – come dicono, con un certo sussiego e sicumera i veneziani – ma ora sto constatando che c’è una involuzione ed una regressione veramente da far spavento da un punto di vista pastorale.
Il progetto di monsignor Vecchi, a più di un quarto di secolo, appare semplicemente avveniristico, mentre ora non solo non c’è progetto, ma neppure gli elementi base per poterlo sognare in futuro. Sto dicendomi: “Dove sono andati a finire l’AIMC, i Maestri cattolici, la Fuci, i Cappellani del lavoro, il Centro sportivo italiano, l’Associazione imprenditori, l’Azione Cattolica e tante altre realtà? Mi pare di dover constatare, con tanta amarezza, una involuzione quanto mai preoccupante.