Il duetto

Quando mi alzo alle cinque e un quarto, fuori è già bello chiaro, come dissi altre volte. Dopo essermi lavato e aver riordinato la camera da letto “dico il breviario”.

In verità io continuo, secondo la vecchia tradizione, a definire l’adempimento di questa preghiera ufficiale della Chiesa ed imposta dai canoni del codice canonico “recita del breviario”, mentre nei rari incontri di sacerdoti ai quali partecipo, specie i giovani preti, definiscono questo atto di culto: “pregare il breviario” oppure, quando si tratta della corona: “pregare il rosario”.

Mi pare che il verbo “pregare” significhi chiedere con convincimento ed insistenza. Quindi, nel caso dei preti e della preghiera ufficiale, la recita del breviario corrisponde a chiedere aiuto o glorificare il Signore mediante le parole di questo testo, mentre “pregare il breviario” mi dà la sensazione di rivolgermi ad un piccolo “idolo di carta”.

Comunque, se questa è una moda, passi pure, però io non ci sto. Pure Balotelli ha lanciato la moda di radersi la testa lasciando al suo culmine una striscia di capelli come i moicani d’America ed una folla di adolescenti o di giovani bulli lo seguono. Io però credo sia poco serio, anzi infantile, che pure i preti siano condizionati dalla “moda” lanciata da certi teologi.

Recito il diario nella stanzetta d’ingresso, col breviario appoggiato al tavolo sul quale sono solito anche pranzare. Di solito spalanco la porta-finestra che dà sul terrazzino oltre il quale c’è una fila di alberi che separano il “don Vecchi” dal grande campo verde sul quale sognavo di costruire la “cittadella della solidarietà” ma che invece, non so per quali motivi, la Società dei 300 Campi che ne è proprietaria, lascia incolto. Comunque, il vecchio parroco di viale don Sturzo, che in questi giorni è andato in pensione, e i suoi parrocchiani, non solamente non vedevano di buon occhio l’iniziativa, ma si erano decisamente opposti al progetto.

La mia recita del breviario è assolutamente solitaria, ma da qualche tempo a questa parte s’è unito un uccello che comincia a cantare quando mi faccio la croce d’inizio e termina quando mi segno alla fine. Mi vien da pensare che questo uccello all’alba del nuovo giorno senta anche lui il bisogno e il dovere di ringraziare e di chiedere aiuto al Signore. Il mio compagno di preghiera ogni mattina gorgheggia con toni spesso striduli e sempre misteriosi, toni che io non capisco assolutamente ma che comunque il Signore di certo non solo comprende, ma pure gradisce.

Il modo del mio compagno di preghiera di cantare la gloria di Dio e chiedere il suo aiuto mi conforta quanto mai perché, se il buon Dio capisce ed accetta questo cinguettare incomprensibile, e talora perfino stridulo, spero che accetti anche il mio salmodiare che non riesce a seguire il filo del discorso dei salmi e dei padri della Chiesa, ma che comunque leggo per lodare e ringraziare il buon Dio.

18.06.2014

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