Qualche giorno fa Rolando Candiani, il ragazzino che quasi sessant’anni fa ho incontrato a San Lorenzo e che da vent’anni controlla i conti e la vita dei Centri don Vecchi, avendolo incontrato nel “corso” principale del “don Vecchi” di Carpenedo, si lasciò andare ad una espressione da innamorato: “Questo è un vero Paradiso!”.
Dalle ampie vetrate si intravedeva il parco con il lungo filare di oleandri tutti in fiore, si avvertiva un’atmosfera veramente serena. Non solo condivisi la sua espressione, perché anch’io da quasi dieci anni risiedo in questo piccolo borgo ai margini della città e godo di questa dolce e cara atmosfera, ma ni ha fatto felice l’espressione del mio “ragazzo” perché mi rassicura che il progetto nato da un sogno è veramente riuscito.
Più di una volta mi sono lagnato perché non riscontro una collaborazione attiva da parte di tutti, ma poi penso che io sono uno stacanovista che pretende troppo da sé e pure dagli altri. Del progetto iniziale è forse saltato un pezzo che, per troppa ingenuità, avevo ritenuto un componente essenziale, ossia che al “don Vecchi” risiedessero solamente autosufficienti; infatti nello statuto abbiamo fissato delle norme perentorie per chi perdesse il bene di essere autonomo.
Queste clausole prevedono ancora che qualora uno perdesse l’autonomia, i famigliari lo debbano trasferire in una struttura adeguata alle sue condizioni. Ciò però non è avvenuto, non solamente perché ci siamo accorti che nonostante si sia studiato un contratto con delle clausole legali ben decise, abbiamo in realtà constatato che se un residente si rifiuta di uscire, non è moralmente possibile “sfrattarlo” ricorrendo ai carabinieri.
A questo motivo se n’è aggiunto uno ancora più consistente. La dottoressa Francesca Corsi del Comune, donna intelligente e veramente attenta ai bisogni e ai diritti degli anziani, un giorno mi disse: «Questa è la loro casa e perciò, se lo desiderano, hanno diritto di morirvi dentro». Questa cara donna mi convinse; perciò al “don Vecchi” abbiamo ora un po’ di tutto e constato che la vita, come l’acqua, finisce per trovare il suo rivolo e perciò tutto è andato a sistemarsi, per cui l'”autosufficienza” si raggiunge sempre con l’aiuto di qualche supporto sempre più consistente che in ogni caso viene trovato.
Ritengo che al “don Vecchi cinque”, nonostante i problemi che la struttura sta creando a quelli che si aggiunge un’ulteriore difficoltà perché stiamo accogliendo anziani che sono in perdita di autonomia fin da subito, finiremo per sistemare le cose in maniera conveniente. Non pagando affitto, ma solo i costi condominiali e le utenze, ed avendo invece in cambio un alloggio più che confortevole, spazi per la socializzazione perfino esagerati ed un minimo di monitoraggio offerto dalla Fondazione, l’espediente dell'”assistente di condominio” – o meglio “di comunità” – finirà per rendere possibile la permanenza anche per i meno abbienti e meno autonomi.
Questa è almeno il mio obiettivo e la mia speranza, anche se si avesse tanto più in considerazione l’esperienza pregressa, si sarebbe agevolato il cammino di questa speranza.
02.07.2014