Il racconto di Buzzati

Sperequazioni ce ne sono state in ogni tempo. Quando pensi agli splendidi palazzi di Venezia, alle chiese meravigliose, alle ville venete, verrebbe da concludere che quei tempi sono stati tempi di una ricchezza particolare, mentre poi vieni a sapere che chi li ha costruiti, i maestri d’arte, erano pagati miseramente: si e no potevano mangiare e mangiare da poveri, mentre patrizi e mercanti si potevano permettere lusso e servitù a volontà.

Oggi purtroppo niente è cambiato sotto il sole. Forse oggi, a differenza del passato, i mass media informano con dovizia di particolari sul lusso, sulle rendite d’oro e sugli sperperi di ogni genere, dai generi alimentari ai viaggi, ai ristoranti di lusso, dalle automobili agli abiti dai costi iperbolici. Ed oggi, come per il passato, è sempre la povera gente a dover pagare lo sperpero dei ricchi.

Fino a qualche anno fa avevo sognato e sperato che le sospirate riforme avrebbero riordinato un po’ questo mondo. Qualcosa in verità è stato fatto, ma ancora poco, troppo poco. Ora temo che dovrò aspettare la giustizia del “Giudizio finale”.

Dello sperpero da ricchi ho sentito parlare e ne sono cosciente da sempre e in tutti i campi, non ultimo quello alimentare che mi indigna quanto mai, però non avevo mai preso coscienza che c’è pure un altro tipo di sperpero: quello in cui sono coinvolti anche i poveri. Pure i poveri possono e sono spesso sperperoni! Mi ha aperto gli occhi su questo versante un racconto di Dino Buzzati che ho letto recentemente e che subito ho pubblicato su “L’Incontro”.

La prosa di Buzzati non è solo piacevole, ma pure avvincente; egli colora le immagini del racconto così da renderlo vivo e capace di coinvolgere il lettore rendendolo intensamente partecipe del messaggio esistenziale che contiene.

Riassumo in due righe quanto Buzzati denuncia in maniera veramente magistrale.

Un signore nota che un camion versa ogni giorno degli scatoloni di diversa grandezza in una enorme discarica. Incuriosito, domanda al trasportatore che cosa contengano quegli scatoloni sigillati che ogni giorno smaltisce in quel luogo. L’autista confida che alcuni, i più piccoli, contengono le ore che il buon Dio ha regalato ai singoli cittadini e che loro non hanno adoperato, cosicché, ancora “vergini”, vengono buttati al macero perché ormai “scaduti” e quindi inutilizzabili. Gli scatoloni più grandi contengono i giorni perduti; gli altri, di dimensioni superiori, i mesi e i più grandi in assoluto, contengono gli anni perduti: una ricchezza tanto preziosa e di prezzo inestimabile, buttata in discarica perché ormai inservibile.

Anche i più poveri posseggono una ricchezza inapprezzabile e purtroppo si liberano in maniera tanto dissennata del bene più prezioso che posseggono.

Finito il racconto, mi è venuta una voglia matta di andare in quella discarica per vedere se ci sono scatoloni a me intestati, comunque sono assolutamente certo che là troverei una montagna di tempo perduto con cui i mestrini potrebbero essere dei Paperon dei Paperoni!

16.04.2014

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